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Autore: Mari Lace    26/05/2018    6 recensioni
Raccolta sperimentale di one-shot su coppie crack (e fanon). Verrete a scoprirle con me?
[Parlando di crack pairing, metto l'avvertimento OOC per sicurezza, ma l'idea sarebbe di non scivolarci.]
#1: Shiho/Saguru
«Non un altro Shinichi, per favore...»
Quando si rese conto di averlo detto ad alta voce era troppo tardi.

#3: Il ragazzo, con il gomito della giovane detective puntato alla gola ad impedirgli qualsiasi movimento, riuscì in qualche modo ad emettere una risata che, però, suonò alquanto forzata.
«È così che ringrazi il tuo salvatore? Non sei molto gentile», tentò.
{Sera/Kaito}
#5: Tu hai mantenuto la tua promessa… ma io non ho mantenuto la mia.
Death!character; Shiho/Rei
#7: Shinichi/Sonoko
«Usciamo?» ripete, soppesando quella parola. Suona così strana in bocca a lei. Sta pianificando il suo omicidio?
«Pensavi che ti avrei lasciato a deprimerti a casa? Che amica sarei? Su, muoversi!» ordina Sonoko. «Scemo» aggiunge, in uno sbuffo quasi affettuoso.

#8: Shiho Miyano/Ryusuke Higo
"Non c'è amore per i traditori, in questo mondo."
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Eisuke Hondou, Kaito Kuroba/Kaito Kid, Ran Mori, Saguru Hakuba | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: OOC, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdA

Le posto all'inizio perché questa OS merita una spiegazione.

Nasce per un contest; quel che dovevo fare era scegliere due personaggi e far sì che rispondessero a trentasei domande. Queste domande costituiscono l'esperimento di uno psicologo, Arthur Aron: tecnicamente servono a instaurare un rapporto forte tra due persone che prima dell'esperimento non si conoscano. Per evitare What if? enormi, il contest non richiedeva che la coppia scelta non si conoscesse.

Io spero che non sia venuta troppo pesante, ma dovendo inserire tutte le domande e le risposte di entrambi è venuta ben più lunga delle mie solite os.

Per quanto riguarda la coppia: mettere Shinichi con chiunque non sia Ran è una sofferenza. Non sono una loro fan, ma neanche sono così sadica da divertirmi nello scoppiarli. Purtroppo era necessario.

Avevo anche pensato, in un primo momento, di utilizzare proprio la ShinRan per il contest, ma non mi convinceva. La maggior parte delle risposte sarebbe stata inutile, quei due si conoscono da una vita e hanno già un rapporto fortissimo. I personaggi che ho scelto si conoscono, ma non così intimamente.

Detto questo, buona lettura - e buona fortuna ai coraggiosi che oseranno l'impresa!





Facciamo un gioco?



Shinichi non aveva davvero voglia d’alzarsi, quella mattina.

Erano tre settimane che non aveva voglia di fare niente.

Tre settimane, ovvero da quando Ran l’aveva lasciato.

Avrebbe studiato all’estero per un anno e prima di partire aveva voluto sciogliere il loro legame.

Resterai sempre importante per me, Shinichi, ma non voglio una relazione a distanza. Soffriremmo entrambi, lo so, l’ho già vissuto quando sei sparito per quell’indagine. Dovremmo andare avanti con le nostre vite, entrambi… forse poi ci ritroveremo.

Aveva protestato, dicendo che stavolta era diverso, che avrebbe potuto andare spesso a trovarla; lei aveva scosso la testa con un’espressione triste.

Se n’era andata.

Da allora Shinichi era caduto in una specie di coma, da cui i suoi amici – Heiji e Shiho principalmente – cercavano in tutti i modi di tirarlo fuori.

Ma neanche i casi che gli sottoponeva Hattori riuscivano a scuoterlo. Certo, si alzava e li seguiva, cercava di distrarsi come volevano. Qual era il senso, però?

Dava una mano in indagini che il detective di Osaka sarebbe stato capacissimo di risolvere anche da solo. Non ne ricavava le soddisfazioni di un tempo.

Se non ci fosse stata Shiho, poi, avrebbe probabilmente passato tutte le giornate a letto. Era lei a buttarlo giù ogni mattina ed era lei a preparargli da mangiare.

Shinichi si sarebbe sentito in colpa… se non fosse stato troppo preso dal crogiolarsi nella sua disperazione. Non riusciva a pensare a niente.

Guardò svogliatamente l’orologio. Erano passate le dieci.

Strano che Shiho non sia venuta, pensò. Fece una smorfia. Ridicolo. Non sono neanche più capace di alzarmi da solo…

Con un immane sforzo di volontà uscì da sotto le coperte.

Non che abbia niente da fare, comunque… pensò mentre si vestiva.

Andò nello studio e scelse un libro. Optò per “Uno studio in rosso”, sebbene lo conoscesse ormai a memoria. Sherlock Holmes era il suo amico di sempre, forse l’unico in grado di distrarlo davvero per qualche ora.

Non era arrivato nemmeno a metà quando sentì suonare il campanello.

Alzò gli occhi dal libro e controllò l’ora. Erano quasi le undici. Forse era Shiho?

Be’, chi altro dovrebbe essere?

Aprì la porta senza controllare dall’occhiello. Sgranò gli occhi dalla sorpresa, trovandosi davanti qualcuno che non era la sua amica scienziata.

«Sera…? Che fai—»

L’inaspettata visitatrice non lo lasciò finire. «Buongiorno! Mi ha mandata Shiho. Oggi aveva un impegno improrogabile» spiegò auto-invitandosi a entrare.

«Era preoccupata che da solo saresti rimasto digiuno a fissare il muro, ma a quanto pare si sbagliava! Ti sei pure vestito!» esclamò allegramente.

Shinichi l’osservava confuso. Non vedeva Sera da un po’. Sentendo la sua spiegazione, però, gli tornò in mente che Shiho aveva accennato alla sua amicizia con la ragazza, una volta.

Per gli standard della scienziata, una menzione poteva anche significare che fosse la sua migliore amica.

Strano, valutò il ragazzo. Non riusciva a capire cos’avessero in comune quelle due.

«Be’? Non parli?»

Ritrovandosi il volto curioso di Sera a un centimetro dalla faccia, Shinichi si riscosse.

«Non c’era bisogno che venissi» riuscì a dire.

Che avrebbe dovuto fare con lei? Non aveva davvero voglia di parlare della sua situazione, considerò con una smorfia. Un’ottima qualità di Shiho era proprio l’essere di poche parole; di Hattori non poteva proprio dire la stessa cosa, ma era difficile sentirlo parlare di sentimenti.

«Perché? Ti dispiace?» commentò Sera, per nulla scoraggiata. «A proposito, sai che stai bene con un filo di barba?» disse ridendo. «Mi ricordi mio fratello».

Shinichi si portò d’istinto una mano sulla guancia, stupito. Non ci aveva fatto caso, ma gli era effettivamente cresciuta un po’ di barba. Radersi era stato l’ultimo dei suoi pensieri, in quei giorni.

Tornò nello studio. «Senti, Sera, ti ringrazio per essere venuta, ma puoi dire a Shiho che non sto così male. Prima del tuo arrivo stavo leggendo—»

Sera, che l’aveva seguito e superato, lo interruppe. «Sì, certo, ti vedo molto allegro in effetti». Si avvicinò alla scrivania e diede uno sguardo al libro lì sopra, ancora aperto. «”Uno studio in rosso”? Ma dai, lo conoscerai a memoria».

«È sempre una lettura piacevole» si difese lui. Ma insomma, che voleva? Non può capirmi, non ha mai vissuto una cosa simile, si disse. Iniziava a irritarsi. «Tu hai qualche proposta migliore?» domandò retorico, sicuro che la ragazza, come lui, non avesse idee su come passare il tempo insieme.

Invece, Masumi sfoderò un sorriso a trentadue denti e tirò fuori un taccuino.

«Assolutamente sì!» rispose, aprendolo. «Ce l’hai un’altra sedia?»

Shinichi non rispose subito, guardando l’oggetto tra le mani della ragazza con vaga curiosità.

«Cos’è?» chiese, avvicinandosi.

«Un gioco» rispose lei, tutta contenta di aver attirato la sua attenzione. «Me l’ha dato Shiho. Ha detto che è una specie di sfida. Va fatto in due; ci sono trentasei domande, entrambi dobbiamo rispondere a tutte, in ordine. Il primo che si rifiuta di rispondere perde».

«Sembra un gioco stupido» commentò Shinichi. Tutta qui, la trovata di Shiho? Una specie di obbligo o verità senza obblighi?

«Non avrai paura di perdere?» lo provocò Sera. Il sorriso evidenziò il suo dente sporgente. «Andiamo, detective, perché no?»

Shinichi guardò il suo libro e sospirò. La lettura era rimandata, a quanto pareva.

