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Autore: Asia Dreamcatcher    25/05/2018    2 recensioni
Johann Schmidt è tornato e con esso le ceneri dell'oscura Hydra, pronta a risorgere.
Ma Teschio Rosso non è solo e Steve Rogers e gli Avengers dovranno vedersela con nuovi nemici. James Barnes sarà costretto, ancora una volta, a lottare contro i propri fantasmi, sperando di non soccombere.
Mentre gli echi di una nuovo guerra risuonano, Captain America e Vedova Nera si ritroveranno ad affrontare una sfida inaspettata, che potrebbe cambiare tutto per sempre.
Terza parte di "Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti"
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti'
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Capitolo Venticinque: Famiglia

How lucky I am to have something

that makes saying goodbye so hard.”

~A. A. Milne


«Mi si sono rotte le acque».


Strano come una frase possa mandare in tilt un intero gruppo di persone. Sei parole che gelarono tutti sul posto per secondi che parvero infiniti; fortunatamente ci pensò la voce di Sharon a smuovere gli animi.

«Dottoressa Montgomery? Sì, sono Sharon Carter. A Natasha si sono rotte le acque...» esordì con voce febbrile. Da quel momento il caos.

Steve si alzò di scatto, completamente impreparato, e andò in verso di lei. Malgrado avessero addirittura preparato un piano per il fatidico giorno in quel momento la sua mente era assente, l'unico pensiero con un minimo di senso logico che rimbalzava nella testa era “Sto per diventare padre”. Un gran bell'aiuto davvero.

Clint andò subito ad avvisare Laura, nessuno meglio di lei sapeva come affrontare la situazione. Sam e Tony totalmente nel panico, ma cercando di non darlo troppo a vedere, si aggiravano per la stanza tanto per avere qualcosa da fare, creando ancora più confusione.

Bruce, anima pia, era appena entrato nel soggiorno, dopo essersi assicurato delle condizioni di James, e osò timidamente chiedere che cosa stesse succedendo.

«Silenzio!» proruppe Natasha, che fra tutti era l'unica tenuta ad essere leggermente – leggermente – in panico. Allungò la mano verso Sharon che prontamente le passò il cellulare.

Mentre rispondeva alle domande della dottoressa, il suo sguardo lucido non lasciava nemmeno per un secondo quello di Steve; che ripreso parte del controllo di sé, cercava di trasmetterle sicurezza.

«Dobbiamo andare in ospedale. Ora.» disse lapidaria.

«D'accordo.» replicò il capitano «Sharon? Tu e Sam venite con me e Natasha. Tony, tu e gli altri ci raggiungerete più tardi, avvisate voi Bucky e i ragazzi» ordinò prontamente.

«Sam?» intervenne Natasha «Chiama Maria, penserà lei a dirlo a Coulson... La mia borsa per favore-» non terminò la frase che l'agente 13 era già andata a recuperarla.


«Steve. Guarda che non sono ancora in travaglio» sospirò la russa osservando di striscio il proprio compagno che cercava stoicamente di non cedere al panico.

«Sam, è davvero necessario il fazzoletto bianco?» borbottò Sharon con un braccio fuori dal finestrino dell'auto e fra le mani un lenzuolino candido che si gonfiava incontrollato. L'ex pararescue la guardò allucinato;

«E' il modo più rapido, okay? Non lascerò che il mio nipotino o nipotina nasca in una macchina!» replicò con voce un tantino stridula.

«Sam – berciò esasperata Natasha – non partorirò di certo ades-!» la voce le morì in gola e dovette aggrapparsi forte alla maglietta del capitano.

«Natasha?»

«Contrazione» sospirò «Tutto bene».

«Sam muoviti» ordinò Steve con sguardo grave, tenendo stretta la spia a sé.

Arrivarono in ospedale in tempi record, l'equipe medica della Montgomery era pronta ad accoglierli da un ingresso secondario, solitamente usato solo dai medici e chirurghi.

I brillanti e giovani chirurghi, scelti e preparati personalmente dalla dottoressa, osservarono allibiti la temibile Vedova Nera scendere da sola dal SUV, con un diavolo per capello, mentre uno Steve Rogers preoccupato le si affannava dietro, supplicandola di muoversi con attenzione. Sam e Sharon, dietro di loro, scuotevano il capo.

