NOTE INTRODUTTIVE: Siccome all’inizio
è lasciata velata
come informazione, la fic si ambienta subito dopo
l’“Internship
Arc” (quello che riguarda le vicende di Nighteye,
Chisaki…).
I personaggi sotto presentati non mi appartengono; la storia
è stata
scritta senza scopo di lucro.
♦ Storia partecipante al contest
“The crack - The ship - The canon! Get ready! - II
edizione”
indetto da missredlights sul forum di EFP
♦ Storia partecipante al contest
“L’immaginazione vi porterà
dappertutto [CONTEST
MULTIFANDOM]”
indetto da wurags sul forum di EFP
A un Battito da Te
Gli
occhi di Nejire erano unici: si riempivano della notte e delle
infinite forme della città, le luci scivolavano nelle iridi
e vi
rimanevano fino a quando il giorno successivo non trovava la strada
per ritornare; in quel momento, il cielo non sembrava più
così
distante da lui.
«Quasi mi dimenticavo come ci
si senta ad avere una serata solo per sé. Ed è da
così tanto che
non guardiamo più le stelle insieme!»
E la sua voce… quel timbro
allegro e dolce al medesimo tempo, che rimaneva nell’aria
anche
dopo interi minuti, come la traccia di una carezza.
Dopo quella di Mirio, era
stata la seconda che si era aperta un varco nel suo grande silenzio e
gli era rimasta al fianco — come in quell’istante,
nella calma
del parco che si erano trovati ad attraversare.
Da quanto tempo, lei chiedeva?
Non aveva una risposta.
Quel pomeriggio divenuto
rapidamente sera, quando avevano lasciato la UA e il vento
dell’autunno aveva spinto la ragazza a stringersi a lui e
sorridere
mentre le raffiche avvolgevano i capelli pervinca intorno a entrambi,
nella frase: — Perché
non facciamo la strada insieme?
— aveva percepito tutta la distanza presente tra
quell’istante e
le prime volte in cui aveva udito quelle stesse parole; distanza che
non si misurava in giorni o anni, ma in eventi e in una sottile
consapevolezza che non lo aveva più lasciato, neppure tra le
mani
calde di Nejire che gli avevano stretto delicatamente il braccio.
Anche in quel momento c’era
qualcosa, tutto intorno a loro: non un pericolo, ma più
un’inarrestabile sensazione di tensione diffusa che incrinava
la
serenità. Era
la normalità di quell’istante, di accompagnarsi a
vicenda verso
casa, ad avere tutta quell’energia? Dopo gli avvenimenti che
avevano vissuto, poteva davvero essere così.
E i pensieri, quelli non si
fermano; non lo fanno mai. E la notte non fa che portarne altri.
«Amajiki-kun?»
La mano della giovane si
strinse intorno a quella di Tamaki e la scrollò piano, per
attirare
la sua attenzione; e il ragazzo alzò il volto dal suolo
solamente
per incontrare la preoccupazione in quello dell’altra.
«Ti sei messo a tremare
all’improvviso. Va tutto bene? Hai freddo?»
Ancor prima che il moro
potesse replicare, lei si tolse l’enorme sciarpa che
l’accompagnava
da giorni e gliel’avvolse intorno con delicatezza.
«Ti prenderai
un malanno se non ti riguardi. E poi, come facciamo io e Togata-kun?
Come duo non funzioniamo molto bene.»
Il giovane accennò un
sorriso, ma non riuscì a sostenere per molto lo sguardo
dell’amica,
specie quando questa diminuì la già debole
distanza tra i loro
corpi. Nejire era legata al contatto fisico e alle dimostrazioni
d’affetto intense, che spesso non lasciavano spazio alla
razionalità; dopo tutto il tempo che si conoscevano avrebbe
dovuto
esserci abituato, o almeno sapere come reagire nei momenti in cui il
suo naturale pessimismo e l’entusiasmo della ragazza
collidevano
con forze uguali e opposte sensazioni… invece, quella
sarebbe stata
un’altra delle volte in cui le già poche parole
che aveva
sarebbero state infrante da un entusiasmo irrefrenabile — solamente
da quello, Tamaki?
