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Autore: Kiron_River    07/05/2018    0 recensioni
Questa è una raccolta di racconti randomici di varia natura nata semplicemente dalla mia voglia di mettere su carta situazioni e personaggi assurdi senza un vero e proprio motivo se non il piacere di vederli mentre fanno cose. Il luogo in cui avvengono queste avventure sconclusionate è il mondo di Nonsense, praticamente identico al nostro: stessa geografia, stesse città, ma dove vige un'unica regola: "Le persone sono e le cose accadono, indipendentemente dal perché ... se ne esiste uno". Ogni racconto sarà un oneshot, ma ci saranno alcuni personaggi ricorrenti e se per caso alcune cose vi sembreranno forzate e altre strane e vi chiederete "Ma perché è successo/non è successo questo?", sappiate che la risposta sarà sempre "perché si" o "perché no" a seconda delle situazioni, ma anche su questo non prometto niente.
Genere: Azione, Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ciao gente! Torno a farmi sentire dopo un sacco di tempo con un altro racconto Nonsense, ancora una volta incentrato sul trio di sfortunati amici Lubit, Wells e P.Jackson, che durante il loro lavoro si sono imbattuti (di nuovo) in qualche pasticcio che il mondo di Nonsense ha preparato sulla loro strada. 
 

“Siamo ancora appesi?”
Questa è una di quelle domande che in qualsiasi situazione non fanno mai pensare a niente di buono.
In effetti Wells e Lubit erano veramente appesi a testa in giù al soffitto di una vecchia chiesa sconsacrata di epoca rinascimentale, solo che Lubit poteva guardarsi intorno, mentre a Wells era stato messo un cappuccio in testa per evitare che vedesse troppo oltre.
Lubit sbatté una volta i denti, cosa che equivaleva ad un “si”, e continuò a osservare senza possibilità di riferire al compagno di scorribande.
“Giuro che se P.Jackson non arriva in tempo è la volta buona che lo licenzio” continuava a parlare Wells “Ah, Lubit, sembra anche a te che la situazione sia familiare?”
Lubit batté un no (due battiti di denti).
“Dici? A me sembra molto simile a quella volta a Trieste”
Oltre il suo cappuccio nero, la setta di adoratori di chissà quale antica divinità mesopotamica giravano per la chiesa armeggiando con i loro computer installati per l’occasione, ingombrati da quell’inguardabile tunica verde pisello con cappuccio a punta di colore rosso che andava contro ogni gusto estetico mai propagandato dal genere umano in tutta la sua ultra millenaria storia. Quantomeno però l’arredamento della chiesa riutilizzata come laboratorio era carino. Faceva molto covo degli scienziati pazzi dei cartoni animati degli anni ‘90.
Dal poco che era riuscito a capire Wells, i tizi incappucciati avevano intenzione di combinare un antico rito pagano con le ultime tecnologie per poter rievocare un demone che avrebbe distrutto l’umanità così come la conosciamo permettendo a loro di diventare l’unica classe dirigente del mondo. Del fatto che il demone avrebbe potuto non essere d’accordo se ne sarebbero presumibilmente occupati in seguito.
Mentre uno degli accoliti era impegnato ad armeggiare con dei cavi di collegamento, un rumore di motore molto pesante turbò lo sferragliare dei preparativi nella chiesa.
L’accolito tese l’orecchio per sentire da che parte veniva quel rumore. Sembrava avvicinarsi dall’esterno propri verso la loro posizione…
Neanche il tempo di capirne di più che un gigantesco monster truck con il muso rinforzato sfondò il muro con un violento frontale, facendo crollare tutta la parte di parete che stava tra i due pilastri e schiacciando i computer che stavano dall’altra parte e lo stesso accolito.
Mentre i cocci di pietra della chiesa cadevano sul veicolo infliggendogli danni irrisori, lo stesso derapò violentemente in circolo al centro dell’edificio, facendo piazza pulita di tutto e tutti introno ai due ragazzi appesi al soffitto, che, per loro conto, non mossero un muscolo.
Il monster truck si fermò di scatto e dal finestrino del guidatore spuntò la testa di P.Jackson.
