NdA
Le
posto all'inizio perché questa OS merita una
spiegazione.
Nasce
per un contest; quel che dovevo fare era
scegliere due personaggi e far sì che rispondessero a
trentasei domande. Queste
domande costituiscono l'esperimento di uno psicologo, Arthur Aron:
tecnicamente
servono a instaurare un rapporto forte tra due persone che prima
dell'esperimento non si conoscano. Per evitare What if? enormi, il
contest non
richiedeva che la coppia scelta non si conoscesse.
Io
spero che non sia venuta troppo pesante, ma dovendo
inserire tutte le domande e le risposte di
entrambi è venuta ben più
lunga delle mie solite os.
Per
quanto riguarda la coppia: mettere Shinichi con
chiunque non sia Ran è una sofferenza. Non sono una loro
fan, ma neanche sono
così sadica da divertirmi nello scoppiarli. Purtroppo era
necessario.
Avevo
anche pensato, in un primo momento, di
utilizzare proprio la ShinRan per il contest, ma non mi convinceva. La
maggior
parte delle risposte sarebbe stata inutile, quei due si conoscono da
una vita e
hanno già un rapporto fortissimo. I personaggi che ho scelto
si conoscono, ma
non così intimamente.
Detto
questo, buona lettura - e buona fortuna ai
coraggiosi che oseranno l'impresa!
Facciamo un gioco?
Shinichi
non aveva davvero voglia d’alzarsi, quella
mattina.
Erano
tre settimane che non aveva voglia di fare
niente.
Tre
settimane, ovvero da quando Ran l’aveva lasciato.
Avrebbe
studiato all’estero per un anno e prima di
partire aveva voluto sciogliere il loro legame.
“Resterai
sempre importante per me, Shinichi, ma
non voglio una relazione a distanza. Soffriremmo entrambi, lo so,
l’ho già
vissuto quando sei sparito per quell’indagine. Dovremmo
andare avanti con le
nostre vite, entrambi… forse poi ci ritroveremo.”
Aveva
protestato, dicendo che stavolta era diverso,
che avrebbe potuto andare spesso a trovarla; lei aveva scosso la testa
con
un’espressione triste.
Se
n’era andata.
Da
allora Shinichi era caduto in una specie di coma,
da cui i suoi amici – Heiji e Shiho principalmente
– cercavano in tutti i modi
di tirarlo fuori.
Ma
neanche i casi che gli sottoponeva Hattori
riuscivano a scuoterlo. Certo, si alzava e li seguiva, cercava di
distrarsi
come volevano. Qual era il senso, però?
Dava
una mano in indagini che il detective di Osaka
sarebbe stato capacissimo di risolvere anche da solo. Non ne ricavava
le
soddisfazioni di un tempo.
Se
non ci fosse stata Shiho, poi, avrebbe
probabilmente passato tutte le giornate a letto. Era lei a buttarlo
giù ogni
mattina ed era lei a preparargli da mangiare.
Shinichi
si sarebbe sentito in colpa… se non fosse
stato troppo preso dal crogiolarsi nella sua disperazione. Non riusciva
a
pensare a niente.
Guardò
svogliatamente l’orologio. Erano passate le
dieci.
Strano
che Shiho non sia venuta,
pensò. Fece una smorfia. Ridicolo.
Non sono neanche più capace di alzarmi da solo…
Con
un immane sforzo di volontà uscì da sotto le
coperte.
Non
che abbia niente da fare, comunque…
pensò mentre si vestiva.
Andò
nello studio e scelse un libro. Optò per “Uno
studio in rosso”, sebbene lo conoscesse ormai a memoria.
Sherlock Holmes era il
suo amico di sempre, forse l’unico in grado di distrarlo
davvero per qualche
ora.
Non
era arrivato nemmeno a metà quando sentì suonare
il campanello.
Alzò
gli occhi dal libro e controllò l’ora. Erano
quasi le undici. Forse era Shiho?
Be’,
chi altro dovrebbe essere?
Aprì
la porta senza controllare dall’occhiello. Sgranò
gli occhi dalla sorpresa, trovandosi davanti qualcuno che non
era la sua
amica scienziata.
«Sera…?
Che fai—»
L’inaspettata
visitatrice non lo lasciò finire.
«Buongiorno! Mi ha mandata Shiho. Oggi aveva un impegno
improrogabile» spiegò
auto-invitandosi a entrare.
«Era
preoccupata che da solo saresti rimasto digiuno a
fissare il muro, ma a quanto pare si sbagliava! Ti sei pure
vestito!» esclamò
allegramente.
Shinichi
l’osservava confuso. Non vedeva Sera da un
po’. Sentendo la sua spiegazione, però, gli
tornò in mente che Shiho aveva
accennato alla sua amicizia con la ragazza, una volta.
Per
gli standard della scienziata, una menzione poteva
anche significare che fosse la sua migliore amica.
Strano,
valutò il ragazzo. Non riusciva a capire
cos’avessero in comune quelle due.
«Be’?
Non parli?»
Ritrovandosi
il volto curioso di Sera a un centimetro
dalla faccia, Shinichi si riscosse.
«Non
c’era bisogno che venissi» riuscì a dire.
Che
avrebbe dovuto fare con lei? Non aveva davvero
voglia di parlare della sua situazione, considerò con una
smorfia. Un’ottima
qualità di Shiho era proprio l’essere di poche
parole; di Hattori non poteva
proprio dire la stessa cosa, ma era difficile sentirlo parlare di
sentimenti.
«Perché?
Ti dispiace?» commentò Sera, per nulla
scoraggiata. «A proposito, sai che stai bene con un filo di
barba?» disse
ridendo. «Mi ricordi mio fratello».
Shinichi
si portò d’istinto una mano sulla guancia,
stupito. Non ci aveva fatto caso, ma gli era effettivamente cresciuta
un po’ di
barba. Radersi era stato l’ultimo dei suoi pensieri, in quei
giorni.
Tornò
nello studio. «Senti, Sera, ti ringrazio per
essere venuta, ma puoi dire a Shiho che non sto così male.
Prima del tuo arrivo
stavo leggendo—»
Sera,
che l’aveva seguito e superato, lo interruppe.
«Sì, certo, ti vedo molto allegro in
effetti». Si avvicinò alla scrivania e
diede uno sguardo al libro lì sopra, ancora aperto.
«”Uno studio in rosso”? Ma
dai, lo conoscerai a memoria».
«È
sempre una lettura piacevole» si difese lui. Ma
insomma, che voleva? Non può capirmi, non ha mai
vissuto una cosa simile,
si disse. Iniziava a irritarsi. «Tu hai qualche proposta
migliore?» domandò
retorico, sicuro che la ragazza, come lui, non avesse idee su come
passare il tempo
insieme.
Invece,
Masumi sfoderò un sorriso a trentadue denti e
tirò fuori un taccuino.
«Assolutamente
sì!» rispose, aprendolo. «Ce
l’hai
un’altra sedia?»
Shinichi
non rispose subito, guardando l’oggetto tra
le mani della ragazza con vaga curiosità.
«Cos’è?»
chiese, avvicinandosi.
«Un
gioco» rispose lei, tutta contenta di aver
attirato la sua attenzione. «Me l’ha dato Shiho. Ha
detto che è una specie di
sfida. Va fatto in due; ci sono trentasei domande, entrambi dobbiamo
rispondere
a tutte, in ordine. Il primo che si rifiuta di rispondere
perde».
«Sembra
un gioco stupido» commentò Shinichi. Tutta
qui, la trovata di Shiho? Una specie di obbligo o verità
senza obblighi?
«Non
avrai paura di perdere?» lo provocò Sera. Il
sorriso evidenziò il suo dente sporgente.
«Andiamo, detective, perché no?»
Shinichi
guardò il suo libro e sospirò. La lettura era
rimandata, a quanto pareva.
«E
va bene. Proviamo» acconsentì, senza
entusiasmo.
Andò
nella stanza accanto e prese un’altra sedia, che
portò nello studio e posizionò di fronte alla
scrivania. Masumi vi si accomodò,
lui fece altrettanto dall’altra parte del tavolo.
I
due potevano guardarsi negli occhi.
Sera,
sempre esibendo il suo sorriso di sfida, spostò
il romanzo e mise il taccuino al centro.
«Attento,
se provi a mentire me ne accorgerò» lo
avvisò, sicura delle sue doti deduttive.
«Sono
anch’io un detective, quindi lo stesso vale per
te» replicò lui asciutto. «Allora, qual
è la prima domanda?»
Sera
lesse ad alta voce: «Chi vorresti avere come
ospite a cena, se potessi scegliere tra tutte le persone al
mondo?»
«Facile.
Sherlock Holmes» rispose subito Shinichi.
Masumi
lo guardò con curiosità. «Sul serio?
Fra tutte
le persone al mondo… tu sceglieresti un personaggio di
fantasia?» indagò
divertita.
«Perché
no? Sarebbe il più grande detective mai
esistito. È un modello, per me».
«Ok,
ok. Ero solo un po’ stupita». Sera assunse
un’aria pensosa. «Io, invece, vorrei i miei
fratelli. Soprattutto Shu. Non c’è
mai…» mormorò.
