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Autore: veronica85    06/05/2018    19 recensioni
AU No Foresta incantata. Seattle, Settima stagione. Canon Divergence a partire dalla 7x04 inclusa. E se i ricordi che i personaggi hanno acquisito tramite la maledizione non fossero falsi? Se la Foresta Incantata, la magia, i portali non esistessero e Ivy, Jacinda, Victoria fossero davvero i nomi dei personaggi che conosciamo e non semplici coperture? Come sarebbero le loro storie? Henry, Ivy e Jacinda, ognuno coi propri problemi e fantasmi: come le loro strade potrebbero incrociarsi? E come potrebbero, Lucy e Anastasia influenzare le loro scelte?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anastasia Tremaine, Henry Mills, Ivy Belfrey/Drizella Tremaine, Killian Jones/Capitan Uncino, Lucy
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ed eccomi qui a postare il secondo capitolo di questa long che all’inizio non era nemmeno prevista (dovevo scrivere un’altra fanfiction, ambientata prevalentemente nella Foresta Incantata… se la state cercando, no, ancora non l’ho postata xd) e di cui invece, prima ho sviluppato la trama, poi i personaggi e sempre più dettagli rendendomi conto di avere così tanto materiale che sarebbe stato un delitto non lavorarci. Ho idee perfino per il seguito già, fate un po’ voi…. Spero che a voi piaccia leggerla quanto sta piacendo a me scriverla. Un po’ di spiegazioni relative al capitolo precedente e alla storia in generale, che serviranno anche per il capitolo successivo a questo:
  • La petizione a cui accennano Henry e Ivy quasi all’inizio della loro interazione è presente nell’episodio 7x03 ed è stata promossa da Lucy, che ha coinvolto Jacinda per salvare dalla distruzione un parco che amava. Nell’episodio ci sono altri dettagli e riferimenti alla magia, ma in questa storia non ci interessano.
  • H Town è il blog che Henry usa per farsi conoscere e mettere in atto il piano contro Victoria
  • Nel 7x01, Victoria, dopo aver trovato Jacinda al bar, le dice una cosa tipo “Sei qui a bere, è così che è arrivata Lucy”: di nuovo, nella serie ovviamente sono solo cattiverie e cose inventate, nella mia storia è avvenuto esattamente così e avrete il racconto a tempo debito
  • Nel 7x08, idem, Jacinda dice ad Henry “Ho ceduto per iscritto la mia potestà genitoriale”: nella serie l’ha fatto sostanzialmente perché Victoria è brutta e cattiva e  le ha fatto credere di non essere in grado di occuparsi della bambina. Ma la mia storia non è la serie e le motivazioni che qui l’hanno spinta a questa scelta saranno chiaramente spiegate.  
Dopo questo eterno papiro, vi auguro buona lettura!
 
Henry era entrato da Roni da quasi un’ora e, in tutto quel tempo, le sue uniche occupazioni erano state ordinare una birra scura (una a caso, la prima che gli era venuta in mente), mandare un messaggio, anzi due, ad Ivy e fissare insistentemente il cellulare in attesa di una risposta che tardava ad arrivare. Cominciava a preoccuparsi: perché non gli faceva almeno uno squillo? Anche senza parlargli, giusto per fargli sapere che era tutto a posto. D’accordo, lui era stato pessimo e magari lei era ancora arrabbiata…forse non aveva neanche letto quello che le aveva scritto. No, aspetta… ragiona Mills si impose. Che lei avesse letto i suoi messaggi era praticamente certo, gli risultavano entrambi visualizzati. Magari li aveva solo scorsi senza realmente leggerli? O non aveva intenzione di parlargli? Sospirò, scuotendo la testa e alzando il viso. Proprio in quel momento,Ivyattraversò la porta del locale dissipando in parte le sue preoccupazioni: non era ancora arrivata a casa, ma stava bene. E se non aveva più con sé Lucy, significava che l’aveva riportata a sua madre. Più tranquillo, Henry decise di non muoversi dal suo tavolo: se non gli aveva risposto, forse non aveva voglia di sentirlo. Forse la cosa migliore sarebbe stata lasciarla in pace, almeno per quella sera.
Ivy, intanto, si era avvicinata al bancone, valutando le bottiglie esposte: voleva una birra, ma possibilmente di una marca decente… e magari un posto appartato, dove nessuno sarebbe venuto a rivolgerle la parola. Individuò facilmente la bottiglia che voleva e se la fece passare insieme ad un bicchiere, poi cominciò a guardarsi intorno, alla ricerca di un angolo libero. Un’occhiata veloce, le rivelò che la maggior parte dei tavoli era stata già occupata. Sospirò cercando più attentamente: possibile che non ci fosse un minimo posto? In quell’esatto momento, i suoi occhi si soffermarono sulla figura di Henry, seduto da solo ad un tavolo. Anche lui l’aveva vista, non aveva dubbi: la stava fissando, ma non accennava ad alzarsi o fare alcunché. Ivy intuì che le stava lasciando la scelta: avrebbe tranquillamente potuto girarsi dall’altra parte e fare finta di nulla. Strinse la bottiglia tra le mani, sospirando: doveva darci un taglio. Lui si era scusato, lei credeva davvero che fosse sincero e quindi non aveva senso continuare a fare l’offesa. Quella strana era lei, non era giusto che lui subisse le sue paranoie: non era suo fratello né il suo ragazzo. A dire il vero, non erano neanche amici, non davvero e, se avesse continuato a comportarsi in quel modo, c’erano scarse possibilità che lo diventassero. Affondò i denti nell’interno del labbro inferiore e si avvicinò al suo tavolo.
