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Autore: My Pride    04/07/2009    11 recensioni
«C'è qualcosa. Qualcosa d'oscuro, in me, che non comprendo. Ma quando ci riuscirò, forse capirò anche perché mi hanno risparmiato, perché non ho fatto la stessa fine di molti che li hanno incontrati tempo addietro»
«Roy... ti supplico» riprovò Hughes, sentendo le lacrime minacciare di rigargli il volto.
«Non supplicarmi, Maes», disse sorridendo. «Non sono Dio»
[ Seguito de «Il bacio del vampiro» ]
[ INCOMPIUTA - Un giorno verrà aggiornata (forse) ]
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Maes Hughes, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire's Story ~ Il Bacio del Vampiro'
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Il figlio delle Tenebre_Act 7
ATTO SETTIMO. PIANI NON DETTI E SEGRETI TRA FRATELLI


Londra, 1612.

    «Roy! Ehi, Roy!»
    Erano appena le dieci del mattino. Per le strade della Capitale il chiacchiericcio allegro dei popolani riempiva il silenzio e il via vai di gente tra una bancarella e l'altra arrestava la corsa di un giovane ragazzo dai lunghi capelli biondi, legati in una coda alta, che cercava di farsi largo tra quella calca di persone.
Gli occhi, di uno strano colore dorato, non perdevano di vista la figura di un altro giovane che, tranquillo, continuava a passeggiare, non riuscendo ad udirlo a causa di quel baccano.
    «Roy! Fermati, maledizione!»
    Vedendo che non si fermava e che non lo ascoltava minimamente, imprecò fra i denti, scansando con un balzo un piccolo carretto con una ruota rotta che si era parato dinanzi a lui e dal quale erano cadute parecchie mele che si erano riversate sul terreno lastricato; con il fiato grosso, cominciò a correre più forte, e quando giunsero entrambi nella piazzetta centrale, quasi completamente sgombra, riuscì a raggiungere l'altro con un ultimo scatto in avanti, fermandosi davanti a lui e annaspando alla ricerca d'aria. Non era abituato a correre così tanto, e nessuno avrebbe potuto biasimarlo per questo, data la famiglia in cui era cresciuto.
    «Ti sto... chiamando da mezz'ora... stupido!» gli urlò contro, guardandolo imbronciato.
    L'altro ragazzo, dai lunghi capelli neri legati in un basso codino e con la frangetta tirata all'indietro in modo da tener scoperti gli occhi scuri, gli sorrise divertito, passandogli con non curanza un braccio dietro alle spalle.
«Scusate, Milord, non vi ho sentito», disse semplicemente, ma, vedendolo ancora imbronciato, si accigliò, allontanando il braccio. «Qualcosa non va?»
    Il biondino scosse la testa, facendo spallucce.
«Lo sai che detesto quando mi chiami Milord o Laird», fece, attorcigliandosi la fine della coda intorno ad un dito. «Te lo sto ripetendo da sei mesi che devi chiamarmi Edward».
    Roy abbozzò un sorrisetto.
«D'accordo... Edward», gli scompigliò amorevolmente i capelli. «Ma dato il titolo che detieni, anzi, che deterrai, dovresti comportarti in cotal modo».
    «Odio quel tipo di vita, nessuno può saperlo meglio di te».
    «Tuo padre ti striglierebbe, se ti sentisse», sghignazzò divertito. «E, in particolar modo, non vorrebbe tu ti trovassi qui».
    Edward guardò indifferente il lastricato ai suoi piedi.
«Non me ne frega niente di quel vecchio», borbottò, ricevendo dal moro un'ammonizione.
    «È pur sempre tuo padre, trattalo con più rispetto».
    «Aye, certo, certo», timidamente, poi, guardandosi attento intorno, si allungò verso il suo volto per baciargli castamente le labbra e poi allontanarsi, facendo ridacchiare l'altro.
    «Questo lo manderebbe letteralmente in bestia», gli fece notare. «Comunque, come mai qui a Londra? Pensavo fossi nei pressi di Sheerness, nella tua residenza estiva», si grattò distrattamente il collo. «Non avevi detto che seguivi lì le tue lezioni?»