«È
impegnato con l’FBI» commentò Shinichi.
«Gin e un
paio di altri membri sono riusciti a scappare in America, è
normale che abbia
da fare».
Sera
sfoggiò nuovamente il suo sorriso allegro.
«Certo, lo so! È perché ho un fratello
in gamba» esclamò. Il ragazzo si trovò
a
chiedersi quanto ci fosse di vero in quell’allegria.
«Ok,
tocca a me. Ti piacerebbe essere famosa? Per che
cosa?» lesse dal taccuino.
«Ma
certo! Come detective che usa il Jeet Kune Do. Se
diventassi famosa, tra l’altro, nessuno mi confonderebbe
più con un ragazzo!»
disse. Parve tuttavia ripensarci quasi subito.
«Così non potrei più entrare nel
bagno degli uomini, però, e mi toccherebbero ore di
fila…»
Kudo
non riuscì a trattenere una risata. «Davvero
è
questa la tua preoccupazione?»
Masumi
sbuffò, mettendosi sulla difensiva. «Sei un
ragazzo, che ne vuoi sapere? E comunque, tocca a te! Vorresti essere
famoso?»
Shinichi
scrollò le spalle. «Io sono già
famoso,
a dir la verità».
Sera
annuì. «Già, vero. E ti
piace?»
«Essere
fermato dai fan per strada non è così male.
Anche se la notorietà mi ha messo in serio pericolo quando
l’Organizzazione mi
dava per morto…»
Lei
rise. «Fortuna che c’ero io a salvarti»
disse.
«Non
mi pare tu abbia contribuito poi molto» ribatté
Shinichi piccato. «La prossima?»
Sera
si sporse per leggere. «Ti capita mai di provare
quello che devi dire prima di fare una telefonata?
Perché?»
Shinichi
ci pensò per qualche secondo. «Quasi
mai»
disse alla fine. «Quand’ero Conan mi è
capitato un paio di volte di provare
mentalmente cosa dire a Ran con la mia voce adulta. Finivo sempre per
dire
qualcosa di diverso, all’atto pratico…»
«La
vita non rispetta i piani» commentò Masumi
allegramente. Sembrava compiaciuta.
«Per questo io non faccio mai nulla del genere. Dico quel che
mi passa per la
testa, e basta – dicano pure che sono impulsiva, non mi
importa!»
«Sì,
l’ho notato».
Sera
sorrise, mettendo in mostra il canino. L’aveva preso per un
complimento.
«Allora»
disse Shinichi, avvicinandosi il taccuino. «Com’è
un giorno “perfetto”, secondo te?»
«Un giorno in cui passo il tempo con le persone a cui
tengo» rispose lei
sicura. «I miei fratelli, mia madre o i miei amici».
«È
una definizione un po’ vaga. Devi avere un sacco di giorni perfetti,
tu».
«Sì,
infatti» confermò lei annuendo decisa.
«E tu che mi dici?»
Shinichi
sospirò. «Dico che vorrei essere così
spensierato» mormorò, pensando a Ran. Un giorno
perfetto era un giorno passato
con lei… anche se, ripensandoci ora, forse neanche questo
era così vero.
Passava la maggior parte delle uscite con Ran in tensione, con il
costante
timore di rovinare tutto. O di essere interrotto da qualcuno che
conoscevano.
Soprattutto dalla loro fatidica uscita al Tropical Land…
Anche
quella volta si era sentito così agitato
all’idea di avere un appuntamento con
Ran che si era messo a parlare di
Sherlock Holmes senza un motivo preciso.
Poteva
davvero definire quelle giornate piene d’ansia
ingiustificata “perfette”?
«Non
saprei» disse.
Sera
lo stava fissando con curiosità da un po’. Ora
assunse un’espressione di sfida. «Ti arrendi
già alla quarta domanda?»
«Non
mi sto arrendendo, non lo so davvero» si scaldò
lui. «Non ci ho mai pensato».
L’espressione
di Sera si addolcì… o forse era solo
l’immaginazione del ragazzo.
«È
meno complicato di quel che immagini. Pensaci; c’è
qualcosa che ti fa sentire
in pace con te stesso?» chiese. «Naturalmente
rispondere “un omicidio” sarebbe
di cattivo gusto» aggiunse poco dopo. Shinichi non
riuscì a capire se fosse
seria o meno.
«Il
calcio» rispose dopo un po’. «Anche solo
palleggiare mi aiuta a mettere ordine
tra i pensieri. E andare allo stadio con i miei amici…
immagino».
Lei
annuì soddisfatta. «Ora va bene» decise,
pronta a passare alla prossima
domanda. «Quand’è
l’ultima volta che hai cantato
tra te e te? E davanti a qualcun altro?»
Shinichi si accigliò. «Sono stonato, o almeno
così dicono tutti. Non canto
praticamente mai».
«Posso
immaginare» mormorò lei, ripensando
all’unica volta che aveva lasciato prendere
il microfono del karaoke a Conan. Aveva seriamente temuto per i suoi
timpani,
allora. «Non pensare di cavartela così facilmente,
però! Quand’è l’ultima volta
che hai cantato davanti a qualcuno?»
Shinichi,
refrattario al confessarlo, resse lo sguardo di Masumi per qualche
secondo. Poi
sospirò e si arrese. «Un mese fa, al compleanno di
mia madre. Ho cantato tanti
auguri insieme agli altri».
Non
scoppiare a ridergli in faccia costò alla ragazza uno sforzo
non indifferente,
ma ci riuscì.
«Io
invece ho cantato tra me e me ieri, sotto la doccia. E davanti a
qualcuno… mh…
circa tre settimane fa, al karaoke con Sonoko e Ran, direi».
Shinichi
s’incupì. Non cercò nemmeno di
nasconderlo.
Sera
se ne accorse, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa il detective
afferrò il
taccuino. «Se
tu avessi la possibilità di vivere
fino a novant’anni mantenendo la mente o il corpo di un
trentenne per gli
ultimi sessanta anni della tua vita, quale sceglieresti tra i
due?»
Shiho
mi aveva chiesto di non farlo pensare a Ran,
si ricordò Sera, dandosi
mentalmente della sciocca. Non sapendo come altro rimediare, decise che
andare
avanti con il gioco – chissà da dove
l’aveva tirato fuori, comunque, la
scienziata! – sarebbe stata la cosa migliore per distrarlo.
«Domanda
interessante. Direi la mente; il Jeet Kune Do
mi aiuterà a tenere in forma il corpo, comunque. Tu dovresti
preoccupartene un
po’ di più, invece» lo
punzecchiò.
Lui
fece una smorfia disgustata. «Dopo la storia
dell’APTX, di restare giovane non voglio più
nemmeno sentirne parlare. Ben
vengano le rughe! Come detective preserverei la mia mente, è
naturale».
«Hai
ragione» commentò Sera ridendo. «Ora mi
passi il
taccuino, giovane detective?»
«Non
posso semplicemente leggerle tutte io?» replicò
Shinichi, restio a cederlo.
Voleva terminare in fretta.
Lei
scosse la testa con energia. «Così dimezzi il
divertimento! Dammelo, dai»
l’esortò.
Con
uno sbuffo, glielo porse. La ragazza lo prese ed esibì
un’espressione di
trionfo.
Sbirciò
la settima domanda e inarcò un sopracciglio.
«Preparati, la prossima è un po’
cupa».
«Sono
tutt’orecchi» rispose lui atono.
Sera
alzò gli occhi al soffitto, annoiata dal suo atteggiamento. Pazienta,
Masumi, pazienta… L’hai promesso a Shiho...
«Hai
un presentimento segreto sul modo in cui morirai?» lesse.
«Che
allegria. Sul serio, che razza di gioco mi hai
portato?»
«Non
evadere la domanda».
«No.
Coinvolto in qualche caso, magari».
«Ah
sì? In effetti sei piuttosto inerme, senza le tue scarpe
speciali. Se vuoi ti posso
dare qualche lezione di autodifesa!» si propose entusiasta.
«No,
grazie» replicò piatto Shinichi.
«Come
vuoi, peggio per te» rimarcò Sera con
un’alzata di spalle. «Io che so
difendermi, invece, morirò di vecchiaia, probabilmente. Ti
prometto che scoprirò
il tuo assassino, se verrai ucciso».
«Non
so come ringraziarti» replicò Shinichi, sorridendo
suo malgrado. Le continue
battute di Sera gli rendevano difficile restare troppo serio. Certo che
il suo
senso dell’umorismo era strano, comunque. Scherzare sulla sua
morte… Scosse la
testa. Si vede proprio che siamo due detective.
«A
te!» esclamò lei lanciandogli il taccuino.
Riuscì a prenderlo solo grazie ai
suoi riflessi allenati.
«Sei
impazzita?!»
«Dai,
leggi, che non ho tutto il giorno». Gli fece una linguaccia.
«Sai
essere più infantile di tanti bambini, sai? E te lo dice uno
che fino all’anno
scorso li frequentava abitualmente».
«Non
sono certa che smettere di vederli ti abbia fatto bene» fu la
replica
inaspettatamente seria di Masumi. «Sai che Shiho gioca con
loro dal professore,
a volte? Ha costruito un bel rapporto soprattutto con Ayumi. Penso la
veda un
po’ come una sorellina minore».