—, e che di certo avrebbe meritato molto più che
imbarazzato
silenzio. E
di certo non questo malessere. Mi dispiace, Hado-chan, questa sera
non sarà per noi… temo.
«Sei strano, oggi», mormorò
la studentessa, limitandosi a guardarlo da fin
troppo vicino,
«quasi triste.»
Raramente il suo tono si
abbassava così tanto; e ogni volta, a lui non poteva
sfuggire. Ogni
ombra era sbagliata
quando si rifletteva in quegli occhi blu, così grandi da
sembrare
sul punto di abbracciare il mondo intero; tale pensiero non
l’avrebbe
mai mutato.
«Beh… sono solo i postumi
degli ultimi avvenimenti. Niente di più.»
No. No, non è vero, e
almeno a lei e Mirio non dovresti mentire.
Nejire non rispose
immediatamente, come se stesse ponderando il suono della sua voce; ma
quando ritornò a sorridere, a Tamaki sembrò che i
precedenti
momenti non avessero preso vita, e attese.
«Amajiki-kun… vuoi
ascoltare una storia?»
«La
Festa dei Mille Fuochi…
hai detto che con questo nome intendi quella delle Lanterne,
vero?»
L’appartamento della ragazza
era un’oasi di pace stretta nella furia della vita notturna;
ma
alla fine bastava chiudere le finestre e ascoltare solo il ticchettio
sommesso del grande orologio alla parete per dimenticarsi del mondo
che circondava quelle stanze. Il profumo dolcissimo del tè
al
gelsomino, il preferito di Nejire[1],
era un’ulteriore fonte di oblio, e si mischiava perfettamente
alle
frasi di pochi minuti prima — È
tardissimo… andiamo a casa mia, è vicina e ci
eviterà un brutto
raffreddore.
«Così la chiamo io, infatti…
mi piace di più», esclamò lei,
staccandosi dal ripiano cucina e
raggiungendo Tamaki sull’unico divano della stanza, un
vassoio
ricolmo di ogni genere di cibo stretto tra le mani e
l’entusiasmo
nello sguardo, «c’è una leggenda che la
riguarda, che ho sempre
trovato toccante. Vado a prendere il libro dove l’ho letta,
torno
subito!»
Il ragazzo recuperò al volo
il povero vassoio traballante e istintivamente lo strinse a
sé, il
sentore della pelle della compagna incastrato tra le porcellane e
l’aria mossa dalla sua corsa, e
l’appoggiò sul piccolo tavolo
davanti a lui un attimo prima che il ciclone celeste ritornasse nella
stanza e riprendesse il suo posto, un tomo dalla copertina viola e
dalle pagine ricolme di scritte già aperto sulle sue gambe.
«Te la posso leggere?»
Il moro annuì, e allora la
giovane gli si fece più vicino.
«Accadde
che la natura vedesse nemici la forza umana e quella delle fiere;
queste, aiutate dagli uccelli, portarono scompiglio e morte verso i
primi, tanto che l’Imperatore del Cielo fu costretto a
chiudere gli
occhi e lasciare che gli uomini cercassero una soluzione nella stessa
violenza che li stava decimando; scoppiò così la
guerra, giunse in
tal modo la follia. Ma dove c’è follia
c’è errore; c’è
cecità e crudeltà, l’innocenza non
trova più una dimora. Così
venne il giorno in cui un uccello sacro, intoccabile e puro, lontano
dalle lotte, raggiunse l’occhio dei mortali; aveva perso la
via
delle stelle e la paura lo aveva fatto smarrire…
così come fece
con chi incoccò la freccia e mirò al suo cuore.
La volta pianse quando il
corpo precipitò al suolo; ma ancora di più
avrebbero pianto gli
umani. Infatti, quella volta l’Imperatore del Cielo non
distolse lo
sguardo e si rannicchiò nella furia; e dalle sue parole
uscirono
voleri terribili:
“Bruci ogni
cosa: villaggio, veste e persona. Brucino i bambini come i vecchi,
muoiano tutti!”
