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Autore: Kodoma    27/05/2018    1 recensioni
Questo è un breve racconto basato una una recente campagna di Vampiri: la Masquerade ambinetata a Miami. La Contessa Bathory, principe di Miami, e sua figlia Valschenka incaricano un gruppo di vampiri molto eccentrici per svolgere due missioni a Tampa. Questo racconto narra delle loro avventure e disavventure. Le storia si svolgerà dal punti di vista dei personaggi, i quali saranno introdotti mano a mano nel corso della storia.
Genere: Azione, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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(7) Il Principe e la Talpa

Il Principe e la Talpa

Cassiopea


Entriamo in quello che sembra essere un piccolo casinò clandestino poco illuminato e troviamo quello che intuiamo essere Samuel Mansour, intento a giocare a carte con delle persone. Il nuovo Principe della città di Tampa sembra essere un tipo dall'aria davvero poco affidabile e immerso fino al collo in affari loschi, sia dal posto in cui risiede, sia dal suo aspetto davvero singolare. E' alto, dalla carnagione più scura degli altri con le braccia ricoperte di tatuaggi e lasciate scoperte apposta dalle maniche della camicia bianca, arrotolate fino ai gomiti. La faccia è butterata e i capelli sono neri e tagliati a spazzola, mentre le mani sono ricoperte di anelli i quali tintinnano ogni volta che tamburella le dita sul tavolo, pianificando la sua prossima mossa. Al collo porta una catenina d'oro con un effige di quello che intuisco essere un santo e sopra la camicia porta un gilè blu scuro con dei ricami azzurri più chiari. Per un po' egli non si accorge della nostra presenza e continua a giocare, ma accortosi di avere ospiti chiede affabile alle persone con cui stava giocando d'azzardo di farsi da parte in modo da poter parlare con noi.

<<  Prego, accomodatevi >> Ci dice poi, accompagnando le sue parole con un gesto della mano.

Io e gli altri ci accomodiamo al tavolo sopra il quale vi è una lampada che illumina il tavolo di una luce chiara e bianca, lasciando nella penombra il resto della stanza.  

<< Gradite una partita a Black Jack? >> Chiede egli una volta che ci siamo seduti. Senza aspettare una nostra risposta, incomincia a distribuire le carte da gioco. Non so come si giochi a carte in quest'epoca, ma cercherò di fare del mio meglio. Vorrei che ci fosse Carlos con me, lui sicuramente saprebbe come fare, ma ho dovuto lasciarlo al bar. I ghoul non sono ammessi in questi casi.

<< Molto piacere comunque, sono Samuel Mansour >> Si presenta, una volta finito di distribuire le carte

<< Piacere, Cassiopea >> Rispondo gentilmente e anche gli altri si presentano con aria forse un po' timida. Immagino che non siano abituati a trattare con gente più altolocata di loro a parte Irwin, ma lui è una persona di poche parole.

<< Come mai siete venuti qui a Tampa? E da dove venite? >> Chiede poi il Principe, facendo la prima mossa.

<< Veniamo da Miami e abbiamo sentito dell'asta del Museo di Tampa che purtroppo sta per chiudere , quindi siamo venuti qui per vedere di che cosa si tratta >> Rispondo io, prendendo la parola a nome del gruppo. Gli altri nel frattempo continuano a giocare e io memorizzo ogni loro mossa per riuscire a giocare decentemente

<< Un vero peccato, la chiusura di un luogo di storia e di cultura non è qualcosa che apprezzo in genere >> Aggiungo poi. A questa rivelazione il signor Mansour sembra quasi sollevato.

<< Capisco, e siete interessati a qualche oggetto in particolare? >> Chiede poi

<< No, in realtà no >> Rispondo io << Io e il signor Maxwell siamo venuti a dare un'occhiata, mentre gli altri hanno deciso di accompagnarci in questo viaggio >>

Gli altri del gruppo mi guardano sconvolti. Sanno perfettamente che mentire al Principe è rischioso e che la scusa che ho appena fornito non è delle migliori (siamo davvero in troppi e troppo armati per non avere una missione da parte della nostra Principe), ma ricordo anche della nostra riunione al Paradise of Eclipse prima di partire. Tampa è in una situazione instabile, e non vorrei che il Principe sfruttasse questa nostra missione per avere dei favori in cambio o che si intromettesse negli affari della Contessa. Se il volere della Contessa fosse non rispettato per qualche ragione saremmo tutti nei guai una volta tornati a casa, ancora più che qui a Tampa. Meglio rimanere sul vago.

Il principe si volta verso di me << Dai, davvero non siete venuti qui per qualcosa di più specifico? >> dice, poggiando la sua mano sulla mia. Improvvisamente sento come se io e il signor Monsour ci conoscessimo da anni, e potessi raccontargli qualsiasi cosa.