    «Beh... in realtà, avrei dovuto essere in viaggio per Edimburgo»,sussurrò piano, abbassando lo sguardo come se se ne vergognasse, e l'espressione di Roy mutò radiclmente, divenendo preoccupata.
    «Edimburgo?!» chiese accorato. «Così lontano?»
    «Già... mio padre voleva raggiungere la sua tenuta per detenere il suo titolo di Laird».
    Una strana ansia si impadronì del petto di Roy nell'osservare con sguardo triste la lunga chioma bionda del ragazzo di fronte a sé.
«Quindi... non... ci vedremo più?» domandò in un bisbiglio flebile, come se non volesse fare i conti con la realtà. In fondo lo sapeva, l'aveva sempre saputo. Era il figlio del signore di una tenuta, non poteva restare in eterno lontano da casa. Già sei mesi erano troppi. Contemplò per minuti interminabili il capo chinato del biondino che, ad un certo punto, alzò di colpo la testa, guardandolo con quegli occhi dorati che brillavano agguerriti.
    «Non permetterò che mi separi da te», disse, più deciso che mai. «In fondo ha già deciso di intrattenersi più del dovuto», gli rivolse un sorriso così dolce e carico d'amore che parve come il sole caldo del mezzogiorno. «Riuscirò ad impormi e a restare qui con te. Sono nell'età che occorre per una moglie, posso benissimo iniziare a vivere la mia vita», fece qualche passo avanti per trovarsi ad una spanna dal petto del moro. «E la voglio vivere con te... non sei felice?»
    Ancora una volta il moro si rilassò, lanciando uno sguardo intorno e guardando poi il giovane così vicino a lui, accarezzandogli con dolce lentezza il volto.
«Felicissimo», sorrise a sua volta, spostandosi verso le labbra. «Ma ciò non toglie che dovresti essere a lezione», soggiunse per spezzare la tensione, provocando ad Edward una sonora risata.
    «Tu sei molto più interessante delle lezioni del professor Grumman!» esclamò, dandogli una pacca sulla spalla. «E poi, tu puoi insegnarmi cose che quel vecchietto non può insegnarmi...» Il sorriso malizioso che era andato ad incurvargli le labbra fece imbarazzare non poco il moro, che si grattò la testa, distogliendo lo sguardo.
    «La mia influenza ti fa davvero male. Eri molto più innocente, prima», bofonchiò, guardandolo di sottecchi. «Ancora fatico a credere che tu non conoscessi nulla, di queste cose. A diciott'anni la maggior parte dei ragazzi, qui, è già sposata».
    «Lo sai da che famiglia vengo. Ho passato gli anni chino sui libri, non ho mai avuto tempo per queste cose...» lo guardò, un po' rosso in viso. «...prima di incontrare te, ovvio».
    Il moro capì esattamente a cosa stava pensando il ragazzo, e sospirò, socchiudendo gli occhi.
«Edward. Mio padre qui tratta affari con il tuo, lo sai bene», disse a bassa voce «Loro credono ci frequentiamo come amici e...» si interruppe prima di continuare. «...e non posso farti provare quelle sensazioni. Non ancora», continuò mesto prima che potesse aggiungere altro, sebbene ne fosse più che tentato. «Noi non dovremo nemmeno stare insieme».
    «È per questo che non te l'ho mai chiesto», mormorò triste, abbassando lo sguardo. «Non voglio farti finire in prigione o condannare».
    «Però ti amo, Edward, ed è questo che conta».
    «È reciproco», replicò lui, provocando uno scoppio ilare al suo interlocutore. «E adesso che hai da ridere?» chiese, accigliato e imbronciato. «Io ti dico che provo lo stesso e tu ridi?»
    Roy sventolò una mano, trattenendo le risate.
«Quanto si vede che sei inesperto», sghignazzò. «Se ti dico Ti amo tu dovresti rispondermi Anch'io». Si coprì la bocca con una mano. «Non ho mai sentito un innamorato dire E' reciproco».
    Il biondino corrugò le sopracciglia sottili, offeso. Senza dire una parola, gli diede le spalle, percorrendo a grandi falcate la piazza, seguito dalle grida confuse del moro, e se lo ritrovò accanto subito dopo, dispiaciuto.