«Dov'è la Montgomery?» chiese bruscamente la futura mamma, intimidendo l'intera equipe.

«Natasha. Steve, eccomi» esordì Meredith Montgomery, comparendo con la sua elegante figura «Vogliamo andare? Abbiamo preparato un'ala apposita per darvi la giusta privacy».


«E' in travaglio» dichiarò Meredith osservandola con serietà. Natasha semidistesa sul confortevole lettino della sua nuova stanza personale, ebbe un tuffo al cuore.

«Siamo ancora all'inizio, la cervice ha iniziato a dilatarsi, il travaglio vero e proprio però potrebbe iniziare fra ore. Non sono presenti infezioni, ma date le circostanze la tengo qui, sotto osservazione».

«Perché? Ho forse commesso-?» domandò con voce flebile la donna, ma la dottoressa negò col capo cercando di sorriderle rassicurante.

«No. Non ci sono cause evidenti. Forse ha semplicemente deciso che era il momento» rispose accennando al bambino «Natasha è alla trentacinquesima settimana e so che è le sembra ancora troppo presto, ma il bambino non avrebbe problemi a nascere ora, i suoi polmoni ormai sono formati, anche più di quanto ci si aspetterebbe. Nessuna difficoltà respiratoria, è sano e forte. Aspettiamo le prossime ore d'accordo? Steve – disse guardando il capitano – lei è libero di restare, per quanto riguarda il resto della mmh... squadra... sarebbe meglio pochi alla volta, non tutti insieme. Va bene?» i due Avengers annuirono «Ah per il parto, avete deciso?»;

«Sarò presente» ribatté Steve sicuro.

«Molto bene, rilassatevi ora. Presto conoscerete vostro figlio».

Rilassarsi. Sia Steve che Natasha non erano mai stati in grado di rilassarsi in vita loro. Mai, fin dall'infanzia entrambi avevano dovuto imparare ad essere vigili e reattivi: Steve per contrastare i bulli che lo consideravano alla stregua di un ratto malato; Natasha per sopravvivere alla Red Room. Anche ora, che erano ad un passo dall'incontrare finalmente la piccola ed innocente creatura frutto del loro amore, pareva fossero più pronti ad affrontare l'ennesima battaglia.

«Natasha...» la richiamò dolcemente il supersoldato. Quando si voltò verso di lui, vide nei suoi occhi esattamente le stesse emozioni che albergavano anche nei suoi.

«Steve» bisbigliò la spia non potendo continuare, sperò che il suo nome bastasse, che il tono della voce bastasse, che lui capisse. E anche questa volta il capitano non la deluse: si stese accanto a lei, prendendo quasi totalmente possesso del piccolo lettino, e la spia si schiacciò contro di lui, per quanto glielo permettesse il pancione prominente, inspirando profondamente il suo profumo.

«Lo so Nat. Lo sono anch'io» replicò.

Steve attese che Natasha si abbandonasse al sonno per uscire dalla stanza.

Nel corridoio, aspettando notizie, trovò parte della squadra: Sam, Tony, Clint, Maria insieme a Niko e Alexandra.

Quest'ultima gli andò incontro, i lineamenti delicati corrucciati dall'apprensione e gli circondò la vita non le braccia magre.

«Steve, come stanno?»

«Natasha è in travaglio» i respiri dei presenti parvero arrestarsi emozionati «E lei e il bambino stanno bene» continuò Steve con un leggero sorriso, accarezzandole dolcemente i lunghi capelli.

«Quindi ci siamo?» domandò Sam emozionato e confuso dal quel mondo precluso ad ogni uomo che era il parto.

«Potrebbero volerci ore, Nat è solo alla fase iniziale, ma sì direi che non si può più tornare indietro» spiegò il capitano, vagando con lo sguardo fra i suoi compagni, in cerca di nemmeno lui sapeva cosa, forse pura e semplice presenza.

Sharon era evidentemente commossa e allungò la mano per stringere il suo braccio.

«Possiamo entrare?»;

«Le farà piacere, dubito che riuscirà a riposare per molto».

«Jace verrà con Bruce e Bucky appena ritorna in forze» gli spiegò Alex prima di seguire la Carter.

«Steve vieni, andiamo a prenderci qualcosa da bere...» lo richiamò con premura Niko. Lui essendoci già passato, capiva perfettamente l'ansia del futuro genitore; l'attesa, i dubbi, la paura di non essere all'altezza.

