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Autore: Vega_95    29/05/2018    4 recensioni
Marinette è scomparsa, nessuno sa più chi lei sia. Nessuno sa più chi sia Ladybug.
Tutti si sono dimenticati di lei, a eccezione di una sola persona.
Niente più Papillon, nessuna akuma, nessun super cattivo e supereroe disturbano la normale routine dei parigini e di Adrien che si ritrova a vivere una normalissima vita da studente, ma che non riesce proprio ad accettare, non senza di lei , non con la costante sensazione di aver perso qualcosa di vitale importanza e il peso di non aver mantenuto la sua promessa: di non aver protetto la sua Ladybug.
Dov'è Marinette? Cos'è successo a Ladybug?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5
Luna Nuova

 

Il sole stava per tramontare quando finalmente Adrien si svegliò.
Aveva dormito per tutto il giorno e per quei pochi istanti in cui riaprì gli occhi si sentì in pace, tranquillo e sereno, la mente vuota, nessun pensiero, nessuna preoccupazione; poi ricordò i terribili avvenimenti del giorno prima, la voce tremante di Ladybug che lo pregava di non dimenticarla e l'incredibile catena di delusioni che avevano seguito la sua scomparsa e i drastici cambiamenti nel loro mondo.
Suo padre si era mostrato più comprensivo di quanto credesse, gli aveva persino promesso che avrebbe fatto il possibile per aiutarlo. Era stato l'unico a non guardarlo come se fosse impazzito e quello fu l'unico spiraglio di luce in quel giorno tanto buio.

Nonostante quella promessa, però, Adrien rimase così sconvolto e disperato che Gabriel, per calmarlo, gli fece prendere, eccezionalmente, una pillola per calmare i nervi. Aveva fatto effetto, perché l'aveva fatto dormire per lunghe ore. Il suo cuore era ancora a pezzi, ma aveva riacquistato un po' di lucidità.

Si alzò andando in bagno a sciacquarsi la faccia e liberarsi di quella patina di torpore che le pillole gli avevano lasciato. Era più tranquillo e anche più cosciente.
Sollevò lo sguardo verso il suo riflesso, si scrutò e si studiò per un po'. Era senza dubbio un bel ragazzo, ne era consapevole e tutti lo dicevano, non a caso faceva il modello, ma poi? Cos'altro era Adrien Agreste, cosa c'era oltre quel bel faccino?
Solo un ragazzino incapace. Si disse provando grande disgusto per se stesso, con che coraggio si guardava ancora allo specchio, dopo quello che aveva fatto.
Era solo colpa sua se Marinette era scomparsa, lui aveva ferito Urielle spingendola a cedere al potere di Papillon, era colpa sua se l'eroina aveva vacillato e ancora una volta colpa sua se si era dovuta mettere in mezzo per salvarlo. Tante volte era caduto vittima dei poteri delle akuma e altrettante Ladybug era dovuta correre in suo soccorso mettendo a repentaglio se stessa e i loro miraculous.
Non era tagliato per fare il supereroe, certo era felice dei suoi poteri, gli davano quella libertà che aveva sempre desiderato, ma davano sfogo anche a tutta la sua incoscienza. Giocava a fare l'eroe, ma se le cose si facevano serie non sapeva che fare, non da solo, non senza di lei. E in quel momento non sapeva proprio cosa fare. Era inutile, incapace. Che fosse Adrien o Chat Noir, senza Marinette non era niente.

«mi dispiace Marinette» pigolò, abbattuto, decidendo di sottrarsi da quel riflesso che sembrava volersi fare beffa di lui e dei suoi tormenti.

L'oscurità invadeva la sua stanza, le luci erano spente e quelle fioche dei lampioni provenienti dalla strada proiettavano solo ombre attorno a lui.
Il novilunio aveva avvolto Parigi nel buio più totale e le stelle da sole non riuscivano a rischiarare quel mondo. Era come se l'intera città soffrisse con lui. Persino la luna si era nascosta per piangere la scomparsa di quella ragazza che aveva dato così tanto per quel mondo che si era dimenticato di lei con tanta facilità.

Lei, era così bella sotto la luce della luna piena, i suoi occhi splendevano, accarezzati da quel bagliore bianco.