Sentendosi
preso in contropiede, l’osservò cercando di capire
se stesse scherzando o meno.
«Questo
cosa c’entra con me?»
«Lascia
perdere. La domanda?»
Lui
la guardò torvo, ma non insisté. «Elenca
tre
cose che tu e il tuo partner sembra abbiate in comune» lesse.
«Il tuo partner
sarei io, immagino?»
«Credo
di sì» confermò lei. «Non ne
ho altri,
comunque. Sentiti onorato!» scherzò strizzandogli
l’occhio. «Allora, abbiamo in
comune l’essere detective, tanto per cominciare. Poi,
uhm… il colore dei
capelli, e… vediamo… ci sono!» mise
nuovamente in mostra il canino. «Siamo entrambi
giapponesi!»
«Direi
praticamente le stesse cose, no?»
«Non
ci provare nemmeno! Prova a pensarci. Cos’abbiamo in
comune?»
Ran,
pensò tristemente Shinichi. Sul serio, devo
smetterla. Devo.
«Abbiamo
la stessa età, siamo detective ed entrambi abbiamo visto
più cadaveri di quanto
sia normale a nemmeno vent’anni» affermò.
Lei
fece un cenno d’assenso. «Ti faccio passare
l’avermi copiato un punto, ma solo
per stavolta» concesse con misericordia.
Shinichi
sorrise ironico. «Non potrò mai ringraziarti
abbastanza!» disse, passandole
nuovamente il blocco.
«Pronto
o no, io vado!» esclamò lei accettandolo.
«Per
quali cose della tua vita ti senti più
fortunato/grato?»
Con
uno sforzo di volontà, respinse il nome di tre lettere che
assillava i suoi
pensieri degli ultimi ventuno giorni – per non dire di
sempre. «Per essere
sopravvissuto all’APTX» si costrinse a dire.
«E per aver incontrato Haiba—
voglio dire, Shiho. Senza di lei non sarei mai tornato
normale».
Mi
nascondi qualcosa?
pensò Sera, ma non indagò. Un’idea di
ciò che avesse omesso ce l’aveva.
«E
tu?» l’incalzò Shinichi.
«Sono
grata per aver incontrato un certo mago,
più di dieci anni fa».
Lui
piegò la testa confuso. Ancora con la storia del mago? Sera
l’aveva chiamato
così più di una volta, ma non era mai riuscito a
farsi spiegare perché.
Si
scambiarono per l’ennesima volta le domande annotate da Shiho.
«Se
tu potessi cambiare qualcosa del modo in cui sei
stato cresciuto, quale sarebbe?» lesse Shinichi.
Sera
rispose quasi in automatico. «Sarei voluta
crescere con mio fratello Shu vicino» disse.
«Chissà cosa sarebbe successo in
questo caso, però. Magari non mi avresti incantata allo
stesso modo, quella
volta in spiaggia» aggiunse in un sussurro, rivolgendosi
più a sé stessa che al
ragazzo.
Shinichi non commentò la sua risposta. «Non
saprei. Non ho avuto una brutta
infanzia» affermò pensoso. «Cambierei
l’ostilità di Kogoro nei miei confronti,
probabilmente».
Avvertendo l’argomento Ran di nuovo pericolosamente vicino,
Sera si affrettò ad
andare avanti. «Prenditi
quattro minuti e
racconta al tuo partner la storia della tua vita il più
possibile in dettaglio»
lesse. «Questa sarà impegnativa».
«Quattro
minuti? Cavolo. Buona parte della mia storia
la conosci già» tentò Kudo.
Lei
fece segno di no con l’indice. «Non ci provare.
Voglio sapere tutto, o perdi la sfida».
«Non
puoi dire sul serio…» Shinichi sospirò.
«E va
bene».
«I
miei genitori non sono esattamente persone normali. Mia madre
è un’attrice esperta
di travestimenti, ha imparato da un prestigiatore; è inoltre
fissata con
l’essere giovane, se l’appelli nel modo sbagliato
incorri nelle sue furie, e
non è piacevole, te l’assicuro. Mio padre, invece,
è un genio del delitto.
Collaborava spesso con la polizia, risolvendo i casi più
complessi. È poi
passato a scrivere romanzi gialli. Puoi figurarti, credo, che infanzia
potevo
avere con queste premesse» qui Shinichi fece una pausa per
riprendere fiato.
«Ho preso la passione per i gialli da mio padre, e sempre da
lui ho imparato le
basi del ragionamento logico. Da lui e da Sherlock Holmes. Il primo
caso in cui
mi sono imbattuto da vicino è stato all’asilo: lo
ricordo molto vagamente, ma
c’era un maestro che ha cercato di rapire Ran» si
sforzò per non far incrinare
la voce mentre pronunciava il suo nome. Deciso a continuare,
fissò Sera negli
occhi. «Crescendo i casi sono solo aumentati, ovviamente. Al
secondo anno di
liceo collaboravo abitualmente con la polizia, l’ispettore
Megure in
particolare. Mi ero fatto un nome come detective liceale; certo la fama
dei
miei genitori aveva aiutato. Loro, intanto, si erano trasferiti
all’estero per
motivi di lavoro. I miei punti di riferimento divennero Ran e il Dottor
Agasa,
di conseguenza».
Qui
Masumi lo interruppe. «Senza offesa, non sono stati un
po’ incoscienti i tuoi
genitori? Avevano proprio bisogno di trasferirsi?»
Shinichi
fece spallucce. «La libertà non mi è
dispiaciuta. Tornando a noi; in seconda
liceo, appunto, ero già famoso quando un giorno sono andato
con Ran al Tropical
Land. Dovevamo festeggiare la sua vittoria in un torneo, o qualcosa del
genere»
realizzò con stupore che parlarne gli faceva bene. Negli
ultimi giorni aveva
trattato “Ran” come argomento tabù,
temeva che parlarne l’avrebbe solo fatto
soffrire di più, come mettere sale su una ferita.
Ora
scoprì che era l’esatto contrario; parlarne era
catartico. Rassicurato,
continuò.
«Mi
imbattei in due loschi individui; avrei scoperto solo molto
più tardi che si
trattava di Gin e Vodka, due membri di una pericolosa organizzazione.
La
conosci bene, non mi ci dilungo. Gin mi fece ingoiare una pillola: l’APTX4869,
come scoprii molto dopo. Doveva uccidermi, ma non fu questo
l’effetto sortito.
Mi rese Conan Edogawa».
«Che
pausa teatrale» sussurrò Sera. Era più
o meno tutto come l’aveva immaginato.
Shinichi le spiegò in breve come aveva deciso di gestire le
indagini nei primi
tempi. Arrivato al suo incontro con Sera, si fermò.
«Quattro minuti sono
passati, direi. Forse anche cinque. Da qui la storia la conosci
bene».
Masumi
sorrise. «Già. Ora vuoi sapere la mia,
immagino?»
Un
lampo di curiosità guizzò nelle iridi del
ragazzo. Non aveva mai ascoltato la
storia di Sera nel dettaglio, ne conosceva solo frammenti slegati.
«Mi
piacerebbe, sì. A meno che tu voglia cedermi la
vittoria» la sfidò con un
ghigno.
Era
strano come si sentisse già molto più leggero
rispetto a solo venti minuti
prima.
«Sfida
accettata» replicò lei, soddisfatta per il
cambiamento avvenuto nel ragazzo.
Aprirsi gli faceva bene, dedusse.
«Sappi
che la mia storia è più interessante della tua,
tanto per cominciare. Anche
perché ho due fratelli!»
«Sì,
sì. Ti ascolto».
«Allora.
I miei vivevano in Inghilterra! Non ho mai conosciuto mio padre,
sparì poco
prima della mia nascita. Lasciò scritto a mia madre di far
finta che non
esistesse, di sparire. Lei seguì il consiglio e si
trasferì in Giappone, dove
sono nata. Mio fratello maggiore, però, si
trasferì in America per studiare.
Parlo di Shu, ovviamente. Aveva già deciso di entrare
nell’FBI, cosa che a mia
madre non sarebbe piaciuta per niente… ma questa
è un’altra storia. La prima
volta che l’ho visto è stato al mare. Ero
così in soggezione… lui non mi
considerava per niente» ammise, con un’espressione
quasi nostalgica. «Tentai di
farlo ridere in tutti i modi, senza riuscirci affatto. Ci
riuscì, però, qualcun
altro…» raccontò fissandolo.
Ci
fu un attimo di silenzio.
Shinichi
ricordò vagamente la sua deduzione su Akai;
l’aveva accusato di essere un
clown, Pierrot… arrossì al pensiero. Non capiva,
però, dove volesse arrivare
Sera. «Non continui?»
Lei
sospirò. Proprio non ci arrivi, Mago?
«Be’,
la tua sfortuna colpì anche quel giorno. Un auto
precipitò in mare, l’uomo al
volante morì. Era un ladro di gioielli, tu e mio fratello
– con l’aiuto di
Shukichi – arrestaste la complice. Tu mi dimenticasti, lo so,
ma a me
quell’incontro restò vividamente impresso. Anche
oggi riesco a rivederlo
nitidamente» disse, chiudendo gli occhi con
un’espressione beata.
