Capitolo 22: Tutti sanno fare bene delle cose e fanno fatica a farne altre
27 febbraio 1993
Disturbo dell’apprendimento.
Questa parola mi ha detto la mamma quando siamo usciti dallo psicologo, per iniziare a spiegarmi perché faccio così fatica a leggere e a scrivere.
Ho storto il naso.
Lo psicologo, un uomo di cinquant’anni con un paio di buffi baffi, mi ha fatto fare degli esercizi. Mi ha fatto leggere, mi ha fatto scrivere, ripetere quello che mi ricordavo, mi ha fatto fare i calcoli. Poi mi ha spiegato come funzionava il test. Era una specie di verifica, come quelle che facevo a scuola.
In realtà non ho capito bene, ma alla fine ha lasciato alla mamma un foglio.
Dislessia.
“Sono io?” chiedo alla mamma, mentre stiamo tornando a casa in macchina.
“No, non sei tu” mi risponde, e mi fa anche un sorriso “è solo un piccolo problema, ma non è nulla di grave. Puoi continuare a fare quello che hai sempre fatto solo che a settembre, quando riprenderai la scuola, dovrai impegnarti un po’ di più degli altri bambini. Ma non sarai da solo. Non hai nulla che non va, Mica”
Respiro forte e alla fine mi rilasso un pochino.
Allora non sono stupido, come diceva Mrs. Jenkins.
“È tipo una malattia? C’è una cura?” voglio capire.
“Lo psicologo ha detto che sempre più bambini hanno questo problema, non c’è nulla di cui preoccuparsi”
“Allora sarà così per sempre?” domando, perché lei ha evitato la mia domanda “Farò sempre fatica a leggere, a scrivere… o a capire le note o…” e tocco con un dito l’orologio che la mamma ha al polso perché anche quelle lancette, io proprio non riesco a capirle.
“Mica” la mamma parcheggia la macchina davanti a casa di Alla e poi mi guarda “Tutti sanno fare bene delle cose e fanno più fatica a farne altre. Quando papà prova a fare i biscotti è un disastro, ricordi?”
Rido e poi faccio sì con la testa: i biscotti, il papà, è meglio se non li fa più. Ma proprio più, più, più.
“Tu fai un po’ più fatica a leggere e a scrivere. Lasciamo perdere questa cosa, okay? La mettiamo da parte, in un angolino buio dove non si vede. Ci concentriamo su quello che ti riesce meglio, che ne dici? Noi abbiamo trovato qualcosa che è giusto per te” e indica la casa della mia insegnante di pianoforte.
Capisco che lei si riferisce a questo, alla musica.
E ha ragione, sento anche io che è la cosa giusta per me, perché mi riesce, perché mi piace, perché mi fa dimenticare tutto il resto.
“Alla dice che sei bravo, sai”.
“Niet Mica, niet! NIET!” imito la vociona della donna che mi sgrida quando sbaglio una nota per prenderla in giro e la mamma ride.
“Tu o diventerai molto famoso, oppure finirai in prigione” e scuote la testa sorridendo. Mi passa una mano tra i capelli e poi mi fa scendere dalla macchina, dicendomi che non posso proprio fare tardi.
Citofono alla porta di Alla.
“Com’è andata?” mi chiede Alla, ma sempre con quel tono un po’ distaccato.
“Sono dislessico” le dico e sono meno preoccupato di prima: se la mamma dice che non è grave, non è grave. Appoggio il mio zaino e mi siedo allo sgabello del suo pianoforte.
Non commenta nemmeno, ma si mette a cantare una melodia che io ascolto bene perché poi, lo so, dovrò suonarla al piano.
Qualche minuto dopo mi accorgo che mi ero sbagliato.
Oggi non mi fa suonare, nemmeno una volta. Mi fa solo cantare.
E' strano, non l'ha mai fatto prima.
Chissà perché.
-----
Buonasera a tutti!
Ecco qui un nuovo capitolo, su cui in realtà ho qualche perplessità, ma come al solito lascio la parola a voi, se ne avete voglia!
Il finale, con Alla che lo fa solo cantare per questa lezione, introduce un po' al capitolo successivo, che arriverà venerdì!
Ringrazio molto chi mi ha lasciato una recensione al capitolo precedente, è stato un piacere ritrovarvi!
