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Autore: carachiel    23/05/2018    4 recensioni
E' noto che fare patti con qualsivoglia creatura non umana porta solo che a grandi macelli.
Ma se proprio bisogna aprire il Vaso di Pandora delle recriminazioni, beh...
“Non è attestato quanta energia contenga in totale il corpo umano, ma dalle nostre indagini è venuto alla luce che sarebbero comunque livelli altissimi.”
“Quindi sarebbe possibile?”
“Sì. Il sacrificio volontario permetterebbe in passaggio tra le due energie, essendo esse di matrici opposte. Inoltre, ma credo che tu lo sappia, è necessaria una buona intesa fra donatore e ricevente.”
“…Sulla Terra lo chiamiamo trapianto.”
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Byron Arclight/Tron, Christopher Arclight/ Five, Michael Arclight/ Three, Thomas Arclight/ Four
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'Impulso–verse'
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San Michele: Fui l’unico a combattere
 

“J'étais prêt à graver ton image à l'encre noire sous mes paupières
Afin de te voir même dans un sommeil éternel
Même dans un sommeil éternel
Même dans un sommeil éternel”
Maitre Gims, C’este que tu m’aimes
 

Note dell’autrice: Vi avviso brevemente che questo capitolo non sarà felice. Cioè, molto meno di altri, dato che si parlerà, seppur indirettamente, di tematiche delicate come abusi psicologici e violenze di vario genere. Spero di riuscire a parlarne con tutto il tatto del caso.
 

Si ritrovarono dopo poco seduti nel grande salone, con davanti quattro tazze di tè fumanti. Anche se probabilmente non sarebbe bastato tutto il tè del mondo a passare sopra i loro problemi.
Ma era comunque qualcosa di confortante, la sicurezza di quell’abitudine consolidata negli anni.
Anni prima gli era servita per far fronte alla morte della madre. Adesso gli era necessaria per trovare un pretesto per non guardarsi in faccia.
 
“Avete cambiato i tappeti, uh?” mormorò Byron mentre prendeva la zuccheriera.
“Due anni fa, sì.” rispose Three, la testa bassa a mescolare il liquido ambrato.
Four ringhiò. Normalmente non detestava il rito del tè delle cinque, ma in quel momento gli sarebbe risultato insopportabile anche pasteggiare con del bromuro. Dio, non mentre alla sua destra V tastava il tavolino come un cane da tartufi!
“Un po’ più a destra, Raperonzolo.” disse spingendogli leggermente la mano verso la tazzina.
“Grazie.” sussurrò V, mentre le sue labbra si piegavano in quello che doveva essere l’inizio, seppur esitante, di un sorriso.
 
E a guardarlo, il cuore di Four collassò. Non riusciva a sopportare l’idea che suo padre l’avesse costretto a fare… beh, qualunque cosa avesse fatto per tornare in quelle condizioni.
Tron aveva promesso che sarebbe rimasto fuori dalle loro vite. Che non sarebbe tornato.
Dio, non così! Non dopo che avevano fatto tanto per sfuggire al ricordo della madre, che ancora li perseguitava nottetempo…
 
Questi pensieri non sfuggirono a Three che, con la sicurezza dell’abitudine avrebbe saputo dire quel che passava per le iridi cremisi del fratello maggiore.
E in quel momento avrebbe tanto voluto darsi il vassoio sulla testa pur di eliminare il sospetto.
Perché sapeva che non sarebbero andati da nessuna parte con simili ombre nella mente.
E lui aveva fatto la sua parte, scontrandosi contro la consapevolezza che niente sarebbe valso.
Coprendo quel che non andava col trucco, mostrando che nulla stesse andando male.
Gli ci era voluto tutto l’orgoglio possibile, ma alla fine era riuscito solo che a fare terra bruciata attorno a sé, pur di non abbandonare quel che restava della sua famiglia.
E Tron era il vuoto, quel vuoto informe che lo aveva reso immune a tutto, al prezzo della consapevolezza di non valere nulla.
 
Quell’uomo che aveva davanti era l’opposto preciso. Il diffidarsi a vicenda, lo scrutarsi, era qualcosa che quell’uomo non mostrava. E Three non riusciva a dubitare davvero guardando quelle stesse sue iridi sorridergli, come fosse stato davvero felice di vederlo.
E il semplice fatto di realizzare di poter mandare in pezzi quel residuo di felicità che si andava accumulando, come pronosticatogli da Tron, distruggeva le sue esigue speranze, cancellando quel sorriso quasi fosse stato solo un’illusione.
 