“Ehi, ragazzi, che sono quelle facce appese?” scherzò il giovane.
“Dinne un’altra come questa e sei licenziato” rispose Wells da dietro il cappuccio.
“Eddai, fammi divertire un po’ almeno, mi sembra di esservi venuto a salvare”
In quel momento Lubit fece la sua trasformazione e ingrandì enormemente la sua massa muscolare all’istante, che superò la pressione delle corde spezzandole. Fatto questo tolse il cappuccio a Wells e liberò anche lui.
“Non montarti la testa, P.Jackson, ci serviva soltanto un passaggio. Grazie Lubit” continuò Wells rimettendosi in piedi con la testa che girava ancora per il lungo periodo a testa in giù.
I due salirono rapidamente in macchina mentre dietro di loro gli accoliti in verde si stavano armando di tutto punto per riprendersi i prigionieri.
P.Jackson rimise in moto e dopo un’altra derapata furono fuori dalla chiesa con gli accoliti che gli sparavano contro con degli M-16.
“P.Jackson, due domande: dove hai trovato il moster truck, e soprattutto, come mai ci hai lasciati li per due giorni prima di venire a prenderci?” chiese Wells accomodato sul sedile anteriore mentre controllava negli specchietti.
“Il monster truck era nella valigetta” spiegò P.Jackson “ed era smontato, i due giorni mi sono serviti per costruirlo”
“Quanto deve fare schifo una valigetta magica per metterti a disposizione un monster truck da smontare?!”
“Ehi, intanto ce l’abbiamo, non ti lamentare!”
Attimo di pausa.
“Non ti sembra di vivere un déjà vu?” chiese P.Jackson.
“Si, è davvero troppo simile a quando eravamo a Trieste” rispose Wells.
Neanche il tempo di dirlo che il motore della macchina cominciò a tossire. Dopo poco il monster truck sobbalzò in maniera innaturale, fece ancora pochi metri e si fermò.
Wells girò lo sguardo verso P.Jackson che tentava inutilmente di rimettere in moto il mezzo.
“Per favore, dimmi che c’erano le istruzioni per montare questo coso”
“Probabilmente si” rispose P.Jackson “Ma sai che casino c’è in quella valigetta, non le ho trovate, e poi dovevo fare presto per venire a prendervi” cercava di scusarsi.
“Sempre più come a Trieste...” commentò il capo, e scese dal mezzo.
Anche P.Jackson scese, costatando la desolazione che lo circondava in quella cittadina fantasma.
P.Jackson aprì il cruscotto da cui uscì una lunga fumata violacea che non prometteva nulla di buono.
Wells si affacciò al parabrezza aperto e costatò che tutto quanto era fuori posto. Il motore era nel punto sbagliato, la cisterna dell’olio dei freni era al posto della batteria, tutti i cavi erano attaccati un po’ a casaccio, e c’era il peluche di un armadillo incastrato in basso. Insomma, era un miracolo che la macchina li avesse portati fino a li.
“Rassegnati, P.Jackson, quella del meccanico non è proprio la tua strada” commentò Wells.
Un rumore di motori si sollevò all’orizzonte.
“Meglio toglierci da qui prima che quel Ku Klux Klan degli ancora più poveri torni a prenderci” Wells si guardò intorno “Non possiamo allontanarci, dovremo nasconderci in una delle case abbandonate. Anche se ci trovassero, potremmo avere copertura in uno scontro”
P.Jackson recuperò la sua valigetta dalla macchina, e, con Lubit al fianco, seguì i passi di Wells, che si diresse verso un alto palazzo di cui rimanevano nient’altro che i pilastri in cemento armato.
I tre si arrampicarono fino in cima al palazzo e da lassù assistettero all’entrata nella città fantasma dei membri della setta. Gli incappucciati si avvicinarono al monster truck di P.Jackson armi in pugno e lo crivellarono alla ceca di proiettili, per accorgersi solo in un secondo momento che il mezzo era vuoto.
Dal loro nascondiglio, Wells, Lubit e P.Jackson osservavano alcuni dei loro nemici ispezionare la macchina.
“Ti immagini se andasse proprio come a Trieste?” chiese sottovoce P.Jackson.
