Devon's pov
« Così domani mattina lascerai New York?»
« Ebbene sì, fratellone. Ho parlato anche con la mamma e, in effetti, è giunta l'ora che levi le tende. » Mi abbraccia di slancio mettendosi in punta di piedi. È il momento che Clarissa faccia ritorno in Europa e che riprenda i propri studi.
« Puoi tornare ogni volta che vorrai qui, lo sai.» Annuisce e scioglie l'abbraccio per guardarmi.
«
Lo farò. Mi piace l'America e magari potrei avviare qualche
lavoro qui, dopo aver terminato il master. »
« Attenderemo con ansia quel momento, allora. » La
prendo in giro e lei risponde con una smorfia ma poi ride scuotendo la
testa.
« Basta con questi sentimentalismi, vado a fare un po' di shopping prima di tornare a Milano!» Mi fa l'occhiolino e prende la sua borsa. «Domani pretendo che tu mi accompagni all'aeroporto!»
«
Sarà fatto, ci vediamo stasera per cena.» Mi fa un
cenno d'assenzo ed esce dalla porta d'ingresso lasciandomi solo.
Devo ammettere che da un lato mi ero abituato ad averla in casa, mi ha
fatto tornare indietro nel tempo a quando eravamo bambini e vivevamo a
Londra con i nostri genitori. Che bei vecchi tempi. Ricordo ancora
quando si ruppe quasi una gamba cadendo dall'altalena per colpa mia e
che feci di tutto per farla smettere di piangere affinché
non andasse a frignare da mamma. È sempre stata la
più severa tra i due e non volevo di certo finire in
punizione! Alla fine la sua caviglia aveva solo una contusione e me la
sono cavata con una strigliata non troppo severa da parte dei miei.
Ora basta farsi travolgere dai vecchi ricordi d'infanzia
perché è il momento di salvare vite.
Stamattina ho il turno in ospedale ma per fortuna non in pronto
soccorso, salvo che non mi chiamino per qualche urgenza o consulenza,
in modo da essere allo studio privato all'ora di pranzo ed avere la
serata libera da passare con mia sorella.
Devo anche leggere la lettera perché ho promesso sia a
Richard sia a me stesso che lo avrei fatto a visite terminate e
così farò.
Mi faccio una doccia veloce e opto per comprare la colazione al bar del
Lennox essendo un po' in ritardo.
Indosso una camicia azzurra di lino e un paio di pantaloni neri e mi do
una sistemata ai capelli già ricresciuti. Meglio usare un
po' di gel stamattina...
Quando sono pronto, afferro la ventiquattrore e mi incammino in
direzione dell'ospedale. Oggi sarà una giornata produttiva,
me lo sento. Nonostante il ritardo accumulato a casa, riesco ad
arrivare piuttosto in orario e mi congratulo mentalmente con me stesso
salutando i vari colleghi che mi intralciano la strada.
Indosso finalmente il camice e sono pronto per iniziare il giro.
« Cosa abbiamo oggi? » Guardo i miei studenti che alzano la mano e scelgo Tom affinché mi illustri la situazione.
«
Il paziente è stato operato già parecchie volte
per sostituzioni di valvole cardiache che però non hanno
portato a nessun risultato. Stiamo aspettando un donatore per procedere
al trapianto. » Annuisco e rassicuro il paziente sulla
prognosi in caso arrivasse un cuore compatibile con il suo. Andiamo
avanti per tutti gli altri finché non concludiamo il giro di
visite. Per oggi non ho interventi programmati ciò significa
che resterò disponibile e reperibile fino al termine del mio
turno.
Approfitto di questa breve pausa per passare da Angie in laboratorio.
È parecchio che non vado a trovarla.
« Bellissima, come stai? » La scruto con lo sguardo mentre è alle prese con degli emocromi da fare.
« Dottore finalmente si fa vivo! » Alza lo sguardo dalle provette per guardarmi.
