Il
cortile interno della villa
era piuttosto ampio; quella sera era anche stranamente affollato.
Al
centro vi erano un uomo con
una maschera da corvo e, a pochi passi di distanza, un ragazzo alto dai
tratti
stranieri.
Vicino
all’entrata c’erano un
uomo dai lunghi capelli platinati, completamente vestito di nero
– come l’uomo
con la maschera – che puntava una pistola alla tempia di un
ragazzo
curiosamente simile allo straniero al centro.
Quest’ultimo
notò che qualcuno li
stava spiando dalla finestra, ma non ne sembrò
particolarmente preoccupato.
Nonostante
la situazione
manteneva la calma.
L’uomo
mascherato tolse la maschera,
suscitando non poco stupore nei presenti, stupore che poté
solo aumentare
vedendo il volto che aveva tenuto nascosto fino a quel momento.
Non
era, come avevano pensato
tutti, un adulto – né tantomeno un anziano.
Era
il volto di un giovane uomo.
¤
Fuori dalla villa, a
guardia dell’entrata, c’era Vodka.
Era abbastanza infastidito
per essere stato nuovamente
escluso dal fulcro dell’azione, ma non avrebbe mai osato
contestare le
decisioni di Gin – ancora meno quelle del Boss.
Il suo compito si
preannunciava piuttosto tranquillo:
perfino tra i membri dell’organizzazione quelli a conoscenza
della manovra di
quella sera si contavano sulle mani.
Quando sentì
dei rumori, il primo pensiero dell’uomo fu che
fosse qualche scoiattolo o qualche altro animale selvatico. Quando
alzando lo
sguardo intravide una figura umana, il volto coperto da un cappuccio,
rimase
non poco stupito. Possibile che qualcuno fosse capitato lì
per caso?
Tirò fuori la
pistola e gliela puntò immediatamente contro.
«Chi
sei?» chiese, facendo del suo meglio per suonare
minaccioso.
Il ragazzo non rispose,
fece solo un gesto: si calò il
cappuccio sulle spalle, lasciando che la luce della luna gli
illuminasse il
volto.
Vodka impallidì
nel riconoscerlo. Gli tremò la mano.
«Non
è possibile, tu… Gin…»
Non poté dire
né pensare nient’altro, perché
improvvisamente
avvertì un pizzico sul collo e tutto intorno a lui si fece
nero. Cadde al suolo
senza un lamento.
¤
Yugi faceva del suo meglio
per restare lucido nonostante il
freddo e la fame.
Non capiva bene cosa
stesse succedendo e perché quell’uomo
spietato – Gin, gli era
sembrato che
l’avessero chiamato – l’avesse portato
lì.
Sapeva solo che Atem era
di fronte a lui, pericolosamente
vicino al loro nemico, l’uomo che li aveva spediti
lì.
Da quando era entrato nel
cortile con l’assassino il Faraone
gli aveva rivolto una sola rapida occhiata. Qualsiasi fosse la
situazione, Yugi
aveva un brutto presentimento.
Vide che l’uomo al
centro, ora senza maschera, stava osservando
la luna.
«Ci
siamo» dichiarò ad un certo punto, ma questo Yugi
non
riuscì a sentirlo.
L’uomo riusciva
a stento a contenere l’eccitazione, ora che
era finalmente ad un passo dal suo obiettivo.
Dopo tutti quegli anni di
ricerche e tentativi falliti,
vedeva l’immortalità davanti a sé;
doveva solo estrarla dal corpo del ragazzo
di fronte a lui.
Estrazione che sarebbe
avvenuta molto più rapidamente, se il
Faraone avesse accettato di buon grado Pandora. Era questo il motivo
per cui
gli aveva proposto un patto: se avesse indossato spontaneamente la
pietra,
avrebbe lasciato libero Yugi – almeno, questo era quel che
aveva detto.
Non aveva nessuna
intenzione di tener fede alla parola data,
ma questo Atem poteva al massimo sospettarlo. Il capo
dell’organizzazione
sapeva che avrebbe rischiato tutto pur di salvare la vita del suo
amico.