<< Effettivamente c'è una ragione, io personalmente sono venuta qui per riuscire a trovare delle opere della mia epoca... Ho molta nostalgia di casa >> Gli confesso. E' una mezza verità, ma non è un'informazione che può nuocere a qualcuno.

<< Capisco >> Dice poi << So che non è una domanda che in genere si pone ad una signora ma... A quando risale il suo Abbraccio? >>

<< Fui abbracciata a Delfi, nel 580 a. C >> Rispondo con semplicità.

Il Principe mi guarda leggermente sbalordito. Nel frattempo il gioco di carte continua, e nonostante non sappia nulla di questo gioco e stia imitando tutti gli altri per quanto riguarda le loro mosse li sto stracciando tutti, compreso Samuel Mansour. Fortuna del principiante suppongo. Cerco nel frattempo di assumere un'espressione di chi sa esattamente cosa sta facendo. Vorrei cercare di continuare la conversazione con il Principe ma prima che io abbia il tempo di aprire bocca, Lucas decide di riscuotersi dal suo mondo dei sogni e di prendere la parola.

<< Abbiamo sentito comunque che la situazione qui non è delle più... Tranquille >>

Io e il Principe ci guardiamo con aria estremamente perplessa. Per Zeus, cosa sta cercando di fare Lucas?!

<< Prego? >> Risponde il Principe, inarcando lievemente un sopracciglio

<< Beh si, le notizie della vostra situazione tumultuosa sono arrivate fino a Miami >> Risponde Lucas, non capendo che sarebbe il momento di tacere. Per Zeus, non stento a credere che rimanga tutto il tempo nella suo rifugio senza uscire mai, appena apre bocca ti viene voglia di bruciarlo con la prima cosa che ti capita per le mani.

<< Ma ognuno ha i suoi problemi, no? >> Dico, cercando di salvare la situazione all'ultimo, con uno sguardo verso Lucas che fatica a non sembrare omicida. Ω τησ αμαθιασ! Non ci posso credere! Ma è per caso αβδηριτεσ?! Mi sarei aspettata un comportamento differente da un Tremere

<< Voi invece siete nel territorio della ... Contessa, giusto? >> Chiede Samuel Mansour con aria guardinga

<< Si è esatto, una donna meravigliosa >> Dico io << Vorrei poter dire altrettanto di sua figlia, la Siniscalco >> Aggiungo poi, cercando disperatamente di sviare il discorso. Non è qualcosa che dovrei dire, ma ormai la situazione è completamente precipitata.

<< Tanja Valschenka? >>

<< Esatto, assolutamente adorabile ma estremamente impulsiva. Ha del talento, ma ha ancora tanto da imparare. Come vede, ognuno ha i suoi problemi >> Dico, cercando di essere il più cordiale possibile in modo da far apparire ciò che ha detto Lucas come la sciocchezza del momento.

Samuel Monsour si alza in piedi guardando verso il basso, dopodichè sposta il suo sguardo verso ognuno di noi.

<< Vi do come tempo di permanenza questa notte e la seguente. Entro tre ore dalla fine dell'asta dovrete essere di ritorno verso la vostra Città. Come vostra residenza per il pernottamento ci saranno delle stanze prenotate a mio nome all'hotel Quarter at Ybor, mentre la zona di caccia sarà l'East Ybor. Adesso perdonatemi signori, ma altri ospiti mi attendono. >> Dice egli con fredda cortesia

<< Certamente, la ringrazio infinitamente per l'ospitalità >> Rispondo mentre mi alzo in piedi << E le auguro un buon proseguimento di serata. >>


***



Irwin 

Cornell aspetta paziente che qualcuno risponda al telefono. La Valshenka a quanto pare ha un contatto a Tampa che dovrebbe spiegarci i dettagli necessari su come recuperare il plico. Ci stiamo dirigendo verso il rifugio che il Principe ci ha generosamente assegnato, e l’ideale sarebbe riuscire a incontrare il nostro nuovo amico lungo il percorso  per non destare sospetti.

Come previsto, Mansour non ha osato negare ospitalità a degli inviati della Contessa, ma difficilmente l’incontro sarebbe potuto andare peggio.

Guardo Lucas, il quale continua ad ignorare tutto e tutti.

Grazie al suo intervento Mansour ci ha preso in antipatia, e, o si è fatto l’idea che siamo interessati al suo programma politico e che abbiamo qualcosa in contrario su come lui gestisce i suoi affari, o potrebbe aver perfino scambiato il commento per un’intimidazione da parte della Contessa.

I regnanti di ogni ora vedono minacce e complotti ovunque, ed ogni parola pronunciata nelle corti dei mostri ha conseguenze.