« Ebbene sì, sono sceso a posta per te, dovresti esserne onorata. » La prendo in giro osservando il via vai di tecnici in questo laboratorio. Non avevo mai notato quanto fosse affollato prima d'ora..
«
Lo sono, mi creda. Le serviva qualcosa? »
« Mi offendi Angie...» Ridacchia e poi si illumina
come se le fosse venuto in mente qualcosa di importante da dirmi.
« Poco fa è passata la sua amica, la signorina Davis, per ritirare le sue analisi. Mi è sembrato strano che le rifacesse...» Mi guarda come se avesse intuito che sono io il colpevole di questo.
« Benissimo, si è ricordata di venirle a prendere. Voglio constatare come sta procedendo la cura.» Mi giustifico ma non so perché lo stia facendo in realtà. Sono il suo medico e sono liberissimo di prescriverle tutte le analisi che ritengo necessario che faccia. Tanto la decisione finale sta comunque al paziente, più o meno.
« Ah certo capisco...» Mi sorride comprensiva e torna al suo lavoro.
Decido
di lasciarla proseguire in pace così la saluto e vado nel
mio studio. Mi siedo sulla poltrona e medito sulla
possibilità di confidare ad Ella tutto ciò che
è successo quella sera di un anno e mezzo fa. In fondo mi ha
già detto di sua madre e significa che si fida di me ed
è lo stesso da parte mia.
Chissà come potrebbe reagire... Ormai me lo domando da
qualche giorno e soprattutto da quando Richard mi ha consigliato di
parlargliene...
Sarebbe un vantaggio per tutti, comunque. Io ne approfitterei per
scacciare i miei demoni parlandone con lei ed Ella saprebbe finalmente
qualcosa in più su di me.
Non è una cattivissima idea dopotutto, ma credo che debba
compiere un passo alla volta e ciò consiste nel rileggere
prima la lettera da solo e poi discuterne con altri.
Questo è il piano, farò così!
Soddisfatto di questi ragionamenti, mi dedico ad alcune scartoffie
sperando che non mi interrompano per qualche urgenza in modo da poter
firmare tutte le cartelle entro poche ore. Ma le mie speranze sono vane
e neanche mezz'ora dopo, vengo chiamato per un'emergenza.
Un bambino necessita di un'operazione alla valvola mitrale che si
è danneggiata in seguito ad un'infezione virale che si
è estesa al pericardio. Cavolo che brutta situazione.
Per fortuna il piccolo Jeremy sembra molto sveglio e gli ho promesso
che dopo l'intervento avrà un bellissimo robot telecomandato
nuovo.
« Roxanne, ti va di assistermi? » Le chiedo mentre mi lavo le mani e mi sterilizzo prima di operare.
« Certo dottore! » Sorride entusiasta e si precipita sul lavabo tutta contenta. Mi ricorda me da studente. Anche io come lei cercavo di assistere a tutte le operazioni possibili per imparare a destreggiarmi da solo nelle varie situazioni.
« Bene, andiamo a salvare questo bambino. »
————————
L'operazione non dura moltissimo, e all'una in punto siamo fuori dalla sala operatoria con i genitori.
«
Signori, è andato tutto benissimo. Adesso lo portiamo in
sala risveglio e poi potrete vederlo.» Comunichiamo loro che
inaspettatamente ci abbracciano. È bello dare buone notizie
ai parenti preoccupati che spesso ci ringraziano affettuosamente.
È una bella sensazione.
Li lasciamo gioire per conto loro e ci allontaniamo dalla sala
d'aspetto.
« Controllalo per tutto il pomeriggio. Puoi alternarti con Jessica ma una di voi non deve mai lasciare quella stanza. Eseguite i controlli di routine appena si sveglia, io vado allo studio privato. Se ci sono problemi o avete dubbi, chiamatemi subito.»
«
Sarà fatto Dottor Reinfield. »
« Ottimo lavoro, comunque. » Mi complimento mentre
la dottoressa si scioglie come burro e ciò mi fa sorridere.