E all’orizzonte già
compariva un’onda di fuoco, pronta a eseguire
l’ordine del
supremo regnante e purificare la colpa; il mondo sembrava destinato a
finire quella notte stessa, sotto la prima luna piena
dell’anno…
… Ma
qualcun altro stava
guardando; occhi capaci di provare pietà, che conoscevano
sia i
peccati degli uomini, sia la loro bontà.
Lei era solo una dama delle
nubi, un semplice spirito; eppure scese sul suolo, abbracciò
il
corpo del suo compagno di voli e raggiunse un vecchio saggio che
conosceva, con la velocità della disperazione.
“Solo tu puoi
salvare l’umanità!”, esordì
quando fu da lui, “questo mio
amato amico è stato ucciso, e ora il mondo sta per venire
bruciato
dalla vendetta del Grande Re! Cerca una soluzione in fretta o nessun
umano rivedrà più la Luna, e nemmeno il
Sole!”
Scosso da quel discorso, il
vecchio corse allora di villaggio in villaggio, radunò gli
abitanti
e a tutti disse le stesse parole: “Accendete dei fuochi
questa
notte, e quella di domani e del terzo giorno; accendete fuochi e
lanterne, creati giochi di luce quanto più potete,
perché solo così
potremmo salvarci dalla fine.”
Nessuno disobbedì, ognuno
compì il suo dovere: e quando l’Imperatore volse
lo sguardo al
regno umano e lo vide rifulgere di fiamme e fulmini, credette che la
purificazione fosse già avvenuta e abbandonò la
rabbia.
In tal modo, gli uomini si
salvarono e impararono dalla paura; e ancora oggi, una lanterna
abbandona le nostre mani nel primo mese lunare, per ricordare il
pericolo scampato.»[2]
La voce si
affievolì
sull’ultima frase, divenne un sussurro; ma già
aveva perso il tono
alto e sicuro quando Nejire si era accorta che, a metà del
racconto,
gli occhi di Tamaki si erano inumiditi. Aveva accennato a smettere,
ma la stretta che la sua mano aveva ricevuto l’aveva fatta
proseguire fino a quel punto. «Amajiki-kun…
scusami, non volevo
farti piangere.» Un mormorio, seguito dal morbido frusciare
di una
lieve carezza; un solo istante di esitazione, quindi le braccia della
studentessa avvolsero il compagno e lo strinsero con tutta la forza
che possedevano, i suoi capelli fluirono intorno ai loro corpi come
un’onda sorta a proteggerli da una realtà estranea
a entrambi.
Nessun altro gesto, perché
non serviva niente di più; e per la prima volta, il moro non
si
sentì turbato dal corpo dell’amica,
così che il calore che
emanava da esso abbassò i suoi muri con facilità.
Perdonami,
se non sarà una serata per noi. Perdonami davvero.
«Continuo a sentire ogni cosa
di quei giorni, Hado-chan», mormorò,
«continuo a risentire la
paura, la confusione quando quel proiettile mi ha colpito e ha
annullato il quirk; rivedo lo sguardo di Kirishima, la sua
preoccupazione, il secondo proiettile che questa volta colpisce lui.
Avrei dovuto intervenire, non lasciare che affrontasse un avversario
così pericoloso da solo; invece ho avuto paura.
E poi, tutti quegli scontri, e
Mirio… Mirio…» L’eco
di un singhiozzo, strozzato in una delle ciocche della ragazza.
«Non
ero nemmeno con lui quando Overhaul lo ha colpito. Sono stato lontano
dal fianco di chi avrei dovuto difendere; e nonostante
ciò… si
sono preoccupati per me.
Di
qualcuno che ha lasciato che fossero gli altri a subire, e rischiato
di perdere ogni cosa. Sempre.
E...»
Nella pausa che seguì, la
risposta risuonò ancora più forte.
«Pensi davvero questo,
Amajiki-kun?»
Tutto ciò che lei lesse negli
occhi neri fu più che sufficiente; «Basta
così, allora», mormorò
quindi, «basta così. Tutte queste ombre, questo
dolore non sono
nate per te, non ti devono prendere così.»
