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Autore: Arwen297    19/05/2018    2 recensioni
[ SEGUITO DI "IL VENTO DELLA LIBERTA']
Presente la coppia Seiya x Michiru
Sono passati 13 lunghi anni da quando Haruka è partita per gli USA nel tentativo di salvare la famiglia dalla rabbia della famiglia Kaioh, la sua carriera ha preso il volo e ormai è famosa nell'ambito delle corse. Il suo rientro in territorio nipponico per la laurea della sorella Usagi le donerà un incontro sperato per tutto il tempo passato lontana da casa.
Michiru ha una carriera ormai solida a fianco di suo marito, Seiya, con il quale si esibisce in concerti di musica moderna senza abbandonare le sue composizioni classiche.
Le due si troveranno a fare i conti con il loro passato e i loro sentimenti più forti e prorompenti che mai, entrambe ne usciranno cambiate e segnate e anche per Seiya non si prospetta nulla di buono, entrambe dovranno lottare per trovare la loro felicità.
Genere: Erotico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Mamoru/Marzio, Michiru/Milena, Seiya, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Note dell'autrice: Dopo mesi e mesi ecco il nuovo capitolo, spero che risulti quanto meno decente e accettabile. Sono riuscita a finirlo con dei tempi biblici ma eccolo qui. Buona lettura :)


Capitolo 10: Speranza

Il violino si interruppe improvvisamente, seguito poco dopo dal pianoforte. Il silenzio dell’aula delle prove era stato cancellato dallo squillo di un cellulare che Michiru conosceva molto bene.

«Usagi, perdonami, ma devo almeno controllare chi mi sta chiamando». Esclamò muovendosi verso la cattedra senza aspettare una risposta dall’altra. Aveva lasciato il cellulare sulla superficie in legno non appena aveva visto comparire la biondina sull’uscio della porta per poi dimenticarne completamente l’esistenza una volta iniziate le prove.

Il nome del primario del reparto dove era ricoverata Nari risplendeva chiaro sullo schermo.

Il suo cuore perse un battito, colmo di preoccupazione.

«Pronto». Mormorò, con un tono di voce che non era certamente il suo, pronta a essere messa di fronte al peggiore dei quadri che potesse immaginare.

«Buongiorno, parlo con Kaioh Michiru?». La voce familiare del dottore arrivò alle sue orecchie.

«Si dottore, mi dica». Rispose, volgendo uno sguardo veloce verso Usagi intenta a fissare fuori da una delle finestre.

«La chiamo per informarla che stamattina ci hanno contattati da un altro ospedale, un donatore è risultato compatibile con la bambina, servirebbero le firme sui fogli per avviare le procedure e vorrei parlarle per spiegarle il percorso che avrà davanti sua figlia da questo momento in poi». E la donna, poté giurare di sentire una nota di felicità nella voce del primario nel darle quella notizia.

Le sue orecchie impiegarono qualche istante per percepire il reale significato di ciò che l’uomo le stava dicendo al di là della cornetta.

«Pronto? Mi sente?». La voce maschile incalzò scuotendola dall’corto circuito celebrale che aveva in corso in quel momento.

«Si dottore, mi scusi, non mi aspettavo una notizia del genere. Vengo subito in ospedale». Mormorò, avrebbe dovuto trovare il tempo, successivamente di recuperare le tre ore di prove che stavano per essere dimenticate.

Avrebbe dovuto cercare anche di rintracciare Seiya, visto che era pur sempre il padre della bambina, ammesso che ci riuscisse. Il bruno era tornato già al lavoro per organizzare un concerto di mezza estate, con ogni probabilità il cellulare sarebbe stato spento come sempre.

«Usagi, perdonami, ma devo correre immediatamente in ospedale». Si rivolse alla ragazza più giovane. «Troveremo modo di recuperare le ore perse oggi nei prossimi giorni, magari facendo mattino e pomeriggio».

«Va bene, nessun problema». Rispose quella, alzandosi dal piano per poi chiudere gli spartiti e dirigersi verso la giacca, avere qualche ora di tempo in più da dedicare alla tesi non le dispiaceva affatto. «Va tutto bene?».

«Si tutto bene, ho solo urgenza di passare in clinica il prima possibile». Tagliò corto l’altra, facendole segno con lo sguardo di seguirla fuori dall’aula. «Hai bisogno di un passaggio verso il centro, Usagi?». Chiese mentre percorrevano il corridoio.

«Se hai possibilità lo accetto molto volentieri». L’idea di fare meno strada possibile con i mezzi pubblici era più che allettante, specie quando ero ore molto calde come in quel momento.