Sam e Tony si accinsero dietro di loro; Clint e Maria rimasero a pianificare la sicurezza dell'edificio e del piano. Steve gli fu immensamente grato per ciò.

«Niko...» esordì il supersoldato «Passerà mai questa sensazione? Andrà meglio poi?» gli chiese con un sorriso disperato. Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse teso in quel momento, proprio lui che era stato soldato durante una delle guerre mondiali, che si era ritrovato faccia a faccia con il male e con la morte; ora avvertiva un senso di inadeguatezza, di ansia.

«Dici l'ansia? Il costante pensiero di non aver fatto abbastanza per il proprio figlio?» replicò Niko con un sorriso bonario «No. O dovrei dire che imparerai a conviverci. La sua sicurezza sarà sempre la tua priorità, proteggerlo dalle brutture del mondo la tua missione... Ma in cuor tuo saprai che non potrai proteggerlo per sempre e da tutto e tutti. Farai del tuo meglio sì, e ti ritroverai a sperare che quel “tuo meglio” l'abbia preparato, anche solo un po'. L'ansia forse non ti abbandonerà mai del tutto ma ci saranno altre emozioni, altri pensieri molto più piacevoli a riempirti».

«Sembra faticoso» borbottò con il suo solito tono semiserio Tony; però nel suo sguardo Steve colse qualcosa che non aveva notato prima di allora. Il discorso di Niko l'aveva affascinato, o forse era proprio l'idea di un bambino ad attrarlo.

«Lo è» ribatté il russo con tono serafico poi batté la mano sulla spalla del capitano e lui annuì in risposta.


«Nat, dobbiamo chiamare l'infermiera?» chiese Alexandra preoccupata per le condizioni della sua madrina.

«Non ancora, tranquilla Alex sono solo contrazioni... E dovrebbero essere quelle più deboli!» sibilò Vedova abbandonando di malavoglia il fianco e mettendosi a camminare sotto lo sguardo vigile di Sharon.

«Aggiornamenti?» chiese, in parte perché davvero interessata, in parte per distrarsi da quei dolori intermittenti.

«Clint è rimasto con Maria per disporre la sicurezza nell'ospedale, sarà lo S.H.I.E.L.D. a fornire gli agenti, Coulson ha messo a disposizione parte della sua squadra – anticipando la domanda dell'amica – Melinda sta arrivando» disse con un sorriso.

«Bene. Fury resta alla Tower?»;

«In assenza di Tony sì, con la famiglia di Clint e Pepper. Nat, nessuno resterà scoperto» cercò di rassicurarla, la russa annuì ma pareva concentrata su altro. Non poteva biasimarla. Sì sentiva al limite dell'emozione lei, figurarsi Natasha.

«Alex? Potresti chiedere all'infermiera di prepararmi delle bende imbevute di acqua calda? Se avessero una vasca che gli avanza non sarebbe male»;

«Certo!» disse entusiasta di potersi rendere utile.

«Ti aiuto...» mormorò dolcemente l'agente 13 aiutando Vedova Nera a stendersi e riprendere la posizione sul fianco, che serviva ad alleviare il dolore.

«Come va?» domandò scostandole delicatamente qualche ciocca scomposta dalla fronte.

«Devo davvero dirlo? Non ti sembra evidente» rispose velenosa scoccando un'occhiata a se stessa.

«Nat...» replicò ignorando il suo tono, ben sapendo che in quel momento almeno era tutta apparenza.

«Боже мой [Povera me] non posso più nasconderti nulla. Sono... … Terrorizzata. Fino a qualche anno fa la mia vita era totalmente differente, non era nemmeno mia la mia vita, vivevo nella certezza che ciò che ero stata mai mi avrebbe permesso di creare qualcosa all'infuori di Vedova Nera. Agivo per conto dello S.H.I.E.L.D. come te, ma io sono sempre stata diversa. La mia natura era quella di spia ed assassina... e lo è tutt'oggi, solo che ora non è più dominante. Niente potrà mai cambiare ciò che sono, ciò che mi hanno addestrato ad essere... Ma Steve... Steve ha cambiato tutto. Una buona parte quantomeno – sorrise divertita – lui è riuscito dove io credevo di aver fallito. Ha portato alla luce un frammento di me che non pensavo di possedere, di poter essere. Ho sempre badato a me stessa, ma tra poco non sarà più così, dovrò essere responsabile per un altro essere umano, Sharon, dovrò prendermi cura di un essere così innocente ed indifeso, di mio figlio, mio e di Steve. Io, Natasha Romanoff, Vedova Nera. E se... Se dovessi sporcarlo?» levò lo sguardo sull'amica che la fissava con occhi colmi di emozione e lucidi di lacrime «Se dovessi alla fine corromperlo? Se non ne fossi in grado?» bisbigliò vergognandosi di tanta debolezza.