Wells lo ricacciò indietro con un gesto della mano.
“Ma dai. Sarebbe troppo ironico …” Wells non aveva ancora finito di pronunciare la frase che uno degli incappucciati aveva toccato l’armadillo nel cruscotto e di colpo il monster truck esplose scagliando sui malcapitati adepti una pioggia letale di cocci di carrozzeria e pezzi di motore, uccidendone una dozzina abbondante.
Wells rimase in silenzio per qualche secondo, poi si voltò verso P.Jackson che a fatica tratteneva le risate.
“Non una parola” ordinò il capo, e P.Jackson fece “ok” alzando il pollice.
Mentre P.Jackson smetteva di ridere, sentì la mano di Lubit che gli stringeva la spalla. Si voltò per controllare e vide l’amico stringersi il petto.
P.Jackson sgranò gli occhi e sussurrò: “No, Lubit, ti prego non ora, non ...”
Niente da fare. Lubit ebbe uno dei suoi attacchi cardiaci e un secondo dopo lasciò la spalla di P.Jackson cadendo nel vuoto giù dal palazzo sfracellandosi a terra morto stecchito.
Il rumore del tonfo attirò l’attenzione della setta di incappucciati dal pessimo gusto estetico, immediatamente individuarono anche P.Jackson, che si era sporto per riacchiappare il cadavere dell’amico.
In una frazione di secondo, gli adepti si mobilitarono nella loro direzione e in tempo zero i pilastri furono circondati, con i nemici che tenevano i mitragliatori puntati verso l’alto.
Wells e P.Jackson alzarono le mani.
“Esattamente ...” disse P.Jackson.
“… Come a Trieste” concluse sbuffando Wells.
I due vennero fatti scendere e catturati di nuovo, quindi gli incappucciati caricarono il duo nel bagagliaio di un hammer legandoli per bene e ripartirono lasciando a se stesso il cadavere del povero Lubit.
Il guidatore dell’hammer ricevette una chiamata via radio. Era il capo.
“La chiesa-laboratorio è inutilizzabile, eccellenza” fece rapporto l’accolito “Ci dirigiamo verso una delle basi secondarie?”
“No” rispose l’altro “Tornate al quartier generale. Il progetto è troppo importante per lasciarlo a delle basi con apparecchiature non adeguate. Sovrintenderò personalmente il rito, a costo di doverci rimettere la vita personalmente” pronunciò queste ultime parole con fare solenne commuovendo il suo sottoposto.
“Certo, eccellenza” rispose l’accolito immerso nelle sue lacrime “Che la forza degli antichi e dei futuri ci guidi” e chiuse la comunicazione.
“Abbiamo a che fare con un branco di imbecilli” commentò P.Jackson, al quale nessuno aveva avuto il buon senso di togliere la valigetta.
“Che dici, Wells, prendo la bomba elettromagnetica e ce la filiamo?”
“Bomba elettromagnetica … è quella rotonda, con una finestrella verde in tutto e per tutto simile alla bomba a idrogeno?”
“Si, quella”
“Preferisco vivere, P.Jackson”

Wells e P.Jackson rimasero nello scomodo bagagliaio per un paio d’ore, adoperandosi nel mentre per liberarsi dalle funi.
Sentirono l’hammer frenare bruscamente e ripartire pochi istanti dopo, per poi fermarsi di nuovo.
Con un’occhiata tra loro Wells e P.Jackson capirono di essere arrivati, quindi misero via i bicchieri di macedonia e si rimisero le funi addosso fingendo di essere ancora legati.
Il bagagliaio si aprì.
“Ehi, voi due, è ora di scendere” Disse loro uno degli accoliti dal cappuccio verde provando a fare la voce autoritaria, ma fallendo miseramente.
P.Jackson e Wells vennero strattonati ad uscire, senza che nessuno si accorgesse che non erano più legati da un pezzo e vennero portati in fondo a un enorme ambiente grigio che sembrava un hangar, varcarono una piccola porta di metallo e percorsero un lungo corridoio delle pareti metallizzate completamente vuoto. Evidentemente gli adepti della setta erano tutti riuniti per il rito.
