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Autore: tixit    18/05/2018    0 recensioni
April Kepner ha avuto un incidente e si sveglia nel letto di un ospedale. Qualcuno è accanto a lei. Storia breve su un finale possibile e sicuramente alternativo per la stagione 14
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: April Kepner
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Primo giorno

April si svegliò in un letto di ospedale. La stanza le sembrava familiare eppure non lo era, lo stesso per l'odore nell'aria, un misto di detersivi ed umanità, e per il suo corpo.
Le faceva male.
Ma in un modo lontano ed ovattato.

Le era già successo, registrò, non era nulla che non potesse gestire.
Con la punta delle dita sfiorò le mani del Dottor Hunt - "Sei tornato a prendermi, quindi..." mormorò con la gola che le faceva male.

L'uomo annuì. "Hai avuto un incidente."

"Danni permanenti?" si sentiva serena nel dirlo, Dio non le avrebbe mai dato niente che lei non potesse sopportare. Vide Owen rabbrividire - stava pensando a quello che avrebbe potuto essere e fortunatamente non era stato. Quindi non era stato, pensò con sollievo.

"Nessuno." lui fece un sorriso timido, "Non sei grave. E' che non volevo lasciarti sola."

Le strinse la mano e lei chiuse gli occhi e sorrise.

"Se te lo stai chiedendo non l'abbiamo detto a Jackson. Sei stata registrata come Jane Doe. Probabilmente lo scoprirà, ma tra qualche giorno."

"Perché?"

L'uomo si passo una mano sul volto a disagio, "Sono divorziato anche io," disse "e non so se in una circostanza... se ci fosse un'ultima persona da salutare, una sola, non so sarebbe giusto che fosse Amelia. Mia madre, mia sorella... loro, invece... mi sembrerebbe più... giusto. Verso di loro."

Lei annuì in modo quasi impercettibile, capiva. Genitori, figli, fratelli, sorelle, sono legami che non scegli e che non puoi spezzare, persone che si amano nonostante non siano, forse, quelle che avresti scelto e persone che ti amano nonostante tu non sia ciò che, forse, avrebbero voluto.

"Ma non stai morendo eh" aggiunse Owen in fretta con aria preoccupata e April si trattenne dal ridere. "Comunque stanno arrivando."

April gli strinse la mano, giusto una pressione delle dita, di più non le riusciva.

"Lo stesso se mi servisse qualcuno per aiutarmi a stare bene. Egoisticamente, intendo... non so," sospirò, "non so se vorrei Amelia accanto a me. E' una donna in gamba, ma è complicata, ha bisogno di attenzione ma anche di non esser giudicata, di compagnia ma anche di spazio, tanto spazio, e di sesso, ma non di amore, però vuole abnegazione e disponibilità, tutte cose che fanno parte di una relazione, ma senza la relazione..."

April si mosse a disagio. Ripensò al suo matrimonio, al tempo che aveva preso per sé, in Siria, e come avrebbe voluto ricostruire tutto una volta tornata.
Una volta in un museo aveva visto dei pezzi provenienti del Giappone e qualcuno le aveva spiegato che quando un vaso, un oggetto considerato prezioso, si rompeva, nell'antichità, l'uso era ripararlo inserendo dell'oro - non si nega il danno, lo si ripara ed è prezioso perché ci ricorda che siamo umani, che le cose possono capitare, che le cose belle si possono rompere, ma si possono anche riparare.

"Non che io mi lamenti ma alla fine non resta lo spazio per me. Non ne occupo tanto, non ho un ego così grosso, però, se dovessi avere bisogno per una volta di sentirmi al centro... non sarebbe lei." April annuì e lui le sorrise "Lo stesso per te, l'ho notato in questi anni, ti impegni molto in quello che fai e la gente lo prende per scontato."

"Un talento minore."

"Un talento diverso, dove non c'è spazio per essere delle star. Nessuno di quelli che fa il nostro lavoro vincerà un premio per un intervento avveniristico, che richiede mesi di ideazione, pianificazione, test, con un paziente che ha solo quel problema e che viene preparato perché si presenti al dunque al massimo delle sue condizioni fisiche, pronto per il peggio." 

"Lo so."

"Noi ci limitiamo a non farli morire, se si può. Una cosa semplice." le strizzò l'occhio divertito e lei sorrise, "Per cui non credo che Amelia, che ha bisogno di questo aspetto... di sentirsi "speciale" anche nel lavoro, e che ha bisogno che i suoi pazienti non muoiano mai, non so se lei sarebbe giusta per me, se stessi male. Se avessi bisogno di essere al primo posto, intendo, di prendere senza dare niente. E non credo lo sarebbe Jackson per te."

"Nella buona e nella cattiva sorte, in salute in malattia..." recitò April a voce bassa, sentendo un peso proprio intorno al cuore.

"Appunto, quando si arriva al divorzio non è detto che manchi la stima, o l'affetto o..." l'uomo arrossì in imbarazzo, "una buona intesa fisica. Ma manca l'impegno, il desiderio di esserci anche quando bisogna fare un passo indietro e mettere l'altro al primo posto. Il tenere duro quando serve. Non è altruismo, non è bontà, è la scelta nella cattiva sorte, nella malattia... accettare che a volte non si può e non si deve essere il numero uno. Non è una cosa per tutti. Come il nostro lavoro, in fondo." 

"E' andata." sussurrò la ragazza, "è andato, so che vede un'altra... non sarebbe... giusto... che stesse qui." poi chiuse gli occhi perché quel discorso così breve le aveva risucchiato ogni energia.

Lui le sorrise e le accarezzò la mano. 

Rimase lì fino a che non la vide riaddormentarsi.
   
 
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