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Autore: Ily Briarroot    21/05/2018    4 recensioni
La vita di Ai Haibara è sempre stata segnata dalla sofferenza e dall'oscurità, all'interno dell'Organizzazione. Ha voltato pagina grazie all'aiuto di Shinichi, Agasa e i Detective Boys, ma tra i segreti che nasconde ce n'è uno di davvero grande che non ha mai confidato a nessuno e con il quale si ritrova ancora a fare i conti.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Broken 

Terzo capitolo


L'uomo dai lunghi capelli biondi le si avvicinò piano, scrutandola con maniacale attenzione. Perlustrò con gli occhi ogni centimetro della sua pelle bianca, il vestito corto che si intravedeva al di sotto del camice aperto, i capelli di quel castano così sfumato, così particolare.
Tuttavia, Sherry non gli restituì lo sguardo. Si sforzava di rivolgere l'attenzione verso gli strumenti di ricerca, muovendosi da una parte all'altra del laboratorio nel tentativo di restare concentrata e di mantenere il contegno che aveva deciso di assumere nei luoghi di lavoro. Lui ghignò, affascinato da quell'aria autorevole, impeturbabile. Dalla serietà della sua espressione, a dimostrazione che non si sarebbe arresa facilmente. 
"Buongiorno, Sherry. Stamattina sei scappata". 
Le si avvicinò da dietro, facendo aderire perfettamente il corpo contro quello della ragazza. Le sfiorò il collo con le labbra mentre parlava, godendosi l'attimo attraverso il profumo di quel contatto. 
La scienziata sussultò appena, senza scomporsi. Si voltò lievemente, sollevando una volta per tutte gli occhi chiari su di lui. 
"Non ora, lo sai. Devo lavorare e usare la testa in ciò che faccio".
Gin la vide scostarsi appena e sorrise deciso, il sorriso di chi sa bene ciò che vuole. Lasciò che si allontanasse da lui senza toccarla, mantenendo la costante aderenza visiva su di lei. Era bella, quel profumo gli dava alla testa. La raggiungeva quando ne aveva voglia, quando smetteva di sentire il calore del suo corpo su di sé. 
Sherry lo sapeva, lo percepiva. Quegli occhi di ghiaccio la stavano perlustrando da cima a fondo, cercando un qualunque momento di debolezza. Ma aveva fatto male i conti stavolta. 
Il suo lavoro era importante, era tutto ciò che la teneva in vita, che le dava delle soddisfazioni piene. Era seria in ciò che faceva, seguiva ogni momento della giornata in quei laboratori in maniera rigida. Non accettava errori, non esisteva nient'altro per il momento, nonostante il ricordo delle mani forti dell'uomo che aveva accanto e della voglia di lui che sarebbe tornata poco dopo. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di lui e del suo contatto. Cercò di non farlo trapelare, ma Gin aveva già compreso. 
Tornò serio, assecondandola. 
"Devo andare, non ho tutto il giorno". 
La giovane donna lo guardò appena, composta. 
"Un altro affare da sistemare, suppongo. Un altro nome da aggiungere alla lista”.
Dopo quella frase, Gin mostrò un sorriso più malizioso e caparbio. L’aveva scelta anche per questo, d’altronde. Era l’unica donna al mondo capace di tenergli testa, di avere l’ultima parola. L’unica donna degna per uno come lui, un dominante che non lasciava nulla al caso. In un’altra situazione, dopo un affronto simile, avrebbe volentieri premuto il grilletto per far tacere la persona che aveva avuto la sfacciataggine di sfidarlo a parole. Ma non con lei. 