In fondo al corridoio percorso nel più assoluto silenzio si spalancò un’altra piccola porta metallica, che dava su una sala allestita esattamente come la chiesa-laboratorio, ma molto più in grande. Solito spazio vuoto in mezzo alla stanza, stessi computer e macchine addossati alle pareti. L’unica cosa diversa era un ampio piedistallo metallico dagli spigoli appuntiti da cui un uomo alto a occhio e croce sei metri / sei metri e mezzo controllava la situazione dal suo trono, anch’esso metallico, estremamente minimale e privo di decorazioni e dagli spigoli appuntiti.
A P.Jackson quasi scappò una risata.
“P.Jackson, per favore …” Commentò Wells buttando gli occhi al cielo.
“Ma dai, anche il trono è lo stesso di Trieste” sussurrò P.Jackson sghignazzando.
“Appunto, vorrei ricordarti come è finita a Trieste …” ribatté di nuovo Wells.
“Chi sono questi?” Tuonò il capo della setta contro i suoi uomini.
“Intrusi, eccellenza. Hanno fatto irruzione nella base e l’hanno resa inagibile” rispose l’accolito.
“A questo proposito, temo ci sia stato un malinteso …” provò a spiegare Wells, quand'ecco che un colpo di calcio di fucile dritto alla testa lo intimò al silenzio.
“Gli intrusi non sono ammissibili durante un rito sacro di questa levatura” dichiarò di nuovo l’imponente capo della setta “Ma in questo momento possono tornarci utili. Il potente demone ha bisogno di un sacrificio per essere richiamato in questo mondo, e noi abbiamo l’opportunità di dargliene due”
Il viso del capo era coperto da un elmo che gli copriva gran parte del viso, ma sia P.Jackson che Wells capirono che stava sorridendo.
“Legateli! E preparate le macchine, il rito comincerà a breve”
P.Jackson guardò Wells.
“E ora?” chiese il giovane.
“Non ho la minima intenzione di finire come a Trieste!”
Wells si alzò di scatto e con un calcio rotante passò sopra la testa di P.Jackson e colpì col tallone l’accolito che lo teneva abbattendolo. Quindi stordì con un uno-due al volto quello dietro di lui mentre P.Jackson prendeva dalla valigetta un’arma puntandola contro il capo.
In pochissimi secondi, tutta la setta dei cappucci verdi si era radunata intorno al piedistallo del trono con le armi in pugno, ma P.Jackson sentiva di avere il coltello dalla parte del manico.
“Fermi tutti. Ho una pistola al tecnezio puntata contro il vostro capo, e non vi conviene fare nulla che possa farmi premere il grilletto”
Gli uomini della setta si guardarono l’un l’altro, per la maggior parte chiedendosi cosa fosse una pistola al tecnezio, ma il capo li richiamò all’ordine.
“Colpiteli, miei fedeli, il rito non può fermarsi per la mia morte!”
Gli accoliti esitarono e P.Jackson decise di sparare un colpo a vuoto per chiarire che faceva sul serio, quindi puntò la pistola verso il pavimento e …
Plut.

Plut?
Nel silenzio creatosi nella sala, P.Jackson si voltò e vide che dalla sua pistola era uscita uno uno strano rivolo di una sostanza melmosa e trasparente che si era adagiata pesantemente a terra.
Sotto gli occhi inespressivi di Wells, P.Jackson osservò la punta della sua pistola. La toccò con un dito e dette un’occhiata alla sostanza che ne restava.
“Ah, vedi dove era finita la colla a caldo” osservò P.Jackson.
Wells rispose con un facepalm.
“Fuoco!” Ordinò il capo della setta senza alzarsi dal suo trono, e tutti gli adepti iniziarono a sparare con quello che avevano in mano: pistole, mitra, fucili a pompa, spara-chiodi e pinzatrici semi automatiche.
Con un gesto fulmineo, Wells afferrò la pistola spara-colla di P.Jackson e con dei colpi precisi riuscì a intercettare a mezz’aria i colpi potenzialmente pericolosi facendo cadere a terra i proiettili.
I due soci corsero ripararsi dietro il trono da cui il capo non sembrava intenzionato a schiodarsi.
