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Autore: Spoocky    20/05/2018    2 recensioni
Partecipa alla Hurt/Comfort Prompt Challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart [https://www.facebook.com/groups/534054389951425/] Prompt 3/26 VAGABONDAGGIO.
In seguito alla Caduta degli angeli, Castiel è solo al mondo.
Privo di risorse, senza una casa a cui tornare vaga senza meta fino allo stremo delle sue risorse fisiche.
Forse però non è solo come crede.
Warning: denutrizione, tematiche delicate
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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Disclaimer: Nessuno mi ha pagata per scirivere questa storia e non riceverò alcun compenso per essa (sigh!)

Warning: essendo Castiel un senzatetto all'inizio della Nona stagione, per ovvi motivi questa storia tratterà di denutrizione e delle sue conseguenze. NON intendo giustificare ne sponsorizzare in alcun modo un disturbo dell'alimentazione! ANORESSIA E BULIMIA SONO MALATTIE GRAVI! Se ne presentate i sintomi o conoscete qualcuno che ne è affetto, avvisate subito un medico. 

Buona Lettura ^.^

 
Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.  Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre.
(Luca 15, 13-20)

Un brivido scosse tutto il suo corpo scarno.
Pioveva a dirotto e il vento gelido penetrava negli strati di vestiti come fossero carta velina, colpendolo direttamente nelle ossa.
Non mangiava da quasi due giorni ormai e lo strato di grasso corporeo che avvolgeva le sue membra si era dissolto da settimane mentre il metabolismo incontrastabile del suo corpo, ora umano, aveva  cominciato ad intaccare i muscoli. Aveva indosso gli stessi indumenti da settimane ma, se quando li aveva sottratti alla lavanderia gli andavano bene, ora pendevano informi come alghe dal relitto che era diventato.
Negli ultimi mesi, trovare cibo era una difficoltà costante e aveva ormai dimenticato il tempo, sempre che ce ne fosse stato uno, in cui non aveva sentito lo stomaco contrarsi in spasmi inutili nel tentativo di digerire il nulla. Quando poteva dare per scontata la propria abilità di camminare per ore senza stancarsi, quando non aveva bisogno di dormire, né di ripararsi dalla pioggia.
Quando non doveva scappare dai suoi simili.
Tutto questo era nel passato, ormai.
Ora non era altro che un vagabondo, un fragile umano in fuga da se stesso e perseguitato dalla propria famiglia.
Senza una casa a cui tronare, senza una meta a cui arrivare.
Completamente solo, perso nello spazio e nel tempo.

A quel punto il freddo gli era indifferente, come la fame che lo divorava, la sete che gli raschiava la gola e il peso che da qualche giorno gli gravava sul petto, impedendogli di respirare bene.
Non avvertiva nemmeno più il dolore delle vesciche ai piedi e dei tagli che si era procurato nei suoi vagabondaggi. Neppure quello delle lame dei suoi fratelli, quelle due volte che erano riusciti a rintracciarlo.
Il dolore più forte era il vuoto che occupava il suo cuore e la sua mente: niente più voci dei suoi fratelli e sorelle come rumore di sottofondo ma soprattutto niente più Sam e Dean che lo pregavano ad ogni ora del giorno e della notte, niente più commenti sarcastici o imprecazioni.
Solo un vasto, gelido silenzio.
E la steppa del suo cuore era più desolata dell’esterno, per quanto impervio questo potesse essere.

Ormai il suo corpo era al limite, sapeva che non sarebbe riuscito a trascinarsi fino ad un ricovero per senzatetto e l’unico rifugio che fosse riuscito a trovare era la chiesa di quartiere, una chiesa cattolica – a giudicare dal cartello sul sagrato – e intitolata a San Luca Evangelista.
Il sole era tramontato presto in quella piovosa giornata di metà novembre e pur non essendo sera inoltrata, il campanile aveva da poco battuto le sette, non c’era più nessuno in giro.
Nessuno che non avesse un luogo in cui passare la notte.
Tranne lui.