Quando
li spalancò di colpo, a Shinichi per poco non venne un
infarto. Lei riprese il
racconto e gli spiegò di come, intrigata
dall’abilità di Shuichi, avesse
iniziato a frequentare un dojo dedicato al Jeet Kune Do. Qualche anno
dopo, lei
e sua madre si erano trasferite in Inghilterra. Riassunse rapidamente
come
avevano finito per imbattersi nell’organizzazione nonostante
tutte le
precauzioni prese e di come fossero tornate in Giappone per trovare una
cura
all’APTX ingerita da Mary e distruggere gli uomini in nero
una volta per tutte.
Guardò
l’orologio. «Quasi superavo anch’io il
limite di minuti» commentò tranquilla.
«A proposito, è quasi mezzogiorno. Che dici,
ultima domanda e ci mangiamo
qualcosa? Possiamo proseguire dopo» propose.
«Per
me va bene» accettò lui. Le passò il
taccuino.
«Se
potessi svegliarti domani avendo acquisito una
qualità o un’abilità, quale
sarebbe?» lesse Sera. «Questa mi piace!»
esclamò
allegra.
«Ti
piacciono tutte» replicò lui.
«Questa
mi piace particolarmente, allora. Che
abilità vorresti?»
«Non
saprei. Forse…» Shinichi
s’incupì di nuovo. «Leggere nel pensiero
della donna
che amo».
Non
si aspettava nessuna reazione in particolare, ma certo non quella che
effettivamente ottenne.
«Stupido!»
esclamò Sera, alzandosi in piedi. «Che gusto ci
sarebbe così? Andiamo, è la
richiesta più sciocca che abbia mai sentito»
dichiarò.
«Scusa
tanto» si difese, debolmente, Shinichi. «Tu che
magnifica abilità vorresti,
allora?» chiese, alzandosi a sua volta. Si sfidarono a suon
di sguardi per un
minuto buono.
«Poter
mangiare quanto voglio senza sentirmi sazia» disse alla fine,
cercando di
mantenersi seria.
Il
ragazzo scoppiò a ridere, senza nemmeno provare a
trattenersi. «Sicura che sia
io lo stupido qui?»
Masumi
s’imbronciò. «Veloce lo sono
già, forte anche, intelligente pure… Non
è colpa mia
se non mi manca niente» si giustificò.
«Tanto vale approfittarne per assaggiare
cibi squisiti, allora, no?»
«Certo
più utile che chiedere autostima, nel tuo caso»
ribatté lui divertito. Riguardo
alle sue doti, però, non aveva tutti i torti.
«Sempre
meglio di un detective che vorrebbe facilitarsi il lavoro»
sottolineò lei
stizzita.
«A
proposito di deduzioni; sono pronta a scommettere che hai il frigo
vuoto».
Masumi
vinse la scommessa; nessuno dei due aveva molta voglia di uscire,
così finirono
per ordinare a domicilio.
Sera
insisté per provare, già che c’erano,
il locale italiano che aveva da poco
aperto nelle vicinanze; scelsero quindi una pizza ognuno, marinara per
lui e
quattro formaggi per lei.
Pranzando
chiacchierarono un po’.
«Come
mai Shiho ha mandato proprio te?»
Masumi
restò con una fetta di pizza a mezz’aria, stupita
da quella domanda. Scoppiò a
ridere. «A chi doveva chiedere, a Sonoko?» rispose
d’istinto. Posò la fetta nel
piatto e studiò l’espressione del ragazzo.
«Perché? Ti dispiace avermi intorno?»
«No»
disse Shinichi. «Ammetto che, sì, quando ti ho
vista entrare ero un po’
perplesso, ma non sto male con te. Ero solo curioso».
«Mh».
Sera si versò da bere. «Pronto a
riprendere?»
Shinichi
si alzò con un sospiro. «Non mi sono rimasti
ancora molti segreti» disse,
mentre tornavano nello studio.
«Se
potessi vedere in una sfera di cristallo la verità
su te stesso, la tua vita, il futuro o qualsiasi altra cosa, che cosa
vorresti sapere?»
chiese Sera, leggendo dal taccuino. Avevano ripreso le stesse posizioni
di
prima.
Non
dovette pensarci molto.
«Come
si trova Ran dov’è ora…» lo
disse talmente piano
che Masumi quasi non capì. Si rabbuiò.
«Shinichi». Il detective la fissò. Lei
continuò: «So come ti senti. Davvero. Ma devi
reagire, non puoi continuare a
far girare la tua vita attorno a Ran».
Lui
sorrise ironico. «Perché no?»
Sapeva
benissimo che Sera aveva ragione, ma non aveva
voglia di sentirselo dire. Ran avrebbe abitato i suoi pensieri ancora
molto a
lungo, ne era certo. Probabilmente era giusto così.
«Ci
sono un milione di motivi» rispose Masumi,
serissima. «Per te, per gli altri. Pensi che sia bello
vederti ridotto così,
per chi ti sta intorno?»
Quell’affermazione
lo colpì; non era proprio la
risposta che si aspettava. Gli tornarono in mente le espressioni
abbattute che
aveva scorto in Shiho e Heiji nei giorni passati. Non si era fermato a
rifletterci, prima, ma li aveva fatti soffrire. Tenevano a lui, erano
preoccupati.
Si
sentì improvvisamente in colpa.
Loro
non me l’avrebbero mai fatto pesare,
si ritrovò a pensare. Lei sì.
Resse
lo sguardo accusatore di Sera. Era delusione,
quella che vi leggeva? Scosse la testa.
Non
so se fosse voluto, ma hai scelto la persona
giusta, Shiho. Si
sforzò di sorridere
e glissò.
«La
tua risposta?»
Sera
accettò il cambio d’argomento con uno sbuffo. Si
portò una mano sotto al mento,
riflettendo con un’espressione serissima.
«Qual
è il ristorante più buono della
città» decise alla fine.
Dire
che Shinichi rimase a bocca aperta è poco. Si astenne dal
commentare, però.
Tossicchiò.
«Bene, allora tocca a me». Prese
l’oggetto che li impegnava ormai da ore e
cercò la quattordicesima domanda. «C’è
qualcosa che
sogni di fare da tanto tempo? Perché non l’hai
fatto?»
Stavolta
Masumi fece l’unica cosa che il grande detective non si
sarebbe mai aspettato;
arrossì.
Non
perse la sua occasione per punzecchiarla, immaginando che fosse
qualcosa
d’imbarazzante. Fino
a quel momento aveva pensato fosse impossibile imbarazzarla, visto che
la
ragazza davanti a lui non si faceva problemi a entrare nel bagno degli
uomini
per evitare la fila, ma il suo rossore parlava chiaro.
«Qualche problema? Vuoi
ritirarti?»
Lei
mormorò qualcosa d’incomprensibile.
Le
labbra di Shinichi s’incurvarono in un ghigno
sadico. Si portò una mano all’orecchio, come per
amplificare il suono.
«Scusami? Non ho sentito».
Sera
alzò lo sguardo, chiedendosi nuovamente dove diamine
avesse trovato quelle domande Shiho. Inspirò a
fondo per calmarsi. In fondo
erano proprio domande come quella a rendere tutto più
divertente, no?
Ignorò
il ghigno di Shinichi e si fece coraggio.
«Mi
piaceva un ragazzo, ma… lui era, è, cotto di
un’altra» ammise alla fine. «A volte
vorrei solo gridargli quanto sia stupido»
aggiunse dopo un po’, senza guardarlo.
Kudo
la fissò, colpito da quella confessione. A Sera
piaceva un ragazzo…? Non l’avrebbe mai indovinato.
Non aveva mai accennato
niente del genere a Sonoko e Ran, almeno non in presenza del piccolo
Conan.
Possibile che quelle due fossero state tanto brave nel proteggere il
suo
segreto?
Ne
dubitava. Non Sonoko.
Aveva
spinto Sera ad aprirsi, ma non si era aspettato
questo. Ora non sapeva bene che dire.
«Dovresti
provarci, credo…» disse alla fine.
«Prima di
perderlo per sempre».
Masumi
rise. «Non mi ha mai considerata»
affermò
scrollando le spalle. «Non importa, davvero».
Le
parole che gli aveva detto solo poco prima gli
risuonarono in testa; “So come ti senti”.
Non le aveva davvero
considerate, pensando fossero solo frasi di circostanza… ma
si trattava di
questo? Anche Sera soffriva d’amore?
Lui,
ovviamente, non se n’era accorto. E sarei lo
Sherlock Holmes del terzo millennio, pensò con
amarezza.
«Se
posso aiutarti in qualche modo…» provò,
senza
sapere realmente che dire. Magari conosceva il ragazzo in questione?
Sera
scosse la testa. «Va bene così»
decretò.
«Piuttosto, tocca a te rispondere».
Riluttante
ma sollevato allo stesso tempo, Shinichi ci
pensò. «Qualcosa che sogno da molto
tempo…» mormorò tra sé.