    «Dai, Edward, scherzavo», mormorò, scostandogli dal viso alcune ciocche di capelli che gli erano ricadute sugli occhi, cercando di stare al passo al contempo. «Non volevo prenderti in giro, dai».
    Il ragazzo si fermò di botto, guardandolo stizzito. «Ma lo hai fatto!» esclamò. «Lo sai che non ho mai avuto nessuno, che non conoscevo i baci e le carezze, prima di te!» Scosse con impeto la testa. «Non c'è bisogno di dirmi che sono inesperto, ne sono consapev-...!»
    Lo scorrere delle sue parole fu bloccato dalla bocca del moro premuta contro la sua. Sembrava bisognoso di un contatto più profondo, come non lo era mai stato. Quando sentì la lingua del moro tentare di farsi spazio nella sua bocca sussultò, separandosi da quel bacio, da quella novità, poggiandogli entrambe le mani sul petto per scostarlo un po' da sé. Sentì il moro deglutire, e lo guardò, rosso in volto.
    «Che stavi cercando di fare?» chiese nervoso. Cos'era quella strana voglia che sentiva crescere in lui? Perché si sentiva così? Come se volesse di più?
    Roy si portò una mano alla testa per ravvivarsi i capelli all'indietro, ma evitò accuratamente di incrociare il suo sguardo.
«Scusami, Edward», mormorò, con voce un po' roca. «Non sei abituato a... questo, perdonami». Si sentiva ancor più stupido ed imbarazzato del biondo, a dire quelle cose. In sei mesi che si frequentavano gli aveva sempre baciato a timbro le labbra, senza mai cercare di approfondire nulla, fra loro. Sapeva da che famiglia proveniva e in che società vivevano, arrischiarsi anche solo a farsi vedere in pubblico sarebbe stato considerato un atto d'indecenza. E se pensava al padre del ragazzo, poi...
    «Cosa volevi fare?» chiese ancora il giovane, distogliendolo dai suoi pensieri.
    «Volevo solo...» non sapeva bene cosa dire. «Beh, ecco, vedi... volevo solo un contatto più... intimo».
    «Ah...» Edward incurvò le labbra in un sorriso stiracchiato. «Questo non me l'avevi insegnato, però», disse, sebbene un po' di imbarazzo persistesse sul suo volto. «Quindi... rimediamo, vero?»
    Roy lo guardò un po' accigliato, ma poi sorrise a sua volta. Quel ragazzo era veramente incredibile, per lui. Gli prese le mani fra le sue, portandolo in un angolo ben nascosto in modo da non esser visti, accostando poi le labbra alle sue e poggiandoci sopra la punta della lingua. Quando il ragazzo gli diede il permesso, iniziò ad esplorare la sua bocca, con una passione che non aveva mai sentito, intrecciando le loro lingue in una danza che quasi sembrò una lotta per la rivalsa, finché l'ossigeno tra loro non cominciò a venir meno.
    Con un piccolo mugolio, il biondino si scansò, respirando a grandi boccate, con le guance in fiamme mentre cercava in tutti i modi di non guardare l'altro negli occhi. Ma proprio quest'ultimo, con un sorriso, gli ravvivò i capelli dietro alle orecchie prima di prendergli il mento fra pollice e indice, costringendolo a voltarsi verso di lui. Sorrise ancor di più quando gli vide le gote squisitamente imporporate di rosso.
    Edward distolse frenetico lo sguardo, poggiando le mani chiuse a pugno sulle ginocchia, corrugando appena le sopracciglia, ma anche sulle sue labbra era comparsa l'ombra di un sorriso.
«E' così allora che...» cominciò, lievemente imbarazzato. Si interruppe grattandosi con non curanza dietro al collo, voltando di poco la testa per incrociare gli occhi incuriositi del suo interlocutore. Titubante, gli si avvicinò maggiormente, poggiando la fronte contro il suo collo. «E' così che ci si bacia, vero?» chiese, flebile ma ben udibile, e l'altro si limitò a ridacchiare, scompigliandogli amorevolmente i capelli con una mano.