Sorrise con amarezza ripensando all'ultima volta che l'aveva vista sotto il cielo notturno di Parigi. Conservava ancora l'ultima candela, quella che non aveva spento, quella della sera in cui l'aspettò e in cui lei scoprì i suoi sentimenti. Un brivido di freddo lo pervase, mentre ricordava con un triste sorriso il momento in cui confessò a Marinette i suoi sentimenti per Ladybug. Come poteva sapere allora che era proprio lei la destinataria di quella sorpresa e che fosse stato proprio lui a spezzare il cuore della ragazza?

Non solo come Chat Noir, anche come Adrien non aveva fatto altro che combinare danni da quando l'aveva incontrata.

Sospirò e andò verso la scrivania.
Non poteva scaldare il suo cuore in tumulto, ma poté scaldare il suo corpo con una felpa morbida.

Aveva appena chiuso la zip, quando i fari di un'auto che passava nella strada sotto la sua finestra si riflessero contro il vetro sbattendo contro una figura immobile vicino al divano.

«Adrien...» mormorò quell'ombra minuta che stringeva con forza le braccia al petto.
«Marinette? »

Dormiva ancora? Sognava? Era proprio lei? Se avesse provato ad avvicinarsi sarebbe scomparsa?
Forse sì, forse no, ma quando sentì pronunciare il suo nome, lei voltò lo sguardo posandolo su Adrien.
C'erano solo le luci della città a illuminarla, ma fu certo che fosse lei, il viso, i capelli, gli occhi lucidi e sorpresi quanto i suoi.

«Marinette... sei davvero tu? »
«Adrien? »

Rimase immobile a osservare il ragazzo biondo dietro al divano. Doveva essere un altro sogno, un altro spiacevole e crudele sogno che voleva illuderla ancora e ancora, mentre il silenzio la torturava. Fu così doloroso che non riuscì più a trattenere le lacrime.

Piangeva.
Perché piangeva?
Non era felice di vederlo? Di essere finalmente tornata?
Non erano lacrime di gioia le sue, ma di terrore e più i suoi singhiozzi erano forti e più si chiudeva in sé.

«ehi! »

Con un balzo, Adrien scavalcò il divano e corse da lei, per abbracciarla, stringerla e consolarla, farle capire che era finita. Peccato che il suo gesto amorevole si tramutò in una rovinosa caduta a terra; trattenne il respiro per lo sgomento nel momento in cui realizzò la situazione in cui si trovavano. Lei era inconsistente, un fantasma della sua Marinette, eppure poteva vederla e sentirla così come lei aveva visto e sentito lui.

«Marinette calmati, ti prego. Sono qui, guardami! » la pregò muovendosi a carponi verso di lei.
«voglio svegliarmi! » singhiozzò la ragazza lasciandosi cadere a terra: « voglio tornare casa mia, dalla mia famiglia, dai miei amici e dal vero Adrien... non voglio più stare qui! »
«sono io il vero Adrien, Marinette guardami, ti prego! » insistette ancora gesticolando con le mani, non riuscendo però a toccarla davvero. Sembrava inconsolabile e le sue parole inutili, almeno finché non gli venne in mente quel nomignolo che lui trovava così carino e che lei invece detestava, ma almeno avrebbe reagito per controbattere: «Insettina? »
Silenzio.
Il cuore in gola, aveva il terrore delle conseguenze, di quel silenzio agghiacciante e poi sollevò lo sguardo su di lui, ingoiando un singhiozzo.
«ga...gattino» rispose.
Non ribatté, ma almeno si era calmata.
Si voltò verso di lui asciugandosi le lacrime, cercando il vero Adrien in quegli occhi verdi che la pregavano di credergli.

Ci mise un po' a convincersi che fosse lui, ma quando finalmente lo capì, il viso le si illuminò. Non poteva toccarlo, ma il solo vederlo al suo fianco le scaldò il cuore, così come tutti quei rumori a cui non aveva prestato mai molta attenzione, ma che in quel momento amò sentire.

«sei...sei vero? Non è un sogno? » gli chiese avvicinando la mano alla sua guancia senza toccarlo.
«no, non è un sogno» sorrise Adrien posando su di lei quel dolce sguardo che la fece innamorare di lui la prima volta.