Molti
dei suoi sogni li aveva realizzati, in un modo o
nell’altro.
Era
stato a Londra, al 221B di Baker Street. Si era
dichiarato a Ran. Aveva riottenuto il suo corpo.
Non
era rimasto molto, che desiderasse da “tanto
tempo” e ancora non avesse tentato.
«Svizzera»
sussurrò alla fine.
«Eh?»
«Vorrei
andare in Svizzera, alle cascate di
Reichenbach» spiegò Shinichi. Lì ancora
non c’era stato.
Sera
scoppiò a ridere. «Che mi aspettavo?»
domandò più
a sé stessa che a lui. «È davvero
importante per te, Sherlock Holmes. Il
detective della patria di mia madre».
Lui
annuì. «Sì, lo so»
rimarcò stranamente serio.
Il
sorriso della ragazza si allargò. «Sarai mica
invidioso, Kudo?» scherzò.
Lui
mise su un broncio, stando al gioco. «No, ma certa
gente non si accorge della sua fortuna».
«Certo,
certo» mormorò lei cercando la domanda
successiva.
«Qual
è il traguardo più importante che hai raggiunto
nella tua vita, o il tuo più grande risultato?»
Shinichi
esibì la sua espressione più fiera.
«Non per
vantarmi, ma non sono molti i ragazzi della nostra età che
possono gloriarsi di
aver contribuito a incastrare un’organizzazione con
installazioni in tutto il
mondo. In quest’operazione sono stato a dir poco
fondamentale».
Sera
vide oltre il suo tono, però. Tutto quel discorso
era stato fatto senza passione, quasi per dovere, o almeno
così le era
sembrato. Cercò di strappargli una reazione un po’
più vera.
«Che
c’entri tu? Ha fatto tutto Conan» lo prese in
giro. «È solo un bambino, ma è
parecchio sveglio. Più di te».
Lui
sorrise con amarezza. «Già, tendo ad assumermi i
suoi meriti». Non
aveva davvero voglia di pensare
all’organizzazione; non riusciva a fare a meno di pensare
che, forse, se
non fosse diventato Conan non avrebbe perso Ran. Aver sconfitto
l’organizzazione gli sembrava un po’ inutile, da
tre settimane a quella parte.
Era
conscio della stupidità di quei pensieri, ma c’era
poco da fare: li aveva ugualmente.
Masumi
colse l’atmosfera e lasciò perdere. Il suo mago
sapeva essere così testardo… anche lei, ma questo
era un altro discorso.
«Io
ho vinto ogni torneo di Jeet Kune Do a cui ho
preso parte» annunciò soddisfatta.
Il
detective tornò al presente. «E quanti
sarebbero?»
«È
un segreto» rispose lei con una linguaccia. Non
voleva ammettere che per la maggior parte si erano svolti quando era
alle
medie.
Shinichi
la squadrò con sospetto. «Quali sono le cose
che per te contano di più in un rapporto di
amicizia?» lesse la domanda
seguente, decidendo di non insistere.
Stavolta
Masumi non dovette pensarci molto. «La
sincerità» rispose. «Anche se non sempre
me la sono potuta permettere».
«La
fiducia» disse invece Shinichi.
Calò
un breve silenzio. Quella domanda aveva
risvegliato spiacevoli sensi di colpa in entrambi i ragazzi.
Sera
si riprese per prima e afferrò il taccuino. «Qual
è il tuo ricordo più caro?»
Non
lasciò a Shinichi il tempo di rispondere, però;
«Sembri un peperone» rimarcò ridendo.
Se
fosse stato possibile, il volto del ragazzo si
sarebbe colorito ulteriormente. Non ribatté.
«Kyoto…»
Lei
tornò seria. «Kyoto?» ripeté.
Sorrise comprensiva;
ma certo. Avrebbe dovuto aspettarselo.
Non
gli chiese nemmeno a cosa si riferisse: era fin
troppo palese. Era a Kyoto, durante il viaggio scolastico, che Ran gli
aveva
dato la sua “risposta” alla dichiarazione,
baciandolo sulla guancia.
«Il
mio è la prima volta che ho visto Shuichi ridere»
rivelò. Sorrise mettendo in mostra il canino. «Non
lo trovi buffo? Siamo
entrambi presenti nel ricordo più caro
dell’altro».
«È
vero» confermò Shinichi, senza nascondere la
sorpresa. «Curioso».
Lei
alzò un sopracciglio. «A che pensi, detective?
È
solo una coincidenza».
«Sì,
è che…» iniziò lui. Non
sapeva come spiegarlo,
quindi lo disse e basta. «Non credo alle
coincidenze».
Contro
le sue aspettative, Sera non lo prese in giro;
solo, «Io sì» ribatté.
«Non
è logico».
«Averti
incontrato in spiaggia per poi rimanere
coinvolta, dieci anni dopo, nel tuo stesso caso come lo
chiami?»
Shinichi
si stizzì, non sapendo come controbattere.
Afferrò il taccuino.
«Qual
è il tuo ricordo peggiore?»
Sera
strinse le labbra. «Quando mi hanno comunicato la
morte di Shuichi».
Non
c’era molto da commentare.
«Aspetto
la tua risposta, Kudo» l’esortò lei
sfoggiando un sorriso.
Shinichi
pensò che sembrava una tigre pronta a
mangiarti alla prima mossa falsa.
«Il
mio ricordo peggiore» ripeté assorto.
Sarà
sicuramente il momento in cui Ran l’ha lasciato, rifletté
Sera. Forse avrebbe dovuto
fargli saltare quella domanda? E come?
«Quella
sera al Tropical Land».
La
ragazza ci mise un po’ a metabolizzare la risposta.
«Eh?» le sfuggì per la
sorpresa.
La
sua deduzione si era rivelata errata.
«Il
mio scontro con Gin e Vodka. La sera in cui ho
ingerito il farmaco che mi ha reso Conan. Non mi sono mai sentito tanto
impotente come allora…» fece una pausa.
«Ho provato qualcosa di simile solo tre
settimane fa» aggiunse, senza guardarla.
Ah,
ecco.
Masumi annuì. «Ti capisco».
Shinichi
sbuffò. «Ne dubito».
«Scusami?»
«Pensi
davvero di sapere cosa si prova a scoprire di
essersi rimpiccioliti?»
Il
tono del ragazzo, sicuro al punto di non ammettere
repliche, l’infastidì. «Mia madre
l’ha sperimentato, ti ricordo».
«Lei,
non tu».
Sera
incrociò le braccia. «E va bene, continua pure a
sentirti incompreso allora. Ti fa star meglio?»
«No»
rispose Shinichi, dopo un po’. «Scusa se ti ho
offesa. Non è un argomento facile».
«Mhh,
certo. Vai avanti, leggi pure» liquidò la
questione Sera. Forse avrebbe dovuto scusarsi a sua volta…
ma non lo fece.
«Se
tu sapessi che entro un anno improvvisamente
morirai, cambieresti qualcosa del modo in cui stai vivendo?
Perché?» lesse
Shinichi con tono incolore. Incurvò le labbra.
«Allegra».
«Vivo
la mia vita al massimo, quindi no, non penso che
cambierei niente» rispose tranquilla Masumi.
«Non
ti confesseresti nemmeno in questo caso?»
Lei
fece un sorriso triste. «Sarebbe un po’ egoista,
non trovi? Svelare il mio amore avendo poco tempo da vivere».
Shinichi
la fissò. A volte Sera pronunciava
inaspettate perle di saggezza, sorprendendolo. «Forse
hai ragione».
«Io
ho sempre ragione. Tu cambieresti?»
«Non
so. Probabilmente no» rispose Shinichi, dopo
qualche attimo di riflessione. «Presterei più
attenzione ai miei amici,
magari».
«Risposta
interessante, vista la prossima domanda»
commentò lei. «Che cosa significa
l’amicizia per te?»
«Avere
qualcuno su cui so di poter contare, che a sua
volta può contare su di me».
«Come
sei filosofico» disse Sera. «Per me significa
stare bene con qualcuno».
«Anche,
ovviamente».
«Non
mi rubare le risposte!» l’ammonì lei
ridendo. Gli
passò il blocchetto.
«Che
ruolo hanno nella tua vita l’amore e
l’affetto?»
lesse Shinichi. «Senti, è da prima che ci penso;
davvero non sai da dove
vengono queste domande? Ce ne sono alcune davvero assurde».
«Sono
abbastanza d’accordo, ma definisci assurde»
ribatté Masumi.
«La
domanda che ho appena letto ti sembra adatta a un
gioco? E non è certo l’unica».
Sera
fece spallucce. «Te l’ho già detto, me
l’ha dato
Shiho. Non ho idea di quale sia la fonte».
«Cioè
potrebbe essersele inventate?»
Masumi
rise. «Andiamo, non è così
sadica…» Cadde il
silenzio. «Credo…»
tossicchiò. «Insomma! Stai cercando di abbandonare
la
sfida?»
«No»
rispose Shinichi. «Stavo solo… non importa.
Rispondi pure».