«E va bene. Proviamo» acconsentì, senza entusiasmo.

Andò nella stanza accanto e prese un’altra sedia, che portò nello studio e posizionò di fronte alla scrivania. Masumi vi si accomodò, lui fece altrettanto dall’altra parte del tavolo.

I due potevano guardarsi negli occhi.

Sera, sempre esibendo il suo sorriso di sfida, spostò il romanzo e mise il taccuino al centro.

«Attento, se provi a mentire me ne accorgerò» lo avvisò, sicura delle sue doti deduttive.

«Sono anch’io un detective, quindi lo stesso vale per te» replicò lui asciutto. «Allora, qual è la prima domanda?»

Sera lesse ad alta voce: «Chi vorresti avere come ospite a cena, se potessi scegliere tra tutte le persone al mondo?»

«Facile. Sherlock Holmes» rispose subito Shinichi.

Masumi lo guardò con curiosità. «Sul serio? Fra tutte le persone al mondo… tu sceglieresti un personaggio di fantasia?» indagò divertita.

«Perché no? Sarebbe il più grande detective mai esistito. È un modello, per me».

«Ok, ok. Ero solo un po’ stupita». Sera assunse un’aria pensosa. «Io, invece, vorrei i miei fratelli. Soprattutto Shu. Non c’è mai…» mormorò.

«È impegnato con l’FBI» commentò Shinichi. «Gin e un paio di altri membri sono riusciti a scappare in America, è normale che abbia da fare».

Sera sfoggiò nuovamente il suo sorriso allegro. «Certo, lo so! È perché ho un fratello in gamba» esclamò. Il ragazzo si trovò a chiedersi quanto ci fosse di vero in quell’allegria.

«Ok, tocca a me. Ti piacerebbe essere famosa? Per che cosa?» lesse dal taccuino.

«Ma certo! Come detective che usa il Jeet Kune Do. Se diventassi famosa, tra l’altro, nessuno mi confonderebbe più con un ragazzo!» disse. Parve tuttavia ripensarci quasi subito. «Così non potrei più entrare nel bagno degli uomini, però, e mi toccherebbero ore di fila…»

Kudo non riuscì a trattenere una risata. «Davvero è questa la tua preoccupazione?»

Masumi sbuffò, mettendosi sulla difensiva. «Sei un ragazzo, che ne vuoi sapere? E comunque, tocca a te! Vorresti essere famoso?»

Shinichi scrollò le spalle. «Io sono già famoso, a dir la verità».

Sera annuì. «Già, vero. E ti piace?»

«Essere fermato dai fan per strada non è così male. Anche se la notorietà mi ha messo in serio pericolo quando l’Organizzazione mi dava per morto…»

Lei rise. «Fortuna che c’ero io a salvarti» disse.

«Non mi pare tu abbia contribuito poi molto» ribatté Shinichi piccato. «La prossima?»

Sera si sporse per leggere. «Ti capita mai di provare quello che devi dire prima di fare una telefonata? Perché?»

Shinichi ci pensò per qualche secondo. «Quasi mai» disse alla fine. «Quand’ero Conan mi è capitato un paio di volte di provare mentalmente cosa dire a Ran con la mia voce adulta. Finivo sempre per dire qualcosa di diverso, all’atto pratico…»

«La vita non rispetta i piani» commentò Masumi allegramente. Sembrava compiaciuta. «Per questo io non faccio mai nulla del genere. Dico quel che mi passa per la testa, e basta – dicano pure che sono impulsiva, non mi importa!»

«Sì, l’ho notato».

Sera sorrise, mettendo in mostra il canino. L’aveva preso per un complimento.

«Allora» disse Shinichi, avvicinandosi il taccuino. «Com’è un giorno “perfetto”, secondo te?»
«Un giorno in cui passo il tempo con le persone a cui tengo» rispose lei sicura. «I miei fratelli, mia madre o i miei amici».

«È una definizione un po’ vaga. Devi avere un sacco di giorni perfetti, tu».

«Sì, infatti» confermò lei annuendo decisa. «E tu che mi dici?»

Shinichi sospirò. «Dico che vorrei essere così spensierato» mormorò, pensando a Ran. Un giorno perfetto era un giorno passato con lei… anche se, ripensandoci ora, forse neanche questo era così vero. Passava la maggior parte delle uscite con Ran in tensione, con il costante timore di rovinare tutto. O di essere interrotto da qualcuno che conoscevano. Soprattutto dalla loro fatidica uscita al Tropical Land…

Anche quella volta si era sentito così agitato all’idea di avere un appuntamento con Ran che si era messo a parlare di Sherlock Holmes senza un motivo preciso.

Poteva davvero definire quelle giornate piene d’ansia ingiustificata “perfette”?

«Non saprei» disse.

Sera lo stava fissando con curiosità da un po’. Ora assunse un’espressione di sfida. «Ti arrendi già alla quarta domanda?»

«Non mi sto arrendendo, non lo so davvero» si scaldò lui. «Non ci ho mai pensato».

L’espressione di Sera si addolcì… o forse era solo l’immaginazione del ragazzo.

«È meno complicato di quel che immagini. Pensaci; c’è qualcosa che ti fa sentire in pace con te stesso?» chiese. «Naturalmente rispondere “un omicidio” sarebbe di cattivo gusto» aggiunse poco dopo. Shinichi non riuscì a capire se fosse seria o meno.

«Il calcio» rispose dopo un po’. «Anche solo palleggiare mi aiuta a mettere ordine tra i pensieri. E andare allo stadio con i miei amici… immagino».

Lei annuì soddisfatta. «Ora va bene» decise, pronta a passare alla prossima domanda. «Quand’è l’ultima volta che hai cantato tra te e te? E davanti a qualcun altro?»
Shinichi si accigliò. «Sono stonato, o almeno così dicono tutti. Non canto praticamente mai».

«Posso immaginare» mormorò lei, ripensando all’unica volta che aveva lasciato prendere il microfono del karaoke a Conan. Aveva seriamente temuto per i suoi timpani, allora. «Non pensare di cavartela così facilmente, però! Quand’è l’ultima volta che hai cantato davanti a qualcuno?»

Shinichi, refrattario al confessarlo, resse lo sguardo di Masumi per qualche secondo. Poi sospirò e si arrese. «Un mese fa, al compleanno di mia madre. Ho cantato tanti auguri insieme agli altri».

Non scoppiare a ridergli in faccia costò alla ragazza uno sforzo non indifferente, ma ci riuscì.

«Io invece ho cantato tra me e me ieri, sotto la doccia. E davanti a qualcuno… mh… circa tre settimane fa, al karaoke con Sonoko e Ran, direi».

Shinichi s’incupì. Non cercò nemmeno di nasconderlo.

Sera se ne accorse, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa il detective afferrò il taccuino. «Se tu avessi la possibilità di vivere fino a novant’anni mantenendo la mente o il corpo di un trentenne per gli ultimi sessanta anni della tua vita, quale sceglieresti tra i due?»

Shiho mi aveva chiesto di non farlo pensare a Ran, si ricordò Sera, dandosi mentalmente della sciocca. Non sapendo come altro rimediare, decise che andare avanti con il gioco – chissà da dove l’aveva tirato fuori, comunque, la scienziata! – sarebbe stata la cosa migliore per distrarlo.

«Domanda interessante. Direi la mente; il Jeet Kune Do mi aiuterà a tenere in forma il corpo, comunque. Tu dovresti preoccupartene un po’ di più, invece» lo punzecchiò.

Lui fece una smorfia disgustata. «Dopo la storia dell’APTX, di restare giovane non voglio più nemmeno sentirne parlare. Ben vengano le rughe! Come detective preserverei la mia mente, è naturale».

«Hai ragione» commentò Sera ridendo. «Ora mi passi il taccuino, giovane detective

«Non posso semplicemente leggerle tutte io?» replicò Shinichi, restio a cederlo. Voleva terminare in fretta.

Lei scosse la testa con energia. «Così dimezzi il divertimento! Dammelo, dai» l’esortò.

Con uno sbuffo, glielo porse. La ragazza lo prese ed esibì un’espressione di trionfo.

Sbirciò la settima domanda e inarcò un sopracciglio. «Preparati, la prossima è un po’ cupa».

«Sono tutt’orecchi» rispose lui atono.

Sera alzò gli occhi al soffitto, annoiata dal suo atteggiamento. Pazienta, Masumi, pazienta… L’hai promesso a Shiho... «Hai un presentimento segreto sul modo in cui morirai?» lesse.

«Che allegria. Sul serio, che razza di gioco mi hai portato?»

«Non evadere la domanda».

«No. Coinvolto in qualche caso, magari».

«Ah sì? In effetti sei piuttosto inerme, senza le tue scarpe speciali. Se vuoi ti posso dare qualche lezione di autodifesa!» si propose entusiasta.