Percepiva la voglia di infliggerle la sua punizione, nonostante tutto. La necessità di prendere in mano la pistola e puntargliela contro. Di vedere il sangue della ragazza scivolarle lungo le spalle pallide, macchiando il pavimento lucido della stanza sterile. Il contrasto bianco e rosso che rendeva particolare tutta la scena che si svolgeva nella sua testa. Il suo corpo sofferente a causa sua, a terra davanti a lui. L’averla in pugno, con ogni mezzo. Questi pensieri lo stavano facendo deconcentrare dalla realtà, se ne rese conto. Non rispose alla sua provocazione, inebriandosi di quelle parole. Non appena la scienziata gli fu di spalle per tornare al lavoro, Gin le si avvicinò nuovamente bloccandole il braccio destro dietro la schiena e afferrandole il volto con quello scoperto. Sherry non parlò, presa alla sprovvista, ma non riuscì ad averne timore. 
“Sarò di ritorno entro stasera. Mi sono svegliato male e oggi sono abbastanza nervoso, quindi, Sherry… “ cominciò l’uomo, con un tono che non ammetteva repliche. Ritirò la stessa mano che le accarezzava il viso e afferrò la pistola dalla custodia. La ragazza rimase tesa, in ascolto, senza sapere cosa avesse in mente e ne fu consapevole solo quando avvertì la canna della pistola contro il camice, all'altezza della scapola sinistra. 
“… non peggiorare la situazione. Ti voglio trovare al solito posto”. 
“Mettila via, Gin. Sarò lì ad aspettarti dopo che avrai adempiuto al tuo dovere quotidiano, come sempre”. 
Sherry sorrise decisa e lui fece lo stesso, nonostante entrambi non potessero saperlo. Il tono del criminale non ammetteva repliche, ma non era duro. Sapeva che non occorreva esserlo, lo avrebbe ascoltato perché lo voleva allo stesso suo modo, nonostante il disprezzo velato dalle frasi sarcastiche che gli lanciava spesso. Gli piaceva, gli piaceva eccome.
Ripose l'arma con un gesto secco e rimase qualche istante nella medesima posizione, sopraffatto da quel profumo. 
"Molto bene" le mormorò alle spalle con voce stranamente morbida. La scienziata si scostò appena, in modo sufficiente da poterlo guardare negli occhi, stavolta, quasi in segno di sfida.
"Stamattina hai fatto male ad andartene, mia cara. Vorrà dire che ci rifaremo". 
Si allontanò da lei e un brivido le percorse la schiena. Quel suo modo di parlarle, quella possessione che traspariva dalle sue parole e dal suo tocco, ogni volta. Gin non dettava le regole del gioco ed era tutto ciò che lo faceva irritare. Credeva di avere il controllo su ogni cosa, all'interno del giro. Era convinto di poterla ottenere quando e come voleva ma, probabilmente, ciò che lo faceva innervosire era proprio l'essere consapevole di non poter avere questo potere e di non averlo mai avuto.
Anzi, notare questa sua dipendenza da lei la faceva sentire bene. Lei, l'intera esistenza fantasma all'interno di un'Organizzazione che non le lasciava via di scampo. Lei, della quale nessuno si preoccupava, in quella vita che l'aveva allontanata dal mondo. Lei, che si sentiva grata di poter avere l'attenzione maniacale di un criminale che la usava soltanto perché aveva deciso di farsi usare. Il riuscire a tenergli testa, l'essere sullo stesso suo livello, le infondeva una spinta particolare, una soddisfazione piena che respirava a pieni polmoni. Gin aveva scelto lei. Uno degli uomini di spicco lì dentro, intelligente e arguto, voleva lei. 
Le sue erano le uniche braccia nelle quali immergersi, e che, stringendola, la facevano sentire bella, amata di un amore che in realtà non esisteva. Era il contatto di un uomo spietato, di un assassino, ne era consapevole. Nulla di diverso, quindi. Erano uguali, andava bene. 

