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Autore: izzie_sadaharu    24/05/2018    1 recensioni
La Casa è un'associazione di viaggiatori nel tempo, il cui scopo è prevenire le Crepe e lasciare che la storia faccia il suo corso. Baekhyun ne è un membro da ben cinque anni, per cui non si sconvolge più di tanto quando gli viene assegnata una missione nella Germania degli anni Venti.
[CHANBAEK] [Side!Kaisoo] [Side!tante altre coppie che si vedono e non si vedono]
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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8.

 




 
Junmyeon era il tipo di persona che, non appena metteva piede nell’ufficio dove lavorava, assumeva un’espressione seria e che ispirava sicurezza e affidabilità. Motivo per cui i colleghi si scambiarono un’occhiata stranita quando lo videro irrompere all’interno della Casa, con gli occhi che brillavano e un gran sorriso stampato in faccia. In una mano stringeva un foglio ormai accartocciato e spiegazzato, e con l’altra si trascinava dietro un altrettanto stranito Lay, che aveva tutta l’aria di volersi sotterrare. Quello, o scoppiare a ridere e non fermarsi più fino al Natale dell’anno dopo.
«Signori!» Junmyeon sventolò il foglio in aria, strattonando il braccio di Lay con entusiasmo. «Il governo francese ha approvato la proposta. La riunione si terrà con un mese di ritardo.» Delle ovazioni risuonarono nella stanza principale, qualcuno applaudì anche. Lay ridacchiò nervosamente, tentando di riprendere pieno possesso del proprio braccio. Fallì miseramente: il giovane capo della Casa se lo tirò vicino e lo arpionò, passandogli il braccio dietro alla schiena e afferrandogli le spalle. «Ed è tutto merito del nostro Yixing. È riuscito a convincere il presidente della Repubblica, grazie alle sue inattese doti di mediatore.»
Il cinese decise di ignorare l’insulto celato dietro a quella affermazione, e accennò un sorriso a tutti coloro che gli stavano rivolgendo dei commenti di complimento.
Decisamente, quel giorno Junmyeon aveva esagerato con l’alcol. Lay sospirò piano, mentre la stretta sulla sua spalla non accennava ad allentarsi. Avrebbe dovuto fermarlo, quando aveva esclamato di aver bisogno di un altro bicchiere di whisky. Tentò di scivolare via dalla stretta ferrea dell’amico, e finalmente Junmyeon spostò il braccio. Gli sorrise radioso, gli occhi lucidi per la sbronza colossale che si era beccato con un solo bicchiere di whisky in più. Lay restituì il sorriso con meno convinzione, poi gli afferrò la manica e se lo trascinò via, diretto in infermeria. Lo avrebbe fatto distendere da qualche parte per aspettare che i fumi dell’alcol se ne andassero da soli. Junmyeon ridacchiava, sotto gli sguardi perplessi e divertiti dei colleghi. Era talmente raro, vedere il capo in una forma che non fosse quella rigida e impostata che gli era abituale, che era davvero difficile non ridere. Solo la compassione li frenava dal filmare la scena.
Quando Yixing riuscì a spingere Junmyeon sul primo lettino che trovò e a sommergerlo con una coperta, si sedette esausto sulla sedia accanto e sbuffò. «Che stress che sei quando ti ci metti, Myeon.»
Gli rispose una voce flebile: «Bào qiàn, Xing…(*)»
Lay non rispose. Si limitò a passare leggermente la mano sulla testa di Junmyeon, per poi alzarsi e tornare nel suo laboratorio.


 