“Mi dispiace di aver tenuto vive così a lungo le vostre speranze.” mormorò Byron, svotando di metò la sua tazza, cercando in quella bevanda ardente il coraggio di un sorso di vodka.
Suonava come una confessione.
 
 
Due ore dopo erano ancora lì, con davanti quattro tazzine vuote. E Four, ogni volta che il padre cercava di introdurre una qualunque conversazione, mimava in modo molto efficace il proprio suicidio a dimostrazione della stima per il genitore.
Esaurito il tè, esaurite quelle semplici banalità che li avevano tenuti lontano dalla verità, evitata a tutti i costi, ora finita davanti a loro su un piatto d’oro.
E non appena loro fratello aveva concluso il racconto, assai breve in effetti, di quello che era accaduto con Tron, Four era saltato verso il padre e dopo averlo afferrato, l’aveva schiaffeggiato, urlandogli in faccia il proprio disprezzo. Three stavolta non aveva affatto tentato di fermarlo, sarebbe stata una pazzia.
Byron non tentò nemmeno di difendersi, in fin dei conti conosceva fin troppo bene il carattere del figlio e a conti fatti, né legalmente né moralmente aveva ancora qualche autorità su di lui.
Semplicemente lo lasciò sfogare, per poi alzarsi ed andarsene dalla stanza.
E così passò la sera, distrattamente, senza percezione. Come uscire da una stanza e non rendersene conto.
 
_______________________ 
 
Si sentiva solo, Three, pensando che fosse colpa sua, la sua dannazione.
Mentre provava a diventare il meglio, rompendosi e spezzando il suo animo per qualcuno di cui non conosceva le intenzioni o gli scopi.
Si rompe ancora, incatenato a quell’essere per alleggerirsi, pur di sapere di contare qualcosa, annegando in quelle catene come fossero state la sua armatura, domandandosi se un giorno le sue emozioni, un fiume in piena sotto il letto arido e secco dell’apparenza, avrebbero spaccato la diga, rompendogli la pelle e invadendogli il cuore.
E dentro questi pensieri si svegliò di soprassalto, balzando in piedi e soffocando a malapena un gemito per la vicinanza di quei pensieri troppo vividi, troppo veri.
Fu quando posò i piedi sul marmo freddo, pur di recuperare un poco di raziocinio, che Three si rese conto di essere stanco come per aver affrontato una lunga corsa, la stanchezza che tremava in ogni respiro, ogni azione gli appariva lontana e gravosa, ma a spazzare via questa sensazione, fu un grido subito spento, ma che parve risuonare per una decina di secondi tra i muri chiari della bella dimora gentilizia.


Quel rumore lo mise in agitazione, ricordandogli nottate in cui erano solo simili suoni a riempire l’aria, e non sentendosi affatto al sicuro si alzò per verificare.
Tese l’orecchio e guidato da quello che pareva essere un sospiro affannoso, giunse davanti alla porta della camera dei suoi genitori. Cioè di suo padre, ma che quest’ultimo anni addietro, forse per un’abitudine dura a morire, forse per pura malinconia, usava ancora definire “nostra”.
Qui si arrestò, accertato che il rumore giungesse da lì.
Era incerto se entrare, ma a conti fatti la preoccupazione per il genitore batteva di gran lunga ogni sorta di scrupoli morali e, cercando tastoni la maniglia, la abbassò, aprendo a sufficienza la porta da potervi sgusciare dentro.
Trattenne istintivamente il fiato per non svelare la propria presenza.
La stanza era immersa nel buio, salvo alcune sottili lame di luce che lambivano il letto, illuminandone le coperte ben ricamate.
Suo padre era disteso esattamente sotto uno di questi sottili varchi, la schiena rivolta alla porta e la treccia bionda che gli penzolava sulle spalle.
Three mosse qualche passo e lo vide che dormiva rigido, di un sonno evidentemente non sereno come gli aveva augurato qualche ora prima, raggomitolato sotto la coperta, le mani tese spasmodicamente ad afferrare il lenzuolo, come per ancorarsi ad esso.
Mormorava qualcosa nel sonno, e pareva non rendersene conto.
Il quindicenne si avvicinò di un altro passo, esitando. Non gli pareva giusto ascoltarne i sussurri sconnessi, gli sembrava di invaderne la privacy.
Ma l’idea che in sogno si dicessero cose che da svegli si negavano strenuamente, nonché la possibilità di capire davvero cosa fosse successo tra quell’uomo e suo fratello per vederli tornare… così, lo convinse ad abbassarsi per cogliere il senso di quei mormorii.
“Scusami… Ti sto perdendo… Ancora”  la sua voce era un bisbiglìo roco in cui si mesceva indissolubilmente l’angoscia al dispiacere più sincero e bruciante
“Sai.. a volte sogno di modi… di vie… in cui avrei potuto renderti ancora felice… Come lo eravamo una volta...”
Three a quelle parole fu colto da una tristezza profonda, ascoltando quella confessione spezzata, inconsolabile.
Era come se gli stesse chiedendo perdono per non avergli detto addio, quando ancora ne aveva l’opportunità, per non avergli vissuto accanto come avrebbe dovuto fare.

