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Autore: Artemide12    23/05/2018    1 recensioni
Settembre.
Kadic.
20 anni dopo.

La preside Delmas dà il benvenuto a Franz Belpois, Emma della Robbia, Carlotta Dunbar e Chris Stern.
Sei amici si rincontrano per l'ennesima volta.
Nulla sembra veramente cambiato al Kadic. Tranne in fatto che XANA è stata sconfitta ovviamente.
Franz, Rebecca, Emma, Carlotta, Ludovic e Chris sembrano ragazzi normali, ma presto dovranno fare i conti con ciò che i loro genitori hanno fatto tanti anni prima.
Realtà e Mondo Virtuale si intrecciano e si confondono per chi ha immediato e incontrollato accesso ad entrambi. È la conseguenza di una metamorfosi che nessuno aveva considerato.
Ma quando questo potere diventerà un pericolo?
Presto il Kadic tornerà ad essere ciò che non ha mai smesso di essere: lo scenario di una guerra virtuale che non è ancora finita.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, X.A.N.A.
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Metamorfosi Cap10;

begin

    write('Unisciti, o perisci');

    readln;

end.



Rebecca era ancora seduta sulla lastra argentata sospesa a mezz’aria, una gamba stesa e una piegata, le mani puntate ai lati del corpo – una posa estremamente fluida, quasi sbagliata per lei.

Ludovic era a pochi passi da lei ma si sentiva lontano chilometri.

L’ambiente estremamente geometrico e asettico non faceva che rendere più irreale la scena.

Tutti i programmi erano corsi fuori dalla stanza. Il fatto che dei programmi avessero abbandonato i loro compiti e fossero corsi via come presi dal panico era decisamente preoccupante.

Eppure Ludovic non sentiva nessun campanello di allarme squillare nella propria testa – nulla, a parte un forte senso di incongruenza. Guardava Rebecca, consapevole che non si trattasse della Becky che conosceva ma incapace inquadrare la nuova arrivata.

«Io sono XANA, guerriero», aveva detto.

Era la XANA si cui parlavano i programmi?

«Il virus?»

La ragazza annuì. «In persona.»

«Che nei hai fatto di Rebecca?»

XANA roteò gli occhi sotto le palpebre. «L’ho infettata. Ho colonizzato il suo organismo. Mi sto servendo del suo corpo e del suo cervello. Non provoco nessun danno fisico.»

Sepolto da qualche parte nel profondo del suo petto digitale, il cuore di Ludovic cominciò a battere più velocemente. Rabbia e terrore gonfiarono a la sua voce.

«È cerebralmente morta?»

«“In coma” sarebbe una definizione molto più appropriata.» XANA scese dalla lastra sospesa con un unico movimento fluido e si portò di fronte a Ludovic. «La lascerò andare, quando non mi sarà più utile.»

«Ovvero quando?»

«Presto» gli assicurò. «Se sarai collaborativo» aggiunge.

Ludovic sollevò entrambe le sopracciglia, poi incrociò le braccia al petto, decisamente non disposto a trascinare la conversazione in quel modo.

XANA parve apprezzare il suo atteggiamento. «Tu, il più potente di tutti i guerrieri, mi saresti di grande aiuto. Questo cervello mi permette di ampliare le mie competenze esponenzialmente, con il tuo aiuto potrei completare la mia missione in pochi giorni, fare in poche ore ciò che fino ad adesso ha richiesto anni.»

«Ma quale missione!» sbottò Ludovic. Se c’era una cosa su cui i suoi genitori e quei programmi erano d’accordo era che XANA era un virus programmato per la distruzione. «Non ti aiuterò a distruggere questo posto!»

XANA scoppiò a ridere – prima di gusto, poi in maniera sarcastica, infine con una certa forzatura. «Distruggerlo? Io sono qui per portarlo al suo massimo potenziale!»

Improvvisamente gli fu vicinissima. Gli prese la testa tra le mani e lo fissò dritto negli occhi. «Io sono qui per rendere reale il digitale. Io sono qui per sostenere il miracolo, per completare questa Creazione.» Lo aveva spinto contro la parete. «Io» continuò quasi spremendogli il viso «sarò la loro Salvatrice.»