«È libero questo posto?»
Henry, che non aveva smesso di fissarla, annuì.«Certo, accomodati» la invitò, osservandola sedersi di fronte a lui. A quanto pareva, aveva deciso di parlargli di nuovo quella sera. Ora doveva stare attento a non fare altre cazzate. Buttò giù d’un fiato l’ultimo sorso di birra che gli era rimasto nel bicchiere, giusto per fare qualcosa e magari, per darsi un po’ di coraggio, mentre cercava il modo giusto per cominciare il discorso. E dire che era perfino uno scrittore! Anche Ivy era rimasta in silenzio, aveva poggiato la sua birra di fronte a lei e ora lo fissava. O meglio, fissava la sua bottiglia: davvero era così disperato? Quella era la marca più scadente che ci fosse in circolazione! Aprì la bocca per parlare, ma si trattenne: se l’avesse fatto avrebbero discusso di nuovo ed era l’ultima cosa che voleva. E non era lì per discutere dei suoi gusti in fatto di alcolici.
«Ho… ricevuto i tuoi messaggi. È tutto a posto, davvero, non ce l’ho con te. È solo che… oggi scatto per ogni minima sciocchezza e tu ci sei andato di mezzo. In realtà… dovrei essere io a chiederti scusa, sono stata davvero acida, anche con te, tutto il pomeriggio».
Henry scosse la testa e, senza riflettere, posò una mano su quella di lei. Ivy non si ritrasse.
«Facciamo che siamo pari? Entrambi ci abbiamo messo del nostro. Nemmeno io sono stato un santo, certe uscite potevo risparmiarmele e… non avrei dovuto parlare di Abigail è stato… fuori luogo».
Forse poteva esserlo per qualcun altro, rifletté Ivy, non per lei. Sapeva bene cosa significasse una perdita del genere e quanto potesse essere devastante.
«No. Non è vero, anzi. Mi hai schiarito il cervello, mi hai aiutato a vedere quali sono le vere priorità. E soprattutto mi hai dato un altro punto di vista: finora ho sempre creduto che il mio fosse l’unico modo giusto e soprattutto possibile di vedere le cose, ma mi sbagliavo. E… se vuoi… puoi parlarne… sai di quella bambina… di Abigail… se parlarne ti fa stare meglio, devi farlo. Io… non sono brava coi consigli o con le parole, ma… posso ascoltarti, se vuoi…». Mosse la mano sotto quella di Henry, intrecciando delicatamente le dita con le sue. Tra loro calò un confortevole silenzio, rotto soltanto dalle voci in sottofondo degli altri avventori e dalla musica.
Henry le regalò un piccolo sorriso. «Grazie. Approfitterò dell’offerta un giorno, forse. E magari, tu mi dirai qual è il vero motivo per cui eri così in ansia, oggi. Ho visto la tua espressione quando mi hai chiesto di stare attento a Lucy. Non può essere solo perché tua madre ti sfinirebbe l’esistenza, ci dev’essere qualcos’altro. Ma non voglio sapere niente, ora. Me lo racconterai se e quando ne avrai voglia».
Un’ombra era passata negli occhi di Ivy, subito scacciata dalle ultime parole del giovane scrittore. La ragazza gli sorrise, sentendosi di colpo più leggera: «Sembra che abbiamo un patto. Mi piace. D’accordo: ti racconterò le mie paturnie quando tu mi racconterai le tue. A proposito di patti e di accordi…» continuò riportando alla memoria un momento precedente a cui, inizialmente, non aveva dato troppo peso «non dovevi mandarmi le foto di mia nipote?». Aveva intenzionalmente cambiato discorso, era stanca di parlare di cose tristi.
Henry la seguì a ruota, schioccando le dita. «Giusto, hai ragione! Me ne stavo dimenticando, aspetta…» afferrò il cellulare, controllando la galleria e selezionando le foto che gli interessavano, che poi inserì in un messaggio destinato a lei. Mentre attendevano che le immagini passassero da un telefono all’altro, entrambi lasciarono che i loro pensieri fluissero in libertà; Ivy si versò un po’ di birra, rimasta ancora intatta di fronte a lei e assaporandola lentamente.
Fu di nuovo Henry, poco dopo, a rompere il silenzio. «Quindi, pensavo… ora siamo… amici, giusto?»
Ivy lo guardò sorpresa: oh. Non aveva cercato una definizione, non aveva neanche pensato di doverlo fare, ma… «Direi di sì. Ci siamo chiariti, abbiamo fatto pace… insomma… siamo a posto, credo».
Henry la guardò mentre una nuova idea prendeva forma nel suo cervello: no che non lo erano. Ed era colpa sua. «In realtà… ci sarebbe una cosa che dovresti sapere. Vedi, da quando ho messo piede in questo quartiere quello che mi è subito stato evidente è come tua madre volesse avere il controllo su tutto e tutti. Ha cercato perfino di comprare questo locale. Scusa se sono così schietto, ma proprio non sopporto questo genere di persone. Ecco perché è nata la petizione di cui parlavamo oggi pomeriggio. Ed ecco perché io, Roni e il detective Rogers, stiamo cercando informazioni su tua madre». Si bloccò, attendendo la sua reazione: si sarebbe arrabbiata? Non avrebbe avuto tutti i torti, avrebbe potuto perfino pensare… Dio, perché era così idiota? Sospirò profondamente, alla ricerca delle parole giuste per spiegare quali fossero i loro obiettivi e i mezzi che intendevano usare per raggiungerli, ma, prima ancora che potesse aprire bocca, Ivy intervenne.
