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Autore: Hollow23    24/05/2018    1 recensioni
Immaginate che, per assurdo, l’idol più famosa del panorama contemporaneo internazionale sia trascinata giù per il pozzo mangia ossa da un filo rosso. E continuate a immaginare, sempre per assurdo, che dall’altra parte del pozzo, ci sia Sesshomaru a tirare incuriosito il filo. Quando gli sguardi dei due si incroceranno, il destino verrà riscritto.
Una serie di peripezie porteranno Anija e Sesshomaru a conoscersi l’un l’altra, andando oltre le semplici concezioni di ‘umano’ e ‘demone’, per risalire a quella comune di ‘persona’. Bizzarro che tutto ciò accadrà proprio nel tentativo di spezzare il legame che c’è fra i due, vero?
Anija porta al collo la Sfera dei Quattro Spiriti, ed il pozzo mangia ossa non la lascerà tornare nel presente finché il filo rosso che la unisce indissolubilmente a Sesshomaru non sarà tagliato.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. RISE AND FALL

« Te lo giuro! Quello lì c’aveva una mezzaluna tatuata in fronte, e gli occhi gialli! Gli occhi gialli, ti dico! » rise di gusto, lasciandosi cadere sul letto sfatto.

Una valigia, così piena da poter scoppiare da un momento all’altro, giaceva sul pavimento in parquet scuro della stanza, mentre una soffice luce primaverile filtrava dalla finestra ed illuminava l’ambiente. L’hotel che stava per lasciare era nel centro di Tokio, la destinazione dell’ennesimo viaggio, casa: l’Italia. L’armadio era spalancato, ed ancora una caterva di vestiti attendevano di essere riposti in valigia, con la cura che solo chi vive della sua immagine può avere. D’altronde, il suo lavoro non permetteva distrazioni nell’apparire. La ragazza si ribaltò, stendendosi di pancia sulle coperte finemente ricamate, e sorrise al vuoto sentendo la voce del suo interlocutore al telefono, parlarle in un italiano sciolto e scorrevole.

« Tu hai troppa fantasia! Non avrai mica mangiato troppo sushi lì in Giappone? » rispose una voce maschile visibilmente divertita.

« Non scherzare, guarda che sono seria! Andiamo, non ti è mai capitato di fare un sogno così vivido da sembrare vero? » a qualche secondo susseguì una risposta stupida quanto la persona che la pronunciò.

« I sogni erotici valgono? »

« Tu sei un porco. » scoppiò a ridere la ragazza, seguita un attimo dopo dal ragazzo « Ora devo chiudere, se non mi muovo perderò l’aereo. »

« Telefonami appena arrivi in Italia. »

« Ok mamma. » lo canzonò lei, scimmiottando la sua voce.

« Anija Paganelli, non ti dimenticare di chiamare il sottoscritto Giorgio Cazzorla, o appena rimetterai piede su suolo italiano ti faccio il culo a strisce. » la intimidò lui, poco serio, suscitando solo ulteriori risate.

« Dici che lo zebrato andrà di moda quest’anno? » lo smorzò lei in una risata, prima di congedarsi in un perfetto francese « Adieu! »

La telefonata si chiuse e la ragazza continuò finalmente a sistemare i bagagli per l’imminente viaggio.

 
« Anija, mi stai ascoltando? »

La voce di suo padre la destò finalmente dai suoi pensieri. Con la testa ancora poggiata contro il finestrino dell’auto di lusso, volse lo sguardo e un sorriso di scuse a suo padre, chiedendogli di ripetersi.

« Dicevo, che il nostro volo ha due ore di ritardo. C’è un tempio poco distante dall’aeroporto che volevo visitare, ti andrebbe di venire con me? »

La ragazza annuì, noncurante. Tutto ciò che le importava in quel momento, era il sogno fatto la notte prima: quell’uomo così bizzarro, quegli occhi ambrati, quel viso pallido, quell’odore muschiato e selvaggio, quei capelli lunghi e color dell’argento. Ogni particolare le era rimasto incastonato nella memoria. Era stato uno dei sogni più confusi eppure vividi che aveva mai avuto in vita sua. Il paesaggio, al di fuori del finestrino, scorreva veloce come la pellicola di un vecchio film insonorizzato alla cinepresa.