Superato il momento di shock, Ludovic la spinse via. “Tu sei solo pazza” avrebbe voluto dirle, ma si trattenne. «Devi spiegarmi, non gettarmi contro i tuoi discorsi di auto-incoraggiamento. Se vuoi il mio aiuto dovrai convincermi.» Si concesse di gonfiare leggermente il petto. «Consideralo un reclutamento.»

XANA rise di nuovo, questa volta più brevemente.

«Davvero avrei bisogno di convincerti, guerriero?» Si avvicinò di nuovo. Aveva uno sguardo davvero magnetico. «Questa non è una trattativa, né un reclutamento.» Sollevò una mano e gli accarezzò prima una ciocca di capelli e poi il lato del viso. Di scatto, poi, infilò le dita tra i suoi capelli e gli affondò i polpastrelli nella cute.

Ludovic ansimò, tendendosi prima ancora dell’arrivo del dolore.

La pressione dentro la sua scatola cranica aumentò velocemente mentre un fluido acido zampillava dai punti in cui le dita di XANA premevano sulla sua testa. Lottare contro la nebbia che dilagava nella sua mente era come combattere contro il sonno in un momento di estrema stanchezza.

«Anche tu appartieni a questo mondo, guerriero» sibilò XANA e la sua voce riecheggiò all’infinito nella sue orecchie.

Lo lasciò andare all’improvviso e lo spinse all’indietro.

Stordito, Ludovic cadde a terra e vi rimase, una mano premuta contro la tempia, l’altra puntata per sorreggersi.

«Mi seguirai volontariamente,» disse XANA torreggiando su di lui «o ti infetterò come ho fatto con questa Rebecca.»


ʘ –


Chris spalancò la porta dell’infermeria con un calcio, Odd entrò subito dopo di lui, con Emma tra le braccia.

«C’è stato un incidente.» Chris praticamente urlò e la sua voce rimbombò nella piccola stanza. «Emma ha sbattuto forte la schiena ed è svenuta.»

La donna seduta alla scrivania rimase immobile e inespressiva. Aveva gli occhi puntati sulla porta, ma lo sguardo completamente assente, come se in realtà si fosse trattato solo di un manichino.

Mentre Odd stendeva la figlia sul lettino, Chris raggiunse la donna e le sventolò una mano davanti alla faccia.

Nessuna reazione.

Il suo petto non sembrava nemmeno sollevarsi per respirare, le palpebre non sbattevano.

«Chris che stai facendo?» chiese Odd. «Dobbiamo andare a chiamare… oh!» Si irrigidì. «È un altro di quei cosi?»

«Credo sia la dottoressa di turno» spiegò Chris mentre anche Ulrich e Sissi si affacciavano nell’infermeria. «È uno di quei programmi.»

«Fantastico!» sbottò Odd tornando al lettino e sistemando meglio Emma.

«A quest’ora l’altra starà andando a cena» intervenne Sissi.

Ulrich annuì. «Okay andiamo» disse subito. «Odd tu rimani qui» aggiunse poi inutilmente prima di uscire dalla stanza con Sissi.

Chris esitò. Voleva seguire suo padre, correre il più velocemente possibile e trovare qualcuno che potesse aiutare Emma, ma allo stesso tempo non si sentiva sicuro ad allontanarsi. Odd non poteva vedere i programmi, se un’altra di quelle creature digitali si fosse avvicinata a lui o ad Emma non avrebbe potuto fare niente.

Forse se si fosse sbrigato…

Ma non poteva sapere quanto tempo ci sarebbe voluto, né se l’infermiera sarebbe stata davvero d’aiuto.


ʘ –


«Sicura che sia questa la strada?» bisbigliò Franz mentre scendevano l’ennesima rampa di scale.

Bea rimase in silenzio così a lungo che Franz pensò non lo avesse sentito.

«Ne abbiamo fatta un’altra quando mi ci hanno portato, ma ricordo dove si trova.»

Arrivarono alla fine delle scale e sbucarono in un corridoio del seminterrato. Bea rimase sull’ultimo gradino e si sporse quanto bastava per sbirciare oltre.

«Via libera» sussurrò, poi attraversò di corsa il corridoio fermandosi alla prima svolta.

Franz la seguì e quasi le andò a sbattere contro. Si appiattì contro la parete e sbirciò oltre a propria volta.

Tre nuvole di numeri e simboli bianchi erano sospese a mezz’aria davanti ad una porta chiusa. Concentrandosi, Franz riuscì a distinguere tre sagome umanoidi.