«Che genere di informazioni?»
Henry la guardò: non sembrava arrabbiata, nemmeno sconvolta. Gli aveva posto quella domanda con il tono di chi parla di argomenti di ordinaria amministrazione. Decise di rischiare: si sarebbe esposto e le avrebbe raccontato tutto. E se Roni e Rogers non fossero stati d’accordo, pazienza, se ne sarebbe assunto la responsabilità, era sufficientemente adulto da poter prendere da solo le sue decisioni.
«A dire il vero non lo sappiamo neanche noi. Ci andrebbe bene qualsiasi cosa purché serva a metterle un freno. So che non è una cosa carina da dire, tantomeno a te che sei sua figlia, ma…»
Ivy liberò delicatamente la mano dalla sua, muovendola poi con noncuranza e usandola per portarsi di nuovo il bicchiere alle labbra. «Lascia perdere. Avete ragione. Tutti in famiglia dovremmo rivedere le nostre priorità. E mia madre… lei è cambiata totalmente da quando mio padre è morto e soprattutto da quando… Niente, lascia stare… Avevamo detto niente cose tristi, giusto?»
Non le andava ancora di parlargli di quello, era troppo presto. Magari l’avrebbe fatto tra qualche tempo, se avessero continuato ad essere amici. Riprese. «Sono diversi anni che io e mia madre non andiamo più d’accordo per vari motivi che non mi va di stare a spiegare… diciamo che, probabilmente è colpa di entrambe. Siamo al punto che lei mi odia e io… cerco solo di fare di tutto per renderla felice… ma non è abbastanza e non lo sarà mai. Comincia ad essere logorante. Forse dovrei davvero darvi una mano: magari così riuscirei finalmente a staccarmi da lei e quello che pensa non sarebbe più così importante. Cavolo! Sono pessima… non riesco proprio a non essere deprimente, stasera».
Henry scosse la testa e le riprese la mano. «Non importa. Sono felice che stiamo parlando. Mi sembra di aver imparato qualcosa di nuovo su di te e di conoscerti un po’ meglio. E vale per te quello che hai detto a me: se parlare ti fa stare meglio, puoi sfogarti con me ogni volta che ne hai bisogno».
Fu il turno di Ivy di sorridergli: nonostante i presupposti infausti, quella sera non era andata poi così male. Il suo cellulare squillò proprio in quel momento, segnalando che tutte le foto erano arrivate: lo prese in mano, scorrendole velocemente. «Ma quante gliene hai fatte? Mi hai intasato il telefono!» esclamò divertita.
Henry sorrise: «Ha letteralmente adorato la casa stregata, non faceva che passare da un punto all’altro, non riuscivo quasi a starle dietro. Saresti dovuta venire anche tu, ti saresti divertita».
Ivy rabbrividì. «Non credo. Te l’ho detto, non sopporto quel genere di attrazioni, mi mettono ansia…».
Henry annuì.«Questo l’ho capito. Ma... non saresti stata da sola, ci saremmo stati io e Lucy con te. Potevamo proteggerti dai mostri cattivi che spuntano all’improvviso».
Ivy non trattenne un nuovo sorriso immaginandolo con il mantello e la spada tipici dei cavalieri di un tempo. «Tu forse. Sembri il classico cavaliere senza macchia e senza paura delle favole. Lucy… non credo. Hai visto, non siamo particolarmente amiche. Probabilmente è soprattutto colpa mia, dovrei cercare di essere un po’ meno acida… ma è più forte di me. Non dipende nemmeno da lei è che… non voglio bambini tra i piedi, non voglio responsabilità simili, non sono brava con loro».
Henry annuì. «Magari cambierai idea più avanti, chi può dirlo. Prenditi il tempo che ti serve. Come ho detto a Lucy oggi pomeriggio, sono sicuro che in fondo vi vogliate bene, dovete solo smettere di negarlo a voi stesse».
Ivy gli rivolse una smorfia:«Quanta saggezza… sei sempre così o è quella birra terribile? Perché deve esserci un altro motivo se hai scelto proprio quella: è la più amara e la peggiore in circolazione. Ti aiuta a risvegliare i neuroni?» lo canzonò.
Henry osservò la bottiglia di sbieco, facendo spallucce. «Avevo voglia di una birra, ne ho presa una a caso, non sono stato tanto a pensarci. Tu invece ti tratti bene, so che questa marca è una delle migliori in commercio, anche se, personalmente, non l’ho mai provata. Mi è sempre sembrato un inutile spreco di denaro. Si possono trovare buone alternative anche con cifre minori». Ivy lo guardò oltraggiata: aveva smesso di ascoltare dopo che aveva ammesso di non averla mai provata. Era uno scherzo, vero? Si portò platealmente la mano al petto: «Vuoi farmi morire? Non l’hai mai provata? Dobbiamo rimediare assolutamente!» esclamò, afferrando la bottiglia e versando parte del contenuto nel bicchiere dell’uomo. Ne mise un dito anche nel suo bicchiere, poi lo sollevò, facendo per avvicinarlo alle labbra.
Henry sollevò una mano: gli era venuto in mente… «Aspetta. A questo punto ci vuole un brindisi. Direi che ne abbiamo di motivi, no?»
Ivy annuì, avvicinando il bicchiere a quello di lui e riflettendo solo qualche istante. «Uhm… a una nuova amicizia?»
