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Autore: Kuro Nekomiya    09/05/2018    4 recensioni
«Che diavolo stai cercando di fare?» Tuonò la ragazza dagli occhi di fuoco, tenendolo d’occhio.
Kisshu non disse nulla e, in risposta, si lanciò su di lei come un felino, cogliendola di sorpresa.
La fece arretrare di pochi passi fino a farla scivolare sul letto alle sue spalle, immobilizzandole prontamente i polsi.
Lei grugnì, fissandolo con astio. Ogni scusa era buona per metterle le mani addosso...
«Che faccio? Fraternizzo con te...» Mormorò l'alieno, con voce che a Suguri parve a tratti arrogante. «...ormai siamo complici, no?» Le chiese allusivo, puntando gli occhi nei suoi.
«Che cosa intendi dire?» Soffiò la ragazza, sorpresa.
Lui ridacchiò divertito a quella domanda.
«Che ne dici...ti va di far parte del terribile duo
**Storia soggetta a cambio di rating**
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Nuovo Personaggio
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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II.

Opposites Attract.

 

 

 

 

(Da qualche parte nello spazio.)

 

 

 

 

Il ragazzo afferrò la cloche con la mano destra, ticchettando le dita sulla sua superficie.
Appoggiato mollemente sulla poltrona scura, allungò il collo all'indietro, facendo ricadere l'avambraccio sinistro sul bracciolo.
Distese le gambe in avanti, risvegliando i muscoli indolenziti, e tirò un lungo sospiro.
Diede un’occhiata distratta allo schermo sopra la cabina comandi e subito dopo all’ormai monotono cielo stellato che lo osservava oltre il parabrezza.
Rimase fermo così per qualche secondo, lasciando che le sue orecchie venissero cullate solo dal bip alienante del navigatore.
La rotta era tranquilla e procedeva senza intoppi...decisamente troppo per i suoi standard.
Da un paio di giorni aveva attraversato un wormhole per la prima volta.
Quella era la cosa più interessante che era accaduta nelle ultime ore...
Grazie a quell’accorgimento s’era avvicinato molto di più a questo...pianeta Terra, altrimenti distante parecchi anni luce.
Abbozzò un lieve sorriso a quell’idea, ma fu un’emozione breve.
Nonostante fosse parecchio lontano da casa, con la mente non faceva altro che ritornare ad Evemeth.
In particolare, le parole di Yato seguitavano a ronzargli in testa.
«I Grandi stanno progettando di mandare altri tenenti o capitani in missione…
lo scopo è quello di raccogliere dati...valutare quale pianeta si presti meglio al trasferimento...»