Sentì il cuore
dell’amico accelerare i battiti, gridare contro il proprio
petto; e
allora vi appoggiò una mano sopra, senza il consueto impeto
ma con
la delicatezza che aveva imparato da lui, e trattenne un sospiro.
«Non lasciarle mai vincere.»
♦♦♦
Le
luci ti guideranno verso
casa, infuocheranno le tue ossa; e io cercherò di consolarti
[3].
Non ricordava nient’altro di
quella conversazione, udita da uno sconosciuto quando il tempo per
fermarsi era poco e molte le preoccupazioni; eppure, anche se non
erano rivolte a lei, le parole l’avevano inseguita per tutto
il
giorno, le avevano stretto le spalle quando aveva realizzato che
erano le stesse che avrebbe dovuto dire a Tamaki
da giorni, da quando Mirio aveva perso il suo quirk e i pensieri
avevano iniziato a fluire e confluire senza alcun controllo
— le uniche che, forse, stava sinceramente aspettando.
Quella stessa mattina si era
svegliata con le immagini di un sogno nella mente, una stretta alla
gola; e le sue mani erano umide di lacrime.
Ho rivissuto una notte di
nemmeno un anno fa; la Festa delle Lanterne nell’aria, una
sensazione dolce dentro di me.
Siamo saliti sui tetti
della città per guardare le luci levarsi dalla terra, il
mondo
capovolto e noi a lanciare quelle stesse stelle sempre inseguite; io
e Mirio abbiamo scelto il luogo più adatto per liberarti
dalla
pressione della folla e regalarti un momento di sola meraviglia.
Lassù abbiamo lasciato
correre il cielo, lassù i cuori si sono tutti uniti su
un’unica
frequenza e nessuno si sarebbe mai sentito smarrito, sbagliato;
lassù
abbiamo lasciato volare le nostre promesse e richieste.
«E tu che desiderio hai
espresso nel far volare la tua lanterna?»
La mia voce non ha perso la
curiosità nemmeno in quell’attimo; ma da tempo ho
scoperto che
verso di te non provo solo quella, non solo affetto o
simpatia… e
da allora mi chiedo se ci sono anche io tra i tuoi sogni.
«Una notte come questa»,
hai risposto nel calore di un sorriso, le stelle al tuo fianco,
«anche una soltanto.»
Mi è bastato questo per
comprendere la fortuna che ho avuto nell’incontrarti, e
quella che
ancora ho nel poterti avere vicino.
Poi… poi il sogno è
mutato: il ricordo è diventato qualcosa di nuovo, una voce
mi ha
detto che alla prossima Festa delle Lanterne sarei rimasta sola.
Perché? ho chiesto; perché, chiedi? È
stata la risposta.
Poi c’è stato il
silenzio: un’assenza di suono che nemmeno un grido avrebbe
potuto
incrinare, la lontananza, quella solitudine con cui mi hanno
minacciato a voce. Anche se solo in un maledetto incubo, mi sei
mancato; perché ho avuto la sensazione di non poterti
più
incontrare, mai.
Allora, appena sveglia ho
letto una vecchia favola per ritrovare pace, e sono venuta a cercarti
tra quelle parole; ed è bastato così poco per
comprendere che
stiamo sentendo le medesime sensazioni.
E ora… ora è il momento
di mostrarle, tutte.
«Non
lasciarle mai vincere.»
La sua stessa voce le risultò
estranea: forse perché nemmeno lei era abituata a fare i
conti con
la tristezza, forse perché di solito questa non era
così forte…
di certo perché
non voleva vedere lui
così.
La solitudine era un’ombra
che non se ne voleva andare da quell’anima; aveva conosciuto
il
ragazzo con quella debole traccia nello sguardo, che solo la presenza
di Mirio riusciva sempre a scacciare, e questa ancora sopravviveva,
pronta a rispuntare al minimo calo della resistenza, davanti
all’impotenza. Tamaki aveva paura di perdere gli altri, e
tutto
questo si rifletteva nel luccichio che lei poteva vedere
all’angolo
degli occhi.