Henry fece tintinnare il bicchiere contro il suo approvando la sua proposta e assaporando la birra che lei gli aveva offerto.
«Hai ragione, è davvero buona. Magari ogni tanto potrei concedermene una, ma non troppo spesso… sono pur sempre un povero tassista squattrinato che passa il tempo libero a tentare di scrivere libri»
«E la mia famiglia invece ha i soldi che le escono dalle orecchie. Vorrà dire che queste le offro io, non vorrei mai essere responsabile della tua rovina economica» celiò la ragazza, ormai rilassata.
Henry la guardò male.«Non ci provare. Non mi hai permesso neanche di offrirti un caffè, oggi pomeriggio, il minimo è che lasci pagare me. Non vorrai mica discutere per questo, vero?».
Sembrava tenerci davvero. Ivy scosse la testa: chi avrebbe mai pensato di incontrare l’ultimo esemplare di cavaliere esistente al mondo?
«D’accordo, d’accordo, non mi permetterei mai di offenderti così». Risero insieme e proprio in quel momento, il cellulare di Ivy squillò. La ragazza gli rivolse un’occhiata rapida e sbuffò vedendo apparire il nome di Victoria sul display. «È mia madre… vorrà sapere perché sono in ritardo a cena e che fine ha fatto Lucy. Non ho proprio voglia di sorbirmi una predica…. In effetti ero venuta qui per evitarla il più a lungo possibile…»
Henry non commentò: dopo quello che lei gli aveva raccontato non era certo di essere in grado di trovare qualcosa di appropriato. Poi un pensiero si affacciò alla sua mente. «Un momento… vuoi dire che, pur di evitarla, stai… saltando la cena?»
Ivy si strinse nelle spalle. «Non è un grosso problema, non ho particolarmente fame, mangerò qualcosa più tardi».
Henry strinse le labbra. «Sai una cosa? Non ho ancora cenato neanche io. Che ne dici se paghiamo qui e poi andiamo a cercare un locale che non sia ancora stato preso d’assalto?».
Ivy scosse la testa: «Non penso sia una buona idea… ci ho provato più di una volta, ma, esclusi i ristoranti, non ci sono molti locali che servono ciò che mangio abitualmente… infatti di solito me lo preparo da sola. Normalmente opto per verdure cotte, carne bianca con un po’ d’olio… tutti i ristoratori mi odiano, sono il loro incubo. Finirei per guardare te, o ti farei girare a vuoto finché non trovassimo un locale che vada bene ad entrambi».
Per la seconda volta quel giorno, Henry la fissò come se avesse appena detto di essere un marziano sotto mentite spoglie. «Cioè… sei a dieta?» Al suo cenno di assenso, lo scrittore non poté evitare di roteare gli occhi. «Ivy è… folle. Voglio dire… non ne hai bisogno, stai benissimo così. Chi ti ha messo in testa che devi stare a dieta? No,aspetta, non me lo dire… indovino… tua madre».
Il silenzio di lei fu più eloquente di qualsiasi altra risposta. Henry non riusciva davvero a crederci: la Belfrey doveva trovarsi un hobby che non contemplasse l’intromettersi nella vita altrui perché le sue interferenze erano dannose.
«Beh, è una stronzata. Facciamo una cosa, allora: non stiamo in questa zona. Usciamo da questo quartiere, cambiamo, ci stai? Mi sono appena ricordato che c’è una festa a Madison Park: possiamo trovare un locale da quelle parti e poi andare, o mangiare direttamente lì. Non servono inviti, le maschere non sono obbligatorie, chiunque può andare. E se volessi mascherarti e per qualche motivo non potessi farlo, ti mettono a disposizione vestiti da pendere in prestito e poi riconsegnare a fine serata. E potrai fare una deroga alla tua dieta senza temere che nessuno ti giudichi, perché nessuno ci conoscerà. Che ne dici? Ti va di venire con me? Pensaci, finché vado a pagare». Ivy lo osservò districarsi tra la gente e guadagnare il bancone: non aveva bisogno di pensarci, sapeva di aver voglia di passare ancora del tempo con lui. E così facendo avrebbe ulteriormente ritardato il momento del confronto con sua madre. Però… però fuori non era esattamente caldo, forse sarebbe stato meglio passare a casa e prendere almeno una giacca a maniche lunghe? Scosse la testa: avrebbe resistito. E poi, Henry aveva detto che si potevano noleggiare costumi. Magari ne avrebbe scelto uno che le coprisse le braccia.
Quando tornò, aveva mandato un messaggio veloce a sua madre, informandola che Lucy era con Jacinda e che lei non sarebbe tornata per cena, poi guardò Henry, comunicandogli la sua decisione: «D’accordo. Vediamo questa festa».