    Roy lo attirò maggiormente a sé, avvolgendogli le braccia intorno ai fianchi. Per un po' restarono in silenzio, o almeno finché Edward non alzò lo sguardo verso di lui, quasi cercasse con gli occhi di chiedergli qualcosa, ma non sapeva come chiederglielo. Fu lui stesso ad andare in suo aiuto, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Dè a tha thu ag iarraidh, Edward [1]?» gli chiese nella sua lingua, stupendolo non poco nonostante la pronuncia non propriamente perfetta. Riuscì però in quel modo ad alleviare il velo di imbarazzo e tensione che si era creato fra loro, e Edward lo guardò con un sopracciglio biondo appena sollevato, quasi fosse incuriosito.
    «Wow», fece, soffocando un'altra piccola risata. «Sei migliorato parecchio».
    Fiero di sé, il moro si batté una mano sul petto, indietreggiando di un passo per fare scena con un piccolo inchino.
«Beh, grazie», ribatté spassoso, a testa china. «Ma ancora non mi hai risposto», soggiunse, rialzando lo sguardo per incatenare le sue iridi d'onice a quelle ambrate del ragazzo.
    Con un piccolo sorriso ad incurvargli piacevolmente le labbra, Edward si avvicinò a lui a passo felpato, poggiandogli entrambe le mani sulle spalle prima di sporgersi verso di lui. Ad una spanna l'uno dall'altro, sfiorò appena l'orecchio dell'altro.
«Tha mi ag iarraidh pòige [2]», sussurrò sensuale, sentendo una sua risata. Si allontanarono di poco solo per fondere i loro respiri, baciandosi sempre con più crescente passione quasi senza volersi staccare, assaporando più volte ognuno il sapore dell'altro, separandosi e ritrovandosi, ridacchiando di tanto in tanto.
    Quel giorno, però, non potevano immaginare che tutto sarebbe presto cambiato.



    Il silenzio regnava fra i corridoi bui fiocamente illuminati dove lui vagava senza meta, come un fantasma in cerca di una pace che non riusciva a trovare.
    Era rimasto fuori tutta la notte per tener d'occhio il suo prezioso tesoro, avvolto solo in un leggero mantello nero che l'aveva perfettamente confuso con le tenebre che l'avevano circondato, rendendolo un'ombra tra le tante mentre ispezionava con non curanza i dintorni della cittadina e i loro abitanti addormentati nelle case. Non era purtroppo riuscito a scacciare la malinconia che in quegli ultimi giorni l'aveva colto per la mancanza del moro, e adesso si trovava a fronteggiare per l'ennesima volta la verità dei fatti: tempo due o tre notti, e poi avrebbero dato il via al loro folle piano. L'aveva sempre saputo, dopo tutto.
Era quella la sua vita. La sua inutile e fittizia esistenza.
    Si ritrovò nella stanza con l'atrio e la cupola, avvicinandosi alla grande vetrata del piano superiore del maniero, poggiandovi una mano sopra e gelando all'istante la finestra, dove si creò gradualmente un sottile strato di brina. Restò a fissarla vacuamente per pochissimo, spostando di tanto in tanto la mano e guardando le increspature che vi si creavano al passaggio, con un sorriso amaro ad incurvargli le labbra sottili; fece un passo indietro con un sospiro, inoltrandosi fra le ombre delle colonne per ripararsi dalla luce del sole che stava appena sorgendo debolmente all'orizzonte, osservandone le lingue di fuoco e i raggi che avrebbero riscaldato tutto il paesaggio e le creature diurne. Quando la luce troppo forte minacciò di colpirgli un braccio, indietreggiò ancora, scomparendo alla volta dei sotterranei, dove non sarebbe stato minacciato da nessuna luce se non quella di lanterne o candele. Non avrebbe potuto vagare indisturbato, quel giorno. Il sole era sorto e non era nascosto dalle nuvole, e lui era obbligato come il fratello a restare confinato nell'oscurità dei sotterranei.
    Mentre scendeva le scale tortuose per raggiungere le stanze anguste del sottosuolo, incrociò la figura di altri due vampiri e di suo padre che, senza degnarlo di uno sguardo a differenza dei servitori che lo guardarono referenziali, scomparve in direzione dell'ingresso, forse per uno dei suoi soliti giri a vuoto. Il giovane si limitò a sbuffare, continuando la sua strada fino a giungere nella camera improvvisata dove stanziava il fratello, diligentemente tenuto d'occhio da un altro vampiro. Più volte aveva provato a rituffarsi a capofitto nelle ombre del villaggio, nel tentativo di ricreare il caos che lui stesso aveva portato dieci anni prima. Quando entrò, si voltarono simultaneamente verso di lui, e il fratello sorrise, divertito e ironico.