Come poteva non comprenderlo?
Erano in molti a considerare la sua timidezza debolezza e in troppo,
troppo pochi a riconoscere la sua forza, a non tralasciare nessuno
dei timori di quello che era stato un bambino sempre lasciato in
disparte, con solo la mano del suo migliore amico ad afferrare la sua
e mostrargli le sue bellezze… per alcuni avrebbe potuto
essere già
abbastanza questo, spesso lo era; ma a volte c’era bisogno di
qualcosa di più.
Quel
qualcosa lo avrebbe portato lei?
Ci sarebbe riuscita davvero,
avrebbe trovato il modo?
Tra le onde di quei pensieri,
gli ultimi istanti dell’incubo tornarono a visitarla; e
allora
strinse l’amico ancora di più, come se in
verità quello più
bisognoso di un conforto fosse stato il suo, di cuore.
Chi ti dice che non sia
davvero così, Nejire?
«Non dire mai più niente di
simile. Che cosa penserebbe Togata-kun se fosse qui ad ascoltarti? In
quel buco hai combattuto con tutto te stesso, hai tenuto a bada tre
degli scagnozzi di Overhaul… hai dato tutto te stesso, come
puoi
non riconoscerlo? Hai protetto i tuoi amici fino a quando non hai
reso la loro strada sicura… sei stato un eroe.»
A ogni parola, vide gli occhi
dell’amico mutare luce; ma non era ancora abbastanza. Utilizza
solo il tuo cuore, e fai quello che sai fare meglio.
«Ma uno di noi ha perso il
suo quirk.»
«Ma non il suo insostituibile
amico; Togata-kun non ha perso te, né nessun altro di noi.
È questo
che ti direbbe se fosse qui, è questo di cui sono convinta;
tu sei
importante per noi quanto lui lo è per te… e
nessuno può essere
sostituito.» Una pausa. «Prima ti sei adombrato
perché hai
ricordato la nostra ultima Festa delle Lanterne, non è vero?
Una notte come quella, dove
non ci sia tristezza… una notte dove possiamo essere tutti
insieme.» Un sorriso, il più gentile e spontaneo.
«Ma siamo sempre
insieme;
nemmeno in quel covo di orrori eravamo distanti, un legame
più forte
ci ha accompagnato.»
Tamaki deglutì, e rispose
sorridendo a sua volta, lievemente imbarazzato. «Sei
veramente la
più ottimista tra noi, tu.»
Una lieve risata. «Scusa per
prima. Non immaginavo nemmeno che avrei potuto intristirti
così…
troppo entusiasmo.»
«Va bene così, Hado-chan;
ora va meglio.»
Nejire si staccò appena da
lui, senza smettere di guardarlo. «Davvero?»
Il ragazzo chinò il capo, ma
le sue mani rimasero tra quelle della ragazza. «Forse mi
chiederò
sempre il perché non sia successo a me, e come sarebbe stato
se
fosse successo a me.»
«Togata-kun non se lo sarebbe
perdonato, avrebbe reagito come te: siete così simili, voi
due, e vi
sentite così tanto… per questo non rimarrete mai
soli. Avete la
capacità di fortificarvi a vicenda, ma entrambi dovete
imparare a
essere meno severi con voi stessi.»
E far sì che quello che ho
fatto rimanga ciò che è: solo un brutto sogno,
che la luce
cancellerà.
«Hado-chan… ora sei tu a
piangere.»
La ragazza fu lesta a volgere
il viso lontano da lui, ma non si sottrasse al gentile tocco che la
liberò di una lacrima. «Già…
sembra che gli ultimi avvenimenti
non abbiano segnato solamente voi due», mormorò
prima di ritornare
a sorridere, ma sperando che Tamaki non interrompesse il contatto;
cosa che non successe, e che dilatò i minuti di dolcezza.
«Brutti pensieri?»
«Sogni… ormai completamente
svaniti, semplicemente parlando.»
«Perché anche tu sei più
forte di loro.» Quella volta, fu il moro a sorridere per
primo; e in
quella luce c’era tutto, ogni grazia e conforto,
c’era una
risposta e un grazie.