«Aspettami pure nell’ingresso, appoggio alcune cose in aula insegnanti e ti raggiungo subito». Le disse aprendo la porta della stanza appena nominata.

Non appena si fu chiusa le porte alle spalle, provò senza troppa convinzione a telefonare a Seiya, sapendo già che avrebbe trovato la segreteria telefonica. Le sue aspettative dopo qualche istante non furono deluse.

Nella sua mente si fece sempre più nitido il bisogno di prendersi una pausa da quel rapporto che si stava letteralmente sgretolando.

Sospirò sonoramente prima di appoggiare alcuni fogli nel cassetto che le era stato assegnato. Poi si sbrigò a raggiungere la biondina che l’attendeva fuori.


 

«Michiru?». La metà del tragitto era trascorsa quasi totalmente in silenzio, Usagi non sapeva come affrontare il discorso dato il grosso imbarazzo nel prendere in mano la questione. In fin dei conti, erano quasi totalmente estranee al di là della preparazione del saggio di musica.

«Si dimmi». Schiacciò il pedale del freno, il rosso era scattato all’ultimo e per fortuna lei aveva sempre riflessi molto pronti alla guida: prendere una multa in quel momento non era un suo obiettivo.

«Posso farti una domanda? Si, lo so, dovrei farmi gli affari miei, però…». Mormorò a bassa voce, le guance le si colorarono di rosso.

«Su falla, senza problemi». La violinista aveva già intuito dove l’altra volesse portare il discorso e, per quanto non tollerasse invasioni nella sua vita privata, non la disturbava il fatto che l’altra le chiedesse. In fin dei conti era pur sempre la sorella della donna per cui aveva perso la testa anni prima e, ancora, di recente.

«Ma tu e mia sorella…si insomma». Si bloccò di nuovo senza avere le idee chiare su come esporre la domanda, una parte di se stessa che sperava potesse essere ugualmente capita dalla sua interlocutrice.

Sorrise. «Si se vuoi sapere se c’è qualcosa tra te e tua sorella, hai ragione. Ma ti pregherei di mantenere il massimo riservo su questa cosa e di non raccontarla a nessuno, nemmeno a tua madre. La situazione è delicata e prima di dirlo al pubblico devo risolvere alcune questioni personali». Le rispose tranquillamente.

«Ma questa volta è vero? Non la stai prendendo in giro?». Chiese ancora, timorosa che l’altra potesse rispondere in malo modo per questa nemmeno tanto velata insinuazione.

«Io non ho mai preso in giro Haruka, se è questo che vuoi sapere, quello che è stato in passato da parte mia è sempre stato sincero. Ma avevo sedici anni e dei genitori troppo ingombranti alle spalle. Ma non ho mai pensato di prenderla in giro, ero solo troppo giovane e incapace di oppormi al volere di coloro che mi hanno dato una vita per trasformarla in un inferno». Il suo tono si fece più duro nel concludere la frase.

«Perdonami, non volevo toccare argomenti che ti fanno male». Si affrettò a dire l’altra, percependo il tono diverso.

«Non è un problema, non potevi saperlo, ai media non è arrivato niente di tutto questo. Sono stati molto attenti a non far trapelare nulla che andasse oltre a un ritiro dalle scene di qualche anno per problemi personali». Schiacciò il piede sull’acceleratore.

«Capisco, ho sempre immaginato come poteva essere la tua vita sai? Da piccola eri il mio idolo. Lo sei ancora, sei sempre stata un esempio e ho sempre desiderato avere una vita simile alla tua… così perfetta oserei dire». Sorrise con gli occhi azzurri fissi sulla strada.

«Usagi, la mia vita è stata tutto fuorché perfetta, credimi per quanto tu possa aver sofferto almeno sei sempre stata libera da costrizioni e oneri di ogni genere». Sorrise a sua volta, accostando a lato della strada. «Ti dico che, tra la mia vita e la tua, è migliore senz’altro la tua. Anche se so quanto abbiate tutti sofferto».

«Si immagino, forse sono stata ingenua a pensare che per te è sempre stato tutto bellissimo, ma sai il successo...i soldi...». Mormorò sottovoce quasi intimidita.

«Usagi…Usagi… i soldi e il successo non sono le cose più importanti. Puoi avere un conto in banca milionario, ma se non ci sono affetto e sentimenti, si creano ferite che non si rimarginano». Disse ancora, senza tradire alcuna apparente emozione. «Ti va bene scendere qui?».