«No, grazie» replicò piatto Shinichi.

«Come vuoi, peggio per te» rimarcò Sera con un’alzata di spalle. «Io che so difendermi, invece, morirò di vecchiaia, probabilmente. Ti prometto che scoprirò il tuo assassino, se verrai ucciso».

«Non so come ringraziarti» replicò Shinichi, sorridendo suo malgrado. Le continue battute di Sera gli rendevano difficile restare troppo serio. Certo che il suo senso dell’umorismo era strano, comunque. Scherzare sulla sua morte… Scosse la testa. Si vede proprio che siamo due detective.

«A te!» esclamò lei lanciandogli il taccuino. Riuscì a prenderlo solo grazie ai suoi riflessi allenati.

«Sei impazzita?!»

«Dai, leggi, che non ho tutto il giorno». Gli fece una linguaccia.

«Sai essere più infantile di tanti bambini, sai? E te lo dice uno che fino all’anno scorso li frequentava abitualmente».

«Non sono certa che smettere di vederli ti abbia fatto bene» fu la replica inaspettatamente seria di Masumi. «Sai che Shiho gioca con loro dal professore, a volte? Ha costruito un bel rapporto soprattutto con Ayumi. Penso la veda un po’ come una sorellina minore».

Sentendosi preso in contropiede, l’osservò cercando di capire se stesse scherzando o meno.

«Questo cosa c’entra con me?»

«Lascia perdere. La domanda?»

Lui la guardò torvo, ma non insisté. «Elenca tre cose che tu e il tuo partner sembra abbiate in comune» lesse. «Il tuo partner sarei io, immagino?»

«Credo di sì» confermò lei. «Non ne ho altri, comunque. Sentiti onorato!» scherzò strizzandogli l’occhio. «Allora, abbiamo in comune l’essere detective, tanto per cominciare. Poi, uhm… il colore dei capelli, e… vediamo… ci sono!» mise nuovamente in mostra il canino. «Siamo entrambi giapponesi!»

«Direi praticamente le stesse cose, no?»

«Non ci provare nemmeno! Prova a pensarci. Cos’abbiamo in comune?»

Ran, pensò tristemente Shinichi. Sul serio, devo smetterla. Devo.

«Abbiamo la stessa età, siamo detective ed entrambi abbiamo visto più cadaveri di quanto sia normale a nemmeno vent’anni» affermò.

Lei fece un cenno d’assenso. «Ti faccio passare l’avermi copiato un punto, ma solo per stavolta» concesse con misericordia.

Shinichi sorrise ironico. «Non potrò mai ringraziarti abbastanza!» disse, passandole nuovamente il blocco.

«Pronto o no, io vado!» esclamò lei accettandolo. «Per quali cose della tua vita ti senti più fortunato/grato?»

Con uno sforzo di volontà, respinse il nome di tre lettere che assillava i suoi pensieri degli ultimi ventuno giorni – per non dire di sempre. «Per essere sopravvissuto all’APTX» si costrinse a dire. «E per aver incontrato Haiba— voglio dire, Shiho. Senza di lei non sarei mai tornato normale».

Mi nascondi qualcosa? pensò Sera, ma non indagò. Un’idea di ciò che avesse omesso ce l’aveva.

«E tu?» l’incalzò Shinichi.

«Sono grata per aver incontrato un certo mago, più di dieci anni fa».

Lui piegò la testa confuso. Ancora con la storia del mago? Sera l’aveva chiamato così più di una volta, ma non era mai riuscito a farsi spiegare perché.

Si scambiarono per l’ennesima volta le domande annotate da Shiho.

«Se tu potessi cambiare qualcosa del modo in cui sei stato cresciuto, quale sarebbe?» lesse Shinichi.

Sera rispose quasi in automatico. «Sarei voluta crescere con mio fratello Shu vicino» disse. «Chissà cosa sarebbe successo in questo caso, però. Magari non mi avresti incantata allo stesso modo, quella volta in spiaggia» aggiunse in un sussurro, rivolgendosi più a sé stessa che al ragazzo.
Shinichi non commentò la sua risposta. «Non saprei. Non ho avuto una brutta infanzia» affermò pensoso. «Cambierei l’ostilità di Kogoro nei miei confronti, probabilmente».
Avvertendo l’argomento Ran di nuovo pericolosamente vicino, Sera si affrettò ad andare avanti. «Prenditi quattro minuti e racconta al tuo partner la storia della tua vita il più possibile in dettaglio» lesse. «Questa sarà impegnativa».

«Quattro minuti? Cavolo. Buona parte della mia storia la conosci già» tentò Kudo.

Lei fece segno di no con l’indice. «Non ci provare. Voglio sapere tutto, o perdi la sfida».

«Non puoi dire sul serio…» Shinichi sospirò. «E va bene».

«I miei genitori non sono esattamente persone normali. Mia madre è un’attrice esperta di travestimenti, ha imparato da un prestigiatore; è inoltre fissata con l’essere giovane, se l’appelli nel modo sbagliato incorri nelle sue furie, e non è piacevole, te l’assicuro. Mio padre, invece, è un genio del delitto. Collaborava spesso con la polizia, risolvendo i casi più complessi. È poi passato a scrivere romanzi gialli. Puoi figurarti, credo, che infanzia potevo avere con queste premesse» qui Shinichi fece una pausa per riprendere fiato. «Ho preso la passione per i gialli da mio padre, e sempre da lui ho imparato le basi del ragionamento logico. Da lui e da Sherlock Holmes. Il primo caso in cui mi sono imbattuto da vicino è stato all’asilo: lo ricordo molto vagamente, ma c’era un maestro che ha cercato di rapire Ran» si sforzò per non far incrinare la voce mentre pronunciava il suo nome. Deciso a continuare, fissò Sera negli occhi. «Crescendo i casi sono solo aumentati, ovviamente. Al secondo anno di liceo collaboravo abitualmente con la polizia, l’ispettore Megure in particolare. Mi ero fatto un nome come detective liceale; certo la fama dei miei genitori aveva aiutato. Loro, intanto, si erano trasferiti all’estero per motivi di lavoro. I miei punti di riferimento divennero Ran e il Dottor Agasa, di conseguenza».

Qui Masumi lo interruppe. «Senza offesa, non sono stati un po’ incoscienti i tuoi genitori? Avevano proprio bisogno di trasferirsi?»

Shinichi fece spallucce. «La libertà non mi è dispiaciuta. Tornando a noi; in seconda liceo, appunto, ero già famoso quando un giorno sono andato con Ran al Tropical Land. Dovevamo festeggiare la sua vittoria in un torneo, o qualcosa del genere» realizzò con stupore che parlarne gli faceva bene. Negli ultimi giorni aveva trattato “Ran” come argomento tabù, temeva che parlarne l’avrebbe solo fatto soffrire di più, come mettere sale su una ferita.

Ora scoprì che era l’esatto contrario; parlarne era catartico. Rassicurato, continuò.

«Mi imbattei in due loschi individui; avrei scoperto solo molto più tardi che si trattava di Gin e Vodka, due membri di una pericolosa organizzazione. La conosci bene, non mi ci dilungo. Gin mi fece ingoiare una pillola: l’APTX4869, come scoprii molto dopo. Doveva uccidermi, ma non fu questo l’effetto sortito. Mi rese Conan Edogawa».

«Che pausa teatrale» sussurrò Sera. Era più o meno tutto come l’aveva immaginato. Shinichi le spiegò in breve come aveva deciso di gestire le indagini nei primi tempi. Arrivato al suo incontro con Sera, si fermò. «Quattro minuti sono passati, direi. Forse anche cinque. Da qui la storia la conosci bene».

Masumi sorrise. «Già. Ora vuoi sapere la mia, immagino?»

Un lampo di curiosità guizzò nelle iridi del ragazzo. Non aveva mai ascoltato la storia di Sera nel dettaglio, ne conosceva solo frammenti slegati. «Mi piacerebbe, sì. A meno che tu voglia cedermi la vittoria» la sfidò con un ghigno.

Era strano come si sentisse già molto più leggero rispetto a solo venti minuti prima.

«Sfida accettata» replicò lei, soddisfatta per il cambiamento avvenuto nel ragazzo. Aprirsi gli faceva bene, dedusse.

«Sappi che la mia storia è più interessante della tua, tanto per cominciare. Anche perché ho due fratelli!»

«Sì, sì. Ti ascolto».

«Allora. I miei vivevano in Inghilterra! Non ho mai conosciuto mio padre, sparì poco prima della mia nascita. Lasciò scritto a mia madre di far finta che non esistesse, di sparire. Lei seguì il consiglio e si trasferì in Giappone, dove sono nata. Mio fratello maggiore, però, si trasferì in America per studiare. Parlo di Shu, ovviamente. Aveva già deciso di entrare nell’FBI, cosa che a mia madre non sarebbe piaciuta per niente… ma questa è un’altra storia. La prima volta che l’ho visto è stato al mare. Ero così in soggezione… lui non mi considerava per niente» ammise, con un’espressione quasi nostalgica. «Tentai di farlo ridere in tutti i modi, senza riuscirci affatto. Ci riuscì, però, qualcun altro…» raccontò fissandolo.