«Sono tre ragazzi?» chiese appena ebbe ritirato la testa.

Bea annuì senza guardarlo. «Erano con me prima. Siamo nel posto giusto.»

«Okay, li faccio esplodere.»

Bea si voltò a fissarlo di scatto, spaventata.

«Che c’è?»

«Quelli non sono i mostri digitali che vi hanno attaccato» protestò. «Questi sono…» non sapeva come spiegarlo. «…reali» fu tutto ciò che trovò da dire.

Franz sollevò un sopracciglio in attesa che continuasse.

«Non si riformeranno come quegli animali.»

Franz sostenne lo sguardo dell’ologramma per qualche secondo, poi lo distolse in segno di resa. «Okay» disse mentre si sporgeva di nuovo. Le tre nuvole di simboli erano ancora lì. «Okay» ripeté. Si sfilò lo zaino dalle spalle e ne tirò fuori la scatola delle lenti a contatto di Rebecca. Ne prese solo una. Con una mano si tenne aperto l’occhio destro, con l’altra applicò la lente.

Sbatté le palpebre velocemente, infastidito dalla sensazione, ma quando riuscì ad abituarsi e guardarsi intorno non notò nulla di diverso.

Si sporse di nuovo.

L’immagine delle nuvole di simboli si sovrappose a quella di tre normalissimi ragazzi.

Per un po’ Franz si limitò a fissarli. Il suo cervello continuava a passare da una visione all’altra come se invece di trattarsi degli impulsi di due occhi diversi fosse solo questione di messa a fuoco. Poteva osservare la loro fisionomia e poi i codici, come ossa in una radiografia.

Lentamente, i simboli cominciarono ad acquistare un senso. Erano come una lingua straniera che si può apprendere ascoltando a ripetizione le stesse frasi incomprensibili, notando di volta in volta i suoni ricorrenti e associandoli a qualcosa di concreto.

C’era una particolare sequenza che appariva che si illuminava ad ogni battito di ciglia e una che corrispondeva alla respirazione. Una preannunciava movimenti della braccia, una indicava la ricezione di suoni.

Franz si sporse di più.

Una sequenza per i capelli, una per le orecchie, una per il mento, una per le labbra. Una per il tono di voce, una per la prontezza dei riflessi.

Più guardava e più ne decodificava. Più ne decodificava e più se ne aggiungevano.

Righe e righe di codice – informatico?, genetico? – si avvolgevano dentro quelle tre figure. Erano programmi? Esistevano programmi del genere? Se erano programmi, chi li aveva scritti? Chi poteva progettare qualcosa di tanto complesso?

Franz era troppo estasiato per essere vigile.

Lesse il comando di movimento – movimento del collo, ricezione di nuove immagini – ma non si mosse.

Lesse il momento in cui il ragazzo lo vide.

Lesse l’impulso di parlare per richiamare l’attenzione degli altri due.

E lo fermò.

Fu un battito di ciglia. Non servì nessuna parola. Lavorò con gli occhi?, con la mente?, con qualche organo sconosciuto?

Funzionò e basta.

Franz bloccò il codice e fu come fermare il tempo. Sapeva di poter spingersi oltre, di poterlo anche modificare, riscrivere da zero se necessario, ma aveva il terrore di rompere il delicato equilibrio che lo rendeva speciale.

Spostò lo sguardo su gli altri due e fece lo stesso. Li bloccò.

«Andiamo» disse poi, alzandosi in piedi.

«Ma come...» Bea gli andò dietro d’istinto, stupita che i tre non avessero nessuna reazione.

«Non so nemmeno io come ho...» Franz fissò Bea per la prima volta da quando aveva indossato la lente.

La vedeva nello stesso modo degli altri tre. Solo che nel suo caso era l’occhio con la lente a mostrare il codice e quello normale il suo aspetto – il che a dirla tutta aveva molto più senso.

«Andiamo» ripeté solo, rivolto più che altro a a se stesso.

Attraversarono il corridoio e spalancarono l’ultima porta.

Ad un primo sguardo la stanza non sembrava altro che uno sgabuzzino, ma a Franz bastò qualche battito di ciglia per mettere a fuoco il codice che scorreva dietro una delle pareti e modificarlo per creare una varco.