Alla prossima.
Lara
Questa parola mi ha detto la mamma quando siamo usciti dallo psicologo, per iniziare a spiegarmi perché faccio così fatica a leggere e a scrivere.
Ho storto il naso.
Lo psicologo, un uomo di cinquant’anni con un paio di buffi baffi, mi ha fatto fare degli esercizi. Mi ha fatto leggere, mi ha fatto scrivere, ripetere quello che mi ricordavo, mi ha fatto fare i calcoli. Poi mi ha spiegato come funzionava il test. Era una specie di verifica, come quelle che facevo a scuola.
In realtà non ho capito bene, ma alla fine ha lasciato alla mamma un foglio.
Dislessia.
“Sono io?” chiedo alla mamma, mentre stiamo tornando a casa in macchina.
“No, non sei tu” mi risponde, e mi fa anche un sorriso “è solo un piccolo problema, ma non è nulla di grave. Puoi continuare a fare quello che hai sempre fatto solo che a settembre, quando riprenderai la scuola, dovrai impegnarti un po’ di più degli altri bambini. Ma non sarai da solo. Non hai nulla che non va, Mica”
Respiro forte e alla fine mi rilasso un pochino.
Allora non sono stupido, come diceva Mrs. Jenkins.
“È tipo una malattia? C’è una cura?” voglio capire.
“Lo psicologo ha detto che sempre più bambini hanno questo problema, non c’è nulla di cui preoccuparsi”
“Allora sarà così per sempre?” domando, perché lei ha evitato la mia domanda “Farò sempre fatica a leggere, a scrivere… o a capire le note o…” e tocco con un dito l’orologio che la mamma ha al polso perché anche quelle lancette, io proprio non riesco a capirle.
“Mica” la mamma parcheggia la macchina davanti a casa di Alla e poi mi guarda “Tutti sanno fare bene delle cose e fanno più fatica a farne altre. Quando papà prova a fare i biscotti è un disastro, ricordi?”
Rido e poi faccio sì con la testa: i biscotti, il papà, è meglio se non li fa più. Ma proprio più, più, più.
“Tu fai un po’ più fatica a leggere e a scrivere. Lasciamo perdere questa cosa, okay? La mettiamo da parte, in un angolino buio dove non si vede. Ci concentriamo su quello che ti riesce meglio, che ne dici? Noi abbiamo trovato qualcosa che è giusto per te” e indica la casa della mia insegnante di pianoforte.
Capisco che lei si riferisce a questo, alla musica.
E ha ragione, sento anche io che è la cosa giusta per me, perché mi riesce, perché mi piace, perché mi fa dimenticare tutto il resto.
“Alla dice che sei bravo, sai”.
“Niet Mica, niet! NIET!” imito la vociona della donna che mi sgrida quando sbaglio una nota per prenderla in giro e la mamma ride.
“Tu o diventerai molto famoso, oppure finirai in prigione” e scuote la testa sorridendo. Mi passa una mano tra i capelli e poi mi fa scendere dalla macchina, dicendomi che non posso proprio fare tardi.
Citofono alla porta di Alla.
“Com’è andata?” mi chiede Alla, ma sempre con quel tono un po’ distaccato.
“Sono dislessico” le dico e sono meno preoccupato di prima: se la mamma dice che non è grave, non è grave. Appoggio il mio zaino e mi siedo allo sgabello del suo pianoforte.
Non commenta nemmeno, ma si mette a cantare una melodia che io ascolto bene perché poi, lo so, dovrò suonarla al piano.
Qualche minuto dopo mi accorgo che mi ero sbagliato.
Oggi non mi fa suonare, nemmeno una volta. Mi fa solo cantare.
E' strano, non l'ha mai fatto prima.
Chissà perché.
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Buonasera a tutti!
Ecco qui un nuovo capitolo, su cui in realtà ho qualche perplessità, ma come al solito lascio la parola a voi, se ne avete voglia!
Il finale, con Alla che lo fa solo cantare per questa lezione, introduce un po' al capitolo successivo, che arriverà venerdì!
Ringrazio molto chi mi ha lasciato una recensione al capitolo precedente, è stato un piacere ritrovarvi!
Alla prossima.
Lara