Torno nel mio studio per levarmi camice e divisa ed infilarmi i vestiti
per lasciare l'ospedale. Uscendo mi squilla il cellulare e leggendo il
display, scopro che si tratta di Richard.
«
Dimmi Rick. »
« Che freddezza... mi hai congelato il cuore! » Fa
il melodrammatico di nuovo.
« Ti serve qualcosa? Dai che sto andando allo studio e sono
in ritardo...»
« Bene, volevo chiederti se stasera puoi venire in hotel da
me...»
« Audrey ti ha dato buca? » Lo prendo in giro
mentre mi dirigo all'edificio nel quale si trova il mio studio.
« No, ci siamo visti stamattina. Ho bisogno di parlare con te
a proposito di una decisione da prendere..» Aggrotto le
sopracciglia. Che cosa sarà mai?
« Va bene, conta pure su di me. » Mi mordo le labbra un attimo dopo aver detto queste parole. Stavo quasi dimenticando l'ultima cena con Clarissa.
« Aspetta Rick... ho promesso a mia sorella che avrei cenato con lei stasera. Possiamo fare domani a pranzo o è una cosa urgente? »
« Possiamo rimandare, non darti pena. Finalmente ha deciso di tornare in Europa? » Mi domanda con una punta di sollievo nella voce. Neanche la stesse mantenendo lui.
« Sì, ci si è messa anche mia madre, immagina...» Non posso vederlo ma sono certo che abbia alzato gli occhi al cielo.
« Poverina, un po' mi fa pena... Senza offesa ma vostra madre sa essere davvero petulante se ci si mette. Non la invidio affatto. » In effetti è proprio così.
«
A chi lo dici. Bene, ora devo andare ci sentiamo. » Mentre
attacco, mi rendo conto di essere arrivato a destinazione. Varco la
soglia del palazzo salutando il custode che lo sorveglia.
Salgo frettolosamente le scale e mi precipito all'interno. Come sempre
Rose è già arrivata. È sempre in
anticipo, mi chiedo come faccia a precedermi ogni volta. Meno male che
ha una copia delle chiavi altrimenti si accamperebbe spesso fuori la
porta d'ingresso.
«
Salve dottore. Fa molto caldo oggi, vero? »
« Moltissimo. Accendiamo un po' il condizionatore, non vorrei
che i miei pazienti mi svenissero nella sala d'attesa. Già
sono malati, far soffrire loro anche il caldo mi sembra
eccessivo...» Annuisce e pigia subito il tasto d'accensione
sul telecomando apposito. Troppo efficiente.
« Perfetto. Quanti pazienti sono previsti per oggi? » Spero di cavarmela per ora di cena o Clarissa non mi perdonerà mai per averla abbandonata nell'ultima sua sera a New York.
« Poco più di dieci persone. Dovremmo farcela per le venti. » Le sorrido e faccio per andare nella mia stanza quando mi ricordo di non aver pranzato.
«
Puoi farmi portare il pranzo per favore? Il solito. »
« Subito Dottore. » Si mette al telefono mentre mi
rifugio all'interno del mio studio. Preparo tutto l'occorrente per le
visite e sistemo un po' la scrivania non potendo fare a meno di far
cadere l'occhio sulla lettera in bella vista. Non può di
certo restare qui davanti a tutti, sarà meglio riporla sotto
questi fogli così non la terrò davanti per tutta
la durata delle visite. La sua lettura dovrà aspettare
stasera.
Per fortuna il pranzo arriva subito in modo che possa mangiare prima
che i primi pazienti affollino la saletta d'attesa. Non mi piace farli
aspettare più del dovuto perché immagino l'ansia
e la preoccupazione che li assale quando vengono da me, soprattutto se
si aspettano brutte notizie.
« Rose sono pronto, possiamo iniziare. » L'assistente mi fa un cenno d'assenzo con il capo ed inizia il turno pomeridiano. Lo affronterò con la consapevolezza che alla fine della giornata dovrò confrontarmi con il mio passato e chiudere i conti. Stavolta lo farò, ci riuscirò e niente e nessuno potrà fermarmi, qualsiasi cosa accada.