Arricciò il naso contrariato, facendole ritornare alla mente per la millesima volta, come una specie di enigma di cui non comprendeva il significato.
Passò il dorso di un dito su di un piccolo schermo in stand by sul lato sinistro dei comandi, facendolo riattivare all’improvviso.
Non riusciva a ricordare per quante volte avesse ripetuto quel gesto, in quei sei giorni di viaggio. Stare chiuso lì dentro senza avere la possibilità di fare nulla lo rendeva terribilmente irrequieto.
Gli occhi dorati si soffermarono sulle parole che comparvero scritte sul display in nero su bianco.
Lesse il titolo: Resoconto Missione T.
Un senso di nausea gli afferrò la bocca dello stomaco, costringendolo a distogliere lo sguardo per non proseguire oltre nella lettura.
Sapeva già a memoria cosa gli era stato richiesto di fare, ma ogni volta un istinto rabbioso gli saliva dalle viscere fino alla gola, e un suono basso e gutturale riempiva le sue corde vocali.  
I suoi compiti potevano riassumersi nella raccolta di informazioni sensibili sulle condizioni ambientali del pianeta Terra e nell’avvio di tutte le procedure di invasione e controllo, le quali consistevano nell’utilizzo di creature aliene unite a primordiale materiale genetico instabile*.
Il prospetto, inoltre, classificava ipoteticamente il pianeta Terra su di un livello di abitabilità elevato, e avvertiva della presenza di civiltà e forme di vita decisamente evolute.
Kisshu strinse le labbra, nervoso.
Perché per una simile missione avevano scelto proprio lui, un giovane tenente mai uscito da Evemeth? E perché ce lo avevano mandato da solo, in tutta fretta?
Non credeva che fosse dovuto alla fiducia che i Grandi riponevano in lui.
Non era stupido...c’era dell’altro sotto.
Cose che non conosceva...cose che i Vargatt non erano ancora riusciti a scoprire.
E ora che era in missione, impossibilitato ad avere contatti con i compagni, chissà quando le avrebbe sapute...
Ringhiò, digrignando i denti e battendo un pugno sulla postazione comandi.
Se c’era una cosa che lo faceva davvero irritare...era l’essere impotenti.
Perché erano state disposte altre missioni del tutto simili?
Avevano scelto altri Vargatt come lui?
Li avevano scoperti? Stavano cercando di separarli?
O magari era completamente fuori strada...forse qualcuno desiderava ampliare il potere e l’influenza di Evemeth altrove, visto i pochi stimoli che ormai offriva il suo pianeta madre.
E lui era solo uno dei tanti mezzi per farlo, una delle tante pedine...
Sospirò, grattandosi la testa.
Quella spirale di pensieri lo stava rendendo pazzo...non riusciva a capire quali fossero i veri obiettivi del Governo.
Strinse gli occhi, puntandoli in un punto indefinito davanti a sé, senza fare davvero caso a cosa stesse guardando.
Quella non era che una copertura...semplicemente una delle tante.
Yato gli aveva dato delle indicazioni precise.
Le avrebbe senza dubbio seguite, perché le sentiva sue e gli permettevano di essere sé stesso.
Trovò la forza di sorridere ironicamente a quelle constatazioni.
I suoi sentimenti erano contrastanti...
Prima di tutto, era felice.
Già...poter andare sulla Terra lo affascinava tantissimo.
Tuttavia, vi erano delle incombenze.
La sua libertà era illusoria.
Aveva ordini da rispettare, responsabilità a cui rispondere…missioni personali che non voleva in nessun modo tradire.
Ognuna di queste cose contribuivano ad affollare la sua mente di dubbi su cosa davvero volesse, sulla reale meta da raggiungere...e sui mezzi migliori per farlo.
Ma non di rado, il destino lo costringeva a cambiare i suoi piani...ancora ed ancora, esattamente come in quel momento.
Per questo quel viaggio era così elettrizzante
Lo distoglieva dai suoi pesi, lo spingeva a combattere, a trovare nuovi modi per spuntarla…
A vivere la sua esistenza al massimo...
Forse per quello non aveva senso crucciarsi così tanto, costruire castelli per aria...
Non gli importava più di tanto del Resoconto
Porre la Terra sotto il controllo della sua specie non era tra le sue priorità primarie, per lo meno in quanto ordine impartito dall’alto…
In quanto ordine impartito da gentaglia come Kleth...
Se avesse trovato gusto nel creare scompiglio su quella nuova terra, sarebbero stati solo sentimenti suoi...ed a quelli sarebbe stato fedele.
A tutto il resto sarebbe sopravvissuto...avrebbe trovato altri mille modi per mettere i bastoni tra le ruote alle mele marce del Governo.
Gli sarebbe bastato soltanto osservare attentamente e fare le sue scelte.
Senza dimenticare il divertimento, s’intende...