Con un sospiro, Castiel raccolse le ultime forze di cui il suo corpo disponeva per trascinarsi sulla scalinata marmorea.
Appena prima di appoggiarsi al portone d’ingresso per accertarsi che fosse aperto fu colto da un’esitazione: e se fosse troppo tardi e la chiesa fosse già stata chiusa? E se l’avessero cacciato via? Non sarebbe stata la prima volta.
Poi però pensò che avrebbe comunque potuto rannicchiarsi in un angolo del porticato di fronte all’ingresso e trascorrere lì la notte.
Avrebbe comunque patito il freddo ma almeno sarebbe stato relativamente all’asciutto e non avrebbe dovuto camminare ancora.
Non ce l’avrebbe fatta, comunque. 

Si pesò sulla porta d’ingresso, riponendo tutte le sue esili speranze in quel gesto, e questa cedette catapultandolo in un mondo di mogano, vetrate e marmo.
Per un momento rimase immobile alla fine della navata, ancora tremante per il freddo, la pioggia e la fatica.
I suoi occhi rimasero intrappolati nel crocefisso ligneo che campeggiava sull’altare, tra le candele.
Non si accorse nemmeno di stare avanzando, lasciandosi dietro una scia d’impronte bagnate, mentre con lo sguardo scorreva sulla scultura, come a volerne memorizzare ogni particolare.

Divenne improvvisamente consapevole del battito del proprio cuore, diventato così pesante e gonfio da causargli dolore al petto con ogni pulsazione.
Bump
Il corpo di quell’uomo, pallido e provato come il suo, quasi luminescente sul legno scuro della croce.
Bump
Le sue braccia, aperte e distese, quasi a volerlo accogliere.
Bump
I chiodi nei polsi e nei piedi, la corona di spine, la ferita nel costato.
Bump
Tanto sangue e tanto dolore, come il suo.
Il figlio di Dio, abbandonato dal Padre, solo e in agonia.
Come lui.
Tump

Improvvisamente le sue gambe si scontrarono contro un ostacolo e cadde, ritrovandosi in ginocchio sui gradini che portavano all’altare, incapace di muoversi e di distogliere lo sguardo dal crocefisso.
Lacrime amare cominciarono a scorrergli sul volto e sul collo fino al colletto già inzuppato della camicia.
Non riusciva a smettere di tremare.
Si sentiva intrappolato in un’agonia senza tempo, mentre tutto intorno cessava di esistere.
“Ehi!” una voce improvvisa al suo fianco rimbombò nella navata laterale.

Terrorizzato, Castiel si riscosse e tentò di alzarsi ma il movimento fu troppo brusco per il suo fisico debilitato ed ebbe un violento capogiro.
Due braccia robuste fermarono la sua caduta e lo sorressero, impedendogli di crollare a terra.
“Perdonami, figliolo: non volevo spaventarti. Forse è meglio se ti siedi. Ecco, piano. Piano.”
Lo sconosciuto gli passò un braccio intorno alla vita e si fece passare uno dei suoi sulle spalle, praticamente lo trascinò di peso fino ad uno dei banchi sulla sinistra.
Castiel si accasciò contro lo schienale di legno, respirando affannosamente mentre l’uomo gli teneva una mano su una spalla per impedirgli di collassare.
Poco a poco, il mondo intorno smise di ruotare vertiginosamente e riuscì a mettere a fuoco il suo soccorritore: un uomo di età indefinita, con i capelli ricci ed una folta barba castano scuro.
Un sacerdote.
Aveva un’aria estremamente famigliare ma l’ex angelo non riusciva a ricordare dove lo avesse già visto.