Dall’altra parte c’erano una scrivania con un computer fisso in stand-by e un’enorme antenna parabolica. E una decina di ragazzi-programma che lo fissavano increduli.


ʘ –


Jeremy era ormai davanti alla fabbrica quando sentì il telefono vibrare.

COMPUTER TROVATO, STO TENTANDO L’ACCESSO, diceva il messaggio di Franz, FIN’ORA NESSUN PROBLEMA.

Jeremy si concesse un sospiro di sollievo e rimise il telefono in tasca.

Lanciò un ultimo sguardo all’edificio abbandonato. Ci risiamo, pensò prima di entrare.


ʘ –


La città era deserta.

Abbandonata da tutti i Programmi, Cartagine si riduceva ad un groviglio intricato di cubi e cilindri mobili. Ludovic si sorprese di non aver pensato prima ad un videogioco.

«Dove sono andati tutti?»

XANA era solo qualche passo avanti a lui. «Al mio arrivo hanno attuato una procedura di emergenza» rispose senza fermarsi. «Si stanno ritirando tutti nelle torri dei vari settori, ma è una procedura che richiede tempo, alcuni sono ancora qui.» Ad un gesto della sua mano, una porzione di parete e di pavimento di ritirarono, rivelando delle scale. «Devi coprirmi le spalle.»

Ludovic doveva quasi correre per starle dietro. Si chiese se nei videogiochi era possibile cadere dalla scale – probabilmente sì, arrecando punti danno magari. «Tutto qui?» borbottò.

«Per ora» ringhiò XANA in risposta.

Si infilarono in un tunnel in cui furono costretti a strisciare e sbucarono su uno strapiombo. Un unico stretto sentiero sospeso del vuoto portava dall’altra parte, dove un gruppo di Programmi si affollava agitato.

«Trovati» mormorò XANA trionfante.

Quando li videro, i Programmi tentarono di scappare. Con semplici gesti delle mani, XANA fece scomparire ogni possibile via di fuga. I Programmi sembrarono seriamente valutare l’eventualità di gettarsi nel baratro.

«Coprirmi le spalle» ribadì XANA, poi attraversò di corsa la passerella per arrivare dall’altra parte. Si fiondò sui Programmi come un predatore, puntandone uno alla volta e atterrandoli con tutto il proprio peso.

Appena li toccava, i Programmi sussultavano quasi avessero preso la scossa. Quelli che non riuscivano a liberarsi in tempo diventavano completamente grigi e cadevano a terra inermi.

Dopo essere rimasto qualche momento impalato, Ludovic agì mosso quasi esclusivamente dalla paura.

Invece di preoccuparsi di proteggere XANA, si assicurò che nessuno dei Programmi riuscisse a scappare. Cambiò angolazione della gravità, correndo sulle pareti del baratro e rispingendo indietro quelli che tentavano di allontanarsi, come un cane pastore con un gregge indisciplinato.

In poco più di dieci minuti fu tutto finito. Raccolsero i Programmi inermi e li distesero uno accanto all’altro, poi XANA si inginocchiò accanto al più vicino.

Fece scorrere una mano sopra la figura umanoide, dalla testa ai piedi, scannerizzandola. Una dopo l’alta, dall’interno si illuminarono delle righe di scritte incomprensibili attorcigliate tra loro e dall’aria estremamente solida.

Quando passò sopra ad una spaccatura sulla gamba – una ferita – mosse leggermente le dita, come digitando su una tastiera invisibile, e nuove indecifrabili parole nere comparvero dal nulla riempiendo e cicatrizzando la zona.

XANA ripeté l’operazione più volte. Ad un certo punto fermò la mano all’altezza del ventre. Non c’erano danni visibili ma due gruppi di simboli continuavano a illuminarsi alternativamente.

XANA aggrottò le sopracciglia.

«Cos’è?» chiese Ludovic avvicinandosi.

«Un errore» rispose lei senza distogliere lo sguardo. «Che non è opera mia» aggiunse dopo un momento, sovrappensiero. Premette la mano aperta sulla pancia del Programma e dopo poco una delle due scritte di annerì.

XANA rimase immobile per qualche istante, fissando i simboli illuminati e quelli che aveva appena fatto spegnere. «Un tumore» disse alla fine, sollevando lo sguardo su Ludovic.

«Un tumore?»