Distese le dita strette nel pugno della mano, ancora vicina ai comandi, e prese a muoverle piano come piccoli tentacoli.
Ogni cosa l’avrebbe fatta a modo suo...ed era quella la sua libertà.
Una libertà reale
Il presunto controllo che gli altri credevano di avere su di lui...quella si che era un’illusione.
E giocare al soldatino fedele, che non esce dai ranghi…
Fingere di farglielo credere era il vero godimento...  
L’alieno dai capelli scuri s’incurvò su sé stesso e si lasciò andare ad una sonora, lunga risata. Svuotò completamente i polmoni, restando a corto di ossigeno.
Si concentrò sul battito impetuoso del suo cuore mentre un'espressione soddisfatta gli si stampava in viso, seguito dal solito ghigno ricolmo di scherno.
Già...come aveva fatto a non pensarci prima?
L’ansia, le paranoie, erano inutili...
Mancavano soltanto poche ore all’approdo sulla Terra, e a seguito del suo arrivo si sarebbe divertito con i terrestri…oh si, eccome se l’avrebbe fatto.
Si sarebbe divertito da morire.
Un secondo risolino uscì dalle sue labbra
Quell’idea lo fece stare meglio.
«Le scelgo io le regole del gioco, razza di bastardi...» Sibilò tra sé e sé con una luce sinistra negli occhi, portandosi una mano al mento.
Dopo averlo pensato, reclinò lo schienale della sedia con un semplice gesto e vi affondò più comodamente. Incrociò le braccia dietro la schiena e abbassò le palpebre, premurandosi di rilassare ogni suo muscolo.
Si sarebbe concesso un pisolino sgombro da preoccupazioni…
L’ultimo che avrebbe passato lontano dalla Terra.





 

***






 

(Pianeta Terra, Giappone, Tokyo.
6 Aprile 2004.)




 

Suguri infilò entrambi i piedi nei collant e prese ad allungarli sulle gambe con delicatezza.
Il suo sguardo si concentrò sulla trama sottile e scura del tessuto, senza particolare interesse.  
Nero, esattamente come i suoi capelli, una criniera lunga e liscia che scendeva oltre le spalle e la vita.
Tra i ciuffi asimmetrici della frangetta scintillavano due occhi color rubino, che fissavano la figura riflessa nello specchio con un’espressione seria, inflessibile.
Sembrava dimostrare più dei suoi sedici anni.
Somigli moltissimo a tuo padre, le ripeteva spesso sua madre, e mai con gioia nella voce.
L’avessi mai visto in faccia…, pensò invece lei, provando un miscuglio di sentimenti contrastanti che sfumavano pian piano dal fastidio alla rabbia, fino alla tristezza.
Aveva perso il conto di quante volte avesse provato ad immaginarlo, specie da bambina.
Ora non aveva più importanza...non più.
Il suo sguardo si spostò verso la finestra, mentre con un semplice gesto delle mani chiudeva la zip della gonna della sua divisa scolastica, di un bel color rosso cremisi.
Era primavera da un po’ ormai, eppure del sole non v’era nemmeno l’ombra a Tokyo, che quella mattina era coperta da una cappa di nuvole piuttosto fitta.
Forse anche il cielo s’era alzato di malumore.
Esattamente come lei.
Si diede un’ultima, decisa pettinata alla chioma corvina, allacciò ai piedi i suoi inseparabili anfibi neri e prese con sé giacca e borsa prima di uscire di casa.
Si strinse nelle braccia, per ripararsi dall’aria pungente, ed avanzò a lunghe e decise falcate verso la stazione della metro.
Sembrava quasi fendere l’aria ad ogni passo, come un uccello rapace che volava controvento.
Il suo sguardo oscillava tra le persone che incontrava per strada e l’asfalto sotto le sue scarpe, senza che nulla di ciò che entrava nel suo campo visivo risvegliasse realmente il suo interesse.
La sua era una camminata nervosa, veloce, come se fosse di fretta.
Era in perfetto orario, eppure sentiva la necessità di sgranchire i muscoli, sfogare le energie. Lo faceva ogni volta che ne aveva la possibilità.
L’aiutava a non pensare...
Proprio in quel momento, Suguri alzò lo sguardo e sbuffò.
Purtroppo per lei, in quattro e quattr’otto aveva raggiunto la stazione della metro.
Oltrepassò la porta e venne subito investita dal rumoroso chiacchiericcio di quelli che, come lei, erano lì per andare a scuola o al lavoro.
Una piacevole vampata di calore l’avvolse, sciogliendo il suo corpo rigido.
La ragazza si prese solo qualche secondo per godersi quel bel tepore, poi percorse un paio di corridoi gremiti di persone e si fermò alla solita banchina, quella che usava per andare a scuola ogni mattina.
Si dondolò distrattamente su di un piede, le mani inguainate nelle tasche della giacca.
Poi arricciò le labbra, sovrappensiero, affiancandosi ad un gruppetto di studenti un po’ più grandi di lei, senza però fare molto caso ai loro discorsi.
La verità era che stava cercando di estraniarsi da quello che le stava attorno.