Ella's pov
Ho
appena ritirato le analisi che ho fatto ieri mattina al Lennox.
Stavolta le ho aperte per dare un'occhiata e i valori rientrano nei
parametri quindi suppongo che la cura che sto facendo stia andando
bene, ma tanto lo scoprirò fra qualche ora con Devon.
Dopo aver riposto la cartella nella borsa, mi dirigo al bar in centro
per conoscere il famigerato ragazzo di Sebastian. Ormai stanno insieme
da un mese ed è giunta l'ora che me lo presenti,
così ha accettato di vederci tutti e tre al bar per
chiacchierare un po' prima che vada dal dottore.
Indosso una semplice canotta bianca con dei ricami all'altezza della
scollatura poco profonda e un paio di jeans chiari e dei sandali color
cuoio. Niente di esagerato, insomma, per evitare che Devon possa fare
qualche commento inappropriato e incolpare me e il mio abbigliamento.
Attraversando la strada che mi separa dal locale, seppellisco questi
pensieri e mi preparo a sorridere al mio amico che mi accoglie
calorosamente in un abbraccio.
« Bassuccio, ciao! » Gli sorrido staccandomi da lui che mi guarda storto. Lo so che odia questo soprannome ma mi diverte farlo arrabbiare.
« Ella.. questo è Louis. » Un ragazzo riccioluto con un'espressione imbarazzata sul viso si fa avanti porgendomi la mano affinché possa stringergliela. È alto quasi quanto Sebastian, ha gli occhi verde smeraldo ed un look molto raffinato. Sembra timido ma ha un sorriso sincero.
« È un grande piacere fare la tua conoscenza Ella..»
« Oh il piacere è mio! » Ci stringiamo le mani e poi ci accomodiamo ad uno dei tavolini al di fuori del bar. Ordiniamo qualcosa di fresco da bere ed io opto per il centrifugato di banana e fragola suggerito da Louis.
« Quindi lavori come giornalista? » Gli chiedo sorseggiando questa squisitezza alla frutta.
« Sì esatto! Per una rivista di moda... » Ovviamente.... Gli sorrido e noto che Bas continua a guardare l'orologio alle mie spalle. Di riflesso gli do un'occhiata e mi rendo conto che devo andarmene se voglio arrivare in orario all'appuntamento.
«
Bene, è stato bello conoscerti. Spero di rivederti presto.
Ora devo proprio andare..» Mi alzo dalla sedia e saluto
entrambi con due baci sulle guance.
Mi allontano dal locale e mi incammino a passo veloce verso la
metropolitana. Non ci impiegherò molto.
Prima di fare tutto ciò, mando un messaggio ad Audrey per
dirle che dobbiamo andare a fare la spesa per stasera o mangeremo il
nulla a cena. Mi risponde subito con un "okay" così ripongo
il telefono nella borsa e mi avvio.
Come previsto, arrivo dieci minuti in anticipo. Che record!
Avanzo nell'edificio e mi ritrovo nell'ingresso dello studio con Rose
che come sempre mi accoglie.
«
Salve Miss Davis. Si accomodi pure nella sala d'aspetto. » La
ringrazio e mi posiziono su una delle sedie libere. È la
prima volta dato che le precedenti visite si sono svolte oltre l'orario
e quindi non ho mai dovuto attendere. Beh posso disegnare nel
frattempo.
Apro la borsa per prendere il mio album, quando sento qualcuno
picchiettarmi la spalla.
« Ella ciao! Cosa ci fai qui? »
« Hanna, Daniel ciao! Niente di che, ho una visita di controllo, tutto qui. Vedo che voi avete accettato l'aiuto di Dev.. del Dottor Reinfield! Non ve ne pentirete. » Sorrido loro e ricambiano entusiasti. È strano esserci incontrati proprio qui!