«Si va benissimo! Mi hai tolto un bel pezzo, grazie del passaggio. A domani allora». Si risvegliò improvvisamente, ritrovando il tono allegro e giocoso che la contraddistingueva, celando in realtà la tristezza che le parole di Michiru le avevano comunicato. Sarebbe andata a casa per portare avanti la tesi, più tardi aveva intenzione di passare a casa della sorella e magari portarle la cena per cenare insieme. Era da tempo che non trovavano più tempo per cose simili. «A domani!».

Aprì lo sportello e se lo chiuse immediatamente alle spalle salutando la musicista con la mano.

Lei si limitò a farle un lieve cenno sorridente prima di inserire la freccia e rimettersi nella circolazione cittadina.

 

***

 

Erano ormai anni che non girava più nella zona periferica della città, aveva smesso di frequentare quelle zone nel momento in cui si era trasferita negli USA e aveva posto fine alle corse clandestine che di frequente si svolgevano in quelle strade poco utilizzate anche di giorno. A quei tempi era un idolo per i ragazzini di quelle parti e a lei non era mai dispiaciuta tanta notorietà. Anzi, era una delle cose che aveva sempre amato del correre in moto sebbene ora che i livelli erano parecchio più alti era piuttosto difficile da gestire.

Aveva già preso contatti telefonici con chi sapeva poteva aiutarla ad avere i documenti falsi per Michiru, era una vecchia conoscenza di tanti anni prima; una sorta di anello utile di congiunzione con giri ben più pericolosi da cui si era tenuta fuori per sua scelta.

Quel quartiere era esattamente come lo ricordava, case di stampo contadino, ben lontane da quelle che potevano essere ammirate nel centro di Kyoto.

Bussò qualche colpo alla porta in legno verniciato di recente che aveva davanti, gli occhi che le caddero sull’orologio confermandole che, come sempre, era stata puntualissima.

Alle sue orecchie arrivarono dei passi veloci e affrettati. Poco più tardi un uomo sui trentacinque comparve sull’uscio.

I lineamenti erano esattamente quelli che ricordava: spigolosi e duri, gli occhi neri profondi come in passato. I suoi occhi si posarono sulla corporatura robusta che contraddistingueva l'altro.

«Haruka! Vecchia canaglia». Esclamò con tono gioviale, dandole una pacca sulla spalla destra. «Cosa ti riporta da queste parti? Pensavo che ormai non erano più di tuo interesse». Si mise di lato sulla porta di casa per permettere alla sua ospite di entrare. «Prego, meglio fare certi discorsi in sede privata». Le fece l’occhiolino.

La bionda si limitò a seguirlo, anche l’appartamento era come ricordava, non era cambiato nulla, se non il fatto che era ben evidente la presenza di una donna dai piccoli dettagli che poteva cogliere in giro, l’uomo doveva essersi dunque trovato una donna. I discorsi fatti in gioventù, sul non volerne una erano svaniti nel nulla. Sorrise al pensiero.

«Bussho, come ti dicevo per telefono ho bisogno di un favore, questione delicata». Accennò brevemente lei, prima di sedersi sul divano e sbottonare la giacca in pelle nera che indossava quel giorno. I ray-ban sollevati sui capelli.

«Se non ricordo male, tu la birra non la disprezzi affatto e io dovrei averne due bottiglie in frigo, gradisci?». Rispose lui. «Non c’è niente di meglio di una bottiglia di birra per parlare».

Lo vide scomparire verso quella che doveva essere la cucina, tutto sommato aveva ragione e poi..lei la birra la amava! Non sapeva ancora se poteva farle il lavoro che stava per chiedergli. Anni indietro era sicura avesse conoscenze di questo tipo, ma allo stato attuale non era a conoscenza di niente.

Vide ricomparire l’uomo pochi minuti più tardi, le bottiglie in una mano e l’apri bottiglie nell’altra. Prese quella che le fu offerta, dalla bottiglia intuiva che fosse fredda al punto giusto, una gioia da far scorrere nel suo stomaco.

 

«Dunque, di cosa hai bisogno?». Le disse Bussho, dopo aver bevuto il primo sorso del liquido.

«Una mia amica ha bisogno di documenti falsi». Rispose. «Che siano ben fatti perché devono passare sotto il controllo di una banca per un conto». Era una spiegazione accettabile senza aver detto troppo, in fin dei conti.

«E questa tua amica sa che». Lui si interruppe un attimo e fece il gesto dei soldi con la mano sinistra. «Costa?».