Masumi
si fece ripetere la domanda. «Dunque, l’amore e
l’affetto… non so bene come rispondere. Sono
importanti, immagino. Mia madre
non è molto brava a mostrarli. Non lo è quasi
nessuno, nella mia famiglia, in
realtà» ammise imbarazzata. «Quindi ne
ricevo più che altro dai miei amici».
Shinichi
rabbrividì ricordando Mary, la madre di Sera.
Non l’aveva vista spesso, ma quelle poche volte erano bastate
ad inquadrarla
come persona piuttosto fredda.
«Io
da mia madre ne ricevo anche troppo, d’affetto»
disse.
«Ma
se non c’è mai».
«Appunto,
sospetto che quando viene cerchi di
compensare».
Masumi
sorrise. «Non dovresti lamentartene, sai?»
Non
attese una sua risposta. Lesse il punto successivo
ed emise un verso di stupore.
«Che
c’è?» indagò Shinichi
incuriosito.
«Non
è una domanda» spiegò Sera.
«La 22 è
un’indicazione».
«Sentiamo»
l’esortò lui.
«Elencate
alternandovi cinque caratteristiche positive
dell’altro» lesse ad alta voce Sera. Mise su un
broncio. «Così non vale, sei
troppo avvantaggiato».
Shinichi
sorrise. «Scusa tanto, Miss Autostima. Non è
colpa mia se sei così perfetta…»
«Comincio
io» decise Masumi. «Sei intelligente –
quando vuoi, s’intende».
«Quand’è
che non lo sarei?»
«Non
divagare ed elenca» ordinò Sera divertita.
«Sei
un’inguaribile ottimista» affermò
Shinichi.
«Grazie».
«Vedi?
Hai dato per scontato che fosse un
complimento».
Per
tutta risposta al detective arrivò un calcio da
sotto la scrivania.
«Sei
alto» disse Sera, trattenendo una risata. Valeva
come caratteristica positiva? Chissà.
Shinichi
l’accettò, comunque. «Sei sveglia; hai
delle
buone intuizioni».
«Somiglia
al mio sei intelligente, ma d’altra
parte è vero, non posso farci niente».
Ignorò
l’occhiata scettica del ragazzo e continuò.
«Sei ricco, a giudicare da questa casa».
Il
sopracciglio del detective si alzò ulteriormente.
«Davvero non hai trovato niente di meglio?»
«Non
farmi il terzo grado; tocca a te!»
Lui
sbuffò. «Sei carina» disse infine. Il
suo sguardo
era misteriosamente finito sugli scaffali alla sua destra,
il che gli impedì
di notare l’improvviso aumento di colore sulle guance di
Masumi.
«Anche
tu non sei male, d’aspetto» concesse lei.
Shinichi
tornò a guardarla negli occhi. «Sei forte.
È
quasi scontato, con la famiglia che ti ritrovi, ma comunque lo
sei».
Lei
stavolta sorrise soddisfatta. «Già. Tu sei molto
bravo nel gioco del calcio, invece».
Ne
mancava solo uno; Shinichi si prese qualche secondo
per pensare.
«Sei
onesta» ammise. «Lo apprezzo molto».
Quell’ultima
frase le fece stranamente piacere. Il
cuore le batté un po’ più forte.
Gli
passò il taccuino senza commentare.
«Hai
un rapporto stretto con la tua famiglia? Pensi
che la tua infanzia sia stata più felice della
media?»
Sera
sorrise. «La mia non è proprio una famiglia
normalissima, come sai... Per quanto riguarda la mia infanzia, non
voglio
lamentarmi, ma è stata piuttosto complicata. Non la
definirei più felice della
media».
Shinichi
annuì. «Più felice non saprei,
probabilmente
più facile, per quanto riguarda me. I rapporti con i miei
sono un po’…» fece
una pausa. Era difficile definire cosa provasse per i suoi genitori; si
erano
trasferiti all’estero, lasciandolo a vivere da solo in
un’età abbastanza
delicata, eppure tenevano molto a lui. Sapeva di poter contare su di
loro e da
Conan era ricorso più volte al loro aiuto, ma non erano tra
le persone con cui
si sarebbe confidato per problemi personali.
Non
li aveva nemmeno avvertiti che Ran l’aveva
lasciato. «Particolari» decise alla fine.
«Per me ci sono, ma per quanto mia
madre sia un’impicciona non vado mai troppo sul personale con
loro».
«Capisco».
Sera
recuperò le domande. «Questa è
più specifica»
annunciò; «Che rapporto hai con tua
madre?»
Shinichi
sospirò. «Un po’ ripetitivo, questo
gioco.
Abbiamo un rapporto non troppo stretto, visto che non
c’è mai, ma non posso
neanche dire che sia distante. Non saprei spiegarlo meglio»
disse.
«Va
bene. Per quanto riguarda me… Che dire, quante
persone possono dire d’aver visto la madre in un corpo di
bambina? Abbiamo un
rapporto piuttosto stretto. Con Shu dato per morto e Kichi lontano,
abbiamo
collaborato fianco a fianco per mesi» spiegò
Masumi. «Sebbene la situazione non
fosse proprio felice, è stato bello».
Kudo
si alzò. «Vuoi qualcosa da bere?»
chiese, diretto
in cucina. Aveva la gola secca.
«Hai
del succo di frutta?»
«No»
rispose lui ridendo. Sera non sarebbe mai
cambiata: poteva essere serissima, se richiesto, ma conservava dei
tratti
infantili che lo lasciavano spesso incredulo. Era carina, in quei
momenti.
Carina?
si
ripeté stupito. Non l’aveva mai vista sotto
quest’aspetto prima.
Non
aveva mai considerato nessuno carino, se
non Ran. Mentre aspettava che l’acqua nel bollitore si
scaldasse a sufficienza
si rese conto che iniziava ad avvertire Sera, no, Masumi,
molto più
vicina rispetto già solo al giorno prima.
In
quelle poche ore avevano esplorato vari aspetti
dell’altro, quasi senza rendersene conto, cimentati nel gioco.
Un
gioco ben strano… Dovrò chiedere a
Shiho dove
l’ha pescato, decise.
Tornò
da lei con due tazze fumanti. «Non è
succo, ma
forse può piacerti ugualmente».
Lei
sbuffò. «Fuori si muore di caldo e tu mi offri del
tè bollente. Non sai proprio farci con le ragazze,
Kudo» si lamentò. Al ragazzo
restò il dubbio: scherzava o no?
Dovrei
smetterla con questi pensieri assurdi.
«Qual
è la prossima domanda?» chiese sedendosi.
«Ognuno
dica tre frasi con il “noi”. Per esempio:
“Siamo entrambi in questa stanza e ci
sentiamo…”» lesse Sera smettendo per
qualche secondo di soffiare sulla tazza che, nonostante le lamentele,
aveva
accettato.
«Siamo
entrambi in questa stanza, stiamo bevendo del
tè e stiamo facendo uno strano gioco» disse
Shinichi.
«Siamo
entrambi detective, siamo seduti e…» Masumi
esitò un momento prima di continuare. «Non eravamo
mai stati tanto tempo da
soli, prima».
Lui
ci rifletté. «È
vero» commentò stupito. Era quasi
ovvio, in effetti, ma non ci aveva
pensato.
Lei
gli rivolse uno sguardo che non riuscì a
decifrare. «Non che significhi niente» disse.
Quella
frase sembrò stranamente triste al ragazzo, ma
non la contraddisse. Recuperò il taccuino. «Completa
questa frase: “Vorrei avere qualcuno con cui
poter condividere…”»
«Un
gelato» fu la risposta immediata di Masumi. Finì
il suo tè. «Avrei proprio bisogno di qualcosa di
fresco in questo momento».
«Possiamo
uscire a prenderlo» propose Shinichi,
stupendo anche sé stesso. Gli era venuto automatico.
Lei
lo guardò divertita. «È un
appuntamento, o stai
solo cercando una scusa per non finire il gioco?»
«Possiamo
anche andarci dopo» replicò lui.
«Scherzavo.
Dai, tocca a te».
Shinichi
sospirò confuso. Non riusciva a decifrare
Masumi, mai. Prima d’ora gli era successo solo con Ran; non
perché la karateka
fosse particolarmente misteriosa, lì il problema era stato
suo.
Sera
invece era semplicemente imprevedibile.
«Vorrei
avere qualcuno con cui poter condividere…»
mormorò. Che cosa? Il dolore?
In
realtà, si rese conto, era esattamente quel che
stava facendo, sia pur in pillole, sia pur in modo velato. Si era
aperto
attraverso quelle domande e aveva fatto trasparire le sue emozioni,
senza
riceverne un compatimento distante ma un’esortazione a
uscirne. «Delle belle
esperienze» disse.
«Significa
tutto e niente» protestò Sera, «ma va
bene,
per stavolta passi».
«Spiega
al tuo partner le cose di te che sarebbe
importante che sapesse, se diventaste molto amici».
Masumi,
che aveva letto, si perse un po’ a fissare il
testo, forse in un tentativo di assimilarlo meglio.
Shinichi
neanche si diede la pena di commentare, a
quel punto l’invasività di quelle domande non lo
stupiva più. L’idea di
diventare molto amico di Sera, comunque, non gli
dispiaceva.