Sharon le accarezzò piano il capo arruffato;

«Non succederà. Nat l'hai detto tu stessa, tu sei altro, non solo sangue e oscurità, sei molto di più di ciò che ti hanno insegnato ad essere. Steve te l'ha dimostrato. E guarda come ti comporti con Alex, con Jace con i figli di Laura e Clint... Tu sei Vedova Nera, certo, ma prima di tutto Vedova Nera è una combattente» le rivolse uno sguardo luminoso «Che dici troppa retorica?» sdrammatizzò alla fine. Natasha ridacchiò;

«Decisamente. Ma ti ringrazio. Significa molto» disse afferrando la mano che Sharon le porgeva.


Erano ormai passate sei ore. E Steve si sentiva sull'orlo della follia: se avesse potuto evitare a Natasha quel dolore, che ormai nemmeno lei riusciva più a contenere, lo avrebbe fatto, se avesse potuto assumerselo lui, lo avrebbe fatto; avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di alleviare anche solo metà di ciò che stava provando.

La dottoressa Montgomery poco meno di mezzora prima aveva comunicato che la spia era entrata nel pieno del travaglio, la cervice si dilatava e se da un lato significava che tutto stava procedendo per il meglio, dall'altra voleva dire che le contrazioni non solo erano divenute più frequenti ma anche più dolorose.

«Nat» la chiamò dolcemente. La donna voltò la testa mentre camminava lungo il corridoio, tenendosi i reni. Indossava una semplice camicia da notte premaman bianca, senza ricami o fronzoli, ad adornarla c'erano solo i lunghi capelli rosso cupo. Steve la osservò oltre la fatica, oltre il dolore e il suo battito aumentò.

«Vuoi stenderti?» la spia annuì e ritornarono in camera.

Steve l'aiutò e poi iniziò a massaggiarla con cura ed attenzione; la russa gli scoccò un'occhiata sorpresa ma profondamente grata.

«Dimmi se ti infastidisco» mormorò semiserio il supersoldato dopo un po'. Natasha lo guardò intensamente.

«No.» allungò una mano, Steve l'afferrò e se la portò alle labbra «Vieni qui».

Si sistemò sul lettino dietro la spia, facendola appoggiare a sé e continuando a massaggiarle la bassa schiena.

«Ormai ci siamo... Emozionata?»;

«Non è proprio il termine che userei in questo momento. O quantomeno non sarei così diplomatica» borbottò lei facendolo ridere.

Nonostante il dolore, Natasha riuscì a godersi quel suono, riuscì a godersi quel contatto: la cassa toracica del suo compagno vibrare contro la sua schiena.

Un'altra contrazione le strappò il sorriso;

«Steve. Se dovesse accadermi qualc-»

«Sh. Ti prego non dirlo» il capitano le passò un braccio intorno alla vita e se la strinse delicatamente contro, poggiando il mento sulla sua spalla «Non pensarlo, ti prego non-!».

La donna gli passò una fra i biondi capelli, stendendo le labbra in un sorriso paziente e premuroso, comprese che non era pronto per quell'eventualità, era per lui troppo doloroso;

«D'accordo. Va tutto bene».


«FATELO USCIRE!» urlò, due ore dopo, una Natasha dolorante, esausta e sull'orlo delle lacrime.

Sharon le passo una pezza imbevuta d'acqua fredda sulla fronte, Steve si voltò verso Meredith Montgomery;

«Non può darle nulla?» chiese con tono incredibilmente controllato. Doveva esserlo, per Natasha, lei aveva bisogno del suo lato più integerrimo, aveva bisogno del Capitano.

«L'epidurale non avrebbe effetto, o ci vorrebbe una dose massiccia e non è il caso» replicò paziente la chirurga.