La sua testa era completamente vuota in quel momento.
I suoi occhi si focalizzarono con interesse sui dettagli dei binari scuri oltre la linea gialla di attesa: sembravano perfetti per quello scopo.
Li percorse da sinistra a destra per trenta lunghissimi secondi, fin quando il treno entrò nella stazione seguito dal tipico ed assordante fragore.
Aspettò che la marea umana uscisse dal mezzo prima di prendere posto vicino alla porta.
Come di consueto, il treno sostava almeno mezzo minuto prima di ripartire, nonostante tutti fossero saliti o scesi.
La ragazza si guardò alle spalle…ma la banchina era vuota.
Voltò la testa verso l’interno del vagone, ritrovandosi di fronte la schiena di un ragazzo che doveva avere circa la sua età.
Quella linea era affollata come sempre, e la cosa le dava non poco fastidio…
«Fermi! Aspettate!» Gridò una voce trafelata dietro di lei, mentre la sirena d'allarme ticchettò, avvisando i passeggeri dell’imminente chiusura delle porte.
Era la voce di una ragazza forse tanto ottimista da credere che il treno si sarebbe fermato alla sua richiesta.
Aveva i capelli rossi raccolti in due codini ai lati della testa.
Al contrario della sua divisa scolastica, i cui colori predominanti erano il rosso cremisi e il grigio chiaro freddo, la sua alternava il celeste e il rosa pastello.
E le calze ovviamente, erano bianche**.
Sembrava il suo esatto opposto…
Le pareva di aver già visto quella divisa così variopinta e sgargiante in giro per la città, addosso a studentesse più piccole di lei.
Tuttavia, quella ragazza le era del tutto sconosciuta.
Non ricordava di averla mai vista prima, ma d’altronde Tokyo era enorme...
Tutti sembrarono ignorarla, a parte lei: per qualche strano motivo s'era voltata ad osservarla
Suguri infilò secca un piede in mezzo alle ante, tenendole ferme qualche secondo in più e facendo tacere il cicalino meccanico.
Solo in seguito s'accorse di averlo fatto senza pensarci.
La ragazza raggiunse velocemente il treno e quasi incespicò all’entrata del vagone, ma riuscì a salire appena in tempo.
La guardò aggrapparsi ad una maniglia, boccheggiando come se avesse appena corso tutto d’un fiato i cento metri.
Suguri restò immobile, soffermandosi sui nastri decorati con le fragole che le adornavano i capelli.
La vide raddrizzarsi, tenendosi quasi a fatica con una mano, mentre con l’altra si dava una sistemata alla gonna della sua divisa, scampanata e con un fiocco vistoso sulla schiena.
Poi alzò lo sguardo, e gli occhi cioccolato di lei incrociarono i suoi, purpurei.
In quel preciso istante, Suguri provò un brivido, una specie d’impercettibile scossa elettrica lungo tutto il corpo.
Sbatté gli occhi un paio di volte, stranita.
Me lo sarò immaginato..., pensò, aggrottando la fronte.
«Uuff! Ti ringrazio! Mi hai salvato la vita!» Esclamò Ichigo, rivolgendosi a lei.
Allora l’aveva vista.
La ragazza dai lunghi capelli mori ricambiò lo sguardo, sorpresa.
«Emh, figurati...» Borbottò, senza aggiungere altro.
Continuò a fissarla, incuriosita.
Sentiva la stessa sensazione d’intorpidimento di poco prima, ma non riusciva in alcun modo a spiegarne le cause.
Dopo qualche attimo di silenzio, la rossa riprese quella bizzarra chiacchierata lasciata in sospeso.
«Vedi, io sono nuova di qui, mi sono appena trasferita e...uff...» Si lamentò lei, respirando pesante. Non aveva ancora recuperato dalla corsa di poco prima.
«Mi sono iscritta al Daikan, ma oggi è il primo giorno di scuola per me e mi sono alzata tardi, poi mi sono persa dentro la metro, …e Tokyo è gigantesca!» Cominciò lei, tutta d’un fiato, senza lasciarle un momento di replica.
Stava usando un tono di voce decisamente troppo alto.
Resasi conto di essere stata fin troppo inopportuna si zittì, portandosi una mano alla bocca.
Il rossore dovuto all’imbarazzo s'aggiunse a quello della corsa, trasformando la sua faccia in una specie di pomodoro maturo.
Poi si lasciò sfuggire un risolino nervoso, mentre sbuffava e cercava di tornare ad un colorito normale.
«Scusa non mi sono presentata, che imbranata!» Balbettò, «Il mio nome è Momomiya Ichigo!» Esordì poi, nel modo più discreto che le fosse possibile.
Lei le porse la mano e Suguri allungò la sua, stringendogliela.
«Sono Suguri Moriyami*» Replicò soltanto, infilando nuovamente la mano nella tasca della giacca.
Nonostante le presentazioni si fossero concluse, nessuna delle due smise di guardare l’altra, in un misto di attrazione e curiosità.
Il silenzio tra loro cominciò a farsi imbarazzante, quando Ichigo scelse fortunatamente di prendere parola al suo posto.
«Allora, Moriyami-san, tu...frequenti le scuole superiori, giusto? Sembri più grande...» Domandò Ichigo, osservandola da capo a piedi.
Stava dritta come uno spago, ma dava l’idea di essere completamente rilassata, quasi non curante di quello che le stava attorno.
L’impressione che le dava era quella di una ragazza molto sicura di sé, che non temeva niente e nessuno. Un’aura affascinante, fatta di eleganza e forza, emanava dal suo corpo. Ichigo se ne sentì attirata come ad una calamita.