Nonostante avesse cinquemila anni, quello spirito si faceva ancora
guidare da
quegli stupidi sentimenti di
lealtà
ed amicizia.
Non ebbe bisogno di
controllare l’orologio, sentì
sulla pelle che era giunto il
momento.
Estrasse il pendente con
Pandora e la porse al Faraone.
«È
giunto il momento» annunciò. «Donami la
tua anima».
Il ragazzo non
protestò né disse nulla. Semplicemente prese
il gioiello e l’osservò contro la luce della luna.
Sulla zona circostante si
diffuse una brillante luce rossa,
proveniente dall’interno della pietra.
«No!»
urlò Yugi, disperato. Aveva capito che c’era
qualcosa
che non andava, qualcosa di sbagliato in quella scena. Gin gli diede un
calcio
per zittirlo.
Il Faraone non si
voltò verso di lui ed indossò la pietra,
sotto lo sguardo pieno di desiderio del capo.
Poi successe tutto molto
velocemente.
Per prima cosa, nel
cortile risuonò un’imprecazione
semi-soffocata, seguita da un tonfo metallico.
Yugi non capì
subito;
vide la pistola del suo aguzzino improvvisamente
per terra, mentre il suo proprietario si osservava stupito la mano. Nel
muro
dietro di loro erano conficcati due strani oggetti.
Strizzò gli
occhi per
vedere meglio; sembravano… carte da
poker?
«Che
significa?»
A risuonare stavolta era
stata la voce del boss, una voce
gremita di rabbia ed incredulità.
«Perché
sei ancora qui? Cos’è quella?»
incalzò
furioso,
muovendo un passo verso il ragazzo.
Per Yugi non fu
difficile capire a cosa si riferisse; Atem teneva in mano una specie di
pistola bianca. Non
sapevo che sapesse sparare, fu tutto ciò
che riuscì a pensare.
Approfittò
comunque della
confusione per strisciare lontano
da Gin, per quanto gli era possibile.
Atem armeggiò
con la
pistola per qualche secondo, poi la puntò
contro di sé – o meglio, contro Pandora, che
ancora brillava sul suo petto.
«Tu non sei il
Faraone» mormorò l’uomo. Il suo volto
divenne
una
maschera d’odio. «Ridammi la pietra,
altrimenti!»
Ma il ragazzo non lo
lasciò finire. «Mio padre è morto per
questa…» mormorò.
La sua voce suonava
diversa rispetto a poco prima. Fissò gli occhi in quelli
del boss e premette il grilletto.
Il gioiello
andò in pezzi
che si sparsero un po’ ovunque,
mentre un urlo disumano si diffuse tremendo dal capo dei corvi.
«Tu…!»
Un brivido scorse lungo la
schiena di Yugi – e non solo.
Tre persone avevano
approfittato della confusione per entrare
nel cortile, frapponendosi tra Gin e la sua vittima. Al tentativo
dell’assassino
di recuperare la pistola fu l’unica ragazza, Anzu,
a scattare e spedirla lontana
con un calcio.
Di fronte al biondo si
parò un ragazzo alto e moro. Una
figura che l’assassino trovò vagamente familiare.
«Di’
un po’, ragazzino» disse. «Non ti avevo
ucciso?»
«Ci hai
provato» rispose Shinichi Kudo con un sorriso
stentato.
Atem invece, appena
arrivato, si era precipitato accanto all’amico
che l’ha risvegliato. «Stai bene, Yugi?»
Lui lo guardò
smarrito.
«Sì» rispose. Non capiva, ma non aveva
dubbi; il vero Atem era quello accanto a lui.
Il ragazzo al centro,
intanto, dopo aver distrutto la pietra era sparito in una nuvola di
fumo bianco.
Al suo diradarsi, non
c’era più Atem.
Al suo posto, un ragazzo
vestito di bianco, un cilindro
dello stesso colore in testa ed un monocolo sull’occhio
destro, osservava con
distacco il giovane uomo davanti a
sé.