**
 


Joerg afferrò un pezzo di pane e se lo portò alla bocca, esitando prima di addentarlo timidamente. Sentiva su di sé lo sguardo duro e freddo del padre, che lo osservava con attenzione. Dall’altro lato del tavolo la madre, Rut, se ne stava in silenzio, con gli occhi fissi sul piatto posto di fronte a sé.
«Non abbiamo ringraziato Dio del cibo che abbiamo nei nostri piatti. Joerg, poggia quel pezzo di pane.»
La voce melodiosa della donna era velata di un’insicurezza che non le apparteneva. Joerg alzò lo sguardo e incontrò quello del padre, severo. L’uomo non batté ciglio, né si girò verso la moglie quando le rivolse la parola. «Rut, basta.»
La donna strinse le labbra in un evidente tentativo di mascherare la rabbia, per non sbottare davanti al figlio. Joerg avrebbe volentieri roteato gli occhi al cielo. Come se non li avesse sentiti litigare, di notte, tutte le notti precedenti a quella. Come se fosse ancora necessario fingere che andava tutto bene, quando in realtà la famiglia andava sgretolandosi giorno dopo giorno, commento dopo commento, preghiera dopo preghiera. Joerg allungò la mano per appoggiare il tozzo di pane sulla tovaglia ormai sdrucita, ma il padre gli bloccò il polso con una morsa ferrea della mano. «Mangia, Yoongi.»
Il ragazzino strinse la presa sul pane, incrociando dubbioso lo sguardo della madre. Rut lo guardava in silenzio, le labbra ancora serrate in una linea sottile.
«Yoongi.»
Joerg lasciò andare il pane, che cadde con un tonfo leggero sul tavolo. «Se la mamma vuole dire la preghiera, lasciateglielo fare, padre.»
Rut accennò un sorriso che tuttavia non raggiunse i suoi occhi scuri. «Joerg, il kippah.»
Il marito posò la mano sulla spalla del ragazzino. «Non devi metterlo, se non vuoi, Yoongi. Non c’è bisogno che fai sapere al mondo che tua madre è ebrea.»  La morsa sulla spalla si fece più forte per qualche istante. «Sei coreano.  Accetta le tue origini.»
Rut si alzò in piedi di scatto. «Dongsun. Lascia che sia Joerg a decidere quali siano le sue origini. Dimentichi che è nato qui, a Berlino?»
L’uomo si alzò, ponendosi alla sinistra di Joerg. Il ragazzino avrebbe voluto scostarsi, ma Dongsun teneva ancora la mano sulla sua spalla, in un minaccioso monito silenzioso. «Forse tu, Rut, dimentichi che non sei una tedesca pura.»
Joerg chiuse gli occhi. Troppe volte aveva sentito questa discussione, attraverso le pareti sottili della loro casa di Berlino. Troppe volte, ormai la sapeva a memoria. Eppure non riusciva proprio a recitare nella sua testa le battute che sapeva che i suoi avrebbero ripetuto, come da copione.
«Beh, sono certamente più tedesca di te, Dongsun, tu che dici?»
«Il vero spirito tedesco si vede dalle azioni, Rut. Chi è di noi due che si alza tutte le mattine per andare a lavorare, eh? Chi è che ingrassa le casse dello stato con le sue ore, con il suo tempo e le sue fatiche?»
La donna sbuffò impaziente, scostandosi una ciocca mora dalla fronte. «Oh, beh, direi nessuno, vista la situazione economica in cui versiamo! Ma che ne vuoi sapere tu, che ancora chiami nostro figlio con un nome che è destinato a far sparire dalla propria identità?»
Joerg sussultò, ma rimase in silenzio. Aveva imparato con il tempo che era sempre meglio tacere, durante quei litigi. La sua opinione non era mai richiesta, nonostante fosse il centro della discussione. O almeno così gli pareva. A volte aveva l’impressione che, nonostante il suo nome fosse sempre sulla bocca dei suoi genitori quando litigavano, in realtà lui c’entrasse meno che zero nei loro discorsi. Veniva usato come alibi, come testimone di una realtà di cui nemmeno lui era a parte, tuttavia era quasi sempre sicuro di essere l’ultimo dei loro pensieri, quando si urlavano così.
«Yoongi è nato da padre coreano, e in quanto tale avrà il suo nome coreano. Punto.» Dongsun mosse un passo verso la moglie, lasciando finalmente la presa dalla spalla di Joerg. In quel momento, era come se il figlio fosse uscito definitivamente dal focus della discussione. Ciò fu confermato dalla frase che subito dopo lasciò le labbra dell’uomo: «Cosa vuoi saperne tu, che tuo padre era un apolide, un ebreo, dell’onore della stirpe?»
Il ragazzino fece un passo indietro, colpito dalla durezza nella voce del padre. Strano, ormai avrebbe dovuto essere abituato. Eppure proprio non ci riusciva, a ingoiare quell’asprezza che ormai permeava ogni parola sillabata da Dongsun.
Si allontanò dalla cucina, il pane ormai dimenticato sul tavolo, con gli occhi fissi sul volto rigato di lacrime della madre, arrossato dalla furia e dall’orgoglio ferito. Lasciò la stanza in silenzio, dimenticato dai suoi genitori proprio come il pane nei piatti.
Tornò nella sua stanza, si stese sul letto e non pianse. Fissò il soffitto con sguardo vacuo, le orecchie che ancora risuonavano delle grida dei genitori.
Quella casa, decisamente, aveva muri troppo sottili.
 
 
 
 
 
 



 
____________________

(*) “scusa” in cinese
   
 
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