«Un errore nel codice personale di questo programma che non ha motivo di esistere, è apparso senza una causa apparente e ruba energia preziosa» spiegò XANA. «L’equivalente del vostro tumore.»

Ludovic si fece ancora più vicino e si accovacciò per poter vedere meglio. «E tu puoi rimuoverlo?»

XANA sollevò la mano e le parole annerite sparirono definitivamente. «L’ho appena fatto.»

«Lo hai guarito?»

«L’ho riportato alla sua massima efficienza.»

«È l’equivalente della nostra guarigione?»

XANA esitò a lungo. «Immagino di sì» concluse infine.

«E adesso?»

XANA abbandonò le mani in grembo e chiuse gli occhi.

D’istinto, Ludovic fece un passo indietro.

Sotto i suoi capelli, delle sezioni della testa si illuminarono dall’interno. Dalla base della nuca fuoriuscirono due tentacoli grigi opalescenti. Serpeggiarono nell’aria dietro di lei, allungandosi sempre di più, poi curvarono, le si portarono davanti e affondarono nel corpo del Programma appena curato. Lo assorbì lentamente, tramutandolo prima in una massa fluida e informe e risucchiandone il codice riga per riga.

Quando ebbe finito, i tentacoli si ritirarono e XANA riaprì gli occhi. Senza la minima reazione, raggiunse il Programma successivo e ricominciò con la scansione.

«Che significa?» fece Ludovic. Quella procedura era rischiosa per Rebecca? C’era una parte di Becky che era ancora cosciente, che cercava di ribellarsi? «Che cosa hai fatto a quel Programma?»

XANA lo ignorò. Non trovò tumori nel suo nuovo paziente. Appena ebbe curato le ferite, chiuse gli occhi e tornò a concentrarsi.

«No!» scattò Ludovic. La afferrò per la spalla, allontanandola dal Programma.

«Lasciami!»

Istantaneamente, una fitta di dolore gli attraversò il braccio. Ludovic la lasciò andare con un urlo, ma rimase davanti al Programma.

«Spostati» ringhiò XANA. «Lasciami lavorare.»

«NO, se non mi dici cosa stai facendo.»

«Non sei nella posizione di avanzare richieste, guerriero.»

«Hai bisogno di me» ribatté Ludovic. «Forse non ancora, o non qui, ma hai bisogno di me. O non ti saresti disturbata a trascinarmi con te.»

XANA gli rivolse uno sguardo gelido. «Tu non sei che un piccolo anello in questa catena di eventi» dichiarò. «Tu e i tuoi fratelli guerrieri potete essere speciali – qualsiasi sia la metamorfosi subita dai vostri genitori – e io posso avere delle ritrosie ad assoggettarti perché sei un’interessante materia di studio, ma non pensare mai, nemmeno per un momento, di poter avere la meglio su di me

Ludovic sentì un brivido gelido percorrergli la colonna e paralizzarlo. Le sue gambe erano rigide come roccia.

XANA si portò proprio davanti a lui.

Aprì la bocca per chiederle di smetterla, ma dalle sue labbra non uscì un suono.

«Hai visto di cosa sono capace» continuò lei. «Così come guarisco i Programmi posso anche danneggiarli. Posso distruggerli con un gesto della mano se voglio. Credimi, è persino più facile.»

Ti credo, avrebbe voluto gridare Ludovic, TI CREDO! Stava soffocando.

«Tu appartieni a questo mondo più di quanto credi. Non so ancora come funzioni, ma non sei immune al mio potere.» Allungò una mano e gliela posò sulla spalla. «Per favore, non farmi correre il rischio di danneggiarti.»

La pressione si allentò di colpo, i polmoni si riempirono all’istante, con un risucchio, e Ludovic cadde in ginocchio.

XANA lo aggirò e tornò ad inginocchiarsi accanto al Programma. Le spuntarono i tentacoli dalla nuca e lo assorbì come aveva fatto con il primo, poi passò al successivo.

Ludovic chiuse gli occhi e si fece coraggio. «Ti sarò più utile» disse infondendo quanta più sicurezza possibile nella propria voce, «se so cosa stai facendo.»

«Li scarico sulla mia memoria» rispose XANA mentre si spostava sul quarto. «Aelita li porterà al generatore.»


ʘ –


La bambina – Carlotta – le era sfuggita.

Yumi e William erano stesi sul pavimento. Erano bastati due colpi ben piazzati per far perdere loro i sensi, ma la bambina era già sgusciata via quando si era girata per affrontarla.