Ci fu un attimo di silenzio.

Shinichi ricordò vagamente la sua deduzione su Akai; l’aveva accusato di essere un clown, Pierrot… arrossì al pensiero. Non capiva, però, dove volesse arrivare Sera. «Non continui?»

Lei sospirò. Proprio non ci arrivi, Mago?

«Be’, la tua sfortuna colpì anche quel giorno. Un auto precipitò in mare, l’uomo al volante morì. Era un ladro di gioielli, tu e mio fratello – con l’aiuto di Shukichi – arrestaste la complice. Tu mi dimenticasti, lo so, ma a me quell’incontro restò vividamente impresso. Anche oggi riesco a rivederlo nitidamente» disse, chiudendo gli occhi con un’espressione beata.

Quando li spalancò di colpo, a Shinichi per poco non venne un infarto. Lei riprese il racconto e gli spiegò di come, intrigata dall’abilità di Shuichi, avesse iniziato a frequentare un dojo dedicato al Jeet Kune Do. Qualche anno dopo, lei e sua madre si erano trasferite in Inghilterra. Riassunse rapidamente come avevano finito per imbattersi nell’organizzazione nonostante tutte le precauzioni prese e di come fossero tornate in Giappone per trovare una cura all’APTX ingerita da Mary e distruggere gli uomini in nero una volta per tutte.

Guardò l’orologio. «Quasi superavo anch’io il limite di minuti» commentò tranquilla. «A proposito, è quasi mezzogiorno. Che dici, ultima domanda e ci mangiamo qualcosa? Possiamo proseguire dopo» propose.

«Per me va bene» accettò lui. Le passò il taccuino.

«Se potessi svegliarti domani avendo acquisito una qualità o un’abilità, quale sarebbe?» lesse Sera. «Questa mi piace!» esclamò allegra.

«Ti piacciono tutte» replicò lui.

«Questa mi piace particolarmente, allora. Che abilità vorresti?»

«Non saprei. Forse…» Shinichi s’incupì di nuovo. «Leggere nel pensiero della donna che amo».

Non si aspettava nessuna reazione in particolare, ma certo non quella che effettivamente ottenne.

«Stupido!» esclamò Sera, alzandosi in piedi. «Che gusto ci sarebbe così? Andiamo, è la richiesta più sciocca che abbia mai sentito» dichiarò.

«Scusa tanto» si difese, debolmente, Shinichi. «Tu che magnifica abilità vorresti, allora?» chiese, alzandosi a sua volta. Si sfidarono a suon di sguardi per un minuto buono.

«Poter mangiare quanto voglio senza sentirmi sazia» disse alla fine, cercando di mantenersi seria.

Il ragazzo scoppiò a ridere, senza nemmeno provare a trattenersi. «Sicura che sia io lo stupido qui?»

Masumi s’imbronciò. «Veloce lo sono già, forte anche, intelligente pure… Non è colpa mia se non mi manca niente» si giustificò. «Tanto vale approfittarne per assaggiare cibi squisiti, allora, no?»

«Certo più utile che chiedere autostima, nel tuo caso» ribatté lui divertito. Riguardo alle sue doti, però, non aveva tutti i torti.

«Sempre meglio di un detective che vorrebbe facilitarsi il lavoro» sottolineò lei stizzita.

«A proposito di deduzioni; sono pronta a scommettere che hai il frigo vuoto».

Masumi vinse la scommessa; nessuno dei due aveva molta voglia di uscire, così finirono per ordinare a domicilio.

Sera insisté per provare, già che c’erano, il locale italiano che aveva da poco aperto nelle vicinanze; scelsero quindi una pizza ognuno, marinara per lui e quattro formaggi per lei.

Pranzando chiacchierarono un po’.

«Come mai Shiho ha mandato proprio te?»

Masumi restò con una fetta di pizza a mezz’aria, stupita da quella domanda. Scoppiò a ridere. «A chi doveva chiedere, a Sonoko?» rispose d’istinto. Posò la fetta nel piatto e studiò l’espressione del ragazzo. «Perché? Ti dispiace avermi intorno?»

«No» disse Shinichi. «Ammetto che, sì, quando ti ho vista entrare ero un po’ perplesso, ma non sto male con te. Ero solo curioso».

«Mh». Sera si versò da bere. «Pronto a riprendere?»

Shinichi si alzò con un sospiro. «Non mi sono rimasti ancora molti segreti» disse, mentre tornavano nello studio.

«Se potessi vedere in una sfera di cristallo la verità su te stesso, la tua vita, il futuro o qualsiasi altra cosa, che cosa vorresti sapere?» chiese Sera, leggendo dal taccuino. Avevano ripreso le stesse posizioni di prima.

Non dovette pensarci molto.

«Come si trova Ran dov’è ora…» lo disse talmente piano che Masumi quasi non capì. Si rabbuiò. «Shinichi». Il detective la fissò. Lei continuò: «So come ti senti. Davvero. Ma devi reagire, non puoi continuare a far girare la tua vita attorno a Ran».

Lui sorrise ironico. «Perché no?»

Sapeva benissimo che Sera aveva ragione, ma non aveva voglia di sentirselo dire. Ran avrebbe abitato i suoi pensieri ancora molto a lungo, ne era certo. Probabilmente era giusto così.

«Ci sono un milione di motivi» rispose Masumi, serissima. «Per te, per gli altri. Pensi che sia bello vederti ridotto così, per chi ti sta intorno?»

Quell’affermazione lo colpì; non era proprio la risposta che si aspettava. Gli tornarono in mente le espressioni abbattute che aveva scorto in Shiho e Heiji nei giorni passati. Non si era fermato a rifletterci, prima, ma li aveva fatti soffrire. Tenevano a lui, erano preoccupati.

Si sentì improvvisamente in colpa.

Loro non me l’avrebbero mai fatto pesare, si ritrovò a pensare. Lei sì.

Resse lo sguardo accusatore di Sera. Era delusione, quella che vi leggeva? Scosse la testa.

Non so se fosse voluto, ma hai scelto la persona giusta, Shiho. Si sforzò di sorridere e glissò.

«La tua risposta?»

Sera accettò il cambio d’argomento con uno sbuffo. Si portò una mano sotto al mento, riflettendo con un’espressione serissima.

«Qual è il ristorante più buono della città» decise alla fine.

Dire che Shinichi rimase a bocca aperta è poco. Si astenne dal commentare, però.

Tossicchiò. «Bene, allora tocca a me». Prese l’oggetto che li impegnava ormai da ore e cercò la quattordicesima domanda. «C’è qualcosa che sogni di fare da tanto tempo? Perché non l’hai fatto?»

Stavolta Masumi fece l’unica cosa che il grande detective non si sarebbe mai aspettato; arrossì.

Non perse la sua occasione per punzecchiarla, immaginando che fosse qualcosa d’imbarazzante. Fino a quel momento aveva pensato fosse impossibile imbarazzarla, visto che la ragazza davanti a lui non si faceva problemi a entrare nel bagno degli uomini per evitare la fila, ma il suo rossore parlava chiaro. «Qualche problema? Vuoi ritirarti?»

Lei mormorò qualcosa d’incomprensibile.

Le labbra di Shinichi s’incurvarono in un ghigno sadico. Si portò una mano all’orecchio, come per amplificare il suono. «Scusami? Non ho sentito».

Sera alzò lo sguardo, chiedendosi nuovamente dove diamine avesse trovato quelle domande Shiho. Inspirò a fondo per calmarsi. In fondo erano proprio domande come quella a rendere tutto più divertente, no?

Ignorò il ghigno di Shinichi e si fece coraggio.

«Mi piaceva un ragazzo, ma… lui era, è, cotto di un’altra» ammise alla fine. «A volte vorrei solo gridargli quanto sia stupido» aggiunse dopo un po’, senza guardarlo.

Kudo la fissò, colpito da quella confessione. A Sera piaceva un ragazzo…? Non l’avrebbe mai indovinato. Non aveva mai accennato niente del genere a Sonoko e Ran, almeno non in presenza del piccolo Conan. Possibile che quelle due fossero state tanto brave nel proteggere il suo segreto?

Ne dubitava. Non Sonoko.

Aveva spinto Sera ad aprirsi, ma non si era aspettato questo. Ora non sapeva bene che dire.

«Dovresti provarci, credo…» disse alla fine. «Prima di perderlo per sempre».

Masumi rise. «Non mi ha mai considerata» affermò scrollando le spalle. «Non importa, davvero».