Era la primissima volta che le accadeva.
Mosse un piede in avanti, inconsciamente.
Voleva avvicinarsi di più, osservare meglio.
Le pareva talmente fuori luogo lì dentro, in quel vagone della metropolitana cosi...dozzinale ed ordinario.
Era come se fosse stata incollata su uno sfondo di terza categoria.
Le luci chiare e calde del treno si proiettarono sul suo viso, evidenziando ancora di più il contrasto tra la carnagione chiara e i riflessi dei suoi capelli scurissimi.
Suguri mosse lievemente la testa e questi la seguirono, ondeggiando come l’acqua.
Puntò gli occhi nei suoi.
Due iridi profondissime...
Si sentì quasi in soggezione, in quel momento.  
Quanto era bella?
Lei...aveva un centesimo del suo fascino.
Non appena Ichigo formulò quel pensiero, Suguri abbozzò un’espressione innervosita. Nel breve spazio che le separava percepiva quelle che sembravano delle sottili vibrazioni che l’attiravano a lei come le api sul miele.
Era una sensazione...quasi spaventosa.
Si sentiva a disagio, ma non voleva che lei lo notasse.
Non voleva che nessuno lo notasse…
Si sentì formicolare in tutto il corpo.
Alzò gli occhi al cielo – o meglio, verso il soffitto del vagone - e sospirò.
Che fai...rispondi alla sua domanda prima che pensi di essere di fronte ad una completa psicopatica!
«...Sono al secondo anno.» Mormorò, più calma e pacata possibile, aprendo appena le labbra e lasciandovi uscire un filo di fiato. «Tu invece, sembri più piccola...» Suppose, guardandola distrattamente. Era un po’ più bassa di lei e aveva lineamenti del viso più infantili dei suoi, ma forse quello era perché lei aveva smesso di essere ‘bambina’ a undici o dodici anni. Quella ragazza invece, sembrava immune alla durezza che generalmente comunicava agli altri, e se e ne stupì.
Forse era per quello che si stava interessando così tanto a quella banale chiacchierata di circostanza...
Ichigo fece un sorriso tirato e si grattò la testa.
«In effetti si, ho compiuto da poco quindici anni...» Rispose lei mentre la osservava in ogni sua reazione, cercando in qualche modo di imparare qualcosa.
Aggrottò la fronte e provò a concentrarsi.
Poteva aspirare a diventare una ragazza come lei?
Avrebbe fatto strage di cuori, e Aoyama-Kun... sarebbe stato fiero di lei.
Chissà com’è popolare nella sua scuola. Di sicuro ha già il ragazzo, pensò in maniera quasi automatica.
Mentre era immersa in quel frullato di pensieri, vide Suguri voltare lievemente il viso e scostare lo sguardo verso un punto preciso di fronte a sé, fuori dai finestrini.
Forse considerava la conversazione conclusa.
Guardò le sue lunghe ciglia abbassarsi ed alzarsi di nuovo, al battito delle sue palpebre.
Mascara…
«Comunque, Moriyami-san...» Proferì ancora la rossa, «...sei davvero bellissima.» Mormorò, un po’ impulsivamente. Poi abbassò gli occhi e fece un lieve inchino.
A quell’affermazione Suguri si voltò stupita verso di lei, senza dire nulla.
Ichigo, invece, smise di guardarla e si concentrò sulla cartina della metro sopra la porta d’uscita, muovendo nervosamente le pupille alla ricerca della sua fermata.
«Grazie ancora per prima. Io scendo alla prossima.» Concluse, quasi timidamente, poi abbozzò un sorriso e si voltò verso le porte.
Dopo poco più di un minuto il mezzo entrò in stazione e si fermò accanto alle banchine.  
Ichigo s‘apprestò ad andare, ma prima si volse ancora verso di lei.
«Buona giornata Moriyami-san!» Augurò alla ragazza mora, sorridendole.
Lei si ritrovò a piegare le labbra in un mezzo sorriso, e a rilassare i muscoli tesi del viso in un’espressione di dolce sorpresa.
«Buona giornata...» Sussurrò tra sé e sé, mentre le faceva un cenno con la mano in segno di saluto. In qualche modo era stato piacevole parlare con lei.
La guardò scendere insieme ad altre persone e la vide allontanarsi verso una delle uscite, prima che le porte si richiudessero davanti al suo naso e il treno riprendesse la sua corsa.
Il suo sguardo rimase fisso oltre i finestrini, anche se non c’era più nulla di interessante su cui soffermarsi.
Immaginò la sua testolina tonda e rossa muoversi caoticamente tra le linee veloci e confuse del paesaggio esterno.
Era esterrefatta.
Nessuno di solito le rivolgeva la parola in quel modo così amichevole, andando oltre la sua...apparenza da dura.
Li sentiva i bisbigli per i corridoi della scuola.
Erano molte le ragazze a definirla una tipa piuttosto...intimidatoria, ovviamente senza nemmeno conoscerla.
La cosa, comunque, girava a suo vantaggio.
A volte le bastava uno sguardo per ottenere quello che voleva, e non era merito suo: gliel’avevano dato loro, quel potere.
Rise, pensando a come quella ragazza non sembrò essersene accorta.
Non riusciva a capire se fosse ingenua o semplicemente strana.
Ichigo Momomiya.
Probabilmente l’avrebbe incontrata ancora.
E forse, quella non era poi una giornata come tutte le altre.






