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Autore: Ksyl    10/05/2018    3 recensioni
FF che apre un varco temporale AU tra il litigio di Always e il finale di Always per come lo abbiamo sempre conosciuto. Cioè come se non fosse avvenuto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Richard Castle
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Capitolo finale – Prima parte (Beckett)

Se ne era rimasta imbambolata per chissà quanto tempo a fissare le gocce di pioggia, che scivolavano una dopo l'altra, in un moto casuale e senza una traiettoria prevedibile, sulla vetrata che si apriva sulla pista dell'aeroporto e, più lontano, sulla nebbia leggera che avvolgeva la campagna spoglia che avrebbe lasciato entro un paio d'ore, secondo quanto riportato dal tabellone all'ingresso. E così se ne sarebbe andata davvero, rifletté, stringendo il manico della pesante borsa a tracolla, dando un po' di sollievo alla spalla martoriata. Non avrebbe più contemplato quei panorami che, nel corso dei mesi, aveva imparato a riconoscere, ad amare, e che l'avevano aiutata a guarire. Inviò un silenzioso ringraziamento allo spirito benevolo che doveva albergare in quell'ambiente naturale ormai assopito.

Si riscosse dai suoi pensieri solo quando un viaggiatore sconosciuto si scusò per averla quasi travolta, trascinando con sé un'enorme valigia. La brusca interruzione le permise di tornare a focalizzarsi sulla realtà circostante. Si voltò in tempo per scorgere Castle puntare nella sua direzione tenendo in mano due tazze di caffè in equilibrio precario.
Era stata lei a esprimere quella preferenza, quando lui si era generosamente offerto di soddisfare ogni suo desiderio, nel limite delle possibilità che il piccolo bar decisamente poco fornito poteva permettersi. Aveva scelto d'impulso, come se con la mente si fosse già proiettata in un luogo meno avverso a della vera caffeina da assumersi in concentrazioni elevate. Lo raggiunse dietro al bancone più vicino, aiutandolo e depositare le tazze senza versare il liquido fumante sulla superficie nera lucida, appena spolverata.

Le sorrise in segno di riconoscenza e si sporse a baciarla, appoggiandole una mano sui fianchi con un gesto ampio e disinvolto, che dimostrava perfettamente – se ce ne fosse stato bisogno - il grado di intimità raggiunto tra loro, un'intimità che era andata crescendo vertiginosamente anche in pubblico nel giro di pochissimo. La totale libertà che Castle si prendeva con il suo corpo, che lei naturalmente apprezzava e incoraggiava, le provocava sempre formicolii imprevisti difficili da giustificare. Insieme a una diffusa debolezza delle gambe e al cuore sempre lievemente accelerato.
Invece di scostarsi e dedicarsi al proprio caffè, preferì godersi quella vicinanza. Lo faceva sempre, non sprecava nessuna occasione di assaporare quel loro contatto fisico tanto spontaneo. Affondò il viso nel bavero della giacca, aspirando le note appena accennate del suo dopobarba e il profumo dell'inverno che si erano lasciati alle spalle entrando.
Castle fece risalire il braccio intorno alle sue spalle, per stringerla più forte, forse interpretando il suo atteggiamento come richiesta di conforto, che le dava sempre in modo incondizionato. Magari pensava che le spiacesse andarsene, che provasse un fiotto di nostalgia o un po' di apprensione per il futuro, lontano da lì, lontano dal luogo che aveva orchestrato dietro le quinte la loro unione.

Sapeva di prenderlo alla sprovvista, ogni tanto. Questo succedeva non perché amasse tenerlo sulle spine o mostrarsi misteriosa, ma perché lei per prima si sorprendeva per i gesti non premeditati a cui si abbandonava quando lui era nei dintorni, quando era accessibile. Lo era sempre stato, ma lei non si era mai permessa di andare oltre i rigidi confini dietro cui si era barricata. Con la guancia appoggiata contro il suo petto, sentendo il respiro regolare tra i capelli, si chiese per l'ennesima volta come avesse potuto fare a meno della tranquilla solidità fisica che Castle emanava senza sforzo. Come era riuscita a negarsi per tanto tempo una fonte di pace, di benessere, di consolazione, perfino? Per non parlare del resto. Ma riguardo a quello aveva sempre avuto le idee piuttosto chiare su quello che si stava perdendo, e aveva avuto ragione. A non volerselo perdere.