Rimasero seduti sul pavimento per un po', scambiandosi solo poche parole, osservandosi a lungo.

Era stata una lunga giornata e dopo lunghe e stancanti ricerche, erano finalmente riusciti a trovarsi.
Il problema non era ancora risolto, ma almeno avrebbero potuto farlo insieme.

Con poche parole, Marinette gli parlò della Parigi fantasma in cui si era svegliata e in cui aveva vagato fino al momento in cui si era ritrovata in casa sua.
«...e ho sentito la tua voce. La promessa che mi hai fatto» mormorò, mentre un leggero rossore le colorava le gote.
«anche io credo di aver sentito la tua voce, a scuola» ammise il ragazzo lasciandosi cadere contro il divano, senza mai perderla di vista. Aveva paura che se avesse voltato lo sguardo, lei sarebbe sparita.
«i nostri amici» le venne in mente d'un tratto restando raggomitolata su se stessa, ma anche lei senza mai perderlo di vista, condividendo con lui la paura di svanire dalla sua vista. «loro si...»
«no» le dovette dire con tristezza:« io...credo di essere l'unico a ricordarmi di te, anche se non so perché» ammise:« è come se il mondo fosse stato sconvolto dalla tua scomparsa. Nessuno sa nulla delle akuma, di Papillon, nessuno conosce Ladybug e Chat Noir» la mise al corrente.

Mentre parlava l'aveva vista più volte incrociare il suo sguardo, distogliendolo sempre un attimo dopo, ma in quegli istanti poté leggere in quelle pozze d'acqua cristallina paura, imbarazzo e tanta, tanta confusione che si tramutò in agitazione quando quel discorso le ricordò una cosa molto importante.

«Tikki! È con te? Hai tu il mio miraculous? » si allarmò, protendendosi verso di lui in cerca di una risposta nei suoi occhi prima ancora che potesse parlare. Era così vicina, se solo avesse potuto toccarla...
«i nostri miraculous sono scomparsi» gli toccò comunicarle ritrovandosi a dover scostare lo sguardo per nascondere l'imbarazzo misto alla sua grande delusione: « e con loro anche Tikki e Plagg, i nostri kwami» aggiunse con un sospiro, spaventato quanto lei all'idea di essere rimasti soli in quella situazione problematica.
«capisco, spero stiano bene...» annuì Marinette.

Rimasero a lungo in silenzio, ad ascoltare i rumori della città. I lampioni che illuminavano quella notte buia, gli aerei che decollavano e atterravano, i clacson delle auto e le persone che passeggiavano. Benché avessero iniziato a esplorare con lo sguardo la vista fuori dalla finestra, entrambi facevano bene attenzione a non perdersi di vista, almeno finché gli occhi di Marinette non caddero su una candela posata sul tavolino vicino a loro.

«te la ricordi? » sorrise Adrien: «quella sera... a pensarci adesso è quasi divertente»
«p-p-per niente...» ribatté, balbettando, Marinette, ricordando fin troppo bene di averlo respinto per via di Adrien, ignara che lui fosse Adrien. «anzi, v-vorrei scusarmi ancora»

«non ce n'è bisogno» scrollò le spalle il ragazzo protendendosi per prendere il lumino spento tenendolo in mano, mentre si metteva comodo per guardarla come aveva sempre guardato Ladybug. «non sapevi chi fossi davvero e... beh abbiamo già affrontato la questione. Come hanno detto Plagg e Tikki, ci serve solo un po' di tempo»
«se avremo tempo» sospirò Marinette tornando a chiudersi in sé.
«da quando M'Lady è così pessimista? » si stupì.
«non sono pessimista, ma non trovo soluzione e... e quel luogo è così vuoto e silenzioso... e i sogni che faccio quando chiudo gli occhi...»
«Marinette, calmati! » la chiamò, prima che andasse nel panico. «che sogni? » s'incuriosì, cercando di farla parlare d'altro, sperando di ottenere qualche dettaglio in più.

In principio la vide arrossire vistosamente e irrigidirsi come succedeva sempre ogni qual volta le si avvicinava, almeno prima della sera al Pont Royal.
Poi, però, Marinette si calmò consapevole del significato di quel sogno. Sospirò e si avvicinò alla vetrata tenendo d'occhio il riflesso di Adrien.