“Ti senti meglio, figliolo?”
“S-sì, grazie.”
L’uomo si sedette accanto a lui, prendendogli le mani tra le proprie e strofinandole per scaldarle.
“Come ti chiami, figliolo?”
“C-Castiel …” avrebbe voluto dire ‘Clarence’ ma il suo vero nome gli scivolò tra le labbra senza che se ne accorgesse prima che fosse troppo tardi.
“Castiel. L’angelo del giovedì. Questa è la tua giornata,allora.”
“Non saprei, è giovedì?”
“Sì, Castiel: è giovedì. A proposito, io sono Padre Christian.” Una breve pausa, in cui il sacerdote si accigliò e strinse forte le dita dell’angelo “Ma tu hai le mani gelate, Castiel. Perché non vai a casa?”
Un tremito violento scosse da capo a piedi il corpo emaciato dell’ex angelo.
“La prego, Padre. Non mi cacci! Io non …” rabbrividì di nuovo, e si voltò perché il sacerdote non vedesse le sue guance arrossarsi per la vergogna.
Ma l’uomo raccolse la sua guancia scarna in una mano e con dolce fermezza lo costrinse a guardarlo in faccia: “Tu non hai una casa a cui tornare, vero?”
“No.” Sussurrò.
“Da quanto non mangi, Castiel?”
“Non … non lo so. Non me lo ricordo.”
“Resta qui. Ti porto qualcosa.”
Padre Christian si allontanò rapidamente ma, prima di sparire nella porticina da cui era arrivato, si voltò verso Castiel: “Non te ne andare, Castiel. Per favore.”

Anche volendo l’ex angelo non avrebbe potuto allontanarsi.
Era talmente debole da non riuscire a tenere gli occhi aperti, e nemmeno la testa dritta. Si abbandonò contro il legno, con la fronte appoggiata su una spalla mentre aspettava che il sacerdote facesse di lui qualunque cosa avesse voluto.
Per un momento immaginò che potesse essere un angelo e nella sua mente, resa paranoica dallo sfinimento, si cristallizzò la teoria che fosse andato a chiamare rinforzi per liberarsi di lui una volta per tutte.
Ma qualcosa nel profondo del suo animo, una sensazione viscerale, lo convinse di potersi fidare di quell’uomo e di lasciarlo fare.
Anche se gli sembrava troppo bello per essere vero.
Perché quel semplice contatto umano, per quanto piccolo, era quanto di meglio avesse avuto in quegli ultimi mesi e ormai disperava di ottenere anche solo un briciolo di affetto che lenisse le piaghe della sua anima.

Dovette essersi assopito perché sobbalzò quando Padre Christian gli appoggiò di nuovo una mano sulla spalla, questa volta per allungargli una pagnotta ed una bottiglia da mezzo litro di un liquido rosso scuro.

“E’ succo al mirtillo.” Specificò il sacerdote “Mi dispiace ma non ho nient’altro in casa.”
Castiel esitò prima di accettare il cibo ma quando lo fece le mani gli tremavano tanto che l’altro uomo dovette sostenerle con le proprie perché non facesse cadere nulla.
“Posso ...” non aveva il coraggio di chiedere “D- davvero? Sono per me? P- posso mangiare?”
L’uomo sorrise: “Certo. Fai piano, però: non andare a star male!”
Lentamente l’ex angelo sbocconcellò la pagnotta, alternandola con piccoli sorsi di succo e masticando lentamente perché, dopo i giorni di digiuno, anche quel banale alimento era squisito ed egoisticamente voleva far durare quel piacere il più a lungo possibile.

Mentre mangiava, il sacerdote allungò una mano – con gesti misurati, perché vedesse cosa stava facendo – e gliela posò sulla schiena, non curante del fatto che la giacca fosse fradicia.
Non disse né fece altro ma Castiel sentì il bisogno improvviso ed irrefrenabile di confessarsi.
La sua storia scaturì come un fiume in piena tra le sue labbra.
Tutta la sua storia: non omise nulla, nemmeno i particolari più atroci.
Si sentiva al sicuro in quella chiesa mai vista, con accanto uno sconosciuto che gli sembrava di conoscere da sempre e che lo accolse in un abbraccio quando fu sopraffatto dalle emozioni e scoppiò a piangere.
“Shh, shh. E’tutto a posto, Castiel. Tranquillo, tranquillo. Shh, andrà tutto bene.”
Per qualche motivo quelle parole non furono le solite inani litanie di conforto ma lo raggiunsero con il peso di un giuramento e l’ex angelo avvertì nel proprio intimo la certezza che sarebbe davvero andato tutto bene.