Aveva deciso, durante quella prima notte condivisa – non era stata una decisione razionale, solo il risultato di un moto interiore incontrollato – di non porsi nessun ostacolo. Di fare attenzione a non crearseli, vista la sua natura, e di scavalcarli allegramente, se ne avesse incontrati. Voleva vivere liberamente quel rapporto che dimostrava, senza alcuna ombra di dubbio, che certi treni non passavano una volta soltanto. Loro ne erano un esempio lampante. Nel loro caso si trattava piuttosto di un treno che si era rifiutato di lasciare la stazione finché loro due non si fossero convinti – entrambi - dell'assoluta necessità di salirci sopra. Ridacchiò. Quelle di solito erano considerazioni di saggezza popolare che fiorivano nella mente creativa di Castle e di cui la faceva partecipe con quell'aria ispirata da monaco zen, davanti alle quali lei poteva solo alzare gli occhi al cielo.
Anzi, le sue uscite erano di solito molto più poetiche di un banalissimo treno. Lui le avrebbe parlato di pianeti in rotta di collisione, di universi in espansione e forze attrattive. Oh, di quelle ne avevano in abbondanza, il fato non aveva avuto bisogno di spingere troppo in quella direzione. Le era stato perfino difficile stargli lontano quando le necessità pratiche della vita li avevano reclamati.

Aveva mandato al diavolo regole, imposizioni, limiti, tempi e spazi circoscritti. Castle faceva talvolta fatica a riconoscerla, a mettere insieme i pezzi di prima con quelli attuali, anche se non diceva nulla. Si adeguava a quella nuova velocità senza sforzo, tenendola saldamente per mano quando lei sentiva mancare il fiato davanti alle altezze vertiginose e sempre più elevate che raggiungevano volta per volta.
Le sembrava che il senso stesso del loro essere coppia fosse diverso da quello che aveva sempre considerato normale. Era come se, per colpa di lunghi mesi trascorsi lontani, degli equivoci sorti e della mancanza di comunicazione, di coraggio forse era meglio dire – per non parlare della solitudine che era stata particolarmente aspra su entrambe le coste dell'Atlantico – la loro vita a due fosse esplosa in un crescendo esponenziale, invece che comporsi gradualmente come avrebbe dovuto, misurando le distanze, smussando angoli, amalgamando differenze. Loro si erano fusi in una nuova unità nell'istante esatto in cui si erano baciati sulla scogliera. Come se non avessero aspettato altro. Quel sentimento – non lo chiamava ancora in modo diverso, nel modo giusto, nessuno dei due lo faceva, forse ancora intimiditi dalla vastità di quello che percepivano – si era infilato tra loro, li aveva avvolti, trasformandoli in qualcosa di più che la somma delle due unità individuali che erano stati.

Quel che invece doveva aver sconvolto Castle più del resto – ne aveva colto il riflesso stupito in alcuni sguardi perplessi che le lanciava – era il fatto che probabilmente non si era aspettato che lei si precipitasse a colmare all'istante quella distanza che lui era stato costretto a rispettare all'infinito.
"Va tutto bene?", le domandò quasi cullandola, mentre lei si rilassava contro il suo petto, creando tra i viaggiatori presenti un quadretto romantico così sdolcinato che un tempo l'avrebbe costretta a nascondersi per la vergogna. Non le importava nulla. E a lui nemmeno, da quel che traspariva.
"Sì", rispose felice. Ed era vero. E voleva che lui lo sapesse.
"Sei triste perché ti dispiace lasciare il vecchio continente? Il tuo cottage? L'umidità nelle ossa?".
Scoppiò a ridere, staccandosi finalmente da lui, e prese a mescolare la bevanda – chiamarlo caffè avrebbe richiesto troppo coraggio – con il cucchiaino, che alla fine appoggiò sul piattino.
"Immagino che per te sia solo un sollievo, vero Castle? Non hai mai apprezzato il paesaggio inglese, nonostante i tuoi proclami", lo canzonò.

"Diciamo che la nostra vita in campagna ha avuto effetti imprevedibili e straordinari, non posso certo lamentarmi". Si rivolse a lei con un'espressione così intensamente pura da farla rimanere incantata a fissarlo. Lei non meritava tutto quel trasporto, pensò per la centesima volta. O forse sì, lo meritavano entrambi, perché non avrebbero dovuto? Non avevano colpe da espiare. Aveva dato un taglio ai drammi, una volta per tutte.
"Nemmeno io ho di che lamentarmi", ammise lanciandogli una rapida occhiata, prima di dirigere lo sguardo altrove, fingendo di interessarsi a qualcosa in lontananza. "Anche se...", continuò esitante, interrompendosi con una pausa studiata.
"Anche se?". Era adorabile quando non aveva la certezza su come interpretare le sue esternazioni. Non riusciva mai a capire fino in fondo se lei stesse scherzando o meno. E questo le rivelava, di lui, una vulnerabilità nascosta che la riempiva di tenerezza. Rimase in silenzio.
"Beckett, sei hai delle rimostranze da fare, sono aperto al dialogo", la rassicurò, pur mostrando un po' di nervosismo latente.