Andava tutto bene. 

Non si sporcava di nulla, quando erano insieme. Tutte le raccomandazioni di Akemi, che, preoccupata, le intimava di frequentare altre persone, allontanandosi da quel mondo almeno per qualche ora, rendendola consapevole di avere una scelta, seppur minima. Avrebbe potuto decidere di svagarsi in altri modi, uscendo di più o stringendo amicizie oltre la barriera della criminalità nella quale era rinchiusa. Tuttavia la sorella maggiore non aveva compreso una cosa importante; loro due erano diverse e così anche le loro vite. Per quanto quest'ultima cercasse di spronarla, Sherry era convinta dell'unica scelta che aveva e che non le lasciava via di scampo: era come loro e lo sarebbe sempre stata. Non era reale l'alternativa della quale parlava sempre Akemi, non avrebbe mai potuto avere un'altra vita e non lo perché non lo volesse, ma perché era una criminale.
Era una criminale proprio come quella gente. L'unico che poteva avvicinarsi e toccarla, che aveva libertà totale sul suo corpo era proprio Gin. In quei momenti, con lui si sentiva sulla stessa linea d'onda, non vi era niente di sbagliato in ciò che faceva. La gratificava, la faceva sentire Sherry. E Sherry stessa non poteva scegliere. Per avere un minimo di vicinanza, di approccio, quell'uomo era l'ideale. E la scienziata voleva quel contatto, ne aveva davvero bisogno. 
I minuti peggiori erano quelli del dopo, quando il biondo si addormentava o si accendeva una sigaretta rimanendo nel silenzio più totale, lo sguardo di ghiaccio impenetrabile. 
La ragazza si voltava, reggendo il suo gioco. Non diceva nulla proprio perché non c'era nulla da dire. Il pensiero di condividere così tanto con quell'uomo, dopo l'incontro, la devastava. Era sempre la stessa storia che si ripeteva, una reazione a catena infinita. Cercava di non chiedersi più dove fosse stato durante la giornata o chi avesse ucciso, né alle sue mani impregnate di quel sangue invisibile che non si lavava via. All'inizio dei loro rapporti segreti, il pensiero le suscitava un senso di nausea difficile da frenare. Quindi chiudeva solo gli occhi, semplicemente lasciandosi andare. Spariva tutto in poco tempo e riappariva allo stesso modo subito dopo, nascondendo le tracce umide che le scivolavano dagli occhi. 
Condivideva il letto con un'assassino, ma lo era anche lei, in fin dei conti. Una criminale che probabilmente non avrebbe potuto chiedere nient'altro dalla vita, se non le attenzioni di un omicida che le aveva posato lo sguardo addosso e che la faceva sentire bene, nonostante il disprezzo e i sensi di colpa verso se stessa che l'attanagliavano ogni volta dopo l'ennesimo rapporto. 


La bambina spense il computer con un gesto secco, consapevole del fatto che non sarebbe riuscita a continuare a lavorare ancora per molto a causa degli stessi ricordi che la torturavano da giorni e che avrebbe voluto soltanto dimenticare. 
L'immagine dei quell'uomo dai capelli lunghi continuava ad apparirle davanti agli occhi senza che lei ne capisse il motivo. Non lo vedeva da due anni e, durante tutto quel tempo, non si era mai lasciata trascinare dalla moltitudine di sentimenti che ancora le suscitava. Ovviamente, non c'era più il desiderio di attenzioni da parte sua. Il rancore aveva fatto breccia nel suo stato d'animo assieme al disprezzo che già da tempo esisteva. 
Gin avrebbe dovuto rifletterci, prima di assassinare la persona più importante della sua vita. Le aveva strappato Akemi con una brutalità folle e con lei, le aveva portato via ogni cosa. Lui, che l'aveva spogliata della sua adolescenza e dei suoi sogni più nostalgici e profondi. Che l'aveva spogliata dei vestiti e non solo, che l'aveva toccata e usata. Il senso di colpa tornò più forte quando pensò alle sue mani; quelle mani che avevano stretto forte la pistola puntata sulla sorella, in passato l'avevano accarezzata e inebriata di piacere. 
L'aveva tradita. Non era mai stata innamorata di lui e non aveva mai avuto un ruolo centrale nella sua vita, né avrebbe mai voluto averlo. La fiducia non esisteva, non ne aveva mai avuta per altri. Ma la consapevolezza di essersi dedicata a lui, di sentire ancora il suo corpo su di sé, e poi di essere stata pugnalata con una semplicità atroce l'aveva uccisa nel profondo. 
Sentì d'un tratto le voci di Agasa e Shinichi provenire dal salone, dopo tre ore nelle quali aveva deciso di chiudersi nello scantinato nel tentativo di evitare il detective, dopo aver discusso anche con lui. 