Le parole che gli aveva detto solo poco prima gli risuonarono in testa; “So come ti senti”. Non le aveva davvero considerate, pensando fossero solo frasi di circostanza… ma si trattava di questo? Anche Sera soffriva d’amore?

Lui, ovviamente, non se n’era accorto. E sarei lo Sherlock Holmes del terzo millennio, pensò con amarezza.

«Se posso aiutarti in qualche modo…» provò, senza sapere realmente che dire. Magari conosceva il ragazzo in questione?

Sera scosse la testa. «Va bene così» decretò. «Piuttosto, tocca a te rispondere».

Riluttante ma sollevato allo stesso tempo, Shinichi ci pensò. «Qualcosa che sogno da molto tempo…» mormorò tra sé.

Molti dei suoi sogni li aveva realizzati, in un modo o nell’altro.

Era stato a Londra, al 221B di Baker Street. Si era dichiarato a Ran. Aveva riottenuto il suo corpo.

Non era rimasto molto, che desiderasse da “tanto tempo” e ancora non avesse tentato.

«Svizzera» sussurrò alla fine.

«Eh?»

«Vorrei andare in Svizzera, alle cascate di Reichenbach» spiegò Shinichi. Lì ancora non c’era stato.

Sera scoppiò a ridere. «Che mi aspettavo?» domandò più a sé stessa che a lui. «È davvero importante per te, Sherlock Holmes. Il detective della patria di mia madre».

Lui annuì. «Sì, lo so» rimarcò stranamente serio.

Il sorriso della ragazza si allargò. «Sarai mica invidioso, Kudo?» scherzò.

Lui mise su un broncio, stando al gioco. «No, ma certa gente non si accorge della sua fortuna».

«Certo, certo» mormorò lei cercando la domanda successiva.

«Qual è il traguardo più importante che hai raggiunto nella tua vita, o il tuo più grande risultato?»

Shinichi esibì la sua espressione più fiera. «Non per vantarmi, ma non sono molti i ragazzi della nostra età che possono gloriarsi di aver contribuito a incastrare un’organizzazione con installazioni in tutto il mondo. In quest’operazione sono stato a dir poco fondamentale».

Sera vide oltre il suo tono, però. Tutto quel discorso era stato fatto senza passione, quasi per dovere, o almeno così le era sembrato. Cercò di strappargli una reazione un po’ più vera.

«Che c’entri tu? Ha fatto tutto Conan» lo prese in giro. «È solo un bambino, ma è parecchio sveglio. Più di te».

Lui sorrise con amarezza. «Già, tendo ad assumermi i suoi meriti». Non aveva davvero voglia di pensare all’organizzazione; non riusciva a fare a meno di pensare che, forse, se non fosse diventato Conan non avrebbe perso Ran. Aver sconfitto l’organizzazione gli sembrava un po’ inutile, da tre settimane a quella parte.

Era conscio della stupidità di quei pensieri, ma c’era poco da fare: li aveva ugualmente.

Masumi colse l’atmosfera e lasciò perdere. Il suo mago sapeva essere così testardo… anche lei, ma questo era un altro discorso.

«Io ho vinto ogni torneo di Jeet Kune Do a cui ho preso parte» annunciò soddisfatta.

Il detective tornò al presente. «E quanti sarebbero?»

«È un segreto» rispose lei con una linguaccia. Non voleva ammettere che per la maggior parte si erano svolti quando era alle medie.

Shinichi la squadrò con sospetto. «Quali sono le cose che per te contano di più in un rapporto di amicizia?» lesse la domanda seguente, decidendo di non insistere.

Stavolta Masumi non dovette pensarci molto. «La sincerità» rispose. «Anche se non sempre me la sono potuta permettere».

«La fiducia» disse invece Shinichi.

Calò un breve silenzio. Quella domanda aveva risvegliato spiacevoli sensi di colpa in entrambi i ragazzi.

Sera si riprese per prima e afferrò il taccuino. «Qual è il tuo ricordo più caro?»

Non lasciò a Shinichi il tempo di rispondere, però; «Sembri un peperone» rimarcò ridendo.

Se fosse stato possibile, il volto del ragazzo si sarebbe colorito ulteriormente. Non ribatté.

«Kyoto…»

Lei tornò seria. «Kyoto?» ripeté. Sorrise comprensiva; ma certo. Avrebbe dovuto aspettarselo.

Non gli chiese nemmeno a cosa si riferisse: era fin troppo palese. Era a Kyoto, durante il viaggio scolastico, che Ran gli aveva dato la sua “risposta” alla dichiarazione, baciandolo sulla guancia.

«Il mio è la prima volta che ho visto Shuichi ridere» rivelò. Sorrise mettendo in mostra il canino. «Non lo trovi buffo? Siamo entrambi presenti nel ricordo più caro dell’altro».

«È vero» confermò Shinichi, senza nascondere la sorpresa. «Curioso».

Lei alzò un sopracciglio. «A che pensi, detective? È solo una coincidenza».

«Sì, è che…» iniziò lui. Non sapeva come spiegarlo, quindi lo disse e basta. «Non credo alle coincidenze».

Contro le sue aspettative, Sera non lo prese in giro; solo, «Io sì» ribatté.

«Non è logico».

«Averti incontrato in spiaggia per poi rimanere coinvolta, dieci anni dopo, nel tuo stesso caso come lo chiami?»

Shinichi si stizzì, non sapendo come controbattere. Afferrò il taccuino.

«Qual è il tuo ricordo peggiore?»

Sera strinse le labbra. «Quando mi hanno comunicato la morte di Shuichi».

Non c’era molto da commentare.

«Aspetto la tua risposta, Kudo» l’esortò lei sfoggiando un sorriso.

Shinichi pensò che sembrava una tigre pronta a mangiarti alla prima mossa falsa.

«Il mio ricordo peggiore» ripeté assorto.

Sarà sicuramente il momento in cui Ran l’ha lasciato, rifletté Sera. Forse avrebbe dovuto fargli saltare quella domanda? E come?

«Quella sera al Tropical Land».

La ragazza ci mise un po’ a metabolizzare la risposta. «Eh?» le sfuggì per la sorpresa.

La sua deduzione si era rivelata errata.

«Il mio scontro con Gin e Vodka. La sera in cui ho ingerito il farmaco che mi ha reso Conan. Non mi sono mai sentito tanto impotente come allora…» fece una pausa. «Ho provato qualcosa di simile solo tre settimane fa» aggiunse, senza guardarla.

Ah, ecco. Masumi annuì. «Ti capisco».

Shinichi sbuffò. «Ne dubito».

«Scusami?»

«Pensi davvero di sapere cosa si prova a scoprire di essersi rimpiccioliti

Il tono del ragazzo, sicuro al punto di non ammettere repliche, l’infastidì. «Mia madre l’ha sperimentato, ti ricordo».

«Lei, non tu».

Sera incrociò le braccia. «E va bene, continua pure a sentirti incompreso allora. Ti fa star meglio?»

«No» rispose Shinichi, dopo un po’. «Scusa se ti ho offesa. Non è un argomento facile».

«Mhh, certo. Vai avanti, leggi pure» liquidò la questione Sera. Forse avrebbe dovuto scusarsi a sua volta… ma non lo fece.

«Se tu sapessi che entro un anno improvvisamente morirai, cambieresti qualcosa del modo in cui stai vivendo? Perché?» lesse Shinichi con tono incolore. Incurvò le labbra. «Allegra».

«Vivo la mia vita al massimo, quindi no, non penso che cambierei niente» rispose tranquilla Masumi.

«Non ti confesseresti nemmeno in questo caso?»

Lei fece un sorriso triste. «Sarebbe un po’ egoista, non trovi? Svelare il mio amore avendo poco tempo da vivere».

Shinichi la fissò. A volte Sera pronunciava inaspettate perle di saggezza, sorprendendolo. «Forse hai ragione».

«Io ho sempre ragione. Tu cambieresti?»

«Non so. Probabilmente no» rispose Shinichi, dopo qualche attimo di riflessione. «Presterei più attenzione ai miei amici, magari».

«Risposta interessante, vista la prossima domanda» commentò lei. «Che cosa significa l’amicizia per te?»

«Avere qualcuno su cui so di poter contare, che a sua volta può contare su di me».

«Come sei filosofico» disse Sera. «Per me significa stare bene con qualcuno».

«Anche, ovviamente».

«Non mi rubare le risposte!» l’ammonì lei ridendo. Gli passò il blocchetto.

«Che ruolo hanno nella tua vita l’amore e l’affetto?» lesse Shinichi. «Senti, è da prima che ci penso; davvero non sai da dove vengono queste domande? Ce ne sono alcune davvero assurde».

«Sono abbastanza d’accordo, ma definisci assurde» ribatté Masumi.

«La domanda che ho appena letto ti sembra adatta a un gioco? E non è certo l’unica».