« Sì, abbiamo deciso di rivolgerci ad uno specialista, siamo certi che possa aiutarci.» Risponde sempre lei mentre il marito annuisce concorde.
« Sicuramente. Avete fatto un'ottima scelta. È un medico molto scrupoloso. » Forse troppo nel mio caso. Si scambiano un'occhiata sospetta e mi sorridono soddisfatti.
« Tesoro vado un attimo al bagno, torno subito.» Hanna annuisce e osserva il marito andare via. Dal mio canto abbasso lo sguardo sulla borsa credendo che la conversazione sia terminata, ma la donna mi richiama.
«
Tu stai bene? » La guardo perplessa. Gliel'ho detto poco fa.
« Sì, è solo un controllo banale.
» Cerco anche di sorriderle.
« Non mi riferivo al tuo corpo. Sembri un po' giù
di morale. » La guardo incuriosita. Da cosa lo avrebbe
dedotto?
« Ma no... sto bene. » Mi guarda insistente. Non ha
bevuto la bugia. Sospiro e le accenno i miei pensieri.
« Sono solo molto confusa e forse anche un po' sola... ovvero, ho tanti amici ma credo mi manchi qualcosa. » Do voce ai miei sentimenti con Hanna che mi guarda comprensiva.
« Hai la bellezza, il talento e nonostante quella freddezza negli occhi tipica di chi ha perso tutto, sei una donna affascinante. Perché non dovrebbe volerti Devon o chiunque altro? » La guardo sbalordita. Come l'ha capito? È così evidente che me lo legge in faccia?
« Oh... wow. Avresti dovuto fare l'indovina...» Ridacchia e mi poggia una mano sul ginocchio coperto dai jeans.
«
Non si tratta di indovinare. Vi ho visti al negozio l'altro ieri e si
vede da come lo guardi che non è solo amicizia per te e
credo che anche tu sia molto importante per lui, più di
quanto voglia far credere. » Lo stupore mi scuote la colonna
vertebrale perché forse Hanna ha ragione.
Sto per risponderle quando Devon fa la sua comparsa e chiama Hanna e il
marito, che nel frattempo è tornato, per la visita.
« Fra poco sono anche da te. Sei la prossima. » Mi fa l'occhiolino ed io mi sciolgo sulla sedia annuendo leggermente alle sue parole.
Mentre
attendo pazientemente il mio turno, inizio a giocherellare con la
matita che stringo tra le dita, incapace di disegnare qualcosa di senso
compiuto. Non ho molta ispirazione al momento e la mia mente continua a
riportarmi alle parole della proprietaria del mio negozio preferito.
Ha capito tutto ciò che provo guardandomi una sola volta
negli occhi e osservando me e Devon interagire per massimo cinque
minuti tra gli scaffali e la cassa del suo locale. Chissà
lei come ha capito di essere innamorata di Daniel e soprattutto come
gliel'ha confessato.
Mordicchio la gomma della matita fin quando la porta dello studio non
si spalanca facendo uscire i signori Shelley dalla stanza. Sorridono
speranzosi, quindi immagino che Devon abbia dato loro buone notizie.
Grazie al cielo.
Li saluto con un cenno della mano e ripongo velocemente l'album nella
borsa.
« Vieni Ella tocca a te. » Mi invita nel suo rifugio così mi fiondo all'interno. Egli chiude la porta alle nostre spalle e mi sorride.
« Come stai? » Mi chiede come prima cosa facendomi poi cenno di accomodarmi. Fa lo stesso con la sua poltrona.
« Sto bene, grazie. Ecco le analisi che mi hai forzato a fare..» Sottolineo scherzosamente porgendogli la busta che afferra subito.
« Mi ringrazierai, sta tranquilla. » Mi sorride sghembo e fa per aprire la cartella. Il bussare alla porta, però, lo interrompe subito. È Rose che fa capolino all'interno.