"C'era davvero bisogno di organizzare una festa per l'intero villaggio, dopo la recita natalizia?", lo interrogò con il suo tono collaudato e severo che sapeva lo avrebbe messo in apprensione. Lo colse di sorpresa. Lo vide cercare di capire quale fosse lo scopo di quell'uscita e il modo giusto di ribattere.
"Mi sembrava...", farfugliò, mentre si inclinava impercettibilmente da un lato. "Un gesto di cortesia e anche un modo di sdebitarci per la gentilezza che ci hanno sempre dimostrato, per esempio quando sei stata male...".
"È durata fino a notte fonda, Castle! A un certo punto ero convinta che sarebbero rimasti per sempre, credo sia stato l'evento mondano più atteso a cui abbiano partecipato nell'ultimo decennio. Nessuno voleva andarsene, nonostante i discreti inviti. Sto parlando dei miei inviti, tu non hai mai colto le mie occhiate", lo redarguì.
"Significa che è stata un successo, no? Volevano solo salutarci prima della partenza. Ci hanno anche fatto un sacco di regali", replicò con cautela, cercando di mostrarsi ragionevole e aderente ai fatti.
Era andata proprio così, naturalmente.

Non sapeva di preciso chi avesse cantato per primo, ma la notizia della loro felice e sospirata unione – si erano espressi proprio così, quando li avevano incontrati per puro caso – aveva fatto in fretta il giro di ogni abitazione, anche tra le fattorie più sperdute, su nei Dales. Nessuno di loro due aveva parlato, non ne avevano avuto il tempo materiale, se pure avessero voluto farlo, cosa che, avevano convenuto entrambi, era stata ben lontana dalle loro intenzioni.
Aveva sempre creduto che soltanto qualche anziana pettegola – e ce n'erano in quantità notevole, anche Castle era d'accordo – potesse interessarsi fino a quel punto a una potenziale storia d'amore pronta a sbocciare nel vicinato. Motivo per cui non si era preoccupata troppo di quello che sarebbe potuto accadere, una volta che il loro nuovo status fosse diventato di dominio pubblico. Si era ricreduta molto in fretta, era quasi diventato un affare di Stato.
Erano stati fatti oggetto di studi e analisi approfonditi, come se si fossero trasformati di colpo in due persone diverse e, soprattutto, tutti avevano trovato legittimo condividere opinioni molto forti sul loro rapporto. Tutti. Anche gente che lei non aveva mai conosciuto personalmente. Erano stati l'argomento del giorno per un periodo di tempo più lungo di quanto lei fosse in grado di tollerare. Castle si era beato della attenzioni, lei avrebbe voluto scomparire al più presto, ma non c'era stato modo di farlo, soprattutto perché lui aveva dato corda alla follia generalizzata, giustificandosi con il presunto desiderio di contraccambiare la loro cordialità.

"Ti hanno rapito per ore, se non giorni interi, se consideriamo le prove finali della recita, e ti hanno riconsegnato a me giusto in tempo per dormire qualche ora prima di prendere l'aereo. Per non parlare delle richieste di autografi, le foto – anche con il pastore, Castle, dovresti vergognarti - i brindisi infiniti e gli inviti a ogni futuro evento che potrebbe o meno verificarsi nel prossimo lustro, comprese le proposte di fare da padrino ai nuovi nati, a cui, immagino, verrà dato il tuo nome, visto il culto che hai creato intorno a te".
La fissò, dapprima incredulo e poi progressivamente sempre più divertito.
"Sei gelosa, Beckett? Hai temuto che volessero approfittare di me? Propormi di fuggire con loro? Perché in effetti qualche offerta c'è stata". Non era vero, voleva solo indispettirla. "O preferivi che ripopolassero il paese di tante piccole Katherine? Posso metterci una buona parola, se vuoi".
Sbuffò. Che scenario terribile. Ed era un'ipotesi assolutamente non veritiera. Entrambe, ma soprattutto la prima. L'età media era troppo elevata. E comunque lei non era gelosa, per principio.
"Sei impazzito? Certo che no!", si difese con forza. "È solo che...".
"Solo che?", la incalzò suadente, convinto di stare per vincere la partita.
"Avevo pensato che avremmo trascorso diversamente la nostra ultima notte insieme qui", concluse, convinta di aver espresso un punto di vista inattaccabile e ponderato. "Non ti reggevi neanche in piedi!", lo accusò.
Con sua sorpresa, Castle scoppiò a ridere. Una risata scrosciante che fece voltare qualche testa nella loro direzione.