Sera fece spallucce. «Te l’ho già detto, me l’ha dato Shiho. Non ho idea di quale sia la fonte».

«Cioè potrebbe essersele inventate?»

Masumi rise. «Andiamo, non è così sadica…» Cadde il silenzio. «Credo…» tossicchiò. «Insomma! Stai cercando di abbandonare la sfida?»

«No» rispose Shinichi. «Stavo solo… non importa. Rispondi pure».

Masumi si fece ripetere la domanda. «Dunque, l’amore e l’affetto… non so bene come rispondere. Sono importanti, immagino. Mia madre non è molto brava a mostrarli. Non lo è quasi nessuno, nella mia famiglia, in realtà» ammise imbarazzata. «Quindi ne ricevo più che altro dai miei amici».

Shinichi rabbrividì ricordando Mary, la madre di Sera. Non l’aveva vista spesso, ma quelle poche volte erano bastate ad inquadrarla come persona piuttosto fredda.

«Io da mia madre ne ricevo anche troppo, d’affetto» disse.

«Ma se non c’è mai».

«Appunto, sospetto che quando viene cerchi di compensare».

Masumi sorrise. «Non dovresti lamentartene, sai?»

Non attese una sua risposta. Lesse il punto successivo ed emise un verso di stupore.

«Che c’è?» indagò Shinichi incuriosito.

«Non è una domanda» spiegò Sera. «La 22 è un’indicazione».

«Sentiamo» l’esortò lui.

«Elencate alternandovi cinque caratteristiche positive dell’altro» lesse ad alta voce Sera. Mise su un broncio. «Così non vale, sei troppo avvantaggiato».

Shinichi sorrise. «Scusa tanto, Miss Autostima. Non è colpa mia se sei così perfetta…»

«Comincio io» decise Masumi. «Sei intelligente – quando vuoi, s’intende».

«Quand’è che non lo sarei?»

«Non divagare ed elenca» ordinò Sera divertita.

«Sei un’inguaribile ottimista» affermò Shinichi.

«Grazie».

«Vedi? Hai dato per scontato che fosse un complimento».

Per tutta risposta al detective arrivò un calcio da sotto la scrivania.

«Sei alto» disse Sera, trattenendo una risata. Valeva come caratteristica positiva? Chissà.

Shinichi l’accettò, comunque. «Sei sveglia; hai delle buone intuizioni».

«Somiglia al mio sei intelligente, ma d’altra parte è vero, non posso farci niente».

Ignorò l’occhiata scettica del ragazzo e continuò. «Sei ricco, a giudicare da questa casa».

Il sopracciglio del detective si alzò ulteriormente. «Davvero non hai trovato niente di meglio?»

«Non farmi il terzo grado; tocca a te!»

Lui sbuffò. «Sei carina» disse infine. Il suo sguardo era misteriosamente finito sugli scaffali alla sua destra, il che gli impedì di notare l’improvviso aumento di colore sulle guance di Masumi.

«Anche tu non sei male, d’aspetto» concesse lei.

Shinichi tornò a guardarla negli occhi. «Sei forte. È quasi scontato, con la famiglia che ti ritrovi, ma comunque lo sei».

Lei stavolta sorrise soddisfatta. «Già. Tu sei molto bravo nel gioco del calcio, invece».

Ne mancava solo uno; Shinichi si prese qualche secondo per pensare.

«Sei onesta» ammise. «Lo apprezzo molto».

Quell’ultima frase le fece stranamente piacere. Il cuore le batté un po’ più forte.

Gli passò il taccuino senza commentare.

«Hai un rapporto stretto con la tua famiglia? Pensi che la tua infanzia sia stata più felice della media?»

Sera sorrise. «La mia non è proprio una famiglia normalissima, come sai... Per quanto riguarda la mia infanzia, non voglio lamentarmi, ma è stata piuttosto complicata. Non la definirei più felice della media».

Shinichi annuì. «Più felice non saprei, probabilmente più facile, per quanto riguarda me. I rapporti con i miei sono un po’…» fece una pausa. Era difficile definire cosa provasse per i suoi genitori; si erano trasferiti all’estero, lasciandolo a vivere da solo in un’età abbastanza delicata, eppure tenevano molto a lui. Sapeva di poter contare su di loro e da Conan era ricorso più volte al loro aiuto, ma non erano tra le persone con cui si sarebbe confidato per problemi personali.

Non li aveva nemmeno avvertiti che Ran l’aveva lasciato. «Particolari» decise alla fine. «Per me ci sono, ma per quanto mia madre sia un’impicciona non vado mai troppo sul personale con loro».

«Capisco».

Sera recuperò le domande. «Questa è più specifica» annunciò; «Che rapporto hai con tua madre?»

Shinichi sospirò. «Un po’ ripetitivo, questo gioco. Abbiamo un rapporto non troppo stretto, visto che non c’è mai, ma non posso neanche dire che sia distante. Non saprei spiegarlo meglio» disse.

«Va bene. Per quanto riguarda me… Che dire, quante persone possono dire d’aver visto la madre in un corpo di bambina? Abbiamo un rapporto piuttosto stretto. Con Shu dato per morto e Kichi lontano, abbiamo collaborato fianco a fianco per mesi» spiegò Masumi. «Sebbene la situazione non fosse proprio felice, è stato bello».

Kudo si alzò. «Vuoi qualcosa da bere?» chiese, diretto in cucina. Aveva la gola secca.

«Hai del succo di frutta?»

«No» rispose lui ridendo. Sera non sarebbe mai cambiata: poteva essere serissima, se richiesto, ma conservava dei tratti infantili che lo lasciavano spesso incredulo. Era carina, in quei momenti.

Carina? si ripeté stupito. Non l’aveva mai vista sotto quest’aspetto prima.

Non aveva mai considerato nessuno carino, se non Ran. Mentre aspettava che l’acqua nel bollitore si scaldasse a sufficienza si rese conto che iniziava ad avvertire Sera, no, Masumi, molto più vicina rispetto già solo al giorno prima.

In quelle poche ore avevano esplorato vari aspetti dell’altro, quasi senza rendersene conto, cimentati nel gioco.

Un gioco ben strano… Dovrò chiedere a Shiho dove l’ha pescato, decise.

Tornò da lei con due tazze fumanti. «Non è succo, ma forse può piacerti ugualmente».

Lei sbuffò. «Fuori si muore di caldo e tu mi offri del tè bollente. Non sai proprio farci con le ragazze, Kudo» si lamentò. Al ragazzo restò il dubbio: scherzava o no?

Dovrei smetterla con questi pensieri assurdi.

«Qual è la prossima domanda?» chiese sedendosi.

«Ognuno dica tre frasi con il “noi”. Per esempio: “Siamo entrambi in questa stanza e ci sentiamo…”» lesse Sera smettendo per qualche secondo di soffiare sulla tazza che, nonostante le lamentele, aveva accettato.

«Siamo entrambi in questa stanza, stiamo bevendo del tè e stiamo facendo uno strano gioco» disse Shinichi.

«Siamo entrambi detective, siamo seduti e…» Masumi esitò un momento prima di continuare. «Non eravamo mai stati tanto tempo da soli, prima».

Lui ci rifletté. «È vero» commentò stupito. Era quasi ovvio, in effetti, ma non ci aveva pensato.

Lei gli rivolse uno sguardo che non riuscì a decifrare. «Non che significhi niente» disse.

Quella frase sembrò stranamente triste al ragazzo, ma non la contraddisse. Recuperò il taccuino. «Completa questa frase: “Vorrei avere qualcuno con cui poter condividere…”»

«Un gelato» fu la risposta immediata di Masumi. Finì il suo tè. «Avrei proprio bisogno di qualcosa di fresco in questo momento».

«Possiamo uscire a prenderlo» propose Shinichi, stupendo anche sé stesso. Gli era venuto automatico.

Lei lo guardò divertita. «È un appuntamento, o stai solo cercando una scusa per non finire il gioco?»

«Possiamo anche andarci dopo» replicò lui.

«Scherzavo. Dai, tocca a te».

Shinichi sospirò confuso. Non riusciva a decifrare Masumi, mai. Prima d’ora gli era successo solo con Ran; non perché la karateka fosse particolarmente misteriosa, lì il problema era stato suo.

Sera invece era semplicemente imprevedibile.

«Vorrei avere qualcuno con cui poter condividere…» mormorò. Che cosa? Il dolore?

In realtà, si rese conto, era esattamente quel che stava facendo, sia pur in pillole, sia pur in modo velato. Si era aperto attraverso quelle domande e aveva fatto trasparire le sue emozioni, senza riceverne un compatimento distante ma un’esortazione a uscirne. «Delle belle esperienze» disse.

«Significa tutto e niente» protestò Sera, «ma va bene, per stavolta passi».

«Spiega al tuo partner le cose di te che sarebbe importante che sapesse, se diventaste molto amici».