Henry si concesse un sorriso vittorioso, poi la guidò fuori dal locale, verso la sua macchina. Nonostante le strade relativamente libere, ci volle più di mezz’ora per raggiungere la loro destinazione. Era un po’ distante, ma non se ne erano davvero accorti: avevano trascorso il viaggio ascoltando musica e parlando di qualsiasi cosa venisse loro in mente. Alla fine, Ivy aveva scoperto che lui da piccolo avrebbe voluto fare il cantante, ma era talmente stonato che non lo avevano accettato neanche nel coro della sua parrocchia, quindi aveva ripiegato sulla scrittura, che odiava gli spinaci e tutte le verdure verdi che dovevano essere cotte – sacrilego! - che amava la musica New wave, in particolare i New Order e Adam Ant.  Henry aveva appreso che lei, invece, prediligeva la musica pop, che il suo cantante preferito era Marc Anthony, che avrebbe voluto frequentare il college e studiare materie umanistiche ma sua madre si era rifiutata categoricamente facendola entrare come stagista alle Belfrey Industries a soli diciotto anni e che sognava di fare una vacanza in Australia. Giunti a destinazione, notarono già un consistente numero di persone, la maggior parte delle quali mascherate. Insieme si diressero nel punto in cui uno zombie e una strega in calze a rete sembravano smistare la folla. Non c’era molta fila e arrivarono presto davanti. La ragazza li condusse in una casa lì accanto, al cui primo piano erano stati allestiti dei camerini e una serie di appendiabiti contenenti costumi di vario genere, dai più semplici ai più fantasiosi. C’erano anche maschere per il viso e parrucche. Ivy non sapeva dove guardare: le sembrava di essere tornata bambina, era tutto fantastico! Henry la guardava divertito: era la prima volta, da quando si erano incontrati quel giorno, che le vedeva in volto una simile espressione. Si riempì di orgoglio, fiero di aver conseguito un simile risultato, quindi decise che era arrivato anche per lui il momento di cercare qualcosa da mettere. Ma in quella stanza c’erano solo vestiti femminili e da bambina. Individuò un cartello che gli diede la soluzione: doveva andare alla porta accanto. Si avvicinò ad Ivy e le toccò una spalla, avvisandola del suo spostamento. La ragazza annuì, per poi tornare a dedicarsi alla sua ricerca: mezz’ora dopo ne era venuta a capo, soddisfatta e stava cercando un camerino in cui poter indossare ciò che aveva scelto. Le ci volle un po’, aveva scelto un costume un po’complesso, ma lo amava: c’erano anche il cappello ed una sfera magica. Nel frattempo, anche Henry si stava dedicando alla ricerca: aveva esaminato diversi capi, ma non era riuscito a trovare niente che lo convincesse. Stava quasi per desistere, quando i suoi occhi si soffermarono su un costume all’apparenza normalissimo: pantaloni, camicia, gilet e mantello con l’interno rosso sangue. Niente di particolare, se non fosse stato per i due affilati canini che erano sistemati all’interno della scatola. Sì, quello era ciò che faceva al caso suo. Togliendoli sarebbe sembrato una persona normale, forse non proprio il cavaliere cui lei aveva alluso in precedenza (gli mancavano una spada e un’armatura serie) ma ci sarebbe andato molto vicino. E mettendoli sarebbe entrato nello spirito della festa, che celebrava streghe e creature della notte. Soddisfatto, si apprestò ad indossarlo, dopodiché si recò nella stanza in cui aveva lasciato Ivy. La cercò con gli occhi senza riuscire ad individuarla: dov’era finita? Controllò il cellulare, per assicurarsi di non essersi perso un messaggio, ma non c’era nulla. Doveva preoccuparsi? Prima che potesse anche solo deciderlo, un movimento proveniente da uno dei camerini lo distrasse. Una ragazza stava uscendo proprio in quel momento: aveva un lungo vestito viola, sicuramente da strega, con la scollatura quadrata, un cappello a punta e un bastone a cui era attaccata una sfera viola. Aveva lunghi capelli castani che le scendevano oltre le spalle, raccolti in una coda bassa. E si stava avvicinando.
«Vlad Tepes in persona! Devo cominciare a tremare?»
Henry sorrise, riuscendo finalmente a dare un nome alla ragazza: «Ivy! Non ti avevo riconosciuta, mi ha fregato la parrucca».
La ragazza sorrise, facendo un giro su se stessa: «Non mi vedrai MAI mettere cerone colorato, ci tengo alla mia pelle… ma ci sono così tante streghe che non è davvero un problema. Io, ad esempio, ho deciso che fingerò di essere Nimue, una strega potentissima e vero amore di mago Merlino. Sai…» proseguì, senza rendersi conto di essersi fatta prendere dal racconto «… inizialmente, lei non era che una semplice umana innamorata di Merlino ma, in seguito all’inizio della loro storia e alla morte della sua famiglia sviluppò una vera e propria ossessione per l’immortalità, desiderando stare per sempre vicina all’uomo che amava. Raggiunse il suo scopo quando un giorno, bevve dal Sacro Graal, un vaso che concedeva l’immortalità. A quel punto cercò l’assassino della sua famiglia per vendicare la loro morte e, non appena l’ebbe in pugno gli strappò letteralmente il cuore e poi lo distrusse con le sue mani, diventando la prima Signora Oscura di cui Camelot e ogni altro regno conosciuto avesse mai avuto memoria… che c’è?»si interruppe, vedendo Henry sorridere apertamente.
«Beh?» lo incalzò, mettendo le mani sui fianchi notando che non le aveva ancora risposto.
Henry scosse la testa, poi respirò profondamente, tentando di contenere l’ilarità. «Niente, è che… tu eri quella a cui non piacevano i bambini… e mi hai appena raccontato una favola!».
Ivy sbuffò, incrociando le braccia sotto il seno: «Cosa c’entra? E poi questa non è una favola, è una delle leggende del ciclo bretone. Ho un sacco di libri sull’argomento e mi sono vista qualsiasi film Adoro First Knight e Richard Gere è veramente figo. E non osare ridere di nuovo, o ti trasformerò in un rospo col mio bastone magico!» lo minacciò scherzosamente.