La
causa della morte
di suo padre.
Quest’ultimo non
sembrava più tanto giovane, sfigurato
com’era
dallo shock per essere stato ingannato in quel modo e per
l’odio; ha visto
Pandora, la speranza di tutta la sua vita, andare in pezzi.
«Ho passato
decenni a cercarla» mormorò sconvolto, la voce
vibrante d’ira.
«Non li
dimostri» replicò Kaito facendo due passi
indietro.
Poteva solo immaginare quanto fosse realmente pericoloso
quell’uomo.
«La
pagherai… pagherete tutti». La sua voce
tornò
irrealmente calma, un’aura oscura lo circondò.
Dal nero intorno a lui si
materializzarono dei tentacoli che
si scagliarono contro il ladro del chiaro di luna, che
riuscì a schivarne
un
paio. Un terzo gli arrivò pericolosamente vicino, ferendogli
la spalla.
Non riuscì a
trattenere un
urlo di dolore; non era, capì,
una ferita normale, sentiva la carne andargli a fuoco. Non
posso affrontarlo.
Cercò di
rispondere con la
sua spara-carte, ma i suoi colpi
s’infransero sulla nebbia oscura che aveva circondato il suo
avversario.
Su questa stessa nebbia
finì anche un pallone da calcio
particolarmente veloce che distrasse momentaneamente il boss.
Dannazione,
l’ha
schivato, poté solo pensare Shinichi. Gin aveva
riflessi decisamente troppo
buoni, mentre lui aveva finito i palloni.
L’assassino si
avvicinava sempre più al detective; sapeva essere
letale anche senza un’arma da fuoco, Kudo non aveva dubbi al
riguardo e si preparò
a difendersi come poteva. Dietro di lui
c’era un muro, non poteva più
scappare.
Anzu, nel frattempo, aveva
raggiunto Yugi. A lei ed Atem bastò
uno sguardo per capirsi; te l’affido,
sembrò dirle il Faraone.
Raggiunse Kaito e
fermò
giusto in tempo il tentacolo che
stava per colpirlo.
«Abbiamo un
conto in sospeso» dichiarò fermandosi davanti al
boss.
«Sei arrivato
tardi, Faraone» sussurrò lui furioso.
Atem non
ribatté. Infilò
una mano in tasca e ne estrasse
qualcosa.
«Non
duellerò con te, Faraone, non se posso ucciderti
direttamente!» urlò l’uomo scagliando
tutti i suoi
tentacoli neri contro lo
spirito.
Sotto lo sguardo incredulo
di Shinichi, i colpi vennero
parati da uno scettro – era apparsa una nuova figura
davanti ad Atem. «Ai tuoi
ordini, Faraone» proclamò il nuovo arrivato.
«Conto su di te,
Mago Nero».
Il motivo per cui Shinichi
poteva permettersi di osservare lo
scontro è che Gin era a terra, ferito alle gambe da
due proiettili.
Chi aveva sparato,
precisissimo, aveva reciso i tendini dell’assassino.
«Akai»
Gin poté solo sputare questo nome con rabbia. «Non
posso credere che tu sia vivo».
«Purtroppo per
te» sottolineò l’agente
dell’FBI,
tenendolo
sotto tiro con il fucile. «Allontanati da lui,
Kudo».
Il detective
accettò il
suggerimento. Mentre passava davanti
all’unica finestra che dà sul cortile,
notò un
movimento dietro alla tenda. Qualcuno ci
spiava, capì, ma non
c'era tempo per preoccuparsene, chiunque
fosse stato il misterioso osservatore.
Il capo dei corvi, sempre
più furioso, aveva a sua volta
evocato una creatura.
Sto
sognando. Per
forza. Shinichi si guardò intorno per controllare
che non ci fossero
proiettori. Non riuscì a trovarne nessuno.