Masumi, che aveva letto, si perse un po’ a fissare il testo, forse in un tentativo di assimilarlo meglio.

Shinichi neanche si diede la pena di commentare, a quel punto l’invasività di quelle domande non lo stupiva più. L’idea di diventare molto amico di Sera, comunque, non gli dispiaceva.

«Dovrebbe sapere che sono fissato con i gialli, specie quelli di Conan Doyle. Ran se ne lamentava sempre» ricordò. Notò solo dopo, a scoppio ritardato, che quel pensiero non gli faceva male.

«Il fatto che scopri un cadavere al giorno non è da sapere?» lo provocò Sera.

«Senti chi parla» ribatté lui. «Tu non ti imbatti mai in crimini, vero?»

«Solo in tua compagnia» rispose lei con un sorriso. «Non serve davvero che risponda, comunque, no? Noi siamo già amici» affermò con una scrollata di spalle.

«Non provarci».

L’espressione della ragazza si fece malinconica. «Sul serio, lo sai già: se serve posso mentire o nascondere fatti. Anche ai miei amici. Non sono una bella persona…»

«Non è vero» la fermò subito lui, stupito da quell’accusa a sé stessa. Sembrava starci veramente male. «Saremmo in due, in ogni caso. Ho mentito a tutti per mesi».

Masumi lo fissò. «Siamo due bugiardi» disse dopo un po’. Aveva un tono indecifrabile. Cancellò la malinconia dal suo volto e tornò a sorridere, lasciando però in Shinichi qualche dubbio sull’autenticità di quel sorriso. «Almeno sono in buona compagnia».

«Non pensavo ti sentissi così in colpa» affermò il ragazzo.

Lei scosse la testa. «Scusami, è stato solo un momento. Andiamo avanti».

Anche se dici così, non potrò più guardarti con gli stessi occhi.

«Di’ al tuo partner che cosa ti piace di lui/lei; sii molto onesto/a, e di’ anche cose che in genere non diresti a una persona che hai appena conosciuto» toccò a Shinichi leggere. «Noi non ci siamo appena conosciuti» disse, «comunque il concetto è chiaro, direi. Non ci siamo già fatti prima i complimenti, però?»

«Forse quelli erano più generici» ragionò Sera. «Questa mi sembra più specifica, perlomeno».

«Potresti aver ragione».

«Tocca a me, giusto?» si accertò lei. Prima di rispondere prese un bel respiro; sembrava… a disagio?

«Mi piace la tua spontaneità – sarai anche un abilissimo detective, bravo a notare i più piccoli gesti degli altri, ma non sei in grado di nascondere quegli stessi gesti. È vero, hai mentito molto, ma te lo dico sinceramente: era piuttosto facile vedere oltre le tue bugie» dichiarò. «Poi, ovviamente, apprezzo la tua intelligenza».

Shinichi arrossì. «Spontaneo non è davvero quel che mi sarei aspettato».

«È vero, però» rise Sera. È stata proprio una tua deduzione spontanea a far ridere mio fratello, anni fa.

Kudo tossicchiò, cercando di tornare serio. «Anche tu ti consideri una bugiarda, e forse sei anche più brava di me a mentire, posso ammetterlo» iniziò, «ma di te apprezzo la qualità opposta: sei sincera. Se devi mentire, menti su ciò che ti riguarda, ma su ciò che pensi degli altri e delle situazioni sei onesta. Preferiresti dire una verità scomoda piuttosto che indorare la pillola, o sbaglio? Non sono molti quelli disposti a farlo».

Masumi s’illuminò ascoltandolo; la sua espressione passò da sorpresa a felice – stavolta la felicità era autentica, Shinichi non aveva dubbi.

«Grazie».

«Grazie a te».

«Allora… leggo la prossima?»

Shinichi annuì. «Vai pure».

Masumi lesse prima tra sé; sfoggiò un sorrisetto sadico. «Racconta un episodio imbarazzante della tua vita».

«Non poteva mancare…»

«Già. Tocca a te iniziare, detective».

«Avevo otto anni… Stavo guardando un film con Ran e Sonoko, era un giallo» raccontò. «Ho… io ho…» esitò.

Masumi lo studiò curiosa. «Che hai combinato?»

Shinichi fissò lo sguardo sul tavolo. «Ho dedotto l’assassino del film… sbagliando! Sonoko mi ha preso in giro per mesi per quell’errore!»

Lei scoppiò a ridere. «Tutto qui?»

«Non puoi capire cosa significhi fare una figura del genere con una come Sonoko. Specie se ha otto anni».

«Forse hai ragione» concesse lei, senza smettere di ridacchiare.

Masumi sospirò. «Allora. Ero alle medie, e… un ragazzino mi si è dichiarato. Pensando che fossi un ragazzo. Spiegargli chi ero non è stato affatto facile…»

Shinichi non trattenne una risata. Non poteva saperlo, ma la sincerità di quell’allegria scaldò il cuore di Sera, nonostante l’imbarazzo provato nel rivangare quell’episodio.

«Vedila così: non tutte possono dire d’aver fatto innamorare un omosessuale».

«Scommetto che tu non puoi dirlo» replicò lei nello stesso tono. Shinichi tacque e decise di passare al prossimo punto.

«Di’ al tuo partner qualcosa che già ti piace di lui/lei» lesse.

Masumi sbuffò. «Ancora? Questo gioco sembra mirare a rafforzare l’autostima…»

«Chissà, magari è questo il punto. Qualcosa che già ti piace… Mi fa pensare che dev’essere qualcosa di nuovo, non credi?»

Lo sguardo della ragazza s’illuminò. «In tal caso, il tuo aspetto più sbarazzino già mi piace».

«Sbarazzino?»

«La barba».

Shinichi tornò per l’ennesima volta a sfiorarsi le guance. «Non ti ci affezionare, domani la prima cosa che farò sarà radermi».

Lei assunse un’espressione dispiaciuta. «Peccato» commentò.

«Comunque, visto che ti sei buttata sull’aspetto… Non è nuovo, ma mi piace il tuo dente sporgente. L’ho sempre trovato molto particolare».

Sera arrossì, colta di sorpresa. «Davvero?»

Lui annuì.

«Grazie». Prese il blocchetto. «Qual è – se esiste – l’argomento su cui non si può scherzare, per te?»

Lo sguardo del detective si incupì leggermente. «Il suicidio» rispose serissimo.

«Non saprei, non ci ho mai pensato» dichiarò invece Sera. «Qualsiasi argomento possa ferire le persone a cui tengo, direi».

Lesse la domanda seguente. «Se tu stasera morissi senza poter più comunicare con nessuno, qual è la cosa che rimpiangeresti di non aver detto a qualcuno? Perché non gliel’hai ancora detta?»
«Grazie» rispose Shinichi. «Rimpiangerei di non aver ringraziato tutti quelli che ci sono sempre per me. Shiho, Hattori… tu».

Masumi abbassò lo sguardo. «Mi dispiacerebbe, credo… Non dire a quel ragazzo cosa provo per lui».

«Non vuoi proprio dirmi chi è questo ragazzo?» tentò Shinichi. Ancora non riusciva a credere che Sera soffrisse d’amore, ma gli dispiaceva vederla soffrire senza poter fare niente.

Lei lo fissò. «Deducilo, no?»

«Dovresti sapere che non è così facile» protestò lui. Usavano sempre tutti quella battuta, diventava stancante. Sera, comunque, sembrava essersi già rinfrancata. «Non sarà mica tuo fratello?» decise di stuzzicarla.

Lei sbarrò gli occhi. «Sei scemo?» chiese rossissima. «Ovviamente no! Non sono quel tipo di persona!»

«Certo, certo… Pronta alla prossima domanda?»

Ancora un po’ imbarazzata, Masumi annuì. «Sono nata pronta».

«La tua casa prende fuoco, con dentro tutto quello che possiedi. Dopo aver salvato le persone che ami e gli animali, hai il tempo per fare un’ultima corsa dentro e portare via un solo oggetto. Quale sarebbe? Perché?»

«Il cappello di mio fratello» rispose Sera, «perché me lo ricorda».

Shinichi indicò il libro sul bordo della scrivania. «Prenderei “Uno studio in rosso”, perché è così che mi sono innamorato di Holmes e delle deduzioni. Mi ricorda chi sono».

«L’immaginavo» commentò Masumi.

«Anche il tuo non era proprio originalissimo» sottolineò lui.

«Forse hai ragione. Mancano solo due domande!» esclamò lei eccitata.

«Fantastico, allora leggi».

«Qual è il membro della tua famiglia la cui morte ti colpirebbe di più? Perché?»

«È una domanda abbastanza infame» disse Shinichi. «Come dovrei scegliere? Non ha senso».

«Sei in crisi perché non è una domanda logica

«Tu sai come rispondere?»