Henry alzò le mani in segno di resa. «Promesso, sarò buonissimo, lo giuro. Piuttosto… di tutte le streghe, come mai hai scelto proprio lei? Perché non Morgana, ad esempio? O che ne so, la strega di Biancaneve…».
La giovane non aveva bisogno di pensare ad una risposta, era già tutto molto chiaro nella sua mente. «Le favole non mi interessano, sono troppo schematiche: ogni personaggio è solo bianco o nero, mentre quelli di queste leggende sono più sfaccettati e interessanti. E poi… innanzi tutto, lei non è un personaggio molto trattato, nelle varie storie e mi ha sempre affascinato. E questa particolare versione della sua storia è così triste… in pratica, è stata portata a diventare cattiva da tutto quello che le è successo. Neanche l’amore di Merlino ha potuto salvarla ed è proprio questo che mi ha colpito: è la prova che esistono davvero dolori talmente grandi che nulla può cancellare».
Henry la prese per mano. «Però, avevamo detto che per stasera avremmo messo al bando la tristezza, se non ricordo male. Dai, vieni strega, usciamo» la incitò tirandola con sé prima verso il guardaroba, dove lasciarono i vestiti con cui erano arrivati in cambio di un cartellino numerato e poi verso l’uscita. Nel frattempo, molta altra gente era arrivata e il posto si era riempito quasi per metà. Ormai entrati nello spirito della festa, Henry e Ivy si guardarono intorno notando ciò che all’inizio non avevano considerato: c’era un vasto buffet con piatti di ogni genere, rivisitati per essere in linea con la festa e cocktail di ogni tipo, serviti diligentemente da baristi vestiti da zombie. Henry le strinse la mano tentando, nel contempo, di aver ragione della folla.
«Non mi mollare. Con questo casino, se ci separiamo siamo finiti: non sentirò mai il telefono squillare e finiremmo per girare a vuoto come due idioti e rovinarci la serata. E adesso… diamo il via all’Operazione Cena! Vieni con me!» la esortò trascinandola verso il buffet, mentre lei liberava l’ennesima risata di quella serata. «Operazione Cena?»
Henry annuì, serissimo. «Già. Non so tu, ma io, se non mangio qualcosa entro i prossimi dieci minuti, svengo. E tu mangerai con me, o digiunerò anch’io e sarai responsabile del mio malessere. E ti toccherà chiamare un taxi per tornare a casa… la sera di Halloween… quando tra ferie e richieste che aumentano in maniera esponenziale è quasi impossibile trovarne uno…».
Ivy alzò gli occhi al cielo. «Va bene, va bene, ho capito: mi hai convinta. Troviamo un tavolo che non sia pieno di gente e prometto di mangiare. Sei davvero tremendo. È così che mantieni i followers di “H-Town”? Lì ricatti e li sfinisci di chiacchiere finché non ti mettono un like?».
Henry, inizialmente risentito, decise di sorvolare: per quanto intrisa di sarcasmo e pensata al solo scopo di farlo irritare, quella domanda aveva un’altra implicazione a cui, forse, Ivy non aveva dato peso.
«Quindi segui il mio blog? O almeno l’hai letto anche tu…che ne pensi?».
Ivy si bloccò per un istante a bocca aperta: cavolo! L’aveva fregata! Non era da lei farsi trovare impreparata. Boccheggiò, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte, finché il suo cervello non riuscì ad elaborare una risposta soddisfacente. «Ne parlano tutti, sai, anche in ufficio. Così mi sono incuriosita e ci ho dato un’occhiata veloce, ma nulla di più. Non montarti la testa». Figurarsi! Si era già gasato solo perché aveva ammesso di conoscere il suo blog, se gli avesse confermato di non perdersi neanche un post (come in effetti era) chissà cosa sarebbe potuto arrivare a credere!
Henry scosse la testa: era davvero tremenda! Si assicurava, la maggior parte delle volte, di farlo volare basso, senza rendersi conto che a lui non interessava raggiungere vette iperioniche e che quelle ammissioni velate nascoste nelle sue prese in giro (il fatto che tutti i suoi dipendenti ne parlassero, che lei fosse stata abbastanza incuriosita da dedicare del tempo a leggere qualcosa di suo, che se ne ricordasse senza che lui avesse mai avuto bisogno di parlarne) erano già una vittoria sufficiente, specie perché venivano da lei, sempre così restia a dargli la minima soddisfazione. Nel frattempo, avevano raggiunto uno dei tavoli: Henry afferrò un piatto riempiendolo con le prime cose che gli capitavano sotto mano osservando divertito la sua nuova amica procedere al rallentatore: prima aveva preso un piatto, poi aveva esaminato tutte le posate rimaste, dopodiché si era messa ad analizzare ogni singola portata, certamente cercando di stabilire quale tra le tante le avrebbe consentito di non derogare eccessivamente al suo regime alimentare. Doveva ridere o piangere? Attese qualche istante poi, scuotendo la testa, si impossessò del piatto di Ivy, riempiendolo con le stesse cose che aveva scelto per sé. La giovane, inizialmente sorpresa, gli rivolse poi uno sguardo terribile: se gli occhi avessero potuto uccidere, Henry Mills sarebbe stramazzato al suo in quell’esatto momento.
«Oh, andiamo, non guardarmi così! Quante calorie vuoi che abbia questa roba! E poi ci muoveremo, non staremo immobili qui, prometto che smaltirai tutto. Comunque, resto dell’idea che tu non abbia bisogno di alcuna dieta».