«Dovrebbe
sapere che sono fissato con i gialli, specie
quelli di Conan Doyle. Ran se ne lamentava sempre»
ricordò. Notò solo dopo, a
scoppio ritardato, che quel pensiero non gli faceva male.
«Il
fatto che scopri un cadavere al giorno non è da
sapere?» lo provocò Sera.
«Senti
chi parla» ribatté lui. «Tu non ti
imbatti mai
in crimini, vero?»
«Solo
in tua compagnia» rispose lei con un sorriso.
«Non serve davvero che risponda, comunque, no? Noi siamo già
amici»
affermò con una scrollata di spalle.
«Non
provarci».
L’espressione
della ragazza si fece malinconica. «Sul
serio, lo sai già: se serve posso mentire o nascondere
fatti. Anche ai miei
amici. Non sono una bella persona…»
«Non
è vero» la fermò subito lui, stupito da
quell’accusa a sé stessa. Sembrava starci
veramente male. «Saremmo in due, in
ogni caso. Ho mentito a tutti per mesi».
Masumi
lo fissò. «Siamo due bugiardi» disse
dopo un
po’. Aveva un tono indecifrabile. Cancellò la
malinconia dal suo volto e tornò
a sorridere, lasciando però in Shinichi qualche dubbio
sull’autenticità di quel
sorriso. «Almeno sono in buona compagnia».
«Non
pensavo ti sentissi così in colpa»
affermò il
ragazzo.
Lei
scosse la testa. «Scusami, è stato solo un
momento. Andiamo avanti».
Anche
se dici così, non potrò più guardarti
con gli
stessi occhi.
«Di’
al tuo partner che cosa ti piace di lui/lei; sii
molto onesto/a, e di’ anche cose che in genere non diresti a
una persona che
hai appena conosciuto» toccò a Shinichi leggere.
«Noi non ci siamo appena
conosciuti» disse, «comunque il concetto
è chiaro, direi. Non ci siamo già
fatti prima i complimenti, però?»
«Forse
quelli erano più generici» ragionò
Sera.
«Questa mi sembra più specifica,
perlomeno».
«Potresti
aver ragione».
«Tocca
a me, giusto?» si accertò lei. Prima di
rispondere prese un bel respiro; sembrava… a disagio?
«Mi
piace la tua spontaneità – sarai anche un
abilissimo
detective, bravo a notare i più piccoli gesti degli altri,
ma non sei in grado
di nascondere quegli stessi gesti. È vero, hai mentito
molto, ma te lo dico
sinceramente: era piuttosto facile vedere oltre le tue bugie»
dichiarò. «Poi,
ovviamente, apprezzo la tua intelligenza».
Shinichi
arrossì. «Spontaneo non
è davvero quel
che mi sarei aspettato».
«È
vero, però» rise Sera. È
stata proprio una tua
deduzione spontanea a far ridere mio fratello,
anni fa.
Kudo
tossicchiò, cercando di tornare serio. «Anche tu
ti consideri una bugiarda, e forse sei anche più brava di me
a mentire, posso
ammetterlo» iniziò, «ma di te apprezzo
la qualità opposta: sei sincera. Se devi
mentire, menti su ciò che ti riguarda, ma su
ciò che pensi degli altri e
delle situazioni sei onesta. Preferiresti dire una verità
scomoda piuttosto che
indorare la pillola, o sbaglio? Non sono molti quelli disposti a
farlo».
Masumi
s’illuminò ascoltandolo; la sua espressione
passò da sorpresa a felice – stavolta la
felicità era autentica, Shinichi non
aveva dubbi.
«Grazie».
«Grazie
a te».
«Allora…
leggo la prossima?»
Shinichi
annuì. «Vai pure».
Masumi
lesse prima tra sé; sfoggiò un sorrisetto
sadico. «Racconta un episodio imbarazzante della tua
vita».
«Non
poteva mancare…»
«Già.
Tocca a te iniziare, detective».
«Avevo
otto anni… Stavo guardando un film con Ran e
Sonoko, era un giallo» raccontò.
«Ho… io ho…» esitò.
Masumi
lo studiò curiosa. «Che hai combinato?»
Shinichi
fissò lo sguardo sul tavolo. «Ho dedotto
l’assassino del film… sbagliando! Sonoko mi ha
preso in giro per mesi per
quell’errore!»
Lei
scoppiò a ridere. «Tutto qui?»
«Non puoi
capire cosa significhi fare una figura del genere con una come Sonoko.
Specie
se ha otto anni».
«Forse hai
ragione» concesse lei, senza smettere di ridacchiare.
Masumi
sospirò. «Allora. Ero alle medie, e… un
ragazzino mi si è dichiarato. Pensando che fossi un ragazzo.
Spiegargli
chi ero non è stato affatto facile…»
Shinichi
non trattenne una risata. Non poteva saperlo,
ma la sincerità di quell’allegria
scaldò il cuore di Sera, nonostante
l’imbarazzo provato nel rivangare quell’episodio.
«Vedila
così: non tutte possono dire
d’aver
fatto innamorare un omosessuale».
«Scommetto
che tu non puoi dirlo» replicò lei nello
stesso tono. Shinichi tacque e decise di passare al prossimo punto.
«Di’
al tuo partner qualcosa che già ti piace di
lui/lei» lesse.
Masumi
sbuffò. «Ancora? Questo gioco
sembra
mirare a rafforzare l’autostima…»
«Chissà,
magari è questo il punto. Qualcosa che già
ti piace… Mi fa pensare che dev’essere
qualcosa di nuovo, non credi?»
Lo
sguardo della ragazza s’illuminò. «In
tal caso, il
tuo aspetto più sbarazzino già mi
piace».
«Sbarazzino?»
«La
barba».
Shinichi
tornò per l’ennesima volta a sfiorarsi le
guance. «Non ti ci affezionare, domani la prima cosa che
farò sarà radermi».
Lei
assunse un’espressione dispiaciuta.
«Peccato»
commentò.
«Comunque,
visto che ti sei buttata sull’aspetto… Non
è nuovo, ma mi piace il tuo dente sporgente. L’ho
sempre trovato molto
particolare».
Sera
arrossì, colta di sorpresa. «Davvero?»
Lui
annuì.
«Grazie».
Prese il blocchetto. «Qual
è – se esiste –
l’argomento su cui non si può scherzare, per
te?»
Lo
sguardo del detective si incupì leggermente. «Il
suicidio» rispose serissimo.
«Non
saprei, non ci ho mai pensato» dichiarò invece
Sera. «Qualsiasi argomento possa
ferire le persone a cui tengo, direi».
Lesse
la domanda seguente. «Se
tu stasera morissi
senza poter più comunicare con nessuno, qual è la
cosa che rimpiangeresti di
non aver detto a qualcuno? Perché non gliel’hai
ancora detta?»
«Grazie» rispose Shinichi. «Rimpiangerei
di non aver ringraziato tutti quelli
che ci sono sempre per me. Shiho, Hattori… tu».
Masumi
abbassò lo sguardo. «Mi dispiacerebbe,
credo… Non dire a quel ragazzo cosa
provo per lui».
«Non
vuoi proprio dirmi chi è questo ragazzo?»
tentò Shinichi. Ancora non riusciva a
credere che Sera soffrisse d’amore, ma gli dispiaceva vederla
soffrire senza
poter fare niente.
Lei
lo fissò. «Deducilo, no?»
«Dovresti
sapere che non è così facile»
protestò lui. Usavano sempre tutti quella
battuta, diventava stancante. Sera, comunque, sembrava essersi
già rinfrancata.
«Non sarà mica tuo fratello?» decise di
stuzzicarla.
Lei
sbarrò gli occhi. «Sei scemo?» chiese
rossissima. «Ovviamente no! Non sono quel
tipo di persona!»
«Certo,
certo… Pronta alla prossima domanda?»
Ancora
un po’ imbarazzata, Masumi annuì. «Sono
nata pronta».
«La
tua casa prende fuoco, con dentro tutto quello che
possiedi. Dopo aver salvato le persone che ami e gli animali, hai il
tempo per
fare un’ultima corsa dentro e portare via un solo oggetto.
Quale sarebbe?
Perché?»
«Il
cappello di mio fratello» rispose Sera,
«perché me lo ricorda».
Shinichi
indicò il libro sul bordo della scrivania.
«Prenderei “Uno studio in rosso”,
perché è così che mi sono innamorato
di Holmes e delle deduzioni. Mi ricorda
chi sono».
«L’immaginavo»
commentò Masumi.
«Anche
il tuo non era proprio originalissimo» sottolineò
lui.
«Forse
hai ragione. Mancano solo due domande!» esclamò
lei eccitata.
«Fantastico,
allora leggi».
«Qual
è il membro della tua famiglia la cui morte ti
colpirebbe di più? Perché?»
«È
una domanda abbastanza infame» disse Shinichi.
«Come dovrei scegliere? Non ha
senso».
«Sei in crisi
perché non è una domanda logica?»
«Tu sai come
rispondere?»
Lei fece un
sorriso tirato. «Sia chiaro, non voglio che nessuno
dei miei muoia, ma…»
lo guardò negli occhi. «La morte di Shu
l’ho già vissuta, anche grazie a te. In
missione con mia madre abbiamo entrambe rischiato più volte
la vita, la morte
era un’opzione che ho dovuto considerare.