Lei fece un sorriso tirato. «Sia chiaro, non voglio che nessuno dei miei muoia, ma…» lo guardò negli occhi. «La morte di Shu l’ho già vissuta, anche grazie a te. In missione con mia madre abbiamo entrambe rischiato più volte la vita, la morte era un’opzione che ho dovuto considerare. A colpirmi di più sarebbe probabilmente la morte di Shukichi, perché è l’unico a essersi conquistato una vita normale». Sorrise. «Be’, normale per quanto può esserlo la vita del Meijin Taiko, ma hai capito cosa intendo».

«Capisco il tuo ragionamento… Ma non posso comunque scegliere».

Masumi annuì. «Va bene». Gli passò l’elenco. «A te l’onore di leggere l’ultima».

«Parla di un tuo problema personale e chiedi al partner un consiglio su come lui o lei affronterebbe questo problema. Chiedigli anche di descriverti come gli sembra che tu ti senta rispetto al problema di cui hai scelto di parlare». Shinichi impallidì. «Difficile fino all’ultimo».

«Vuoi continuare?» domandò Sera.

Lui sorrise. «Arrivati a questo punto, direi proprio di sì».

«Va bene, però comincia tu».

Lui, stranamente, non protestò. «D’accordo, allora. Il mio problema lo conosci già: Ran se n’è andata, troncando la nostra relazione. Mi manca tantissimo, mi ritrovo a pensarla nelle situazioni più diverse: basta un nome e si scatena un ricordo… Sto cercando di andare avanti ma è dannatamente difficile, non posso dimenticarla». Sospirò. «Tu cosa faresti?»

«Scrivile» rispose semplicemente Sera. «Non state insieme, questo non significa che non dobbiate più sentirvi, no?»

Shinichi rise amaro. «Se n’è andata… Non credo che abbia voglia di sentirmi. Tutta la faccenda di Conan l’ha ferita tantissimo».

Masumi lo guardò severa. «”Non credo”, dici. Come fai a saperlo, se non ci provi? Tu scrivile, chiedile come sta. Se le dà fastidio te lo dirà, o comunque lo capirai. So che il tuo cervello parte quando si tratta di Ran, ma quando una persona risponde svogliatamente o ci ignora percepirlo è davvero facile». Scosse la testa. «Insomma, Shinichi: Ran non ha mai detto di non volerti più sentire, o sbaglio? Sono limiti che ti sei posto da solo. Nessuno ti chiede di dimenticarla di colpo, non devi; restaci amico. Non esistono solo bianco e nero, ci sono varie sfumature nel mezzo».

Quel discorso lo colpì. Sembrava piuttosto sentito.

Ma soprattutto, era vero. Ran non gli aveva chiesto di non scriverle, non aveva detto nulla al riguardo.

Forse potevano davvero restare almeno amici.

«È questo che fai con il ragazzo che ti piace? Ci resti amica?» chiese, sinceramente interessato.

Lei distolse lo sguardo. «Più o meno. È un po’ complicato».

«Devi parlarmi di un problema, no? Ne hai altri?»

«…no» ammise lei. «Non così importanti, comunque. Penso tu sia la persona meno adatta per parlare di problemi di cuore, ma te ne parlerò lo stesso».

«Allora. Ho conosciuto questo ragazzo tantissimo tempo fa. Mi ha subito colpita, per motivi che non sto a spiegarti. Poi mi sono trasferita, e l’ho rivisto solo al mio ritorno in Giappone, qualche anno fa… Mettendo da parte che non potevo comunque permettermi di pensare ai ragazzi, con la storia dell’organizzazione, il problema era un altro. Lui era perdutamente innamorato di un’altra ragazza; credo lo sia ancora. Sono stati insieme, ma al momento si sono lasciati. A condire il tutto io sono amica di entrambi. Dunque, detective: cosa mi consigli?»

«Sembra una soap-opera» commentò Shinichi. «Se non sono insieme, ti direi di… provarci?»

«Tutto qui?»

«Se vuoi un’analisi più dettagliata, mi collego alla parte finale della domanda: davanti a questo problema ti vedo piuttosto imbarazzata, forse perché è il tuo primo approccio all’amore. In questo senso, ho più esperienza di te. A voler prendere le cose piano e non decidermi a fare un passo senza la sicurezza di essere ricambiato, ho aspettato anni per dichiararmi a Ran». Fece un sorriso triste. «In questi ultimi giorni mi sono ritrovato spesso a pensare che se mi fossi fatto avanti prima le cose sarebbero andate in modo diverso. Per finire, ti cito: come fai a sapere se davvero prova ancora qualcosa per l’altra ragazza, se non ci provi? L’hai deciso tu. Confermo il mio consiglio: dovresti dirglielo».

Masumi proruppe in una risata stranamente amara. «Va bene» disse. «Glielo dirò».

«Davvero?»

«Certo». Si alzò stiracchiando le braccia. «Allora, abbiamo finito. Che si fa?» chiese senza guardarlo.

«Ti va ancora il gelato?» propose lui alzandosi a sua volta.

Lei lo fissò incredula. «Sul serio?»

«Certo, perché no?»

«Va… va bene, certo. Mi va sempre il gelato!» esclamò ritrovando la sua consueta allegria.

«Perfetto. Dammi solo un attimo» disse lui infilandosi in bagno.

Ne uscì cinque minuti dopo; appena lo vide, Sera si bloccò. «Fa quasi strano vederti così, dopo oggi».

«Non potevo uscire in quel modo» replicò Kudo, passandosi una mano sulla guancia ora perfettamente liscia. «Poi così sto meglio, no?»

«Mah, non saprei. Per me perdi molto in fascino» scherzò Masumi. O era seria? Shinichi non avrebbe saputo dirlo.

La ragazza spalancò la porta. «Forza, vampiro, è ora di uscire dal covo!»

Lui sorrise e la seguì.

Un mese dopo

«Noncipossocrederenoncipossocredere!»

«L’ho capito. Smetti di ripeterlo, per favore? Sto cercando di concentrarmi».

Nella stanza di Shiho c’erano la scienziata, seduta alla scrivania a lavorare al pc, e Masumi. Quest’ultima era in uno stato d’eccitazione che non accennava minimamente a scemare.

«Ci siamo messi insieme! Me l’ha proposto lui

«Sì, è solo la decima volta che me lo racconti». Shiho cercava di tenersi distaccata, ma dentro di sé era contenta per Sera. D’altra parte c’era un motivo, se l’aveva mandata da Shinichi con il test di creazione sperimentale d’intimità interpersonale ideato dallo psicologo Arthur Aron nel 1997.

Si girò verso di lei. «Senti, Masumi, sono davvero felice per te. Per entrambi, ora che avete risolto i vostri problemi di cuore. Ma invece di star qui a parlare con me, non dovresti scendere? Ormai sarà arrivato; i test del dottor Agasa non lo tratterranno più di qualche secondo» affermò sorridendo.

Quelle parole fecero schizzare a mille il cuore di Sera. «Oddio, è già qui? Vado bene così, sono abbastanza femminile?»

La scienziata alzò gli occhi al soffitto. «Ti comporti come se fosse il tuo primo appuntamento».

L’altra la guardò impaziente. «È il mio primo appuntamento!»

Stavolta Shiho esibì un sorrisetto ironico. «Certo, come no. Ti si è proposto ufficialmente solo stamattina, quindi tutte le uscite che avete fatto negli ultimi trenta giorni non valgono nulla».

«Era diverso» si difese Sera.

«Va bene. Dai, vai ora; non sei affatto femminile, non più del solito, ma va benissimo così».

«Va bene. Vado» ripeté lei annuendo. Si fermò sulla porta.

«Shiho… Grazie».

«Per cosa?»

«Lo sai benissimo. È tutto merito del tuo strano test!»

Shiho sorrise soddisfatta. «Può essere» ammise. «Buon divertimento!»

Masumi arrivò mentre Agasa esponeva il suo ennesimo quiz.

Si avvicinò di soppiatto e accostò la bocca all’orecchio del suo ragazzo.

«Aspetti qualcuno, detective?»

Lui si voltò sorridendole. «Sì, magari puoi aiutarmi a cercarla. È un maschiaccio iperattivo, per caso è passata di qui?»

«Dipende».

«Da cosa?»

«Dalla ricompensa che mi spetta per aiutarti a trovarla» rispose Sera con un sorriso furbo.

«Un gelato può andare?» propose Shinichi stando al gioco.

Lei finse di pensarci su. «Potrebbe».

Agasa, nel frattempo, li aveva lasciati soli.

«Prima, però» aggiunse Sera avvicinandosi pericolosamente al volto del ragazzo «voglio qualcos’altro».

Le loro labbra s’incontrarono in un bacio troppo a lungo desiderato.

Era un nuovo inizio, per entrambi.

«Forse potremmo rimandare il gelato».

 

  
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