«Si non ha problemi di denaro, per fortuna si può permettere tante cose e questa è tra ciò che si può permettere». Tagliò corto. «Basta che il lavoro sia fatto bene, la spesa per lei è irrilevante». Mormorò di risposta, senza interrompere il contatto visivo con l’amico.

«Bene, se è così direi che in due settimane potrebbero essere già pronti, ma serve una foto della tua amica, magari dille di indossare una parrucca che sia il più realistica possibile per la foto tessera, per il resto ci penso io. So bene a chi rivolgermi per favori di questo tipo. Mi faccio sentire io quando è tutto pronto, lei tenga pronte le foto». Quel genere di lavori erano proprio quelli che preferiva. Con gli agganci che aveva era fin troppo facile creare un’identità da zero curandola nei minimi dettagli. «Parliamo di cose più piacevoli, donne?».

«Le donne non mi mancano Bussho, come sempre ho il mio giro e direi che sono tutte molto soddisfatte di condividere una notte con me. Te piuttosto? Ho notato dettagli piuttosto femminili in casa, non mi sembrano proprio il tuo stile». Inquisì senza nascondere un sorriso beffardo, perché la risposta le era ben chiara.

«Cosa devo dirti Tenoh, alla fine ci sono cascato anche io, mi ha catturato anche se non volevo storie serie». Il tono utilizzato era al limite tra l’incredulità e l’esasperazione.

Haruka scoppiò a ridere a quella risposta. «Non mi sembri molto felice a giudicare dal tono che hai usato».

«No! Sono felice non fraintendere credo che una donna in questo appartamento era necessaria, solo che a volte è una rompicoglioni cosmica. Non potrei mai stare senza di lei, anche perché con il caratteraccio che ho chi mi sopporta?». Rispose lui prima di tirare un lungo sorso alla bottiglia.

«Viva la sincerità insomma». Fu il solo commento che riuscì a esprimere. Mentre improvvisamente il pensiero volava verso Michiru, chissà come stava. Il suo sesto senso le diceva che era successo qualcosa. Si innervosì di colpo al pensiero, sarebbe stato meglio andare a casa, decisamente. «Ora scusami ma è meglio che io vada a casa, mi rintracci tu quando è tutto pronto? Io intanto dico alla mia amica di farsi una foto come hai chiesto».

«Si va bene, ti rintraccio io quando serve che tu mi dia la foto della tua amica». Si alzò seguito dalla bionda per dirigersi verso l’ingresso. «Visto che sei a Kyoto in questi mesi, passa più spesso a trovarmi».

«Se posso volentieri, ma sono sempre piena di impegni per una cosa o per l’altra». Gli fece l’occhiolino. «A presto».

Si congedò velocemente da quella casa, a passo svelto raggiunse la moto che aveva lasciato accostata al marciapiede, quel giorno non indossava la tuta per sua scelta, non era in vena di sudare per il troppo caldo. Si mise il casco e mise in moto il mezzo, voleva arrivare a casa il prima possibile.

 

***

 

«Kaioh?». La voce della dottoressa Mizuno irruppe nel silenzio del corridoio, era arrivata da poco a destinazione, aveva rischiato sicuramente di prendere qualche multa ma la prospettiva di un trapianto che poteva salvare la vita a sua figlia era più importante di qualsiasi altra cosa.

Durante il tragitto aveva anche provato a chiamare suo marito, nella speranza lui accendesse il cellulare in qualche pausa del lavoro, ma non aveva ottenuto risultati. Come al solito lui era introvabile anche per le cose serie come quella. Sperava che solo la sua firma fosse più che sufficiente, se mai ci sarebbe stato bisogno di firmare.

«Si dottoressa». Mormorò cercando di tenere a freno l’agitazione che aveva in corpo da quando aveva ricevuto la telefonata.

«Venga pure, il primario vuole parlarle di tutto ciò che sarà l’eventuale percorso che dovrà affrontare sua figlia e voi genitori con lei». Le spiegò la ragazza, ad occhio e croce non si passavano poi tantissimi anni di differenza.

«Si certo». Rispose lei alzandosi dalla sedia sui cui si era letteralmente abbandonata.

Si avviò verso le quattro mura che ormai conosceva molto più che bene.

«Buongiorno dottor Hirotaka». Esordì non appena fu sull’uscio della stanza.

«Michiru siediti pure». Le rispose l’uomo, erano ormai tanti di quegli anni che aveva sotto cura la bambina, che ormai erano passati a un tu confidenziale. Il passaggio avveniva quasi in automatico per tutti i suoi pazienti più critici, quei bambini era un po' come fossero anche suoi. Aspettò che la donna si togliesse la giacca prima di accomodarsi sulla sedia al di la della sua scrivania.