    «Ti sei degnato di rientrare, mo bhràthair», disse con un sorriso sarcastico, accavallando disinvolto le lunghe gambe. «Nostro padre non la smetteva di fare domande, non sono ancora riuscito a riposare come si deve».
    Edward trasse un lungo sospiro, avvicinandosi a passi lenti verso di lui, sedendosi su una delle poltrone di pelle consunta lì presenti, con i gomiti abbandonati sulle cosce. Squadrò il fratello quasi con fare non curante, anche se la sua espressione ricordava vagamente una smorfia di dolore.
«Ho bisogno anch'io di qualche attimo d'intimità, Alphonse», gli disse, calmo e serio, vedendolo inarcare le sopracciglia.
    «Ah! Intimità!» ironizzò, portandosi una mano alla tempia. «Un vampiro che cerca intimità!»
    Lui gli lasciò continuare quella messa in scena, guardando di sottecchi la creatura dagli occhi ametista che, con un sorriso dipinto in volto, ascoltava i loro discorsi come se si stesse piacevolmente divertendo; si tenne il viso sul palmo della mano,
comodamente seduto sulla sedia con in volto un'espressione quasi annoiata, come se non gli importasse di niente e di nessuno. Cominciò distrattamente ad accarezzarsi i lunghi capelli sciolti che gli arrivavano ben oltre metà schiena, passandosi lentamente le dita affusolate fra le ciocche, senza badare ai borbottii che si stava lasciando sfuggire suo fratello Alphonse. «Envy», richiamò svogliato, utilizzando il suo pseudonimo. «Vieni qui».
    Ricevette uno sguardo d'ametista, quasi lontano e distante, ma quest'ultimo attraversò tranquillamente la grande sala dirigendosi a passo cadenzato verso uno dei suoi padroni, fermandosi a pochi passi da lui. Con un lieve spostamento della mano, il biondo gli fece cenno di avvicinarsi maggiormente, e gli poggiò una mano sul braccio, portandoselo vicino al viso e cominciando ad accarezzargli i muscoli sodi dell'avambraccio, ad occhi chiusi.
    «Sistemami i capelli», gli ordinò, rilassandosi sulla poltrona. «Voglio riposare, sono molto stanco».
    L'Invidia fece un piccolo passo indietro, chinando il capo come suo solito prima di dar vita ad un sorriso che avrebbe potuto significare qualunque cosa, facendo balenare fra le labbra la punta delle zanne. «Questa sua spossatezza ha come motivo il fatto che ha perso parecchio tempo a controllare il suo nuovo giocattolo, Signorino», mormorò con voce sobria e pacata, lisciandogli delicato ogni ciuffo di quei fili biondi che scorrevano morbidamente fra le sue pallide mani. Li pettinò con le dita, quasi languidamente, dividendoli in tre grosse ciocche per cominciare a creare la treccia, sotto lo sguardo attento quanto distaccato del vampiro più giovane. Stancatosi di osservarli, sbadigliò sonoramente e si rimise in piedi, sgranchendosi il collo.
    «Ti vedo troppo strano, mo bhràthair», disse, cominciando a camminare avanti e indietro per distendere anche le membra delle gambe. «Non hai mai perso un riposo per nulla».
    «Sto solo controllando ciò che è mio di diritto», fece di rimando Edward, assorto nei tocchi fuggevoli che l'Invidia gli stava donando quasi con passione. La sua voce aveva quasi assunto un tono minaccioso. Difatti intorno a loro, le ombre più scure presero sinistramente a danzare alla luce delle lanterne e delle candele, unica fonte di luce in quel mondo sotterraneo.
    Alphonse gli lanciò uno sguardo, concentrandosi per qualche attimo sul via vai di due vampiri che avevano portato loro da bere, e che si stavano affaccendando un po' in giro, prima di lasciarli nuovamente soli ai loro discorsi. Ritornò a guardare il fratello, con un sopracciglio sollevato.