Ivy sospirò:«D’accordo, hai ragione. Mi hai portato ad una festa, mi stai salvando dall’affrontare mia madre e hai trascorso tutto il pomeriggio con Lucy e me quando avresti potuto benissimo fare altro. Ti devo almeno di non farti saltare la cena». Si era finalmente convinta e da quel momento la serata trascorse senza ulteriori intoppi. Continuarono a parlare di musica, di H-Town, di come Henry avesse scoperto la passione per la lettura prima e per la scrittura poi grazie ad una delle sue insegnanti. Ad un certo punto, la musica che avevano sentito in sottofondo fin dal loro arrivo, cambiò genere diventando più lenta, quasi una ninna nanna. Ivy chiuse gli occhi istintivamente: amava quella canzone da sempre. E aveva addosso una tale voglia di…  Si sentì prendere per mano e riaprì gli occhi, incrociando lo sguardo di Henry.
«Vuoi ballare, lady Nimue?».
Non poté fare a meno di sorridergli: cos’aveva fatto di così bello per meritare un amico come lui?
«Ne sarei lusingata, lord Tepes» rispose facendo una riverenza e lasciando che lui la guidasse seguendo la melodia della canzone. Il tempo trascorse rapidissimo: la musica si concluse presto e, dopo quell’unica canzone, nessuno dei due ebbe di nuovo il desiderio d ballare. Continuarono a girare per la festa ridendo e scherzando, scattando foto a se stessi o ad altre maschere che li avevano colpiti. Riuscirono a chiedere ad un tizio che incrociarono per caso di scattare una foto ad entrambi ed Henry si posizionò dietro di lei, tenendola per i fianchi e fingendo di morderla con i suoi pericolosissimi denti da vampiro. Ivy rideva di cuore: non si era sentita così rilassata da… da anni, da quando…. Scacciò il pensiero: avevano detto niente cose tristi. Quella serata celebrava la loro nuova amicizia, non c’era posto per nulla che fosse anche solo lontanamente triste. Intanto continuava ad arrivare gente: c’erano migliaia di maschere tra i quali molti ragazzi e ragazze della loro età. Uno in particolare, vestito da stregone, si stava avvicinando ad Ivy che, in quel momento, era da sola, in attesa che Henry, andato da qualche tempo a prendere qualcosa da bere per entrambi, avesse ragione della folla e la raggiungesse nuovamente. Si voltò di scatto, sentendosi mettere una mano sulla spalla: di fronte a lei c’era un ragazzo alto quanto lei, con occhi e capelli scuri che le stava sorridendo.
«Ciao, mi chiamo Julian, ero là con i miei amici e ci chiedevamo come potesse una ragazza carina come te essere qui da sola».
Ivy sbatté le palpebre perplessa: sul serio? Stava succedendo davvero? Non le era mai capitato di attirare l’attenzione di un ragazzo e sinceramente, non le era mai particolarmente interessato: le bastavano le esperienze di sua madre e sua sorella per essere certa di non essere interessata ai maschi, almeno per il momento. E, in ogni caso, non si era mai dovuta porre il problema: sapeva di essere una bella ragazza, ma tutti quelli intorno a lei erano sempre stati troppo intimoriti da sua madre per fare un qualsiasi tentativo. Lì, invece, nessuno la conosceva, nessuno la collegava a sua madre, magari il loro interesse era davvero rivolto a lei come persona. Allungò la mano, stringendo quella che il ragazzo le porgeva: «Ivy, ciao. In realtà non sono sola, soltanto che… mi sa che il mio cavaliere è stato intrappolato nella bolgia infernale del recupero bevande. Dovrebbe essere qui a breve…». Concluse, volgendo lo sguardo nella direzione in cui era sparito Henry.
«Beh, mi sembra una follia. Se io avessi una dama bella come te non la lascerei sola neanche un minuto».
Ivy roteò gli occhi: altro che stregone, quello era il classico galletto! Faceva il figo per fare colpo, era patetico.
«Infatti io sono con lui e non con te. E non sono interessata a proseguire questa conversazione». Fece per andarsene, ma una mano l’afferrò per un polso. Si voltò irritata. «Mollami. Adesso» gli intimò decisa. Per tutta risposta, lui scoppiò a ridere.
«Oh, avanti, non fare la preziosa. Voglio solo ballare, che ti costa?».
Ivy non ci credeva: sapeva che se gli avesse dato corda, accettando la sua proposta, lui avrebbe creduto di poter osare maggiormente. Doveva mettere paletti chiari e ben definiti. Ma dov’era Henry?
«Ho detto che non sono interessata. Devo farti un disegnino? Lasciami in pace». Doveva stare calma e non innervosirsi, non serviva a niente diventare isterica, avrebbe solo ottenuto di farlo insistere maggiormente.
Una voce alle sue spalle decretò la sua salvezza. «Sei sordo? Ti ha chiesto di lasciarla in pace!» Ivy si voltò sorridendo: Henry l’aveva finalmente raggiunta e stava fissando quel tipo come se avesse voluto farlo scomparire.
L’altro ragazzo lo schernì: «Ehi, amico datti una calmata, stavamo solo parlando. Chi sei, il suo ragazzo?».
Henry, intanto, aveva posato le bevande al tavolo vicino, poi aveva avvolto le braccia intorno alla vita di Ivy.
«Esatto. E non mi è piaciuto quello che ho visto finora. Gira al largo».