«
Dottore c'è una chiamata per lei, può venire un
attimo? »
« Certo, dammi un secondo. » Si alza sistemandosi
il camice e fa il giro della scrivania. « Torno subito, non
scappare. » Scuoto la testa divertita e lo osservo uscire
dalla stanza.
Mi
alzo immediatamente essendo incapace di stare ferma ad aspettare. Odio
attendere, soprattutto dai medici, ma non importa oggi.
Do una sbirciata in giro allungandomi di tanto in tanto per capire cosa
tenga nel suo prezioso studio. Ci sono già stata varie volte
eppure non mi sono mai soffermata troppo ad ispezionare.
Non voglio frugare fra le sue cose, che sia chiaro, ma solo dare uno
sguardo generale.
Quando ritengo di aver finito, mi appoggio con la schiena alla
scrivania ricordando quei bellissimi ma fugaci momenti che ho vissuto
proprio qui. Sono così assorta che per errore urto una pila
di carte che cadono rovinosamente sul pavimento. Dannazione che
maldestra!
Mi chino e raccolgo tutti i fogli velocemente mettendoli dove stavano
prima. Prendo gli ultimi che credo stessero in cima, quando una busta
scivola nuovamente sul pavimento. Ma cos'è?
Non sembra un referto clinico. Mi abbasso e raccolgo la busta con su
scritto: "Per Cassie."
La calligrafia è di Devon! Ma cosa ci fa una lettera
personale nel suo studio medico? Sembra scritta da lui ma non ha molto
senso...
Senza rifletterci e rendendomi conto che non è sigillata, la
apro estraendone il contenuto. Mi martella il cuore nel petto
perché so di star commettendo un errore eppure non riesco a
fermare il mio corpo. Devo sapere cos'è e perciò,
senza volerlo davvero, inizio a leggere ciò che
c'è scritto:
Mia
amata Cassie,
non so perché ho sentito l'esigenza di scriverti
questa lettera che non avrai mai modo di leggere. Forse
perché una parte di me, quella più folle ed
irrazionale, spera che mettendo nero su bianco ciò che
provo, alla fine tu ti deciderai a rispondermi una volta per tutte.
Quello appena passato è stato l'anno peggiore della
mia vita. Avere te e la mamma lontane è il sacrificio
più grande che la vita mi ha imposto; tutti pensano che io
sia forte, che mi sia ripreso e che ricomincerò a vivere ora
che ho cambiato paese, ma solo tu sai quanto tutto ciò non
sia vero. Tu mi conosci meglio di chiunque altro, molto meglio di tua
madre stessa, perché tu, mia piccola principessa, sei la
parte più importante di me; il mio piccolo specchio in cui
potevo rimirarmi tutte le volte che tornavo a casa alla sera, esausto,
ma felice di stringerti a me dopo una lunga giornata. Tu sei la
metà del mio cuore, quel pezzo di anima che mi hanno
strappato via nel modo più brutale, con un sangue freddo che
non riuscirei a replicare neanche in cento dei miei interventi.
Tu sei tutto e niente. E mi rifiuto categoricamente di usare
il tempo verbale al passato, anche quando qualcuno osa correggermi.
Tu sei e sempre sarai vita con me e dentro di me,
perché io non mi sono rassegnato e mai ti lascerò
andare; preferirei morire per poterti riabbracciare, ma so che tu mi
rimprovereresti "perché non è così che
si fa, papà!". Non immagini nemmeno quanto mi manchi il
suono della tua voce, i pianti, le risate e i rimproveri squillanti
quando sbagliavo i nomi dei personaggi Disney durante i cartoni.
Oggi avresti compiuto sette anni e io sarei stato triste e
felice. Felice nel vederti crescere sotto ai miei occhi, ma triste
perché ad ogni compleanno ti saresti allontanata di
più da me, sfuggendomi di mano. Un pensiero insopportabile
sin dalla prima volta che ti ho stretta tra le braccia, appena nata, e
tu mi hai puntato i tuoi occhioni addosso.