"È questo il problema? Il fatto di non aver trascorso tutto il tempo insieme? Non pensavo che avrei mai vissuto abbastanza da sentirmi rimproverare una cosa del genere. Non hai sempre trovato insopportabile la mia continua presenza a New York? Ti ho sentito con queste stesse orecchie lamentarti a gran voce del fatto che ti stessi sempre appiccicato. E adesso...", concluse alzando il tono della voce di parecchi decibel in preda a un'euforia che non aveva nessun senso di esistere, per quanto la riguardava. Stava dando i numeri?
"Castle, stai esagerando, come al solito. Non posso parlare con te quando sei così su di giri", lo zittì, piantandolo in asso, accertandosi con la coda dell'occhio che la rincorresse, cosa che fece senza esitazioni. La costrinse a fermarsi. Era ancora immensamente divertito dalle sue ultime esternazioni, le venne voglia di cancellare quella smorfia di ingiustificata soddisfazione dal volto.

L'afferrò tra le braccia, costringendola a fermarsi e la tenne così stretta contro di lui da farla quasi soffocare. Si ribellò e cercò di spingerlo lontano, senza riuscirsi. O forse senza metterci troppo impegno.
"Castle, questo si chiama sequestro di persona. Potrei farti arrestare", lo minacciò.
"Esatto. È proprio quello che avevo in mente. Sequestrarti e importi la mia presenza continua per le prossime settimane. Giorno e notte. Senza vestiti, preferibilmente, ma possiamo accordarci di volta in volta".
Smise di divincolarsi. "Ti piace giocare pesante, vero?".
"Molto", le sussurrò all'orecchio facendola rabbrividire. "Affare fatto?".
La guardò in attesa di una risposta. Finse di pensarci. "Giorno e notte, senza distrazioni?".
"Nessuna distrazione", le assicurò, facendo scivolare le mani sotto al cappotto, forse per dimostrarle che non prendeva alla leggera le sue parole.
"Penso che possa andare". Gli sorrise, mentre immaginava senza pudore il dispiegarsi di lunghe giornate da trascorrere interamente da soli. Non riusciva quasi a credere che fosse possibile. O che lo stesse desiderando tanto.
"Iniziando da subito, naturalmente", aggiunse lui, appoggiando le labbra sul suo collo, sotto la sciarpa, facendole il solletico.
"Era il mio intento fin dall'inizio", confessò compiaciuta, lasciandosi baciare.
"Hai inscenato tutto questo solo per assicurarti la mia attenzione totale?".
"Naturalmente. Mi sei sembrato un po' distratto".
"Io... distratto?! Ma se è quello che ho sognato per anni, ininterrottamente, al punto da farmi chiedere se il sogno non si stesse trasformando nella sostanza stessa di cui sono fatti gli incubi?".
Fu il suo turno di ridere. "No, Castle, ti assicuro che non si tratta né di sogni, né di incubi o di altre metafore che ti piacciono tanto, anche se sai fare meglio di così, con tutti quei sogni e incubi ingarbugliati, non si capisce nulla. È tutto molto reale". Alzò un sopracciglio. "E tangibile, direi".
La tirò ancora più vicino a sé con un gesto molto più deciso e a quel punto era certa che stessero dando spettacolo. Sapeva che prima o poi sarebbe finita così.

La fissò per un lungo momento. Era sicura che stesse per ribattere qualcosa di altrettanto malizioso, magari proporle chissà cosa appena fossero saliti sull'aereo. Invece la sua espressione si fece sempre più grave.
"Kate...". Abbassò gli occhi e deglutì. "Io...".
Appoggiò con delicatezza le dita sulle sue labbra, per zittirlo. Gli accarezzò una guancia. Non c'era bisogno di dire niente. Le parole non avrebbero potuto esprimere niente che non si fossero già comunicati più e più volte, all'infinito.

.

Ho diviso il capitolo perché non sarei riuscita a pubblicarlo domani completo, sad but true ho avuto un imprevisto, non si tratta di chissà quali scelte narrative. È sempre comunque stato un capitolo concepito in due parti a specchio, nel prossimo sarà Castle a esprimere il suo punto di vista.

So che dovrei aspettare le battute finali, ma volevo ringraziarvi per la compagnia e voglio farlo adesso. Di Castle ci sono rimasti i ricordi, la nostra fantasia a creare trame in cinque minuti in cui finiscono sempre discinti XD, e la Castle-family. Io l'ho sentita fortissima questa volta. Quella sensazione di non essere soli, quel senso del gruppo in cui tutti partecipano ciascuno a modo proprio, con il loro contributo speciale perché individuale. Io vi assicuro che leggo tutto, ascolto tutto, rifletto su tutto e noto tutto. Che così pare una minaccia, ma intendo dire che nessun gesto gentile, di nessuna entità, a me diretto, va mai perduto. Grazie.

   
 
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