Il supersoldato annuì mestamente, poi si avvicinò nuovamente alla compagna;

«Nat, puoi farcela.» le afferrò con attenzione il volto fra le mani «Amore, respira con me».

Respirare era l'ultima cosa che voleva fare, era stanca, stanca come non lo era mai stata prima, desiderava che tutto finisse, voleva solo il suo bambino fra le braccia! Era così difficile da capire?

«Non voglio respirare! Voglio che lo facciate uscire!» replicò bruscamente. Rifuggì la presa di Steve e lanciò un bicchiere contro la parete; fortunatamente era di plastica.

Ricadde sul lettino scossa dai tremori e con un'immensa voglia di vomitare anche l'anima. Si riconosceva a stento, si coprì gli occhi con la mano.

Sharon e Steve si scambiarono un'occhiata ma nessuno dei due fiatò, comprendendo il suo dolore.

«Natasha» intervenne la dottoressa «Guardami» le disse con calma; la spia si arrischiò a guardarla «Lo so che sta male, lo so che vorrebbe che tutto questo passasse ma è davvero vicina a conoscere il suo bambino e so che è questo l'unica cosa che desidera. Quindi tenga duro, lo può fare per il suo bambino?» Natasha annuì secca. Si le sembrava un prezzo giusto da pagare.

La controllò un'ultima volta;

«Ci siamo quasi, Natasha».

«Potreste uscire tutti? Ho bisogno di un momento con Sharon».

Steve pur temendo ciò che la spia aveva in mente, acconsentì senza aggiungere altro.

Una volta sole, il silenzio fra loro si dilatò per qualche momento.

«Nat-» esordì la bionda intuendo cosa stava per dirle.

«Sharon. Per favore – Sharon si ritrovò ad annuire, il cuore pesante – Se dovesse accadermi qualcosa, devo avere la tua parola, so che non è necessario, ma ne ho bisogno, d'accordo? Ho bisogno di sapere che tu e James ci sarete per il bambino, che resterete accanto a Steve».

Gli occhi dell'agente 13 si inumidirono e glielo promise.

«Grazie. Ora posso farlo».


«Natasha ci siamo. È pronta a spingere?».

Mezzora più tardi lei e Steve si ritrovarono in una semplice sala, con pochi macchinari e un paio di membri dell'equipe della dottoressa Montgomery. La spia era semidistesa, le gambe allargate e i piedi appoggiati alle staffe. Il capitano rimase sorpreso di tutta quella semplicità, non era come mostravano nei film.

«Lo sono da tutto il giorno» replicò con lucida sicurezza la donna.

«Allora dia una bella spinta» rispose prontamente la Montgomery.

Natasha iniziò a spingere, stringendo con incredibile forza anche la mano di Steve, senza nemmeno rendersene conto.

Il capitano la guardava sentendosi l'essere più inutile sulla faccia della terra, riusciva solo ad incitarla, ma gli sembrava di non fare abbastanza. Lui effettivamente non poteva fare altro se non starle accanto, ma non poteva condividere con lei quel dolore, non poteva alleviarglielo; per lui era una condizione estremamente difficile.

«Steve...» mormorò sofferente

«Sono qui Nat, stai andando benissimo» la rassicurò lui, lo sguardo venerante;

«Ha ragione, Sta andando molto bene, un'altra spinta coraggio!» la incitò anche la dottoressa.

Dopo un po' Natasha non aveva idea di quanto tempo fosse passato, le sembrava di star spingendo da giorni, i suoi lombi, i suoi muscoli la pregavano di smettere, di arrendersi. Strinse i denti e diede un'altra spinta.

«Sento le spalle, coraggio Natasha! La parte più difficile è quasi passata, presto potrà abbracciarlo!».

Le ci vollero altre quattro lunghe spinte, ma alla fine...

«Ecco ci siamo! Natasha è stata eccezionale, eccolo qui il suo bambino!» disse con gioia Meredith mostrando un bambino perfettamente sano ai due neo genitori completamente sconvolti.

«Perchè non piange?» sussurrò terrorizzata Natasha, ma fece appena in tempo a pronunciare quelle parole che il bambino proruppe in un pianto disperato e potente.

«Sentite qui che polmoni!» ridacchiò la dottoressa, avvolgendo il nuovo nato in un panno dopo averlo pulito alla buona.