Ivy non sapeva se fossero state le parole, i gesti o il tono di Henry o forse tutti e tre, ma ottenne il risultato sperato: l’altro ragazzo girò i tacchi, borbottando parole incomprensibili. Henry attese che il tipo si fosse allontanato a sufficienza, poi la lasciò andare: Ivy liberò il respiro che non si era accorta di aver trattenuto fino a quel momento voltandosi verso di lui e appoggiando la testa contro la sua spalla. Era una vera idiota.
«Grazie. Non riuscivo a liberarmene».
Henry annuì. «La prossima volta vieni con me. Giuro, non pensavo di metterci così tanto, ma c’era una calca assurda».
La ragazza annuì, staccandosi leggermente da lui. «Ho visto. In realtà, non avrei mai pensato di avere un problema del genere. Di solito i ragazzi girano al largo per via di mia madre. Ammetto che quando è venuto a presentarsi mi ha fatto piacere: avevo sempre pensato di essere una specie di mostro inavvicinabile o qualcosa di simile. Poi però ha cominciato subito a prendersi troppa confidenza e volevo solo che mi lasciasse in pace».
Henry scosse la testa: non aveva mai sentito tante follie. Era inconcepibile.
«Tu hai serio bisogno di una bella iniezione di autostima. Non ho mai sentito tante sciocchezze quante ne hai dette tu stasera. Prima la dieta, ora questo. Devo portarti fuori più spesso. Forse così riusciamo a raddrizzare la tua visione distorta delle cose».
Ivy arrossì, indignata: «Io non ho una visione distorta delle cose!». Però… doveva ammettere che il proposito di Henry non le dispiaceva. Uscire di nuovo con lui sarebbe stato… interessante. Lui era la prima persona a cui non fosse importato del suo nome, o del suo aspetto o dei soldi di sua madre. Erano amici, senza secondi fini nascosti da nessuna delle due parti. Ok, lei lo trovava carino... e allora? Di tanti ragazzi pensava così, ma questo non voleva dire niente, soltanto che anche lei aveva gli occhi, fino a prova contraria. E poi avevano un sacco di cose di cui parlare, non si era mai annoiata con lui, neanche durante il viaggio in macchina…
«…che ne dici?»
Ivy sobbalzò: Henry le aveva appena fatto una domanda, ma lei non aveva sentito una parola.
«Scusami, non ti ascoltavo. Avevo la testa da un’altra parte». Ammise sinceramente.
«L’ho notato. Dicevo… che ne dici se andiamo? È l’una e mezza e io ho bisogno di dormire almeno cinque ore per essere in grado di connettere domani e dobbiamo ancora riconsegnare i vestiti».
Già, rammentò Ivy di colpo: l’indomani entrambi si sarebbero dovuti recare a lavoro. Annuì, riappropriandosi della cognizione del tempo: «D’accordo. Andiamo».
Ci volle un po’ perché recuperassero i loro abiti civili e potessero rimettersi in macchina. Henry attaccò una playlist a caso, per non rischiare un colpo di sonno, lasciando che le note si spargessero nell’abitacolo. Ivy guardava la strada sfrecciare di fianco a sé, tentando di tenere gli occhi aperti. Voltò la testa, sbirciando di nascosto il profilo dell’amico, che guidava sicuro, attento a non perdere la concentrazione.
«Sono stata bene, stasera. Grazie davvero, Henry».
Lo scrittore le rivolse uno sguardo fiero. «Sono contento. Anche a me ha fatto piacere che siamo usciti: Halloween non è mai un bel giorno per me, mi hai aiutato ad allontanare la mente dai pensieri negativi. E ammetto che proporti questa festa è stata una cosa improvvisata dell’ultimo momento, ma sono contento di averlo fatto».
Ivy annuì. «Anch’io. E..ho deciso che… potete contare su di me…sai, per quello che mi dicevi al “Roni” su mia madre: ho bisogno di smettere di dipendere da lei in questo modo e se non faccio qualcosa di concreto non ci riuscirò mai, quindi… la terrò d’occhio e se vedrò qualcosa di strano, sarai il primo a saperlo. È un patto».
Henry le sorrise: «Grazie. Immagino che non debba essere facile…voglio dire, è pur sempre tua madre. Apprezzo davvero che tu voglia aiutarci. Giro qui, giusto?»
L’ultimo tratto fino alle Belfrey Towers trascorse in un confortevole silenzio. Quella giornata era stata lunghissima ma aveva sancito l’inizio di una nuova amicizia e dato il via ad una serie di eventi che né Henry né Ivy avrebbero potuto mai immaginare e le cui imprevedibili conseguenze avrebbero avuto un tale impatto sulle loro vite da rivoluzionarle completamente.

 
Approfitto di questo ultimo spazio per spiegare, a chi non se ne fosse accorto, che la storia di Nimue è quella presa dalla quinta stagione di Once, ma il vestito l'ho inventato io, basandomi circa su quello di Drizella nella settima stagione.
Quando invece, faccio citare ad Ivy, First Knight, si tratta di un film,che ho visto e stravisto non so quante volte, di cui lessi perfino il libro, che in Italia conosciamo come "Il primo cavaliere" con Richard Gere, Julia Ormond e Sean Connery. Se non l'avete mai visto.. andate a rimediare :P E, un favore: se notate errori di battitura o volte in cui sono andata a capo troppo spesso, segnalatemelo: ho ricontrollato tutto, ma può essermi sfuggito qualcosa e la mia beta non può segnalarmi questi dettagli perché le mando il capitolo in un formato diverso. Inoltre colgo l'occasione per per ringraziare di nuovo chi ha recensito la mia shot su Henry e Ivy "Wish". Chi volesse darle un'occhiata, la trova sul mio profilo
   
 
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