Era ancora lì nella stanza, nascosta dietro qualche vecchio macchinario. Aelita poteva sentire il suo respiro riecheggiare tra vecchie tubature e circuiti caldi.

Sollevò l’ennesimo lenzuolo ingrigito dalla polvere e scoprì l’ennesima scrivania. Un cumulo di cavi, vecchi hard disk e documenti scritti fitti affollava il ripiano, ma della ragazzina nessuna traccia.

Maledetti undicenni – abbastanza grandi da cominciare a pensare da adulti, ma ancora piccoli a sufficienza per potersi nascondere facilmente.

Aelita stava per scoprire un altro tavolo, probabilmente pieno solo di monitor rotti e schede madri bruciate, quando un segnale acustico richiamò la sua attenzione. Tornò al super-computer.

Un messaggio di download lampeggiava sullo schermo. Aelita poteva quasi sentire sul collo il respiro della ragazzina – ovunque fosse nascosta, la stava osservando. Sorrise e premette il pulsante di avvio.

Una spia cominciò a lampeggiare sulla tastiera. Ascensore in movimento. Stava arrivando qualcuno.

Aelita lanciò uno sguardo alle proprie spalle, verso la porta ancora chiusa. Quanto tempo aveva? Minuti? Forse meno.

Pareti e soffitto erano attraversati da cavi e tubature di tutte le dimensioni.

Mentre i suoi occhi continuavano ad ispezionare la stanza in cerca di nascondigli, le sue dita tornarono alla tastiera e vi volarono sopra, le schermate con i dati inviati da XANA che si susseguivano interminabile sullo schermo.


ʘ –


Nella stanza del super-computer l’aria era persino più stantia di quanto Jeremy si fosse aspettato.

Appoggiò una mano allo stipite della porta e per un momento rimase fermo sulla soglia.

Tutto sembrava essere ancora esattamente come lo aveva lasciato. Il monitor era acceso su una delle schermate iniziali, la sedia leggermente girata, come se l’avesse lasciata così dopo essersi alzato di fretta.

Solo che l’ultima persona ad essersi seduta lì doveva essere stata…

«Yumi? Will…»

Gli bastò avanzare di qualche passo per vedere i suoi amici accasciati a terra, privi di sensi. Corse da loro, ma una figura piccola e scura gli si parò davanti.

«Ma che…!»

Carlotta era sporca di ruggine e aveva negli occhi uno sguardo tra lo spaventato e il feroce. «Stai indietro» sibilò brandendo un rubo rotto.

Jeremy sollevò le mani in segno di disarmo. «Che ti prende?»

«Come so che non sei posseduto anche tu?»

«Chi altro… Aelita. È stata qui?»

Carlotta fece per rispondere, poi si trattenne. «Come so che non sei posseduto anche tu?» ripeté.

Jeremy ci pensò seriamente «Non lo sai» rispose alla fine. «Se fossi posseduto avrei comunque a disposizione tutti i miei ricordi. Credo.»


ʘ –


Aelita scivolò dietro un’altra tubatura. In quel punto della stanza i circuiti erano così surriscaldati che c’erano ventole per il raffreddamento in ogni angolo. Il loro fischio costante copriva il rumore di ogni suo passo.

Poteva sentire le voci di Jeremy e della bambina, ma non abbastanza bene da distinguere ogni parola.

Si fermò solo quando trovò un pannello di controllo su una delle pareti. Districò il groviglio di fili che aveva raccolto da uno dei tavoli finché non trovò un cavo che vi si potesse inserire.

Il download dei dati di XANA era ancora in corso. Era riuscita a nasconderlo alla vista sul monitor digitale, ma non aveva dubbi che Jeremy avrebbe potuto trovarlo se avesse saputo cosa cercare.

Prima di lasciare il Kadic, XANA l’aveva rifornita di tutti i supporti di memoria esterna che era riuscita a procurarsi. Aelita collegò il primo al pannello e la barra di controllo cominciò subito a riempirsi. Quanti programmi era già riuscita ad assimilare XANA?


ʘ –


«Dobbiamo svegliarli» disse Carlotta mentre posava la sua arma di fortuna su uno dei tavoli. «E se avessero qualche contusione o qualcosa del genere? Qualcosa di grave.»