Già, lui... 

Durante quel periodo in cui il compagno di sventure era riuscito a insegnarle la fiducia, quella vera, si era aperta un po' di più con il mondo. Aveva scoperto l'affetto e l'amore, stupendosi a tratti per ciò che sentiva dentro di sé, per i sentimenti puri che era in grado di provare. Trovandosi per la prima volta faccia a faccia con il lato umano che non aveva mai creduto di possedere. 
Shinichi stava di colpo distruggendo tutto, così, come se niente fosse. Il non rivelarle la verità, il celarle tante cose che la riguardavano e che invece avrebbe potuto affrontare insieme a lui, la stava uccidendo ancora. 
Per l'ennesima volta, il senso di smarrimento, il sentirsi isolata dal resto del mondo, nascosta all'interno di una gabbia invisibile senza mai uscire, erano sensazioni che sperava di non rivivere, una volta cambiata identità. 
E invece, il detective la stava ributtando senza volerlo in quel vortice che la strappava da tutto e da tutti. Solo in quel momento capì il motivo per il quale le stava tornando tutto alla mente nel giro di poco.

Mi ha tradita

Non poteva permettere che accadesse, non di nuovo. Non con la persona che la stava mantenendo in vita, concedendole la seconda possibilità che probabilmente non meritava. E più lui mentiva, più lei faceva altrettanto. Si stava allontanando dall'amico, la complicità che avevano vissuto insieme si stava disgregando tra le sue dita senza quasi rendersene conto. Soltanto in quegli istanti decise di rivelargli qualcosa che probabilmente Shinichi aveva compreso qualche ora prima, quando gli aveva praticamente urlato contro. 
Ai si alzò dalla sedia e raggiunse i due nel salone, in silenzio. La sua presenza improvvisa li lasciò stupiti qualche attimo, ma non importava in quel momento. 
Il bambino sollevò lo sguardo verso di lei, scrutandola incuriosito. Non osò proferire parola, ripassando con la mente gli ultimi attimi nei quali l'aveva vista scappare via dalla sua presa, quando aveva compreso qualcosa a cui, forse, sarebbe stato meglio evitare di pensare. 
"Hai ragione, Shinichi. È andata così". 
Mantenne lo sguardo nel suo, la stessa espressione composta e impenetrabile, cercando di non lasciare trasparire nulla. Lui le restituì un'espressione seria, irrigidendosi, mentre il dottor Agasa guardava prima l'uno e poi l'altra, senza capire. 
Qualche istante dopo, il bambino le afferrò il braccio e la costrinse a seguirlo nella stanza adiacente ignorando la voce dello scienziato che, preoccupato, continuava a chiedere cosa stesse succedendo. Shinichi gli diede una risposta sbrigativa, chiudendosi la porta alle spalle. 
"Perché reagisci in questo modo? Io non ho problemi a raccontarvi la verità, dottor Agasa incluso. A differenza di qualcun altro... ". 
La castana mantenne gli occhi su di lui, seria. Respirò a fondo cercando di mascherare l'insicurezza nelle sue parole, ma non era affatto facile. 
L'amico sembrò non averla sentita, concentrato com'era su quel dubbio atroce che lei gli aveva involontariamente concesso poche ore prima. 
"Cosa intendevi dire?". 
Ai abbassò gli occhi, stavolta, concentrandosi. Confessare tutto a lui, che distingueva nettamente il bianco dal nero senza preoccuparsi dell'esistenza di colori differenti quali il grigio, la mandava in panico. Il timore di non essere più accettata nella sua vita non le permetteva di respirare, in quel momento. 
"So a cosa pensavi prima e ho deciso di essere sincera con te" riprese lei, mantenendo la calma. "Avevi ragione su tutto. Su Gin... su di noi". 
Shinichi sgranò gli occhi, fissandola come se la vedesse ora per la prima volta. Lo stesso sguardo di quando lo aveva conosciuto, la stessa espressione piena di orrore che aveva assunto quando gli aveva fatto credere di aver fatto fuori Agasa. 
Lo scrutò con la coda dell'occhio, aspettando quasi una sentenza. Gli spilli che le perforavano il petto ne erano la piena conferma. 
Lo vide rigido, la stretta sul suo polso allentata di colpo. Non si sarebbe fatta accusare, non stavolta. Era pronta a rivelargli la verità, una parte almeno, facendogli capire di essere disposta a farlo, a condividere il peso di quel qualcosa di orribile che aveva sempre nascosto. Ormai si fidava lui, abbastanza da potergli confidare una cosa del genere senza correre il rischio di essere giudicata, ma non ne era convinta. 
Quando Shinichi si riscosse, la bocca dischiusa, attese ancora qualche istante. Lo vedeva quasi fremere, attraverso il tremolio appena percettibile del suo corpo. 
"C-Cosa?" le chiese appena, cercando a tutti i costi di fare mente locale. Il tipico sguardo di quando gli scivolava qualcosa sotto il naso di cui non poteva avere il controllo. Ai sollevò finalmente il viso, fissandolo.
"Ti sto dando la conferma che volevi, detective" rispose lei, impassibile. "Sono stanca delle solite bugie". 