A colpirmi di più sarebbe
probabilmente la morte di Shukichi, perché è
l’unico a essersi conquistato una
vita normale». Sorrise. «Be’, normale per
quanto può esserlo la vita del Meijin
Taiko, ma hai capito cosa intendo».
«Capisco
il tuo ragionamento… Ma non posso comunque
scegliere».
Masumi
annuì. «Va bene». Gli passò
l’elenco. «A te l’onore di leggere
l’ultima».
«Parla
di un tuo problema personale e chiedi al
partner un consiglio su come lui o lei affronterebbe questo problema.
Chiedigli
anche di descriverti come gli sembra che tu ti senta rispetto al
problema di
cui hai scelto di parlare». Shinichi impallidì.
«Difficile fino all’ultimo».
«Vuoi
continuare?» domandò Sera.
Lui
sorrise. «Arrivati a questo punto, direi proprio
di sì».
«Va
bene, però comincia tu».
Lui,
stranamente, non protestò. «D’accordo,
allora. Il
mio problema lo conosci già: Ran se n’è
andata, troncando la nostra relazione.
Mi manca tantissimo, mi ritrovo a pensarla nelle situazioni
più diverse: basta
un nome e si scatena un ricordo… Sto cercando di andare
avanti ma è dannatamente
difficile, non posso dimenticarla». Sospirò.
«Tu cosa faresti?»
«Scrivile»
rispose semplicemente Sera. «Non state
insieme, questo non significa che non dobbiate più sentirvi,
no?»
Shinichi
rise amaro. «Se n’è andata…
Non credo che
abbia voglia di sentirmi. Tutta la faccenda di Conan l’ha
ferita tantissimo».
Masumi
lo guardò severa. «”Non
credo”, dici. Come fai
a saperlo, se non ci provi? Tu scrivile, chiedile come sta. Se le
dà fastidio
te lo dirà, o comunque lo capirai. So che il tuo cervello
parte quando si
tratta di Ran, ma quando una persona risponde svogliatamente o ci
ignora
percepirlo è davvero facile». Scosse la testa.
«Insomma, Shinichi: Ran non ha
mai detto di non volerti più sentire, o sbaglio? Sono limiti
che ti sei posto
da solo. Nessuno ti chiede di dimenticarla di colpo, non devi; restaci
amico.
Non esistono solo bianco e nero, ci sono varie sfumature nel
mezzo».
Quel
discorso lo colpì. Sembrava piuttosto sentito.
Ma
soprattutto, era vero. Ran non gli aveva chiesto di
non scriverle, non aveva detto nulla al riguardo.
Forse
potevano davvero restare almeno amici.
«È
questo che fai con il ragazzo che ti piace? Ci
resti amica?» chiese, sinceramente interessato.
Lei
distolse lo sguardo. «Più o meno. È un
po’
complicato».
«Devi
parlarmi di un problema, no? Ne hai altri?»
«…no»
ammise lei. «Non così importanti, comunque.
Penso tu sia la persona meno adatta per parlare di problemi di cuore,
ma te ne
parlerò lo stesso».
«Allora.
Ho conosciuto questo ragazzo tantissimo tempo
fa. Mi ha subito colpita, per motivi che non sto a spiegarti. Poi mi
sono
trasferita, e l’ho rivisto solo al mio ritorno in Giappone,
qualche anno fa…
Mettendo da parte che non potevo comunque permettermi di pensare ai
ragazzi,
con la storia dell’organizzazione, il problema era un altro.
Lui era
perdutamente innamorato di un’altra ragazza; credo lo sia
ancora. Sono stati
insieme, ma al momento si sono lasciati. A condire il tutto io sono
amica di
entrambi. Dunque, detective: cosa mi consigli?»
«Sembra
una soap-opera» commentò Shinichi. «Se
non
sono insieme, ti direi di… provarci?»
«Tutto
qui?»
«Se
vuoi un’analisi più dettagliata, mi collego alla
parte finale della domanda: davanti a questo
problema ti vedo piuttosto
imbarazzata, forse perché è il tuo primo
approccio all’amore. In questo senso,
ho più esperienza di te. A voler prendere le cose piano e
non decidermi a fare
un passo senza la sicurezza di essere ricambiato, ho aspettato anni
per
dichiararmi a Ran». Fece un sorriso triste. «In
questi ultimi giorni mi sono
ritrovato spesso a pensare che se mi fossi fatto avanti prima le cose
sarebbero
andate in modo diverso. Per finire, ti cito: come fai a sapere se
davvero prova
ancora qualcosa per l’altra ragazza, se non ci provi?
L’hai deciso tu. Confermo
il mio consiglio: dovresti dirglielo».
Masumi
proruppe in una risata stranamente amara. «Va
bene» disse. «Glielo dirò».
«Davvero?»
«Certo».
Si alzò stiracchiando le braccia. «Allora,
abbiamo finito. Che si fa?» chiese senza guardarlo.
«Ti
va ancora il gelato?» propose lui alzandosi a sua
volta.
Lei
lo fissò incredula. «Sul serio?»
«Certo,
perché no?»
«Va…
va bene, certo. Mi va sempre il gelato!» esclamò
ritrovando la sua consueta allegria.
«Perfetto.
Dammi solo un attimo» disse lui infilandosi
in bagno.
Ne
uscì cinque minuti dopo; appena lo vide, Sera si
bloccò. «Fa quasi strano vederti così,
dopo oggi».
«Non
potevo uscire in quel modo» replicò Kudo,
passandosi una mano sulla guancia ora perfettamente liscia.
«Poi così sto
meglio, no?»
«Mah,
non saprei. Per me perdi molto in fascino»
scherzò Masumi. O era seria? Shinichi non avrebbe saputo
dirlo.
La
ragazza spalancò la porta. «Forza, vampiro,
è ora
di uscire dal covo!»
Lui
sorrise e la seguì.
Un
mese dopo
«Noncipossocrederenoncipossocredere!»
«L’ho
capito. Smetti di ripeterlo, per favore? Sto
cercando di concentrarmi».
Nella
stanza di Shiho c’erano la scienziata, seduta
alla scrivania a lavorare al pc, e Masumi. Quest’ultima era
in uno stato
d’eccitazione che non accennava minimamente a scemare.
«Ci
siamo messi insieme! Me l’ha proposto lui!»
«Sì,
è solo la decima volta che me lo racconti». Shiho
cercava di tenersi distaccata, ma dentro di sé era contenta
per Sera. D’altra
parte c’era un motivo, se l’aveva mandata da
Shinichi con il test di creazione
sperimentale d’intimità interpersonale
ideato dallo psicologo Arthur Aron
nel 1997.
Si
girò verso di lei. «Senti, Masumi, sono davvero
felice per te. Per entrambi, ora che avete risolto i vostri problemi di
cuore.
Ma invece di star qui a parlare con me, non dovresti scendere? Ormai
sarà
arrivato; i test del dottor Agasa non lo tratterranno più di
qualche secondo»
affermò sorridendo.
Quelle
parole fecero schizzare a mille il cuore di
Sera. «Oddio, è già qui? Vado bene
così, sono abbastanza femminile?»
La
scienziata alzò gli occhi al soffitto. «Ti
comporti
come se fosse il tuo primo appuntamento».
L’altra
la guardò impaziente. «È il
mio primo
appuntamento!»
Stavolta
Shiho esibì un sorrisetto ironico. «Certo,
come no. Ti si è proposto ufficialmente solo stamattina,
quindi tutte le uscite
che avete fatto negli ultimi trenta giorni non valgono nulla».
«Era
diverso» si difese Sera.
«Va
bene. Dai, vai ora; non sei affatto femminile, non
più del solito, ma va benissimo così».
«Va
bene. Vado» ripeté lei annuendo. Si
fermò sulla
porta.
«Shiho…
Grazie».
«Per
cosa?»
«Lo
sai benissimo. È tutto merito del tuo strano
test!»
Shiho
sorrise soddisfatta. «Può essere»
ammise. «Buon
divertimento!»
Masumi
arrivò mentre Agasa esponeva il suo ennesimo
quiz.
Si
avvicinò di soppiatto e accostò la bocca
all’orecchio del suo ragazzo.
«Aspetti
qualcuno, detective?»
Lui
si voltò sorridendole. «Sì, magari puoi
aiutarmi a
cercarla. È un maschiaccio iperattivo, per caso è
passata di qui?»
«Dipende».
«Da
cosa?»
«Dalla
ricompensa che mi spetta per aiutarti a
trovarla» rispose Sera con un sorriso furbo.
«Un
gelato può andare?» propose Shinichi stando al
gioco.
Lei
finse di pensarci su. «Potrebbe».
Agasa,
nel frattempo, li aveva lasciati soli.
«Prima,
però» aggiunse Sera avvicinandosi
pericolosamente al volto del ragazzo «voglio
qualcos’altro».
Le
loro labbra s’incontrarono in un bacio troppo a
lungo desiderato.
Era
un nuovo inizio, per entrambi.
«Forse
potremmo rimandare il gelato».