«Dimmi pure, cosa devo sapere?». Chiese senza nascondere una nota di nervosismo nella voce.

«Volevo parlarti come ti ha già detto la dottoressa, del percorso che dovrete affrontare da questo momento in poi». Fece una pausa. «Innanzi tutto, sai già cos’è un trapianto di midollo osseo?».

«A grandi linee, non nel dettaglio ho cercato un anno e mezzo fa informazioni su internet a riguardo». Rispose lei, l’uomo sorrise alla sua risposta.

«Il trapianto di midollo osseo o di cellule staminali ematopoietiche prevede la sostituzione di un midollo danneggiato con quello sano di un donatore compatibile. Sul lato pratico questo avviene con un iniezione del nuovo midollo nel corpo dell’individuo malato». Kaioh annuì spingendolo a continuare nella spiegazione. «Per permettere la buona riuscita dell’intervento, che è molto pericoloso questo deve essere chiaro sia a te che a tuo marito». Specificò lui.

«Metterò io al corrente Seiya non appena sarà libero dal lavoro». Rispose lei, quella sera a casa avrebbero litigato. Ne era quasi sicura.

«Bene, veniamo al dunque, il percorso per il trapianto di midollo osseo si divide in diverse fasi: esame fisico del paziente, raccolta del midollo osseo, condizionamento, trapianto vero e proprio e guarigione. L’esame fisico del paziente è una visita in cui vengono controllati tutti gli organi principali come cuore e polmoni per valutare se il paziente possa affrontare l’intervento nel migliore dei modi possibili. La raccolta del midollo osseo, credo che non abbia bisogno di ulteriori approfondimenti da parte mia. Veniamo al Condizionamento che è quello che interessa di più a voi come genitori». Si rivolse alla giovane dottoressa rimasta ad ascoltare accanto alla porta dello studio.

«Ami per favore puoi andare a prendermi un caffè? Michiru tu vuoi qualcosa?». Chiese l’uomo.

«No sto bene così». Rispose lei, lo stomaco le si era chiuso totalmente da quando aveva ricevuto la chiamata dall’ospedale. Udì la porta chiudersi alle sue spalle.

«Il periodo di condizionamento varia da quattro a sette giorni a seconda del caso e del paziente, ed è un periodo in cui al paziente vengono somministrati medicinali chemioterapici; lo scopo di questa somministrazione è l’andare a distruggere il midollo malato, limitare al massimo la risposta immunitaria del paziente dopo l’intervento per cercare di non andare incontro a crisi di rigetto. È necessario un ricovero in ospedale del paziente».

Michiru non aveva molte parole da dire, sapeva che il percorso non sarebbe stato facile e che si sarebbe rivelato comunque molto pericoloso, ma il pensiero che Nari avrebbe dovuto sopportare così piccola gli effetti di una chemioterapia l’aveva annientata totalmente. Si limitò ad annuire solamente, senza quasi muovere nessun’altra parte del corpo.

«Il trapianto può durare da una a qualche ora, a seconda della gravità del paziente, viene effettuato mediante un iniezione di midollo osseo in una delle vene più importanti che portano al cuore, ad esempio la succlavia e di per se non è doloroso». Il rumore della porta che si apriva giunse nuovamente alle orecchie di entrambe, la figura di Mizuno comparve dopo pochi istanti nel campo visivo della violinista per lasciare il caffè e il cucchiaino al primario.

La vide poi scomparire di nuovo per tornare al posto di partenza vicino la porta dello studio.

«Grazie Ami». Rispose l’uomo prima di volgere l’attenzione di nuovo alla madre della bambina. «Dopo il trapianto la fase di guarigione prevede un ricovero che può durare da uno a tre mesi, in cui il paziente verrà tenuto in ambiente totalmente sterile e prende delle dosi di immunodepressori, corticosteroidi, antibiotici e trasfusioni se necessario». Bevve un sorso di caffè. « Questo per evitare sempre crisi di rigetto e – sopratutto - per evitare malattie e infezioni nel momento più delicato in assoluto. La fase di attecchimento del midollo osseo dura circa una trentina di giorni, e in questo lasso temporale l’organismo è vulnerabile a infezione perché piastrine e globuli bianchi sono ridotti al minimo dalla chemioterapia precedente».

«Che effetti collaterali ci potrebbero essere dottore?». Chiese lei, alla fine erano quelli a preoccuparla di più, si trattava pur sempre di un fisico giovane.