Così sei contento

Parlò con molta - forse troppa - disinvoltura, il che lasciò il bambino ancora più perplesso. Non capiva del tutto o, probabilmente, si rifiutava di farlo. 
"Mi stai dicendo che... tu e Gin eravate... " cominciò lui, guardandola come se di colpo avesse scoperto che l'amica provenisse da un altro pianeta. 
Quest'ultima scosse brusca la testa, in modo da non farlo giungere a conclusioni affrettate. 
"Non eravamo proprio niente. Lui... " sollevò la testa verso il soffitto quando notò la propria voce tremare appena. Quando fu nuovamente certa del controllo della situazione, guardò di nuovo Shinichi. "Lui mi usava e a me andava bene così". 
Le dita del ragazzo si strinsero istintivamente, le minuscole gocce di sudore sulla fronte. Durante tutto quel tempo non aveva mai chiesto ad Ai nulla di personale riguardo la sua vita all'interno dell'Organizzazione. Non aveva mai avuto il coraggio di farlo, forse per evitare di vederla in ansia, di riportarle alla mente ricordi troppo dolorosi. O magari perché era lui quello a non voler sapere, dopo essersi affezionato, dopo aver capito di volerle bene. 
Non indagava mai su ciò che non fosse inerente ai membri della banda, non superava mai il confine che divideva ciò che avrebbe potuto essergli utile per far arrestare quei criminali una volta per tutte e la vita di Ai con loro prima di conoscerla. Era una specie di tabù che, inconsciamente, si era imposto di mantenere per il suo bene. Di solito, infatti, era lei ad aprirsi mediante qualche ricordo di Akemi conservato gelosamente o i suoi studi solitari in America. Lui, semplicemente, rimaneva ad ascoltarla, cogliendo ogni sfumatura del suo stato d'animo evitando di fargliene parola. 

"Non è così forte come vuole farci credere".