Senza contare l’infelice confidenza di Cassiopea. Sangue vecchio di millenni in città... una preoccupazione per chiunque. Sono rimasto stupefatto anche io. I cainiti diventano estremamente nervosi quando notano che non sono familiare con la tecnologia, assieme alla mia spada è un indizio della mia età, ma un vampiro millenario dovrebbe essere in grado di strapparmi in due come carta. Perché la Contessa ha voluto mandarmi qui a proteggerla? Che sia anche lei più debole di come dovrebbe essere, come me?

Ad ogni modo ormai il danno è fatto. Mansour sembrava prudente, e non mi resta che sperare lo sia abbastanza da non provare a nuocerci.

La notte, tuttavia, non fa che peggiorare. Il contatto, un ghoul o cainita di nome Javier, risponde, ma la conversazione è.. strana.

«Sniff... pronto, chi parla?»

«Javier? Ci manda la Valshenka, dobbiamo...»

«Ah, sì, sì. È un po’ un brutto momento, incontriamoci tra un quarto d’ora sulla centoventisettesima».

«Cosa? No, ci serve che tu ci raggiunga verso...»

«Ora devo andare, fate in fretta».

Riattacca, e Cornell impreca tra i denti. Non resta altro da fare che svoltare, iniziando la nostra deviazione.

Se il principe ci sta  facendo seguire, questa storia potrebbe prendere una brutta piega, ma, per quanto tenga d’occhio la strada dietro di noi, non riesco ad individuare nessun veicolo sospetto.

Jesse parcheggia l’auto di Cornell vicino al posto dell’incontro.

Javier non c’è.

Cornell lo richiama, le enormi dita che tamburellano sul cruscotto spazientite.

«Ehi. Vi ho visti passare, la mia auto è nel vicolo» riattacca prima ancora che Cornell riesca ad aprire bocca.

Jessie porta l’auto nel vicolo. Sono il primo a scendere, la borsa della spada a tracolla. Cornell e Jessie mi seguono, gli altri restano un po’ indietro.

Javier è alto, e lancio un’occhiata dubbiosa ai suoi improbabili capelli biondo platino mezzi rasati, ai suoi jeans strappati ed alla maglia sportiva che porta sotto il giubbotto di pelle. La cosa che più mi fa dubitare della sua affidabilità, comunque, è l’aria sovreccitata che ha mentre tira su con il naso. Ho visto troppi cocainomani nel mio “lavoro” per non riconoscere il vizio. Si pulisce una mano, coperta da un guanto, sulla maglietta e me la stringe, per poi fare lo stesso con gli altri.

«Ehilà, come state? Uh, sei proprio un grosso figlio di puttana, eh?» dice a Cornell, il quale digrigna i denti. «Tu con il trenchcoat, vieni qui, mi serve una mano» mi dice.

Lo seguo in silenzio. Ho sentito un odore familiare sul suo guanto, ed è ancora più forte nel fondo del vicolo.

Due cadaveri a terra. Uno grasso, uno magro. Quello grasso indossa una maglietta ed una camicia a fiori, aperta a rivelare una fondina sotto il braccio. Entrambi uccisi con un coltello, prima ancora che riuscissero ad estrarre. Javier è più pericoloso di quanto sembra.

«Aiutami a metterli nel bagagliaio, prima che arrivi qualcuno».

Li sollevo, uno per mano, e li lascio cadere nel baule della sua auto. Decido di non fare domande, ma Lucas non sembra dello stesso avviso. «Chi erano?»

«Non lo so. Stavano ronzando attorno a Clarence, il tizio che ha il plico che vi serve, e si erano accorti di me. Ho dovuto farli sparire».

Cornell si china a frugargli in tasca. Estrae due distintivi e mi sento digrignare i denti, abbastanza forte perché il rumore faccia voltare qualche testa.

Avevo sperato che fossero criminali o simili. Cooperare con chi è disposto a uccidere senza fare domande non mi piace per nulla, e mi piace ancora di meno l’alzata di spalle con cui Javier liquida la cosa.

Vedo Jesse lanciarmi un occhiata preoccupata, incerto su come io possa reagire. Mi accorgo di aver stretto troppo la mano sul bagagliaio, mentre mi preparavo a chiudere, e le mie dita hanno lasciato un ammaccatura.

Chiudo il bagagliaio e mi allontano da Javier, prima di cedere all’impulso di farlo passare attraverso un muro di mattoni o due.