«Quando usi quel tono sei terrificante», gli tenne presente, cercando di dimostrarsi sicuro, come se la cosa non lo sfiorasse.  Vide di sfuggita l'altro vampiro lasciarsi sfuggire una piccola risata mentre continuava il suo lavoro, prima di incrociare a vece del suo padrone il suo sguardo, che sembrava quasi distaccato.
    «Anche voi siete molto terrificante, signorino», replicò, sorridendo. «Suppongo sia una qualità acquisita con i secoli, nevvero?»
    La constatazione strappò al giovane una piacevole e sonora risata. Scrollò le spalle lasciandosi cadere seduto sul bordo del suo feretro scoperchiato, restando a contemplare con un vago sorriso i volti di entrambi, che si erano voltati a guardarlo. «Dovresti saperla bene, tale misera cosa», ribatté in tono spassoso, irradiando quasi calore. «Sei molto più antico di noi». soggiunse, distogliendo lo sguardo per spostarlo all'interno della bara. Allungò distratto una mano e prese ad accarezzare con non curanza l'imbottitura vellutata e setosa, leccandosi appena le labbra come se non attendesse altro che il momento di coricarsi.
    «Ha perfettamente ragione, signorino», rispose l'Invidia, con toni misurati ma comunque divertiti, mentre il sorriso si allargava pian piano sulle sue labbra. «Quasi cinque secoli di vita donano una certa conoscenza profonda, del mondo che ci circonda».
    «Smettetela di parlare, mi fa male la testa», si intromise Edward, con un mezzo sorriso stampato in volto, come se le sue stesse parole gli sembrassero divertenti.
    «Proprio tu non dovresti aver voce in capitolo», sghignazzò il fratello minore, osservando con la coda dell'occhio il vampiro completare la treccia e legarla con un sottile nastro nero. «Pochi giorni fa andavi a caccia con quel prete e ogni volta che tornavate ero io a dovervi sentire».
    «Se perdi tempo ad ascoltarci vuol dire che ti piace, Alphonse», soggiunse poi divertito, con quel falso sorriso bonario dipinto sulle labbra sottili. Il minore tacque e sgranò gli occhi, mentre dietro di lui l'altro vampiro si permise il lusso di una piccola risata, chinandosi verso di lui, quasi a sfiorargli l'orecchio con le labbra.
    «In verità è difficile non sentirvi», replicò con bislacco divertimento.
    Edward si voltò, gettando un'occhiata alle sue polle d'ametista. Allungò disinvolto un braccio per sfiorargli una guancia, allontanando così velocemente la mano da provocargli un piccolo taglio, dal quale subito deterse il sangue, leccandoselo via dalle dita quando l'avvicinò alla bocca. E tutto senza che il vampiro avesse fatto una piega.
«Allora convieni con me che Roy ha una gran bella voce, nevvero?» chiese, divertito quasi quanto lui.
    Il vampiro annuì piano, continuando a far scorrere le mani fra le lunghe ciocche bionde.
«Indubbiamente», lo assecondò, baciandogli poi le punte. «Ma la sua voce quando è in preda all'estasi è di gran lunga molto più eccitante, signorino».
    Dalle labbra di Edward scappò una risata squisita. «Puoi sentirla quanto vuoi, la mia voce», ribatté, lasciandosi sfuggire un gemito languido quando il vampiro gli sfiorò il collo con le zanne. «Ma non sarà mai esclusivamente per te».
    «Mi accontento di poterla ascoltare». Cominciò, sotto tacito consenso del suo padrone, a far danzare le dita sulla pelle ormai scoperta del collo, giocherellando con l'altra mano con la treccia ormai compiuta. E tutto sotto lo sguardo indifferente di Alphonse che, ancora seduto sul bordo del suo feretro, assisteva alla scena in silenzio, come se si aspettasse qualcosa. Catturò ben presto lo sguardo del fratello maggiore, che con un gesto svogliato della mano interruppe le carezze del suo servo, carezze che stavano diventando pian piano più audaci.
    «Lasciaci soli, Envy», disse subito, forse percependo qualcosa nell'aria.