Ed ecco rientrare in gioco il motivo per il quale avrebbe voluto tenere Shinichi all'oscuro di ogni cosa. Detestava mostrarsi debole, con gli altri e con se stessa. Per questo non voleva rivelare più di quanto già non sapesse, lo stretto indispensabile per poterlo aiutare a riprendersi in mano la sua vita di liceale.
"Perché non me lo hai mai detto?" chiese poi il detective, riportandola alla realtà con il peso di un macigno. 
Lei sorrise. Uno di quei sorrisi deboli, malinconici. 
"Perché non c'è nulla da dire. Non è un argomento utile ai fini delle tue indagini, Kudo. Anzi... " abbassò lo sguardo, sentendo il magone forte in gola per le lacrime che non si era resa conto di trattenere. "Vorrei solo dimenticare certi momenti". 
Shinichi scosse la testa, studiandola. Non aveva mai pensato sul serio a una possibilità del genere. Si sentì in colpa per averglielo chiesto così istintivamente, per avere fatto in modo di portare tutto alla luce solo per il suo sentirsi in dovere di sapere. Adesso vedeva chiaramente qualcosa di diverso sul suo volto, un'ombra colpevole che lei cercava di nascondere. 
Non riuscì a risponderle, preso alla sprovvista. Leggeva la sofferenza del primo giorno nei suoi occhi e si sentì nuovamente miserabile di fronte a lei. 
"È per questo che ti preoccupi così tanto della presenza di Gin?". 
Con quella domanda riuscì a farla titubare qualche attimo, prima di vederla ritrovare la solita compostezza. 
"Lui... sta sicuramente bramando il giorno in cui mi troverà, andandomene da loro è come se lo avessi tradito. È diventata una faccenda personale" rispose appena a voce bassa, mentre l'immagine dell'uomo le appariva in testa per l'ennesima volta. Si voltò verso Shinichi per avere una conferma di ciò che aveva appena detto che non arrivò. 
Rigido, la stava studiando quasi come avesse paura di poterla ridurre in frantumi con una parola di troppo. Ma ormai erano in barca, tanto valeva continuare a remare. 
"Ti minacciava?". 
Strinse le palpebre, poiché non era sicuro di voler ascoltare la risposta. La castana lo guardò un istante stupita, dopodiché gli mostrò il sorriso deciso ma dall'aria malinconica di poco prima. 
"No. Io ero consenziente".
Gli rispose con una tale naturalezza da fargli gelare il sangue nelle vene. Fu ciò che gli disse poi a fargli aprire gli occhi, desiderando di avere tra le mani quel criminale per potergli infliggere la pena che meritava una volta per tutte.
"Quando la tua esistenza è dominata dal nulla e sei circondato da gente a cui non importa se sei vivo o morto, basta che porti avanti il tuo lavoro... hai bisogno di un contatto, Shinichi. Un qualunque tipo di conforto, di sentirti appagato e apprezzato. Io ho trovato tutto questo in lui" dichiarò poi la scienziata, voltandosi lievemente. Mentre parlava, il peso che aveva nel petto diminuiva poco a poco. 
"E tu hai scelto Gin?". 
Il timbro infantile del detective, per quanto tentasse di celarlo, rivelò una vena accusatoria che non avrebbe dovuto esserci. Il suo tono era in relazione a una risposta che non riusciva proprio a comprendere. 
"Non ho scelto Gin" rispose Ai brusca, intimandosi di parlare con calma. "Ha iniziato ad avvicinarsi a me poco a poco, il suo contatto mi faceva sentire bene. E' stato l'unico, in diciotto anni, a darmi importanza. Anche se mi usava".
"Se sapevi che ti stava usando... perché hai lasciato che facesse quello che voleva? Lui è un assassino!". 
Shinichi si stava scaldando, lo vedeva. Ora era davanti a lui e i loro occhi si incrociarono nuovamente. Percepiva la sua rabbia, il non concepire una cosa simile neanche lontanamente. Ai sospirò, prima di continuare.
"Credi che non lo sappia? Credi che non mi sentissi in colpa ogni volta o che non mi chiedessi quanta gente avrebbe potuto uccidere prima di stare con me? È ora che apri gli occhi una volta per tutte, Shinichi". 
"Che vuoi dire?". 
Non l'aveva minacciata, né costretta. Era sempre stata una sua libera scelta, quella di avere quel tipo di relazione con uno degli uomini di spicco dell'Organizzazione, uno spietato assassino senza alcuna traccia di pietà o di rimorso. 
L'amico si sforzava, ma proprio non riusciva a capacitarsene. A vederli insieme, nella sua testa. 
"Tu hai la tua Ran, la tua vita meravigliosa da detective liceale in un mondo a colori. Non ci arrivi? Io non ho mai avuto scelta. Io non sono Ran, non sono l'angelo puro e fragile che pensi che io sia. Shinichi, io facevo parte di un'Organizzazione criminale!" esclamò poi, mentre le lacrime cominciavano a formarsi nei suoi occhi verdi, prima di scivolarle sul viso. "Gin era il mio unico sfogo lì dentro. L'ho sempre disprezzato, non ho mai provato per lui ciò che tu provi per lei! Ma era al mio stesso livello, capisci? Era tutto ciò a cui potevo aspirare, ero come lui!". 
Shinichi percepì il cuore perdere un battito mentre la vedeva ancora una volta in quello stato. Si diede mentalmente dello stupido, abbassando lo sguardo. Non aveva mai avuto intenzione di accusarla o giudicarla, ma capì di non essere riuscito a far valere il suo proposito fino in fondo. 
"Mi dispiace" mormorò, senza sapere bene cosa dire "Non lo sapevo. Non mi sono mai reso veramente conto di tutto questo". 
Lei lo guardò con la voglia di andarsene da lì. Si sentiva spogliata di una buona parte dei suoi segreti e dalla persona che aveva il potere di farle male più a fondo di quanto non gliene avesse fatto Gin. 
"Non avresti potuto farlo. Era questo che volevi sapere, no? In modo da sentirti ancora in diritto di giudicarmi".
Non avrebbe voluto dirlo, ma era l'unico modo che aveva di difendersi da tutto ciò che potesse ferirla. E il detective costituiva in sé un'arma molto affilata. Non voleva più sentire certe parole da lui,