***


 




Corri Ichigo corri Ichigo corri Ichigo corri Ichigo corri Ichigo corri corri corri!
Ripeté nella sua mente come una specie di mantra, sfrecciando a tutta velocità per il quartiere residenziale che costeggiava l’istituto scolastico.
Ormai riusciva a scorgerlo davanti a sé: anche se era in ritardo, i cancelli erano ancora aperti.
«Sto arrivando!» Gridò per darsi la carica, prima di evitare all’ultimo una signora che camminava sul suo stesso marciapiede, in direzione opposta alla sua.
«Hooup! Mi scusi!!» Esclamò a squarciagola mentre si allontanava, senza fermare le sue gambe che, ormai abituate a quel ritmo, sembravano procedere da sole.
Giunta al lungo incrocio con strisce pedonali proprio davanti a scuola si fermò per un attimo, guardando con attenzione a destra e a sinistra.
Constatato che non vi fosse nessun pericolo, si lanciò sulla strada.
Oltrepassato il cancello d’entrata percorse l’ampio vialetto circondato da aiuole e meravigliosi ciliegi in fiore, e raggiunse la porta principale boccheggiando per il fiatone.
Si bloccò bruscamente, prendendosi qualche secondo di riposo da quella folle corsa e, infine, spinse l’anta e s’infilò nell’edificio.
L’atmosfera all’interno era tranquilla.
Tanti ragazzi erano ancora sparsi per i corridoi a chiacchierare, oppure intenti a frugare negli armadietti personali della scuola, collocati vicini all’entrata.
Ichigo imboccò il corridoio alla sua destra e cominciò ad esaminare le targhette su ogni anta di metallo le passasse sotto il naso.
Non aveva molto tempo per trovare la sua, e non poteva certo andare in classe prima di essersi tolta le scarpe...
Che figura farei!, pensò Ichigo a quell’idea.
Dopo aver percorso un corridoio dritto, svoltò nuovamente a destra.
Lì, finalmente, trovò gli armadietti riservati alla terza media.
«Che fortuna!» Esultò ad alta voce.
S’avvicinò di più, con l’intenzione di leggere meglio: il suo avrebbe dovuto essere a metà strada, essendo disposti in ordine alfabetico.  
«Eccolo!» Esclamò la rossa, non appena lesse il suo nome sopra la targhetta.
Girò la chiave che era già inserita nella serratura e al suo interno vi trovò le uwabaki** che doveva indossare, proprio come si aspettava.
Appoggiò a terra la cartella e, in tutta fretta, s’accucciò per slacciarsi i mocassini.
Li ripose rapidamente dentro l’armadio e si infilò le calzature regolamentari.
Richiuse l’anta, estrasse la chiave e se la mise nella tasca della gonna.
Doveva fare attenzione a non perderla.
Sospirò.
Il primo passo era fatto: ora non doveva far altro che cercare la sua aula.
Terza classe, sezione C.
Uscì dal corridoio e seguì le indicazioni.
Secondo la bacheca scolastica doveva trovarsi al primo piano.
La ragazza si voltò in un guizzo, gettando uno sguardo al grande orologio che aveva visto appena entrata dalla porta principale: mancavano pochi minuti.
Doveva sbrigarsi se non voleva arrivare in ritardo il primo giorno di scuola.
Accelerò il passo ed imboccò il corridoio centrale alla sua sinistra.
Individuò la rampa di scale che portava al primo piano e vi si lanciò, mentre nella sua mente s’accavallavano i pensieri.
Era molto nervosa. Era la prima volta che cambiava scuola e città…
Speriamo vada tutto bene!
Commentò tra sé e sé, cercando di incoraggiarsi da sola, mentre s’appigliava al corrimano.
Scalò i gradini con la facilità di un felino, ma al momento di svoltare l’angolo a sinistra impattò improvvisamente contro un’altra persona e rimbalzò all’indietro, cadendo sul pavimento.
Una fitta dritta sul sedere s’estese a buona parte della colonna vertebrale e la fece gemere dal dolore.
«Ouch!» Si lamentò lei, portandosi una mano sulla zona dolorante nel tentativo di alleviare la botta.
Che vergogna!
«Ahh...scusa, mi dispiace tanto, è colpa mia...» Mormorò, senza nemmeno alzare lo sguardo verso il suo interlocutore.
Poi, però, raddrizzò la schiena e lo fece.
Si paralizzò all’istante quando si rese conto della persona che aveva di fronte.
Si coprì la bocca con una mano e sgranò gli occhi, prima di arrossire di una tonalità molto simile a quella dei suoi capelli.
«A...Aoyama-kun!» Balbettò mortificata, rimanendo a fissarlo senza muoversi di un millimetro.
Mannaggia a te Ichigo, che razza di figuracce fai!
Negli ultimi giorni si era studiata con precisione quasi certosina le modalità in cui doveva avvenire il loro incontro: sarebbe rimasta ad aspettarlo fuori da scuola, al termine dei laboratori pomeridiani, si sarebbe presentata e avrebbero parlato in maniera molto tranquilla del più e del meno. Poi lei gli avrebbe proposto di vedersi, magari nel weekend, e sarebbe tornata a casa dopo aver rifiutato molto gentilmente il suo invito ad accompagnarla.
Si coprì gli occhi con il dorso della mano.
Dannazione...non di rado succedevano cose assurde ogni volta che le capitava di parlare con lui.
Non s’aspettava d’incontrarlo così presto. Ora non sapeva cosa fare!
Ichigo sbatté gli occhi, senza avere la forza di scollarsi dal pavimento.
Provò a cogliere l’unico lato positivo di quella situazione impietosa: avere l’opportunità, finalmente, di poterlo guardare da vicino dopo anni che non si vedevano.
Era come se l’era immaginato.
Era diventato più alto, aveva un fisico più mascolino e i lineamenti più maturi, ma la stessa espressione pacata e gentile.
La camicia candida e il completo blu scuro della divisa maschile gli stavano alla perfezione, come se fossero stati cuciti addosso a lui.
Come se quelli che l’avevano disegnata avessero pensato a lui come modello.
In fondo, lui era un modello perfetto per quel genere di cose.
Dopo qualche secondo di sbigottimento, Masaya la guardò a sua volta con più attenzione.
Fece un sorriso quando riconobbe gli inconfondibili codini ai lati della testa e i capelli rossi della sua vecchia amica d’infanzia.
«Momomiya-san?» Domandò, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