«Gli effetti collaterali più gravi sono quelli che scaturiscono da un eventuale rigetto dell’organismo e prevedono varie manifestazioni e alcune sono gravi e portano alla morte. Si dividono in malattia da trapianto di midollo osseo acuta e cronica. Nella forma acuta si hanno febbre altissima, crampi allo stomaco, ittero e rash cutaneo con comparsa di macchie rosse sulle mani e sul corpo. In quella cronica si possono avere secchezza agli occhi, xerostomia e perdita dei capelli. Nei casi più gravi si arriva alla compromissione delle funzioni epatiche e alla morte del paziente».

«Capisco dottore, quante possibilità ci siano che abbia una crisi di rigetto?». Chiese nuovamente. Era ciò che temeva di più, anche se era perfettamente consapevole del fatto che Nari non poteva andare avanti tutta la vita con trasfusioni e farmaci chelizzanti.

«Con le giuste terapie non è comune che la crisi di rigetto avvenga, solitamente in pazienti molto giovani come lo è la bambina il trapianto va a buon fine senza particolari complicazioni». Rispose lui.

«Ha detto che verrà tenuta in ambiente sterile dopo l’intervento, potremo vederla? O sarà troppo pericoloso?». Chiese nuovamente, cercando di mantenere sotto-controllo il cortocircuito celebrale che era sopraggiunto alla parola “morte”.

«Per i primi dieci giorni sarebbe meglio vederla solamente attraverso il vetro, poi in seguito con le dovute precauzioni e con tute apposite fornite dall’ospedale potrete vederla entrando nella stanza». Rispose lui. «Ma facciamo comunque piccoli prelievi di sangue giornalieri per seguire il decorso post-operatorio nel migliore dei modi, quindi se possibile vi faremo entrare in stanza molto prima». Disse lui. «Altre domande?». Chiese nuovamente.

«Direi nessuna domanda, grazie dottore.». Si affrettò a rispondere.

«Per poter andare avanti e iniziare tutta la procedura mi servirebbe la firma sia tua che di tuo marito, siete i genitori della bambina serve di entrambi. Per questo speravo che ci fosse anche lui oggi, avremmo risparmiato qualche ora di tempo». Disse l’uomo.

«Hai perfettamente ragione, cercherò di rintracciarlo il più velocemente possibile per farlo venire in ospedale a firmare, o se mi da i fogli glieli faccio firmare a casa. Non so però se è fattibile fare uscire certi documenti dalla clinica». Propose lei.

«Di regola non dovrei, ma vista la situazione posso chiudere un occhio, suo marito è troppo latitante rischiamo di dover aspettare troppo tempo prima che venga in clinica a firmare». Aprì un cassetto da cui tirò fuori la cartella clinica di Nari Kou. Aveva già preparato tutti i fogli qualche ora prima, non appena era arrivata la chiamata dal centro di donazione del midollo osseo. Tirò fuori i diversi fogli e li pose davanti alla giovane donna che aveva di fronte.

«Andrà bene Michiru». Si sentì di rincuorarla, notando il turbamento visibile di lei. La vide annuire senza troppa convinzione a quelle parole. Potevano sembrare frasi fatte ma a quella bambina si era affezionato anche lui nel corso dei numerosi ricoveri. Vederla stare bene era diventata una priorità maggiore anche per lui, e avrebbe fatto tutto il possibile per permettere a quello scricciolo di tornare a fare una vita da persona normale.

«Si dottore, ne sono sicura». Rispose, se per farsi coraggio o se lo pensava veramente non lo aveva ben chiaro. «Credo che sia meglio che io vada, sono davvero impegnata con il lavoro e incastrare tutto è sempre una corsa». Disse allora. «Farò in modo di portarle questi fogli domani mattina stesso». Si alzò dunque dalla sedia. «Ti ringrazio

per l’enorme aiuto nel darmeli da portare a casa».

L’uomo si limitò a sorridere. Senza dire parola alcuna. «Buona giornata Michiru». Si congedò da lei.

«Buona giornata, buona giornata anche a lei dottoressa». Esclamò la violinista prima di aprire la porta per uscire dallo studio. Sarebbe andata a casa, non aveva voglia di fare altro dopo aver affrontato quel discorso.

 

***

 

Alzò leggermente i ray-ban per squadrare due ragazze che le erano passate davanti guardandola a sua volta, più che altro per guardare il meraviglioso lato b di entrambe. Era quasi un’ora che aspettava sotto quel portone, quando era arrivata a casa sua dopo essere stata da Bussho aveva trovato Usagi ad aspettarla dentro il portone del palazzo, quando invece avrebbe dovuto essere a lezione da Michiru.