Shuichi Akai osservava
impassibile la scena; se vedere due
mostri materializzarsi dal nulla ed affrontarsi a colpi di magia
l’aveva
stupito, era riuscito a nasconderlo bene.
Kaito si era riavvicinato
ad Anzu e Yugi, una mano sulla
spalla ferita. «Può farcela?» chiese
alla ragazza.
«Credo in
lui» gli risposero in contemporanea lei e il
ragazzo uguale ad Atem.
Il ladro si
ritrovò ad annuire, persuaso dalla loro
sicurezza.
«Non ricordi
com'è finito lo scorso duello, Faraone? Non
puoi vincermi!»
«Stavo per
farlo, per questo mi hai mandato qui».
«Sei troppo
sicuro di te» rimarcò l’uomo.
«Lord
Raven,
distruggi il suo mago!»
L’enorme corvo
si avventò sull’incantatore, ma ad avvenire fu
esattamente il contrario: colpito dallo scettro, fu
l’uccello a svanire nel
nulla.
L’avversario di
Atem tremò di rabbia.
«Non
finirà così… Voi non
sapete…»
Sembrò esitare
un momento.
«Ricomincerò da capo, se
necessario!» esclamò, materializzando
un’altra
carta. Una che stavolta il
Faraone conosceva bene.
«Attivo Altra
Dimensione!»
L’aria nel
cortile tremolò, una strana tensione calò su
tutti i ragazzi che si erano ritrovati spettatori del duello. Un
vortice
violetto apparve e si avviò verso il faraone ed il suo mago,
minaccioso.
«È
inutile che fingi calma, Faraone; stavolta ti spedirò in
un posto meno accogliente di questo!»
Atem osservò
l’uomo con disprezzo. «Cerchi ancora di
scappare» sentenziò. «Dimentichi che non
sei
l’unico a possedere una magia».
Dalla sua mano si
materializzò una freccia luminosa, che
superò il mago e raggiunse il vortice, attraversandolo.
«Cosa pensi di
fare?» rise con cattiveria l’uomo. «La
tua
freccia non può niente contro…»
Non terminò la
frase,
perché il suo vortice iniziò ad
implodere. Sprazzi di luce ne uscirono da tutte le parti,
finché non sparì del
tutto. «Come hai…»
«Freccia Spezza
Magia» annunciò calmo il Re dei Duellanti.
«È finita».
Mentre lo diceva, il Mago
Nero sferrò l’ultimo attacco; il
corvo crollò a terra, senza più la minima traccia
di potere.
Shinichi non poteva
saperlo né sospettarlo, ma la sua anima
era stata reclamata dal potere di cui aveva abusato; quel corpo che
avrebbe
dovuto morire cinquant’anni prima non si sarebbe mai
più risvegliato, il suo
proprietario avrebbe vagato per sempre nel Regno delle Ombre.
Yugi guardò il
suo amico con un sorriso. «È finita
davvero…»
mormorò sollevato.
Anzu corse ad
abbracciarlo. «Sapevo che ce l’avresti fatta,
Atem».
Cogliendola di sopresa, il
Faraone ricambiò l’abbraccio. Il
cuore di Anzu prese a battere un po’ più forte.
Shinichi raggiunse Kaito e
si lasciò crollare accanto a lui.
«Devo essere
pazzo».
Akai finì
d’immobilizzare Gin e fece una chiamata.
Si voltò verso
i ragazzi pochi minuti dopo.
«I miei colleghi
saranno qui fra pochi minuti. Alcuni di voi
potrebbero preferire non incontrarli» annunciò, lo
sguardo posato su Kaito in
particolare.
«Oh, al
diavolo» sbottò però lui.
«Sono quasi stato ucciso
da un pazzo che evoca corvi giganti, non sarà
l’FBI a spaventarmi. Piuttosto,
qualcuno mi aiuta a medicare la spalla?» chiese.
La ferita, comunque, lo
preoccupava già notevolmente meno;
aveva smesso di bruciare nell’istante in cui l’uomo
che l’aveva inflitta era
caduto a terra sotto il colpo del mago.