 « C’è qualcosa che non va, piccola? » le chiese suo padre, in un italiano carico di preoccupazione.

Anija finalmente si destò e gli sorrise sinceramente, guardandolo negli occhi così simili ai suoi. Suo padre era sempre stato un bellissimo uomo, sin da giovane, e se possibile gli anni avevano avuto con lui lo stesso effetto sortito col vino: l’avevano reso ancor più seducente, dal sapore ancor più ammaliante. Era non solo alto, ma slanciato, robusto ma mai grasso; in generale, imponente. Aveva un manto di capelli castani folti e morbidi, ed un paio di occhi dello stesso colore del cielo primaverile, che lei aveva ereditato. Vestiva elegante e godeva di un magistrale capitale, in parte ereditato ed in parte guadagnato grazie alla catena di alberghi fondata con altri due soci, del quale sua figlia Anija sarebbe stata unica erede. Era sempre gentile e premuroso, ma non mancava dal diventare serio e saggio quando si trattava di smerciare consigli a chiunque ne avesse bisogno.

« Non preoccuparti papà, sono solo un po’ pensierosa. » gli disse in un flebile sorriso.

La macchina si fermò accanto al marciapiede, e l’uomo si volse a guardare la figlia negli occhi identici ai suoi, per poi uscire dalla tasca interna del suo cappotto nero una scatolina bianca in pelle. La scena parve quella di una richiesta di matrimonio, e per questo Anija cominciò a ridere, entusiasta per ciò che doveva essere un regalo.

« Avevo intenzione di dartelo appena fossimo arrivati in Italia, come ricordo del Giappone, ma visto che sembri così giù di tono te lo darò adesso. » sorrise comprensivo, per poi porgere la scatolina alla ragazza, che reagì stampandogli un bacio sulla guancia.

Aprì frettolosamente la scatola, ritrovandoci una perla delle dimensioni poco più piccole di quelle di una noce. Era liscissima e così rosata da parere fatta di petali di ciliegio. Anija fece il sorriso più grande che poté e ringraziò il padre, posandogli un altro bacione sulla guancia. Estrasse la perla, legata ad una catenella in oro bianco, ed il padre fu felice di mettergliela al collo.

« Da quando tua madre è morta, capisco il tuo attaccamento al Giappone. Era la sua terra, ed abbiamo passato qui momenti meravigliosi noi tre assieme … spero che tenendo sempre con te questa perla, tu possa essere sempre felice come lo eri allora. »

« Papà … è meravigliosa. Grazie, davvero. » fece commossa e nostalgica lei.

« Sciocchezze, bambina mia! Ed ora, andiamo a visitare il tempio Higurashi. » e detto ciò, aprì lo sportello ed uscì dall’autoveicolo.

La figlia lo seguì a ruota, senza però trattenersi dal portarsi dietro la sua chitarra. Era più forte di lei, non riusciva a lasciarla da nessuna parte, doveva costantemente sentire il suo legno contro la schiena, da eccellente musicista qual era. Si mise la borsa in spalla, nascose la perla sotto alla maglietta e seguì il padre lungo le alte scalinate che portavano al toori, e poi al tempio.
L’ambiente era come Anija se l’era aspettato: austero, naturale quanto più si poteva, calmo e pacifico. I ciliegi erano in fiore, profumando l’aria di buono, ed un gatto si lavava la zampa seduto su una roccia. Gli venne in contro un vecchio, salutandoli con fare solenne. Suo padre subito intrattenne una conversazione in un giapponese fluido e preciso, e quando disse che era lì in visita con la figlia, lo sguardo del vecchio andò inevitabilmente a finire su Anija. L’anziano parve stupito e meravigliato, ma ormai Anija c’aveva fatto l’abitudine e si limitò a sorridere e a presentarsi cordialmente.
Che fosse una bellissima ragazza, suo padre non smetteva più di ricordarglielo, ed assieme a lui i fotografi e i fan. Diceva che aveva preso da sua madre la dolcezza dei tratti del viso, l’altezza ed i capelli più neri della pece, lunghi e morbidi come la seta, mentre dalla terra nativa gli occhi chiari e le forme armoniose del corpo. Tutti l’ammiravano per bellezza, ma poco le importava. Non era la bellezza ciò a cui Anija mirava.