Ichigo non esitò un istante e l’afferrò stretta.
Le sue gambe guizzarono come molle e s’alzò da terra in un attimo, ritrovandosi però a breve distanza da lui.
Decisamente troppo breve per lei, in quel momento.
Il cuore cominciò a batterle davvero forte, e le labbra le si arricciarono all’indietro, rendendole difficile dire una sola parola.
«S-si sono io! Che coincidenza incontrarsi qui, non trovi?» Biascicò, ridacchiando nervosa mentre torturava le pieghe della gonna della divisa con le dita, nell’impacciato tentativo di lisciarle senza che ve ne fosse motivo.
Masaya, però, sembrò non accorgersene, e le sorrise amichevole come se nulla fosse successo.
«Già, ti sei trasferita qui a Tokyo?» Le chiese ancora, guardandola con due occhi profondissimi.
Ichigo ne rimase ipnotizzata e vi ci affondò, come dentro a delle sabbie mobili.
Dopo qualche secondo passato a fissarlo, realizzò che il ragazzo le aveva appena fatto una domanda.
«Ha..hai indovinato, mi sono trasferita in un quartiere vicino e mi sono iscritta qui, non pensavo ci venissi anche tu!» Esclamò tutto d’un fiato, parlando a macchinetta.
Anche solo guardarlo le surriscaldava le guance.
Sapeva già di essere rossa come un pomodoro maturo, ma non sapeva assolutamente cosa fare per evitarlo...
L'osservò silenziosa, controllando il suo respiro, mentre lui piegava il braccio, avvicinandolo di più al corpo e si scopriva la manica per dare un’occhiata all’orologio.
Tempismo perfetto: la campanella, infatti, suonò in quel momento, facendola saltare in aria dalla paura.
Ichigo si portò entrambe le mani al petto.
«Mi sono spaventata a morte!» Mormorò senza voce, prendendo grandi respiri nel tentativo di calmare il suo cuore.
Alla sua reazione genuina Masaya rise di gusto, regalandole un grosso sorriso.
Ichigo lo fissò in estasi.
Sono al settimo cielo. Adesso posso morire!
Pensò nella sua testolina, guardandolo con gli occhi lucidi.
«Senti Momomiya-san, ora devo proprio andare! Ci si vede!» La salutò lui, facendole un cenno con la mano mentre s'avviava per il corridoio.
Ichigo strinse le labbra.
No, Aoyama-kun. Non puoi già andartene.
Quella era l’occasione giusta.
«Perché non questo weekend? Magari domenica!» Propose lei, a voce decisamente troppo alta. Perché quando era imbarazzata o nervosa diventata così rumorosa?!
Si portò di nuovo una mano alla bocca mentre, con terrore, aspettava la risposta del ragazzo.
Dimmi di si, ti prego!  
«Questa domenica volevo andare ad una mostra...» Proferì lui.
Oh no!
«Ma se vuoi ci andiamo assieme!» Concluse, facendole un altro bel sorriso.
Oh si!
«C..certo! È perfetto! Allora andremo insieme alla mostra!» Balbettò Ichigo, stupita ed entusiasta.
«D’accordo! Così facciamo anche un giro in città. Buona giornata!» Mormorò ancora Masaya, prima di allontanarsi definitivamente ed avviarsi in classe.
La rossa rimase a fissarlo imbambolata mentre lui andava via e scompariva oltre la porta. Anche dopo che era già sparito da un pezzo, continuò a fissare quello stesso punto, come se lui fosse ancora lì.
Non poteva a crederci.
Ce l’aveva fatta!
«Yuuuhuuu! Evviva!! Ci sono riuscita!~» Urlò lei, saltellando per la gioia.
Non stava più nella pelle: aveva tante di quelle energie che era pronta a scalare il Monte Fuji di corsa!
Aoyama-kun era capace di cambiare completamente il suo umore.
Le era mancata tanto quella sensazione.
Non riusciva nemmeno a capire come era riuscita a starsene senza per quasi quattro anni.
Strinse i pugni e li portò davanti al petto. Era pronta a lottare per il suo sogno.
«Fight, Ichigo! Ce la farai!» Borbottò, incitandosi da sola.
Ma qualcuno di non molto gradito interruppe i suoi pensieri d’amore.
«Ehi, imbranata! Non si lasciano le cartelle davanti alle scale!» Esclamò una voce femminile alle sue spalle.
Ichigo aggrottò la fronte arrabbiata.
Si voltò, già pronta per litigare, e vide due studentesse superarla di corsa senza nemmeno rivolgerle lo sguardo.
Ichigo afferrò velocemente la sua cartella, che era caduta a terra dopo lo scontro con Aoyama-kun solo qualche minuto prima*, e cominciò ad inseguirle entrambe per non perderle di vista.
«Ehi! Non si attacca briga con la gente per poi andarsene! È scorretto!» Protestò la rossa in direzione delle due. Loro continuarono a correre.
«Non abbiamo tempo da perdere con i primini!» Replicò la ragazza con morbidi capelli biondi, lunghi fino alle spalle.
Ichigo riconobbe la sua voce: era la stessa che l’aveva presa in giro poco prima.
«Vado in terza media, carina, quindi vedi di abbassare la cresta!» Continuò lei, furiosa.
Non era proprio il caso di rovinarle la giornata dopo quello che era successo con Aoyama-kun, ma quella ragazza si stava davvero impegnando a darle fastidio!
«Ah, davvero? Non ti ho mai vista! Sei nuova?» Domandò sempre la bionda, prima di fermarsi davanti all’uscio aperto di una delle aule del corridoio.
Solo a quel punto si decise a voltarsi a guardarla in faccia.
Ichigo fece lo stesso e la fissò.
«Già, stavo cercando la 3C...» Borbottò, stringendo con più forza la cartella tra le dita.
«È questa la 3C.» Rispose la ragazza davanti a lei, indicando un punto sopra la sua testa.
La targhetta sulla porta, in effetti, confermava le sue parole. «Dunque immagino che saremo in classe assieme! Mi dispiace per prima, ma eravamo davvero in ritardo...» Si giustificò lei, prima di allungare una mano in sua direzione. «Il mio nome è Moe Yanagida, e lei è Miwa Honjo**. Molto piacere!» Esclamò, questa volta facendole un bel sorriso.
Ichigo lo ricambiò, mettendo da parte ogni malumore.
Aveva già scordato quel piccolo battibecco senza senso.
«Io mi chiamo Ichigo Momomiya. Piacere mio!» Si presentò la rossa, agguantando la mano di Moe nella sua e agitandola energicamente nell’aria.
Prima Aoyama-kun, e ora la conoscenza di due ragazze che sembravano simpatiche.
Le cose stavano andando bene.
Decisamente bene!