«Non ci sono traumi evidenti» le assicurò Jeremy mentre girava intorno a William. Lo girò a pancia in su e poi lo prese da sotto le braccia. «Aiutami. Prendi tua madre.»

«Non riusciremo mai a portarli via di qui da soli» protestò Carlotta.

Jeremy scosse la testa. «Dobbiamo solo arrivare agli scanner» spiegò cominciando a trascinare William. «I loro dati sono ancora sul computer. Si sveglieranno direttamente su Lyoko.»

Carlotta lo fissò senza capire, ma non fece altre domande.


ʘ –


Il download del primo programma durò quasi dieci minuti, ogni secondo più lungo del precedente. Appena da blu la barra di caricamento divenne verde e smise di avanzare, Aelita sostituì la memoria esterna e avviò lo scaricamento del programma successivo.

Premette un pulsante sul lato della memoria piena e la barra di caricamento tornò blu. Cominciò a scendere lentamente – i dati venivano inoltrati al generatore del Kadic con successo.


ʘ –


La mensa si stava già iniziando a svuotare. Alcuni ragazzi tornavano in camera a dormire, altri progettavano come passare la serata, altri ancora semplicemente indugiavano ai tavoli in grandi gruppi parlando tra loro ad alta voce e talvolta arrampicandosi sulle sedie per dare spettacolo.

Ulrich e Sissi si guardarono intorno leggermente storditi.

La confusione delle ultime ore aveva reso tutti più arzilli, ma nessuno neanche lontanamente agitato come lo erano loro. Per gli studenti e i professori del Kadic c’era stato un temporale e poi qualche problema di amministrazione.

Per quelli umani almeno. Né Ulrich né Sissi avevano idea di quale fosse la situazione tra i programmi.

«L’infermiera» ricordò Ulrich, ma Sissi scosse la testa.

«Non la vedo.»

«Ma Emma…»

Sissi non incrociò il suo sguardo. «Sarebbe inutile in ogni caso» concluse dopo un po’. «Se il problema di Emma è la schiena, allora è troppo grave per una semplice infermiera. E se non lo è nessun medico umano potrà aiutarla.»

«Allora torniamo indietro. Oppure… non so, tu sei la preside, credi che tutti questi ragazzi siano al sicuro?» accennò con un gesto a tutta la mensa. O forse a tutto il Kadic.

«Farò mettere un coprifuoco in modo che vadano tutti nelle loro camere.» Sissi adocchiò il personale scolastico presente, poi si diresse verso un tavolo occupato solo da professori. «E per domani organizzerò qualche cosa in aula magna, in modo che stiano tutti lì quanto più tempo possibile.»

«Okay.»

Ulrich rimase indietro mentre Sissi parlava con i professori.


ʘ –


La lista di nomi sembrava non finire più.

Franz era riuscito a trovare un elenco di tutti i programmi che erano stati integrati nella scuola come studenti o personale. Da quanto risultava nelle schede c’erano intere classi e interi collegi di professori costituiti esclusivamente da programmi. Solo alcuni, in via sperimentale, erano stati inseriti in classe con ragazzi umani e condividevano le stanze con alcuni di loro – come Anna con Rebecca e Julien con Ludovic.

«È impressionante» commentò, rivolto a nessuno in particolare. Bea era di guardia, pronta ad avvertirlo se si fosse avvicinato qualcuno, mentre tutti gli altri programmi erano come pietrificati.

I primi aveva dovuto controllarli con la mente perché non lo attaccassero, ma poi era riuscito a gestire i comandi dal computer e trovare il modo di mandarli tutti in stand-by. Probabilmente tutta la scuola era piena di persone invisibili congelati nel bel mezzo di una conversazione o di un corridoio. Cosa stavano pensando tutti i ragazzi umani.

Niente, visto che non possono vederli, ricordò a se stesso.

Stava ancora scorrendo la lista quando la schermata si riavviò da sola.

«Ma che…»

Un aggiornamento.

Quando riapparve, nell’elenco c’era una nuova riga. Una fatta solo di lettere e numeri apparentemente senza senso, come un’immagine scaricata da internet e non ancora rinominata.

Gli bastò usare il pensiero per aprire il nuovo file.

Un programma era appena stato inserito nel sistema. Uno nuovo, amorfo, senza un nome, né un aspetto, né indicazioni particolarità. Nel file c’erano solo righe e righe di codice informatico, verde su nero così fitte da far venire il mal di testa.