Ora tutto ciò che mi resta sono delle fotografie
incapaci di replicare il tuo sguardo tanto speciale quanto luminoso e
non riesco ad impedire alle lacrime di bagnare questo foglio. Ma poi mi
ricordo che sarebbe impossibile per te leggere l'inchiostro sbavato e
mi trattengo, aggrappandomi alla speranza che tu sia ancora qui da
qualche parte, in qualche forma che solo la fede concepisce. Mi
trattengo dal buttare all'aria i mobili e farmi male, replicando il
dolore che mi squarcia il petto nei momenti in cui la consapevolezza
della tua assenza è forte e lo è ancora di
più quella del non ritorno.
Spero che tu potrai perdonarmi per non essere stato in grado
di proteggerti dai mali del mondo che ti ha ferita in così
tenera età.
Mi manchi e qualunque cosa accada voglio che tu sappia che ti
amo come non potrò mai amare nessun'altra donna per i giorni
che mi restano da vivere.
Buon compleanno, amore mio... sempre contando gli anni, i
giorni o le ore che ci separano ancora.
Il nostro prossimo abbraccio sarà eterno.
Papà.
Leggo
queste parole con il fiato sospeso. Ad ogni riga la consapevolezza di
ciò che gli è successo, si fa strada nella mia
testa che ora è sul punto di esplodere. Appoggio una mano
sulla scrivania per sorreggermi. Sono scioccata. La nausea mi assale,
le lacrime premono forte per uscire allo scoperto e inondarmi le
guance. Non ci credo, non può essere vero. Devon... Devon ha
perso sua figlia e con lei la madre, la sua.... Non riesco neanche ad
immaginare il dolore che abbia dovuto provare e ora è chiaro
il perché non voglia farsi più avvicinare da
nessuna donna.
Devon è ancora legato a loro e come potrebbe essere il
contrario? Mio dio, mi sento male..
Devo metterla al suo posto e subito. Faccio per piegarla ma la porta si
apre ed io quasi sussulto voltandomi solo a metà.
«
Ella stai bene?? » Devon mi guarda preoccupato. Probabilmente
ho una faccia cadaverica e sconvolta che lo fa avanzare nella mia
direzione.
I suoi occhi grigi si insinuano nei miei ma si posano velocemente sul
foglio che ho in mano, ed in un attimo, si infuocano di rabbia.
Si avvicina e me lo strappa di mano, quasi stracciandolo. Credo di non
averlo mai visto così arrabbiato, ma sono troppo inorridita
da tutto ciò che ho scoperto per reagire lucidamente.
« Dove l'hai trovata? » La sua voce è profonda ma strozzata allo stesso tempo e mi colpisce in pieno al petto. Esito, non so per quale motivo, temendo la sua reazione perché so di aver commesso un passo falso, anche se non di proposito e non so come rimediare senza farlo uscire fuori di testa.
«
Scusami... io non.. volevo, è caduta insieme a dei fogli sul
pavimento e.. »
« Non avevi il diritto di violare la mia privacy!»
Alza il tono della voce sventolandomi il foglio davanti agli occhi. Lo
guardo dispiaciuta non sapendo che altro dirgli. Vorrei tornare
indietro e non muovermi da quella sedia per nessuna ragione al mondo,
ma non si può fare purtroppo.
«
Lo so, hai ragione... mi dispiace tanto... per tutto... per
Cassie..»
« Non nominarla! » Mi urla contro ed io
indietreggio di qualche passo. Mi sento una creaturina che sta per
essere schiacciata dal gigante furioso.
Devon si passa una mano tra i capelli visibilmente angosciato e
innervosito. Posa la lettera sulla scrivania e fa avanti ed indietro un
paio di volte prima di tornare da me.