L'infermiera lo prese e lo avvicinò a Natasha e Steve.

«E' un maschietto forte e sano, le mie congratulazioni» disse la donna con un sorriso.

I due eroi erano completamente ipnotizzati da quella piccola creatura che piangeva e scalpitava. Il loro bambino.

Steve lo guardò e poi guardò Natasha, i suoi occhi erano umidi e colmi dei più dolci sentimenti;

«Grazie» articolò a fatica. La russa sorrise.

«Lo tenga, questo piccoletto è così traumatizzato che ha bisogno dell'abbraccio della sua mamma».

Accadde tutto in un istante.

Le braccia protese e trepidanti ricaddero esanimi, Natasha perse quasi immediatamente conoscenza, senza riuscire a pronunciare una singola parola e i macchinari che la monitoravano iniziarono a suonare impazziti.

«Merda!» imprecò Meredith Montgomery scattando immediatamente verso la sua paziente.

Steve restò paralizzato per attimi che parvero dilatarsi all'infinito, suo figlio era completamente sparito dalla sua visuale, non riuscì nemmeno a chiedersi dove fosse, perché glielo avessero sottratto così bruscamente; poi vide tanta, troppa gente affannarsi attorno al corpo esanime di Natasha e lui reagì prima ancora della sua mente, protendendosi verso di lei. Ma gli fu impedito.

Improvvisamente i rumori attutiti e i colori spenti ripreso vita davanti ai suoi occhi, così velocemente da stordirlo.

«Steve! Steve! Mi ascolti» la voce della dottoressa Montgomery sovrastò tutto il resto.

«Lo so!» disse semplicemente «Ma lei non può restare qui adesso. Occorre tempestività e lei mi sta distraendo dal salvare Natasha» quelle parole furono un colpo al cuore «Per favore, deve uscire, ora! Suo figlio è stato affidato alle infermiere per i controlli e sarò io stessa a portarla da lui. Ma ora deve andarsene, la prego».

Steve venne trattenuto a stento e spinto indietro. Fu incredibilmente semplice farlo uscire, talmente sconvolto non si rese nemmeno conto di ciò che gli avveniva intorno. Il volto di Natasha e quello di suo figlio si alternavano nella sua testa; non vedeva nient'altro.

Si accorse appena di essere nuovamente nel corridoio, attorniato dai volti della sua famiglia, che a stento ora riconosceva.

«Steve?» lo chiamò piano Bucky, giunto poco prima mentre lui stava assistendo alla nascita di suo figlio.

Il capitano si aggrappò all'amico d'infanzia con una tale disperazione che James ne fu realmente spaventato. Riuscì a pronunciare un'unica parola;

«Natasha».

Sam chiuse gli occhi e poi andò incontro all'amico, sostenendolo insieme a Bucky. L'intera squadra era paralizzata nel panico e nell'incertezza. Sharon cercava di controllarsi, camminava su e giù e rischiava seriamente l'iperventilazione. Tony, Clint, Niko e Bruce insieme a Alex e Jace scivolarono lungo la parete troppo atterriti dalla situazione.

«E' un maschio» disse improvvisamente Steve, con voce roca di preoccupazione e sorrise fra gli strati di dolore. «E' sano e forte» continuò mentre Sam e Bucky gli battevano sulla spalla emozionati. Sharon lo abbracciò stretto, e poi venne il turno degli altri.

Avevano perso tutti la cognizione del tempo e per questo gli parve passata un'eternità quando Meredith Montgomery emerse dall'oscurità della sala chirurgica.

Gli Avengers le furono attorno in un instante ma lei si rivolse a Steve.

«Ciò che è capitato a Natasha si chiama “annidamento in utero”» iniziò con calma «La placenta si è annidata troppo all'interno della parete uterina e perciò non sarebbe stata in grado di espellerla; l'emorragia è stata piuttosto consistente e grave e abbiamo dovuto rianimarla più di una volta, non fosse stato per i suoi geni potenziati non saremo riusciti a salvarla»;

«Quindi è viva, sta bene?» domandò il capitano concitato. La dottoressa però esitò;

«Sì, abbiamo fermato l'emorragia, ma abbiamo dovuto eseguire un'isterectomia d'urgenza, mi dispiace» Steve chiuse gli occhi, mentre il resto della squadra abbassava il capo mortificato.