Le aveva chiesto per quale motivo fosse li, non appena era stata messa al corrente della fuga improvvisa della violinista dopo aver ricevuto una telefonata sul telefono, aveva collegato tutto anche al suo presentimento. Era successo qualcosa con di mezzo la bambina e il suo istinto le diceva che Kou non era stato presente, ma anzi era sicuramente impegnato nel lavoro.

A quanto aveva capito per l’uomo era un’abitudine comportarsi così, doveva essere piuttosto menefreghista per non essere raggiungibile sul telefono nonostante la figlia aveva diversi problemi di salute.

Che cazzone! Come ha fatto a stare con te per tutti questi anni Michiru. Fu il nitido pensiero che le si formò in testa al solo pensiero.

Avrebbe trovato modo di riempirlo di botte alla prima occasione, era poco ma sicuro. Doveva solo aspettare il momento giusto, era certa che sarebbe arrivato.

Dei passi familiari al suo orecchio arrivarono presto a solleticarle i timpani, segno che probabilmente l’oggetto delle sue attese era finalmente tornata a casa. Sperava con tutta se stessa che la bambina stesse bene e che non fosse ulteriormente peggiorata. La musicista non si meritava una cosa del genere.

La vide comparire da dietro l’angolo più vicino, il viso visibilmente turbato. La osservò senza dire niente, aspettando che fosse lei ad accorgersi della sua presenza. Anche con lo stato d’animo che poteva quasi sentire palpabile a guardarla, era meravigliosa comunque.

Osservò divertita l’espressione mista a stupore che le illuminò i profondi occhi blu non appena, finalmente, registrò la sua presenza.

«Haruka! Cosa ci fai qui?». Chiese sorpresa, non si aspettava di vederla li, non in quel momento.

«Usagi mi ha detto che hai interrotto la lezione all’improvviso e sei dovuta scappare e mi sono preoccupata, ho intuito che era per la bambina». Disse quasi impacciata togliendosi gli occhiali da sole.

L’altra sorrise a quel gesto inaspettato da parte della bionda. «Si mi ha chiamata la Clinica per Nari, hanno trovato un midollo osseo compatibile il primario voleva illustrare il percorso che ci aspetta da qui a tre mesi».

«Come è andata, Michi?». Chiese leggermente preoccupata, osservando ogni minima reazione.

«E’ un percorso lungo e travagliato, se esce fuori una crisi di rigetto dopo l’intervento c’è rischio che possa anche morire». Deglutì per trattenere il magone. «E Seiya, come sempre, irraggiungibile sul cellulare». Disse tristemente.

«Immaginavo che lui non ci fosse, per questo ho deciso di aspettarti sotto casa, volevo sapere come ti sentivi». Le spiegò sorridendo, puntandole gli occhi verdi nei suoi.

«Sono stanca Ruka, sono stanca di affrontare questo calvario da sola, sono stanca di sentirlo sempre più lontano. E lontano da me non mi interessa, ma da sua figlia. La bambina non se lo merita. Ma questo calvario, essere sempre da sola in clinica ad ogni crisi, nonostante il lavoro mi impegna esattamente come impegna lui». Gli occhi le bruciarono insopportabilmente per le lacrime che tentavano di uscire.

«Non sei sola Michi, ci sono io, non lo sei più». Le si avvicinò per abbracciarla. «Compatibilmente con la presenza di quel figlio di puttana, io ci sarò, stai tranquilla». Affondò le sue labbra tra i capelli di lei per un bacio.

«Grazie». Non sapeva cosa dire di diverso. Un abbraccio era solo quello che desiderava in quel momento, era quasi incredula da come Tenoh era riuscita a percepire in qualche modo quel suo bisogno inespresso. Perché lei, quelle cose, difficilmente le diceva.

«Nessun grazie, ho sbagliato a scappare anni fa, via da te. Non ho nessuna intenzione di ripetere una seconda volta lo stesso errore». Si allontanò appena. «Vorrei tanto rimanere con te stasera, ma suppongo che Seiya arrivi a breve. Per favore se riesci scrivimi, se hai bisogno di qualsiasi cosa anche siamo intesi?». Le alzò il viso per assicurarsi che lei avesse capito.

«Si quando va a dormire cerco di scriverti, anche se penso che stasera ci sarà l’ennesimo litigio, ho solo voglia di andarmene da questa casa. Non vedo l’ora di poterlo fare portandomi via anche la bambina». Le confessò.