«Tu da dove spunti?» mormorò Franz, e i suoi pensieri avviarono dei nuovi comandi.

Il file proveniva da una trasmissione appena completata. Una seconda montagna di dati stava per essere scaricata proprio in quel momento.

Ma da dove?

Sul monitor comparve una specie di grafico che mostrava la posizione della scuola e poi un puntino luminoso ad una certa distanza.

La fabbrica.

Era suo padre a mandare quei file? No, suo padre lo avrebbe avvertito.

Franz spostò lo sguardo sul cellulare lasciato accanto alla tastiera. La chiamata partì ancora prima che avesse finito di formulare il pensiero.


ʘ –


Per quanto potesse sembrargli che il tempo non fosse passato, Jeremy era fuori allenamento. Il processo di scannerizzazione era sempre la fase più delicata. Non poteva permettersi di distogliere lo sguardo dallo schermo del super-computer.

Il telefono che squillava lo fece sobbalzare. Lo estrasse dalla tasca e lo porse a Carlotta senza nemmeno guardare.

Sentì la ragazza afferrarlo e rispondere – era Franz – ma non riuscì a prestare attenzione alla conversazione.


ʘ –


Su Lyoko non faceva freddo – non c’era temperatura – ma la vista della banchisa le mise i brividi. Yumi si limitò a osservare mente il suo corpo prendeva consistenza nel mondo digitale.

Alla sua destra, il ghiaccio si estendeva interminabile, liscio e lucido come plastica, tagliente come non mai nel punti in cui era fratturato o modellato in spuntoni.

Era stata qui più volte dopo aver lasciato il Kadic – nei suoi sogni. Ma questa volta era fin troppo consapevole di essere sveglia.

L’aria intorno a lei aveva quella consistenza densa, quasi gelatinosa, tipica non di un gas necessario alla respirazione ma semplicemente di un altro elemento, consistente e modellabile proprio come la terra o l’acqua.

L’acqua.

Alla sua sinistra, il ghiaccio era fratturato in pezzi sempre più piccoli che galleggiavano immobili sul mare digitale.

All’improvviso, Yumi fu di nuovo consapevole di avere delle gambe, una schiena, della braccia. Barcollò per un momento mentre tornava ad avere un peso, ma ritrovò subito l’equilibrio. Anzi, appena i suoi sensi furono tornati alla loro normale funzionalità si ritrovò a pensare di sentirsi particolarmente leggera.

William comparve accanto a lei.

Le loro forme digitali non erano invecchiate. Nel mondo reale potevano essere cresciuti e cambiati, ma su Lyoko erano sempre gli stessi guerrieri, agili e forti come il giorno che se n’erano andati.

Yumi ritrovò i propri ventagli. Se li rigirò tra le mani, stupita che le sue dita ricordassero esattamente come manovrarli.

Un senso di euforia la pervase.

Prese la rincorsa e scavalcò una sporgenza di ghiaccio. Poi un’altra, e una terza. Saltando lanciò uno dei ventagli che distrusse uno spuntone e poi le tornò in mano, un attimo dopo aver toccato di nuovo terra.

Rise mentre girava su se stessa e tornava verso William. «È meraviglioso!» urlò lui brandendo la sua spada gigantesca. «Sembra di essere tornati indietro nel tempo!»

«Yumi, William. Mi sentite?»

La voce di Jeremy riecheggiò nelle loro teste.

«Jeremy!» saluto William. «Jeremy è grandioso! Non credevo che mi mancasse ma…»

«Cosa ci facciamo qui?» lo interruppe Yumi.

«Aelita vi aveva messi KO. È posseduta. Ho pensato che portarvi direttamente su Lyoko fosse la scelta migliore.»

«Lo era!» esclamò William.

«Perché?» chiese invece Yumi. «Cosa dobbiamo fare?»

Jeremy produsse una specie di risata. «Oh, la solita roba» affermò. «Fermare XANA. Combattere gli eventuali mostri digitali lungo la strada. Salvare il mondo digitale dalla distruzione.»

Yumi strinse la presa sui ventagli e passò in rassegna la banchisa con lo sguardo finché non individuò la sagoma di una torre in lontananza. Sorrise. «Nulla che non abbiamo già fatto.»

  
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