«C'è dell'altro vero?» mormorò Clint sfidandola quasi con lo sguardo, Meredith annuì.

«L'emorragia è stata massiva e abbiamo dovuto rianimarla più volte come ho detto, i valori dovrebbero ristabilirsi ma non sappiamo quando si risveglierà...» per Steve fu come se gli avessero strappato il cuore dal petto «Potrebbero volerci ore o giorni-»

«O di più?» esclamò Niko cupamente. La Montgomery annuì mesta.

«L'abbiamo riportata in stanza, vuole vederla?» Steve annuì e si mosse come un'automa, non riuscendo nemmeno a guardare i suoi compagni d'armi, la sua famiglia in volto.

Sharon iniziò a scuotere il capo e a dire “no” sempre più forte, James con la morte nel cuore la afferrò per gli avambracci mentre lei si ribellava sconvolta, la serrò fra le sue braccia e la tenne stretta mentre entrambi versavano lacrime silenziose.

Sam scorse Maria appena sopraggiunta, infilarsi in un'uscita secondaria e la seguì. La trovò con le mani serrate alla ringhiera e l'espressione addolorata, la maschera di freddezza gettata alle spalle ormai.

«Perché?» mormorò «Perché sempre loro, perché devono pagare in questo modo?» si chiese, quando si voltò vide Sam in lacrime senza nemmeno cercare di controllarsi.

Tony?” la voce di Pepper si fece preoccupata, non riuscendo a sentire il fidanzato al telefono.

Tony che succede?” chiese nuovamente con maggiore apprensione.

«Pepper-» disse con voce sofferente «Puoi venire qui? Subito. Io... Natasha, Steve» non riuscì a continuare.

Niko si stava prendendo cura dei giovani Jace e Alexandra che inconsolabili sembravano non riuscire a contenere nei loro corpi acerbi tutta quella tristezza. Clint si era dileguato non riuscendo a sopportare altro. Bruce mestamente osservava Niko accarezzare quelle piccole testoline, quei due giovani catapultati in un mondo a volte troppo grande per loro.


People cry, not because they're weak.

It's because they've been strong for too long.”

~ Johnny Depp


«Appena se la sente la accompagnerò dal bambino, d'accordo?».

Il supersoldato annuì e la ringraziò per la sua cortesia. Si chiuse la porta alle spalle.

Lei era lì, apparentemente solo addormentata, in quel letto che improvvisamente gli parve troppo grande e lei troppo fragile. Le accarezzò i lunghi capelli, il volto ora così in quiete. Osservò le palpebre pallide e chiuse, continuando a pensare “Adesso le apre... Adesso le apre”.

Si sedette accanto al letto e le prese una mano.

«Devi svegliarti Nat, mi hai capito?» mormorò con voce sepolcrale;

«Non puoi abbandonarmi, non puoi lasciare me e il nostro bambino... Ti aspetta e io con lui. Natasha, ti prego, vita mia torna da me».

Steve si portò una mano al volto e si permise di piangere, piangere come mai aveva fatto in vita sua. Lasciando che la disperazione, la rabbia e la tristezza lo avvolgesse.

____________________________________________________________Asia's Corner

Buonasera a tutti, sono riuscita ad aggiornare nel giorno prestabilito! Per me è una grande soddisfazione, e ammatto che questo era un capitolo a cui tenevo e tengo molto. Mesi che mi ronza in testa e aspetta di essere scritto. Il figlio di Vedova e Cap è finalmente venuto alla luce, e se da una parte tutto ciò è bellissimo e spero che questo momento vi abbia emozionato, come un po' ha emozionato me, dall'altra eh sembra che il prezzo da pagare sia stato alquanto alto. E credetemi quando vi dico che quando sono arrivata al punto di scrivere l'ultima parte di questo capiolo ho avuto un rifiuto.
Nel prossimo capitolo ritornerà il nuovo pargolo, non vi preoccupate, ce ne sarà da raccontare... Ma in questo capitolo ho preferito concentrarmi sui due protagonisti.
Mi scuso per eventuali errori! Provvederò a correggerli... Intanto io vi ringrazio (chi legge, chi commenta, chi segue) e vi do appuntamento a VENERDI' 22 GIUGNO. Vi invito a seguire la mia pagina FB, per aggionamenti e notizie.
Buon Weekend a tutti!


   
 
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