«Bene, ora che quel problema è sistemato, veniamo ai nostri affari. Clarence Beeks è un contabile dell’FBI. Sembra che si sia sentito insoddisfatto della sua attuale retribuzione, e che abbia intascato alcuni documenti per farci sopra qualche soldo in privato. Il problema è che i suoi superiori hanno fiutato la cosa. Gli stanno addosso, e sembra che alla cazzo di festa si siano uniti anche i nostri amici della polizia. Clarence ha bisogno di soldi in fretta, e vuole vendere tutto. Vi darò il suo numero di telefono ma non provate a usare nessuna delle vostre stronzate soprannaturali davanti a lui. Quell’uomo è un federale, ed ha un sacco di occhi addosso. Male per gli affari, cercate di non lanciare macchine in sua presenza, comprende?»

Ho l’impressione che lo sguardo di Javier sia fisso su di me mentre dice queste ultime frasi. Gli altri annuiscono.

«Bene. Ora spostate quel carro armato, così posso uscire» dice, indicando l’auto di Cornell e salendo sulla sua.

Jesse fa manovra, e l’auto di Javier sparisce nella notte. Prima ancora che possiamo risalire per andarcene, però, una volante della polizia svolta l’angolo, fermandosi davanti a noi. «Ehi, voi. Mostrateci i documenti. Tu, nell’auto, mani sul cofano» dice un poliziotto, scendendo dalla macchina. L’altro ci illumina con una torcia, controllando i nostri volti con fare via via più perplesso.

«C’è qualche problema, agenti?» chiede Cassiopea, muovendosi per parlare con loro. Seguo lo sguardo confuso di quello più giovane, pensando che il disastro è completo.

Cornell, il nero di due metri vestito di verde, Lucas, un ragazzo pieno di tatuaggi, e io, con giacca di pelle e sacca da ginnastica a tracolla. Noi tre  assieme dobbiamo sembrare decisamente sospetti.

Ma in compagnia di Paracelso, con il suo completo elegante e bastone da passeggio, e di Cassiopea, con quello che suppongo sia per quest’epoca un vestito di lusso, la cosa comincia a diventare surreale. Jessie sarebbe l’unico che riuscirebbe a non attirare l’attenzione, se fosse da solo.

Non riesco a capire cosa i poliziotti sospettino stia succedendo, perché non riesco a trovare un singolo motivo legittimo per cui un gruppo come il nostro si trovi assieme, nel cuore della notte, in un vicolo deserto.

Vicolo tra l’altro ancora sporco di sangue, alle nostre spalle.

La cosa finirà male, ma ci provo comunque.

«... sì, l’auto non è mia, il mio amico si è offerta di farmela provare...» Mentre Jesse mostra la patente ad uno dei due, io consegno i miei documenti, falsi, all’altro.

«Cosa c’è nella borsa?» mi chiede, puntandomi la luce negli occhi.

«Vestiti da ginnastica. Sono stato in palestra».

«Non sei di Tampa».

«Stavamo andando al nostro albergo» mi interrompe Cassiopea, sorridendogli giuliva, mostrandogli i suoi documenti. «Tutto a posto? Possiamo andare ora? La prego agente, è stata una giornata lunga...» dice, sbattendo le ciglia con fare teatrale.

Riesco a reprimere una smorfia.

«No signora. Tu, vieni avanti» dice, indicando Cornell. «Dobbiamo scortarti in centrale per un controllo. Sali sulla nostra macchina».

L’altro poliziotto ha fatto scendere Jesse, e i nostri occhi si incrociano. Lo vedo sospirare, e sembra decidere di provare a gestire la cosa prima che qualcuno guardi nella mia borsa e la situazione degeneri. «Agente? Mi scusi?» dice, e quando il poliziotto più anziano si volta a guardarlo gli occhi del ragazzo si fanno magnetici, catturando il suo sguardo. «È proprio necessario? Non abbiamo fatto niente di male. Potete lasciarci andare, è tutto a posto, promettiamo di non metterci nei guai» dice, il tono amichevole e preoccupato di un onesto cittadino. Lo sguardo del poliziotto si fa confuso, sentendo l’impulso di assecondarlo, poi sembra rilassarsi mentre Jesse mantiene il contatto visivo e continua a suggestionarlo. Tengo d’occhio l’altro, e noto che il suo sguardo è similmente assorbito dagli occhi di Paracelso. «Il mio amico ha ragione, agente. Sembrate stanchi, andate pure a farvi una bevuta. Lasciateci andare».

«Sì... dopotutto, è stata una giornata lunga. Risalite in macchina, andatevene, non potete sostare nel vicolo» dice il primo, facendoci cenno di muoverci mentre mi ridà i documenti. Ci sbrighiamo ad obbedire, e mentre ci allontaniamo in macchina rifletto sullo strano incontro.

Stavano anche loro tenendo d’occhio Clarence il contabile? Ma indossavano le uniformi... Una coincidenza allora?

Siamo sulla via del ritorno, quando sento Cassiopea dire «Qualcuno ci sta seguendo»

 

 

  
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