Sei un mostro

né vedere gli sguardi pieni di odio che le rivolgeva quando si erano incontrati. Tuttavia non avvenne nulla del genere. 
Il bambino le si avvicinò all'improvviso e la strinse, annullando la distanza tra loro. Ai si asciugò velocemente le lacrime con la mano, sorpresa. 
"Non ti voglio giudicare. Grazie per essere stata sincera con me". 
Lei tirò un sorriso, sospirando.
"Già". 
Calò un silenzio assordante per entrambi, in quel momento, colmo di parole non dette ma palpabili e presenti nella mente di ognuno.
"Ai?"
"Mh?". 
Lui la teneva ancora stretta e lei approfittava di quell'attesa per ritrovare la fermezza che aveva perso in quegli ultimi minuti. 
"Mi dici perché me lo hai raccontato proprio ora?". 
La castana si allontanò dal detective, risistemandosi. 
"Perché voglio farti capire che la cosa più intelligente che possiamo fare trovandoci nella stessa situazione è quella di dirci la verità. Anche se sembra che a te non importi" gli rispose, avviandosi verso la porta della stanza e spalancandola. "Non sono più disposta a essere tenuta all'oscuro di tutto, Kudo". 
Respirò piano, calmandosi, e si allontanò attraversando il corridoio. Il detective la guardò sparire in silenzio con un macigno che gli schiacciava il petto e che aveva ormai cambiato le carte in tavola. Sorrise, ripensando a quell'ultima frase. Ai aveva ragione, ma non era sicuro di poter rispettare la sua scelta, sia per se stesso che per lei. Non era sicuro di volerla rivedere in lacrime per quel qualcosa dal quale lui non poteva proteggerla. 

Il passato.



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Note dell'autrice
Ed eccoci qui! Scusate il ritardo, è un periodo abbastanza incasinato e sto trovando purtroppo poco tempo per scrivere. L'ispirazione non manca, anzi! Come qualcuno avrà già notato, da quando ho ripreso a seguire Conan ho voglia di scrivere, scrivere e scrivere sulla mia coppia preferita (CoAi ovviamente xD), in più mi sto intrippando con gli episodi spoiler quindi è un dramma. Devo dire che di questa fanfic avevo in mente la linea della trama, ma i capitoli in dettaglio stanno praticamente decidendo da soli come venire fuori e non scherzo. Questa è la mia visione del rapporto SherryGin :D tra tutte le interpretazioni, questa è secondo me quella più plausibile... anche perché scrivere questo capitolo è stato molto istintivo, naturale, ogni cosa ne concatenava un'altra. Senza dilungarmi molto devo dire che mi piace questo loro possibile passato! No, non uccidetemi xD il prossimo sarà l'ultimo capitolo e... che dire? Spero di non avervi deluso e vi ringrazio ancora tantissimo per le vostre recensioni :D un bacio!
Ile





 
  
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