«Lo so Michi...lo so..». Le sussurrò l’altra, prima di unire le sue labbra alle proprie. «Andrà tutto bene, sta tranquilla». Mormorò accarezzandole il viso.

Michiru si limitò a sorridere prima di allontanarsi da lei e cercare le chiavi di casa.

«A più tardi allora». La salutò prima di entrare e chiudersi il portone alle spalle.

 

***

 

«Sono stanca Seiya!». Il tono che le uscì era un misto tra l’aggressivo e il frustrato, non ne poteva davvero più. Era tornato a casa soddisfatto per la giornata, ancora con il telefono spento, senza preoccuparsi un minimo di sapere come stesse la bambina anche alla fine del lavoro.

Perché ne era certa, lui aveva finito di lavorare due ore prima, il tempo lo aveva avuto. Se lo avesse sfiorato anche solamente il pensiero di contattarla per sentire come stava la figlia.

«Michiru.. lo sai benissimo che lavoro!!!». Disse lui alzando il tono della voce per sovrastare il tono aggressivo di lei. Dopo una giornata di lavoro, quelle scenate non le sopportava. Tornava a casa per rilassarsi non per vivere ulteriore stress.

«Con questa storia del lavoro hai esageratamente rotto le palle!! Lavoro anche io eppure sono sempre io a dover correre in ospedale, sono sempre io a sentirmi dire che ti chiamano e non sei mai raggiungibile». Inveì. «Sono stanca di dover affrontare tutto da sola quando si tratta di Nari! Sono stanca».

«Non è colpa mia se il mio lavoro impegna più del tuo». Disse lui recuperando la calma, no non voleva perdere il controllo anche con la moglie, era stato in preda alla collera tutto il giorno.

«E’ colpa tua se il cellulare è spento ogni volta, ben sapendo che tua figlia ha una salute instabile e rischia ad ogni crisi». Posò violentemente i fogli da firmare sul tavolo, aveva spiegato tutto al marito fino a pochi minuti prima, poi quando aveva visto che il pensiero del bruno era perso in qualche problema di lavoro era praticamente esplosa.

«Non mi posso permettere distrazioni mentre compongo e sono in sala registrazione, fai parte dell’ambiente anche tu e conosci bene le dinamiche». Ripeté nuovamente.

«Vaffanculo Seiya! La notte che mi hai scopata per concepire nostra figlia era meglio se fossi stato a qualche concerto! Tu non sai nemmeno cosa voglia dire fare il padre!».

«Direi che stai esagerando adesso». Le disse freddamente. «Nostra figlia l’abbiamo voluta entrambi, solo non mi aspettavo che uscisse così».

«Così come? Malata? Affetta dal morbo di Cooley?». Era allibita e incredula. «Ma stai scherzando? Dimmi che stai scherzando!». Era veramente furiosa, era davvero furiosa nel sentire quelle parole quando era proprio lui il responsabile, essendo suo consanguineo per metà.

«No non sto scherzando, nostra figlia è malata, non volevo una cosa del genere..non è..».Si interruppe per trovare una parola adatta.

«Perfetta? Stai dicendo questo? Tu volevi una figlia perfetta da esibire in pubblico come un fenomeno da circo? Questo volevi?». Non voleva crederci a quelle parole.

Vedendolo annuire la sua reazione fu quasi automatica. La sua mano destra si abbatté violentemente sul viso dell’uomo.

Lo vide solamente alzarsi, gli occhi pieni di rabbia, lo vide girarsi verso di lei e in pochi istanti si sentì le spalle al muro poco dietro di lei con lui che la sovrastava.

«Sai cos’è? Si volevo una figlia perfetta, la volevo che stesse bene e senza problemi. Ma sopratutto vorrei che sua madre non facesse scenate del cazzo ogni tre per due, che non mi alzasse le mani contro, perché fino all’ultimo il tuo bel visino finisce male e soprattutto vorrei tanto che tutti questi “mal di testa” degli ultimi giorni quando tocco il discorso sesso, sparissero. Perché tra stress, quell’errore vivente di tua figlia e il fatto che tu non hai intenzione di darmela a letto sono davvero al limite». Si interruppe per avvicinarsi «E sarebbe il caso che anziché sparare stronzate tu ti facessi scopare stanotte».

«Mi fai esageratamente schifo». Furono le uniche parole che riuscì a sibilare tra la rabbia. Prima di sentire chiaro una mano di lui sul seno.

 

   
 
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