***





Le sue pupille corsero velocemente da una parte all'altra dello schermo, nel tentativo di trovare delle analogie tra la lunga lista di dati e codici che affollavano il file dei risultati più recenti e il file di quelli meno recenti.
Le ultime analisi avevano confermato, come da qualche mese a questa parte, la presenza di deboli segnali alieni sparsi per la città di Tokyo, dislocati in aree che parevano del tutto casuali.
Dal confronto con analisi già fatte in precedenza era chiaro come alcuni dati si ripetessero, come se vi fossero microrganismi in latenza che piano piano erodevano la fertilità del suolo attraverso una lenta e quasi impercettibile azione di agenti inquinanti. Dai loro studi avevano già scoperto che si trattava di creature sconosciute dalla struttura genetica estremamente instabile, probabilmente assimilabili al mostro rinchiuso nel reperto che suo padre stava studiando prima della morte.
Lui aveva proseguito tutte le sue ricerche insieme a Keiichiro, e dopo parecchi anni erano riusciti a creare un sistema che potesse captare la loro presenza.
Se i dati su quelle creature continuavano a proliferare, della Mew Aqua invece non sembrava più esservi traccia.
Per sintetizzarne il segnale, erano ricorsi allo studio molto particolareggiato di un reperto che anni prima era stato ritrovato da suo padre.
Anche dopo 300 000 anni, sulla sua superficie vi erano ancora minuscole particelle del Cristallo.
Erano riusciti a trovarne solo qualche goccia negli ultimi mesi, anche se nel corso di quegli anni avevano accumulato un cristallo di medie dimensioni, attualmente custodito nella cassaforte del laboratorio.
Uno sbuffo uscì dalla bocca del ragazzo, che in un impeto di ribellione scrollò fino in fondo la lista di dati.
Prese a massaggiarsi le tempie con due dita e abbassò lo sguardo, strizzando energicamente gli occhi.
La stanza era totalmente buia, e anche se la sua vista era estremamente sviluppata e adatta ad ambienti privi di luce, i suoi occhi erano diventati più sensibili da allora.
Allungò braccia e gambe oltre la seduta e sgranchì le ginocchia piegate, seguiti dalle spalle e dal collo indolenziti.
In quel preciso momento, il suo udito finissimo avvertì distintamente un ticchettio di passi fuori dalla porta.
Un leggero sorriso gli curvò le labbra quando sentì la maniglia della stanza abbassarsi con il tipico cigolio metallico.
Si voltò verso la fonte del rumore, e vide entrare la persona che s'aspettava di trovare.
Non era altri che Keiichiro, il suo migliore amico.
Lo aveva seguito fin dall’inizio in quel progetto, e ora avevano deciso di comune accordo di entrare nella fase calda.
In realtà non era stata una decisione, ma piuttosto una scelta obbligata.
Così, avevano acquistato un immobile al centro del Parco Inohara, uno dei più celebri di Tokyo, con l’idea di trasformarlo in un caffè.
Cosa centrava tutto questo con delle forme di vita aliene?
Beh, era presto detto…
«Che ci fai qui al buio? Ahh, bisogna starti sempre dietro, eh?» Mormorò Keiichiro, con tono piuttosto materno.
Allungò un braccio e tastò la parete alla sua sinistra, aspettandosi di trovare l’interruttore della luce. Lo premette non appena lo sentì sotto le dita.
Nella mano destra sorreggeva un piccolo vassoio rotondo, con sopra un paio di tazze da caffè americano color bianco latte e un piatto ricolmo di spuntini.
Ryou lo guardò soltanto, con aria affabile, mentre lui adagiava tutto sul tavolo.  
Poi afferrò una delle tazze piena di caffè fumante e un paio di tramezzini appena fatti.
«Allora, com’è andata col fornitore?» Domandò poi all’amico, dando un morso ad uno dei sandwich che aveva preso. Era ottimo, come sempre.
Vide Keiichiro chinarsi a sua volta verso il vassoio e agguantare con calma la sua tazza.
«Benissimo, è tutto apposto, ormai siamo pronti ad aprire. Ci manca solo il personale» Commentò il ragazzo dai lunghi capelli castani, prima di mandar giù a sua volta un lungo sorso di caffè.
Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e si soffermò sullo sguardo dell’amico, che fissava un punto delle piastrelle con gli occhi persi nel vuoto, masticando pigramente il cibo che aveva in bocca.
Era immerso nei suoi pensieri, come sempre.
«Piuttosto...ci sono novità?» Chiese lui, attirando nuovamente la sua attenzione.
Lo aveva percepito appena entrato che c’era qualcosa che lo preoccupava.
Ryou si voltò e lo guardò con i suoi occhi di ghiaccio, senza dire nulla.
Appoggiò la tazza sulla scrivania, come se avesse da dire qualcosa di importante.
Keiichiro trattenne il fiato per un istante.
«Vedi qui? I dati di ieri e quelli di un paio di settimane fa quasi si sovrappongono.» Affermò, indicando le stringhe di codice che riempivano lo schermo.
Keiichiro s’abbassò verso il portatile per leggere meglio.
Si prese qualche minuto di silenzio per constatare ciò di cui il compagno stava parlando, in un misto di preoccupazione e shock.
Ormai la costanza con cui quel fenomeno si ripeteva era qualcosa di sconcertante e molto pericoloso.
«Quindi...è arrivato il momento?» Mormorò a bassa voce, quasi avesse timore di dire quella cosa. Ryou lo guardò serio.
«È arrivato il momento.» Gli confermò lui, con un cenno della testa.
Subito dopo, allungò un braccio ed abbassò lo schermo del portatile, mandandolo in modalità stand-by.
Prese nuovamente la tazza e s’alzò dalla sedia per raggiungere la parete più vicina ed appoggiarvisi con la schiena.
Era stanco di stare seduto.
«Ci sono tutte?» Chiese ancora Keiichiro, senza staccare gli occhi da lui.
Ryou guardò con interesse il fondo della tazza e sorrise mentre la faceva ondeggiare, facendo mulinare il caffè al suo interno.
Forse stava immaginando di trovarsi dentro a quel gorgo, come in una specie di assurda metafora della sua vita.
Si portò poi la tazza alla bocca e ne ingoiò il contenuto con una lunga sorsata.
«Ci sono tutte Kei, di questo non devi preoccuparti.» Rispose, più dolce rispetto al solito tono distaccato.
Si guardò intorno, facendo passare le pupille lungo tutto il muro.
Lì sotto non c’erano finestre e cominciava a sentirsi soffocare.
Doveva uscire.
Con pochi movimenti fluidi raggiunse la scrivania vicino alla porta della stanza e poggiò la tazza sul vassoio di Keichiro.
Erano anni che lavoravano a quel progetto, e non aveva mai pensato di preciso a come sarebbe stato.
Non s'aspettava nemmeno che sarebbe mai diventato realtà.
O almeno, lo aveva preventivato, ma sperava di non avere mai davvero bisogno di farlo.
Oramai le necessità lo imponevano e la cosa, in fondo in fondo, gli faceva male.
Però, gli procurava anche una rassicurante sensazione d'orgoglio.
Stava provando delle emozioni nuove in quelle ultime settimane.
Entusiasmo, fibrillazione, preoccupazione, paura, angoscia...e anche senso di colpa.
Tutti mischiati assieme.
Sensazioni dolci-amare, come il sapore di caffè che gli invadeva il palato.
Sensazioni che teneva gelosamente nascoste.
S’infilò le mani in tasca e virò alla sua sinistra, attraversando la porta che dava sulla sala del proiettore.
Fece un lungo sospiro.
Non era il momento di essere tesi, ma concentrati.
Li aspettavano tempi duri.
«Che il μ Project abbia inizio.» Mormorò impercettibilmente tra sé e sé, uscendo di lì.






 

***


*  Nell’episodio 6, Kisshu afferma che i para-para contengono materiale genetico malleabile. Questo permette loro di potersi legare facilmente ad esseri umani ed animali per creare Chimeri.
** La divisa descritta è quella che Ichigo indossa nel manga, come si vede da questa illustrazione qui.
* Moriyami Suguri [森闇 すぐり] scritto coi caratteri di Foresta [森] Oscurità [闇] e Ribes [スグリ].
** Le uwabaki sono le scarpette date in dotazione nelle scuole, da utilizzare all’interno dell’istituto. In numerosi anime o manga si vedono gli studenti riporle o prenderle dagli armadietti quando arrivano a scuola o quando devono tornare a casa.
Se ci pensate bene, accade anche in TMM.
*  «Un giorno di pioggia l’ingenuo Masaya incontra Ichigo per caso,
       Masaya finita la pioggia s’incontra e si scontra con Ichigo e così,
       Il dolce sorriso di Ichigo, nei suoi pensieri ora c’èèèè» nd Kuro canticchiando
«Questo è l’esempio tipico che dimostra che le fanfiction fanno male...» nd Kisshu
** In italiano Mimi e Megan, sono le amiche di Ichigo a scuola.

  
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