“Ma come si fa a scambiare la pistola al tecnezio con la colla a caldo?!” esclamò Wells esasperato.
“Più che altro sono curioso di sapere come Lubit abbia saldato i pezzi del suo modellino” rispose P.Jackson rovistando nella valigetta.
“Tira fuori qualcosa di utile prima che ti incolli le labbra per sempre!”
P.Jackson continuò a rovistare nella valigetta fino ad estrarne una piccola sfera nera con un pulsante rosso sopra.
“Credo che questa sia una granata” disse il giovane mentre un proiettile di fucile gli sfiorava un orecchio.
“Non sono per niente tranquillo” ribatté Wells.
P.Jackson schiacciò il bottone e lanciò la sfera alle sue spalle sperando che succedesse qualcosa.
In effetti qualcosa successe: la sfera si aprì, ma dal suo interno si creò un piccolo buco nero che risucchiò rapidamente prima i proiettili vaganti, poi le armi degli accoliti della setta, poi gli accoliti stessi ingrandendosi di volta in volta.
Wells non ci poteva credere.
“Una bomba-buco nero … Avevi nella valigetta un’altra, maledettissima bomba-buco nero”
“Vedi tu” rispose P.Jackson “E io che pensavo di averle a Trieste”
Il buco nero stava assumendo dimensioni preoccupanti, ed era il caso di tagliare la corda.
P.Jackson estrasse dalla valigetta qualcosa che sembrava un bazuka, che passò a Wells.
Per loro fortuna si trattava veramente di un bazuka, e Wells lo utilizzò per fare una braccia in una muro che dava sull’esterno … più precisamente su uno strapiombo di 18 m e 46 cm sugli scogli appuntiti, e solo in un secondo momento sul mare.
“Ma una volta che vada bene no?!” Esclamò P.Jackson.
Wells si voltò verso l’interno, vedendo il capo della setta venire risucchiato nel buco nero con trono annesso. Doveva rendergli merito della tenacia, quantomeno.
“La vedo male, socio” Commentò Wells.
P.Jackson fece una smorfia di disappunto, poi però l’illuminazione.
“Wells, fino a ora abbiamo detto che tutto è andato esattamente come a Trieste, vero?”
“Si, perché?”
Senza aggiungere altro P.Jackson prese sotto braccio l’amico e saltò nello strapiombo.
L’urlo di Wells li accompagnò per tutto il tempo della caduta libera da 18,46 m di altezza, ma, a differenza di Trieste, stavolta non fu traumatizzato abbastanza da svenire a mezz’aria.
Giusto un attimo prima che i due impattassero contro gli scogli appuntiti, un motoscafo saltò proprio sopra di essi, prendendo al volo il duo che atterrò sul morbido di un gommone appositamente aperto.
A Wells quasi si riattivarono le sopracciglia per lo spavento, mentre P.Jackson si rialzò subito e andò a dare una pacca sulla spalla a Lubit, che guidava il motoscafo.
“E questo che significa?” Gridò Wells cercando di sovrastare il rumore del motoscafo e della base che si stava sgretolando sopra di loro.
P.Jackson rispose: “Te a questo punto eri svenuto, ma è così che è andata veramente a Trieste” e aggiunse una sonora risata.

Appena furono a distanza di sicurezza P.Jackson prese dalla valigetta un congegno dall’aspetto di un palmare piuttosto ingombrante. Lo passò a Wells che, attivandolo, cancellò il buco nero che stava ormai assumendo dimensioni preoccupanti.
“Il caro, vecchio, commutatore di realtà relativa. Gran bella invenzione” dichiarò Wells soddisfatto”
“Ottimo” esclamò P.Jackson “Anche stavolta ce la siamo …”
Non riuscì a finire la frase con un gancio destro di Wells lo colpì in piano viso facendolo crollare sul retro del motoscafo.
“Questo è per il volo” gli gridò contro Wells.
Gesticolando Lubit chiese al suo capo se avessero completato la consegna.
“la cassa di bulloni gliel’ho lasciata sotto la porta della chiesa” rispose Wells “La firma l’ho presa da un foglio che era nel bagagliaio dell’hammer. Ce la faremo bastare”

   
 
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