« Papà, vorrei guardare un po’ in giro, se non ti dispiace. » sorrise all’uomo, che annuì consenziente.

La ragazza si congedò rispettosamente dai due, e cominciò a ispezionare con la curiosità di un bambino il piccolo tempio. Il Giappone le sarebbe mancato. Amava quella terra con tutta sé stessa dalla prima volta in cui l’aveva vista, assieme a sua madre, a sei anni appena compiuti. Sua madre, giapponese pura, spiccò per bellezza e intelligenza sin dal liceo: non faticò a farsi una carriera nel mondo del cinema. Era sempre stato il suo sogno, e dal palco di una piccola compagnia teatrale arrivò sulle pellicole di Hollywood, agli schermi del paese. Yona Tanaka era una donna sensazionale, una forza della natura. Un esempio da eguagliare, e superare. Era questo l’obbiettivo di Anija.

Un piccolo edificio attirò la sua attenzione: era lievemente dislocato dal tempio, quasi fosse stato messo da parte. Un piccolo cartello, al di fuori dell’abitacolo, segnalava in un giapponese spigoloso “Pozzo mangia ossa”. La porta era aperta, e delle scale in un legno vagamente pericolante conducevano a un piccolo piano interrato, in mezzo al quale sbucava per l’appunto un pozzo, dall’aria molto vecchia. Il legno era grattato, e la puzza di stantio e chiuso arrivava fino all’ingresso, così come una coltre di ragnatele a vista negli angoli della stanza. Raccapricciante. La ragazza sbuffò, con un pizzico di delusione, e fece retro front. Ma non fece neppure in tempo a muovere un passo che notò in terra, proprio affianco ai suoi piedi, un filo rosso. Sgranò gli occhioni azzurri, limpidi come il cielo a maggio, il cuore mancò un battito ricordandosi del suo sogno così vivido, e giurò di non aver notato nulla un attimo prima. Che stesse impazzendo? Si voltò, il filo proseguiva dentro l’abitacolo, scendeva le scale come un serpente, si snodava fin dentro al pozzo mangia ossa e lì scompariva. La curiosità ebbe la meglio sul buonsenso – come spesso le capitava, e scese le scale in meno di un secondo mentre l’adrenalina montava senza un motivo apparente.
Raggiunse titubante il pozzo e prese fra le dita il filo rosso; al tatto era morbidissimo e sottile, ma al contempo resistente da non crederci. Lo tirò, e quello all’inizio oppose resistenza, come se ci fosse qualcos’altro che tirava a sua volta dall’estremità opposta, ma presto questa forza si azzerò, ed Anija si ritrovò a tirare fuori dal pozzo metri e metri di quel filo rosso. Tutto procedeva come in un sogno, tanto che il mondo attorno alla ragazza si zittì, e lei non pensò a farsi domande, ma si concentrò unicamente su quel filo rosso cremisi, brillante e setoso. Lo tirò tanto da creare una matassa furibonda attorno ai suoi esili polsi e attorno ai suoi piedi, come una pozzanghera di sangue. Sentiva costantemente qualcosa dall’altro capo, ma quel qualcosa si lasciava trascinare. Fino a quel momento, almeno. Perché in uno strattone, la forza al di là del pozzo aumentò incredibilmente, e fu stavolta Anija ad essere tirata. Il filo, aggrovigliato attorno a polsi e caviglie in una morsa strettissima, non le lasciò scampo. E quel qualcosa dall’altro capo del filo rosso, la tirò giù nel pozzo mangia ossa.
   
 
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