Nejire
lo sentì ancor prima che la voce lo esprimesse, lo strinse a
sé
come un dono, e annuì. Ogni possibile parola scomparve,
perché
tutto era già stato compreso; e quando uno dei due spense le
luci
nella stanza — forse
si spensero da sole?
—, neanche allora la città penetrò nei
loro sguardi e nel respiro
che sentiva il cuore della notte attanagliare il mondo ma non lo
temeva: non in quel momento, non insieme.
Il
mattino successivo, entrambi avrebbero portato sul volto i segni di
un sonno breve, abbandonato all’alba, e di reciproco calore.
Nonostante
quello che sarebbe potuto sembrare, non c’era stanchezza
negli
occhi, più sereni del giorno precedente; e nemmeno sulla
pelle, che
tratteneva la memoria del cuore dell’altro, del modo con cui
cullava i pensieri e sussurrava: la
fine della paura è distante un solo battito da te.
✴
«Ricordo
questo posto.»
Tra
le nubi purpuree del tramonto, gli occhi di Tamaki sembravano voler
cercare lo stesso cielo di quella notte. Ancora
una volta, la città era pronta a cadere tra le stelle e a
trasformarsi, seppur non tra stelle di carta e fiamma, ma
d’argento
e ombre di lacrime.
«Ci
credo, tu e Mirio avete pure rischiato di bruciare i vostri
kimono…
o forse quello me lo ricordo solo io?»
«Purtroppo
no.»
Nejire
stentò a reprimere un sorriso fin troppo divertito e si
strinse
nelle braccia. L’altura su cui avevano visto nascere e morire
l’ultima Festa delle Lanterne era rimasta un luogo solamente
per
loro; un nido dove poter dimenticare il tempo e smettere ogni
apparenza.
«Proprio
qui hai chiesto ancora una notte, anche solamente una, di
serenità»,
mormorò lei, «ma perché aspettare che
ritorni il primo mese lunare
per poter realizzare il tuo desiderio? Possiamo anticiparla.»
Nulla è mai perfetto; ma
almeno ora lascia che niente ti preoccupi.
L’avevi chiesto così
tanto…
«Ma
almeno i kimono dovremmo aver⸺» Il ragazzo si interruppe
quando
vide la ragazza spalancare l’inseparabile borsa scolastica e
tra
libri e quaderni far comparire l’angolo di un kimono ⸺ una
nube
di blu e oro, luminosa come il volto della sua proprietaria.
«Le
lanterne ce le offrirà il cielo… ma a qualcosa
dovevamo pur
provvedere noi.»
«Anche
questo sarà destinato a rischiare una brutta fine?»
«Non
stanotte», fu la risposta, mentre Nejire si avvolgeva nel
gemello
dell’abito che aveva passato a Tamaki, «non
necessariamente, almeno.»
I necessari siamo io e te.
La
volta percorsa da onde lilla e stille di blu portò entrambi
a
stendersi completamente al suolo per meglio guardarne i giochi di
colore, e non ci volle molto prima che la ragazza appoggiasse la
testa contro la spalla dell’altro e sospirasse.
«Quanti desideri
esprimerai sotto queste
lanterne?»
Una
pausa che parve un grande sospiro, o l’ombra di un sorriso
pervaso
di quiete. «Forse è solamente uno quello che
esprimiamo, ma in modi
diversi.
Tutto
ciò che già abbiamo, ma vediamo spesso troppo
tardi; qualcosa che
non è poi così lontano da noi.»
Distante solamente un
battito? Lì io sono sempre…
… Lì
sei sempre anche
tu.
«Amajiki-kun…»
Un
solo sguardo per comprendere il momento, il coraggio e la gioia.
… Se
ora realizzo il
desiderio di baciarti, mi prometti di non svenire?
NOTE
[1] Informazione presa dalla pagina inglese della wikia su di lei.
[2] Questa leggenda è solamente una delle tante che circolano sulla festa.
[3] Ritornello di Fix You, dei Coldplay.