    L'interpellato chinò il capo e indietreggiò verso la porta, sotto lo sguardo attento d'entrambe le creature, una di loro tamburellava distratta con le dita sul bordo del cataletto. Congedandosi, si richiuse la porta alle spalle, cosicché i due fratelli poterono squadrarsi. Ormai nell'aria aleggiava un lieve miasma di malinconia, ma allo stesso tempo denso come il fumo e la nebbia che si intrecciavano in striscioline che si agitavano poi come serpenti prima di dissolversi e creare una nuova danza. Si ritrovarono a guardarsi intensamente negli occhi, e il più giovane si limitò a grattarsi con non curanza il collo, guardando subito altrove.
    Ciò che aveva intravisto negli occhi del fratello non prometteva nulla di buono. Aveva quel sottile velo di terrificante mistero che gli aveva visto non più dieci anni addietro, e stava cominciando a temere che stesse pensando ad altro, in quel momento. Così, decise di concentrare la propria attenzione su altro, guardandosi con distratta consapevolezza la mano destra, prima il palmo, e poi il dorso.
«Sai, mi sono sempre chiesto cosa ci trovi di piacevole a portarti a letto uno del tuo stesso sesso», buttò lì, stringendosi appena nelle spalle. «Da quando c'è quel prete mi sembri quasi... umano».
    Il sorriso che andò ad incurvare le labbra del fratello maggiore gli raggelò il sangue nelle vene.
«Lo considero un complimento, Alphonse», disse mesto, ma alquanto divertito da quella semplice constatazione. «Io mi sento solo e unicamente un mostro».  Il tono della sua voce cambiò radicalmente, divenendo ovattata.  Quasi nostalgica, si sarebbe potuto aggiungere. «Quando sto con lui, il bisogno di sesso e il bisogno di sangue raggiungono una linea di separazione fin troppo sottile», confessò, voltando la testa per osservare le candele accese su uno dei tavolini. Poco dopo, entrarono ancora una volta due vampiri, reggendo fra le mani due tazze. Ne posarono una sul tavolino accanto alla bara del vampiro minore, l'altra invece la porsero referenziali al maggiore, congedandosi con un piccolo inchino.
    Alphonse guardò di sbieco la tazzina e ciò che conteneva, allungandosi poi per prenderla e bere giusto un sorso, storcendo la bocca. La posò immediatamente, sorridendo sarcastico verso l'altro, squadrandolo dall'alto in basso.
«Och, è sempre un piacere sapere certe cose sulla tua cosiddetta vita sessuale», constatò ironico, con un piccolo sbadiglio. «Tu, almeno, qualcuno con cui ti diverti ce l'hai, io l'ho prosciugato quasi la settimana scorsa».
    Incredibilmente, e anche con suo immenso stupore, il vampiro biondo scoppiò in una sonora risata, che vibrò contro le pareti di pietra, rimbombando sinistramente.
«Vedrai, una volta attuato il mio piano sarà tutto finito... tutto», sussurrò spietato, sorridendo con soddisfazione. «Sia la follia di nostro padre, che quella di quei cacciatori».
    «Non vorrai sul serio rivoltare il suo esercito contro di lui, vero, mo bhràthair?» cominciò allarmato, prima di deglutire e ritornare, come ogni qual volta che era nervoso, alla sua lingua. «Chan eil e gòrach, ar n-athair, e-fhèin tuig ro mhath [3]...» Il suo tono stridulo riuscì solo a far ridere Edward ancora di più, tanto che si portò un dito alle labbra per imporgli silenzio, impedendogli di continuare. Le fiamme delle candele tremolarono e si innalzarono stagliandosi contro il soffitto, mentre quelle delle lanterne si spensero del tutto, lasciando solo il penetrante odore dell'olio bruciato.
    Edward restò a guardare il volto sconcertato del fratello per attimi che parvero interminabili, prima che si alzasse in piedi e si dirigesse a passo sicuro verso la porta per lasciarsi a sua volta sprofondare nel riposo diurno. Poggiò una mano contro lo stipite, voltandosi appena, sorridente.
«Ricorda... è un segreto».


ATTO SETTIMO. FINE





[1] Cosa vuoi, Edward? [ Gaelico scozzese ]
[2] Voglio un bacio [ Gaelico scozzese ]
[3] Nostro padre non è stupido, lui stesso sa bene... [ Gaelico scozzese ]




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