Ebbe quasi la tentazione di andarsene, lasciando suo padre ai suoi fantasmi inafferrabili, ma la speranza di potergli portare quel poco di consolazione necessaria lo convinse a restare ad ascoltare.
“No, no, non dovevo… cedere… ma tu avevi chiesto a lui… lo sai, Tron, sì, lui, è colpa sua…” mormorò l’uomo sprofondando sempre più nell’incubo “Sì, lui merita… di morire…”
Seguì un istante di pausa e pensò di aver sentito abbastanza, quando suo padre spalancò gli occhi. A Three bastò un istante per capire che suo padre non era lucido, dato che le iridi non erano del consueto color chartreuse*, ma viravano in maniera inquietante al giallo.
“Come quelle di…” si interruppe, mentre un fin troppo familiare stemma violaceo come nebbiolina
invadeva la stanza, e un sussurro perforava la sua mente “Attacca il ragazzo, il ragazzo!”
Three non fece in tempo a sottrarsi che il padre, con una forza insospettabile, lo inchiodò al muro, con tutta l’intenzione di strangolarlo.
“S…sei crudele… per-perché, Tron??” articolò a fatica
“Perché ho intenzione di spremere ogni goccia di devozione che ancora provate…” suussurrò, beffarda, la voce “Per ricordarti… che tu non sei nulla.”
 
E tornare a quei ricordi era un inferno, risprofondando sempre più in dubbi che credeva murati.
Con la consapevolezza che in quel momento il suo nome, il suo status, la sua stessa vita non valeva nulla.
L’idea di essere stato una volta libero, senza vincoli, adesso gli risultava insopportabile.
 
E soffocato, chiuso sotto una morsa sempre più forte, nemmeno importava più se fosse l’ossigeno a scappare dai suoi polmoni o la sua razionalità dal peso di quello che non passa mai perchè non è mai passato, era ad un passo dallo scivolare a terra, tenuto su solo da quella stretta, finché suo padre… Tron… un ricordo… chiunque fosse, lo lasciò andare, accartocciato contro la parete, ricadendo indietro, inciampando nelle lenzuola e ricadendo pesantemente sul letto fino a farne gemere le molle, per poi restare lì, gli occhi semichiusi e lo sguardo perso nel vuoto, il respiro affannoso.
E pur di non restare un altro secondo, Three afferrò disperatamente la maniglia e si sottrasse.
 
Il respiro gli si regolarizzò un poco quando le sue spalle trovarono la liscia superficie della porta del bagno, scivolando lungo di essa.
Si rialzò e, frugando febbrilmente nell’armadietto, trovò quello che cercava.
Caracollò precipitosamente verso il proprio letto e ingoiata una manciata di pillole, sperò solo di dimenticare.
Ancora.
E ancora.
 

  
 
*da maniaca dei colori quale sono ho trovato appropriato questo colore per descrivere gli occhi di Byron. A voler essere profani, è una sfumatura tra il giallo e il verde. Ed è anche il nome di un liquore, sì.

 
Angolo Autrice: Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, un ringraziamento a chi mi sostiene con le recensioni e un grazie anche ad AstralDiamond e Nazuhi che hanno inserito la storia nelle preferite. Scommettiamo, quale sarà il titolo del prossimo capitolo? Scrivetelo nelle recensioni, voglio sapere le vostre ipotesi.
E adesso, mecum omnes plangite, ché ho finito il capitolo ascoltando Suona il corno (dal film Disney  “Spirit”) e sono emozionalmente fratturata c.c
 
   
 
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