Tuttavia lo sforzo di quel pianto disperato e la sensazione di svuotamento che ne conseguì furono troppo per il suo corpo già stremato dalle privazioni e si afflosciò tra le braccia di Padre Christian.
Il sacerdote lo aiutò a stendersi sulla panca con la testa accanto alle sue ginocchia: “Riposa, figliolo.  Riposa tranquillo: ci sono io qui con te. Non sei solo, non lo sei mai stato e non lo sarai mai. Sono sempre stato e sarò sempre con te. Ti voglio bene, figlio mio.”
Le ultime parole dell’uomo si persero nel vuoto mentre Castiel precipitava in un sonno esausto.
Per tutta la notte fu inconsciamente consapevole del calore dell’uomo seduto accanto a lui e della sua mano sulla sua schiena.
Ma quando riaprì gli occhi la mattina seguente, di lui non c’era traccia.

Ancora confuso e stordito, l’ex angelo si alzò e si trascinò verso l’uscita.
Apparentemente non era cambiato nulla: era sempre debole e malconcio come prima, ma in una delle sue tasche tintinnò qualcosa che prima era sicuro non ci fosse.
Accigliandosi frugò nello scomparto in questione fino a trovare la fonte di quel bizzarro rumore ma quando aprì la mano per vedere di cosa si trattasse poco mancò che svenisse per lo stupore: alla luce del sole mattutino brillarono alcuni dollari in moneta. Nient’altro che spiccioli ma sufficienti per una telefonata al Kansas.

Chiama Dean!

Per un secondo la voce di Padre Christian risuonò forte e chiara nella sua mente, stampandovi un imperativo inappellabile.
Per la prima volta dalla Caduta, Castiel sapeva cosa fare.
Facendo ricorso alle sue minime riserve di energia si diresse verso la cabina telefonica più vicina.

Durante il percorso i capogiri e la nausea andarono peggiorando tanto che, quando arrivò al telefono pubblico, la vista gli si era tanto appannata da non permettergli di distinguere altro che la macchia rossa della cornetta.
Chiamò a raccolta tutta la sua volontà per coprire i pochi metri che lo separavano dalla destinazione ma riuscì appena a sfiorare l’intelaiatura di metallo quando le gambe gli cedettero del tutto.
Si accasciò sul marciapiede, sapendo che non si sarebbe rialzato.
Non da solo.
Aveva ormai perso anche l’ultimo barlume di speranza e si era rassegnato a cedere così vicino alla meta, con il gusto amaro della sconfitta sulle labbra e il dolore della disperazione nel petto, quando accadde qualcosa.

La terra sembrò tremare e un rombo di tuono scosse il cielo.
Un’enorme macchia nera invase il suo campo visivo e una figura indistinta – un gigante? – ne emerse, puntando dritto verso di lui.
Sentì quella che poteva essere una voce, ma non riconobbe le parole.
Certo che i mietitori, se non la Morte in persona, fossero venuti a prenderlo si abbandonò completamente al vuoto che minacciava di sopraffarlo.
Qualcosa di caldo e morbido – una mano? – intercettò la sua testa prima che sbattesse sul marciapiede. 


Note:
Questa parte della storia è dedicata ad una persona per me molto cara che ha fatto tanto per me in uno dei momenti più difficili della mia vita. Non credo la leggerà mai, ma è giusto scriverlo.

Il passaggio del crocefisso è ispirato al mio recente studio delle opere di William Congdon, vi allego il link di una tra quelle che mi hanno colpito di più: http://associazioneliveart.it/wp-content/uploads/2017/05/CROCEFISSO-2-193x300.jpg



 
  
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