« Non avresti mai dovuto leggerla! Avrei dovuto dirti tutto io quando sarei stato pronto. Hai tradito la mia fiducia Ella e hai scoperto cose che non avresti dovuto sapere o almeno non in questo modo. »
« Ti ho detto che mi dispiace! Non volevo ferirti, mi è praticamente apparsa davanti! Lo sai che non farei mai niente che possa farti stare male. » Mi riprendo dal torpore che mi aveva praticamente paralizzata e reagisco. Deve sapere che non ne avevo intenzione e che deve smetterla di urlarmi addosso.
« Ti dispiace ma l'hai fatto! Come ti sentiresti se frugassi tra la tua roba e scoprissi di tua madre e di come è morta?! Ti farebbe piacere?» Mi fissa dritto negli occhi ma stavolta non distolgo lo sguardo, anzi, lo sorreggo al meglio assottigliandolo. Non sono esempi che si deve permettere di fare, non dopo ciò che gli ho confidato.
« Certo che no e poi non ho frugato da nessuna parte! Mi sono appoggiata alla scrivania e sono caduti dei fogli e con loro la lettera. Mi devi credere! »
« Sono stufo di queste storie, non avrei mai dovuto permetterti di arrivare fino a questo punto. Sappi che non voglio né la tua compassione né il tuo aiuto. Ancora non ci credo. Non dovevi permetterti...» E lo vedo. Vedo il panico che lo sta assalendo a causa della tragedia che ha dovuto superare. Non so come siano morte, ma è ovvio che questo lo abbia scosso nel profondo. È un sopravvissuto, proprio come me e si dà la colpa di quello che è successo. Lo capisco più di quanto non immagini.
«
Devon...ti capisco, so quanto sia difficile ma devi... » Mi
interrompe subito.
« Non capisci proprio niente, invece! Nessuno può
capire né tantomeno tu! »
« Tu non vuoi farti capire e sono io quella stufa!
» E mi allontano dalla stanza andandomene sbattendo la porta
alle mie spalle. Ho gli occhi di tutti i pazienti e Rose addosso ma non
mi interessa niente al momento.
Sono
arrabbiata e addolorata per tutta questa faccenda e soprattutto per
aver saputo tutto in questo modo. Non mi crede, non si fida
più di me perciò è inutile che resto
qui a farmi insultare. Scappo da quello studio e mi ritrovo sul
marciapiede che lo ospita prendendomi il viso tra le mani. Quanto
vorrei piangere adesso.
Muovo qualche passo per attraversare la strada ma sento la voce di
Devon alle mie spalle.
« Da te non me lo sarei mai aspettato. »
Mi
giro nella sua direzione per rispondergli ma commetto il secondo errore
della giornata, un errore che potrebbe essere ben più grave.
Succede tutto in un attimo che è difficile da metabolizzare.
Le orecchie mi fischiano e la vista si fa appannata in pochi secondi.
Non riesco più a sentire il mio corpo e la testa mi fa
malissimo. Ho la guancia premuta contro l'asfalto della strada e
percepisco delle voci confuse che si fanno sempre più vicine.
Vorrei urlare ma il cervello non mi ascolta né da segni di
vita. Il corpo sta cedendo senza il mio controllo ed in breve sprofondo
nell'oscurità che è pronta ad accogliermi.
È davvero la fine?
Angolo autrice:
Buon pomeriggio a tutti. Finalmente siamo giunti alla vera svolta di
questa storia dove vediamo rivelato, in parte, il segreto di Devon.
Cosa ne pensate del modo in cui la verità è
venuta a galla? Secondo voi cosa succederà nel prossimo
capitolo?
Ps:
Vorrei specificare un dettaglio importante. Come già vi
dissi all'inizio di questa storia, la creazione dei personaggi
principali sono una collaborazione nata da me ed altre persone. Tutti i
fatti narrati sono stati scritti da me tranne la bellissima lettera che
vi ho riportato che è opera della persona che ha ideato il
personaggio di Devon. Ovviamente mi ha permesso di usarla e ho deciso
di inserirla perché, a parer mio, è meravigliosa
e andava condivisa.
Alla prossima settimana.
Kisses <3