«tristi verità che non si avvereranno mai...» rispose con amarezza.
«non abbatterti M'Lady» provò a rincuorarla Adrien: «risolveremo tutto. Te l'ho promesso»

Si sentiva un po' ipocrita a dirle quelle cose, quando lui, solo pochi minuti prima di stava commiserando di fronte allo specchio, ma allo stesso tempo non si pentì di averlo fatto, odiava vedere la sua amica così abbattuta. Non sembrava averla convinta, ma forse mostrandole il mondo da un'altra prospettiva, ce l'avrebbe fatta. Si alzò e le tese alla mano con il solito charme da Chat Noir, invitandola a seguirlo.
Salirono insieme le scale andando a sedersi contro la ringhiera del soppalco, da lì, tenendo lo sguardo puntato in diagonale si poteva avere una vista magnifica della città, luci e colori che creavano giochi e immagini incredibili, cielo e terra che diventavano un tutt'uno in un vortice luminoso.

«scommetto che non l'avresti mai detto» le sorrise notando quello sguardo stupito: « alla fine, basta semplicemente guardare le cose da un altro punto di vista» disse Adrien avvicinandosi a lei e lasciando incrociare le dite delle loro mani, non avrebbero percepito il tocco, ma fu bello immaginarlo, mentre si godevano quella splendida vista.
«non so come ci riesci» mormorò Marinette, ricambiando il suo gesto, immaginando a sua volta la piacevole sensazione delle dita calde di Adrien intrecciate alle sue, arrossendo leggermente: «in qualunque situazione, tu riesci sempre a restituirmi la voglia di lottare».

Non le rispose, si limitò a sorriderle, osservandola attentamente e imprimendo nella memoria ogni più piccolo dettaglio di lei, dai capelli, al collo esile e la pelle candida, le guance morbide e rosee e quei grandi occhi blu.
Restarono così per ore, parlando di tutto e niente, della loro città, di loro, delle loro famiglie, della dolcezza di Tikki e dei pasticci che era solito combinare Plagg, come per esempio la storia del bracciale di Chloé. Risero a lungo, sebbene quando la conversazione assumeva toni più personali, la timida Marinette emergeva portandola a farfugliare le sue risposte, trovando a confortarla il dolce sorriso di Adrien che ora poteva capire quella sua agitazione in sua presenza.

Marinette sussultò, scossa da un brivido che la portò a stringersi le braccia al petto. Era normale, infondo indossava ancora quegli abiti leggeri del luna park. Subito il ragazzo si allarmò preoccupandosi di cosa darle per scaldarla, perdendo di vista per un attimo che la ragazza fosse inconsistente al suo tocco.

Probabilmente lo dimenticò perché nel momento in cui scoccò il primo rintocco della mezzanotte, si ritrovò a stringere quelle dita fredde tra le sue.
Strinse forte la sua mano, doveva essere sicuro che fosse lei, che fosse finalmente tornata.

«Adrien...»
«Marinette.... »

Non capivano, com'era possibile che da un momento all'altro il suo corpo evanescente avesse preso forma e che in quel momento lui le stesse stringendo la mano fredda, scaldandola tra le sue, pieno di gioia.
Lei stessa era entusiasta dell'accaduto, ma non riuscì a smettere di tremare, ancora infreddolita.

Solo la felpa di Adrien posata delicatamente sulle sue spalle le diede quel sollievo che cercava accoccolandosi dentro e assaporando il profumo del ragazzo di cui il tessuto era intriso.

Aveva ancora il cuore pieno di dubbi, eppure in quel momento, accanto a lui, dopo ore e ore di chiacchiere, mentre i loro occhi si scrutavano, avvertì di nuovo quel forte batticuore che l'aveva sempre seguita ogni volta che era al suo fianco. Aveva conosciuto il lato romantico di Chat Noir molto tempo prima e quella candela spenta sul tavolo ne era il simbolo, eppure anche allora non era riuscita ad amarlo come lui l'amava. Le cose erano peggiorate ancora quando aveva scoperto chi fosse davvero, ma poi erano migliorate, lui l'aveva rimproverata, le aveva ricordato il suo dovere come Ladybug e in quel momento non aveva visto né Chat Noir, né Adrien Agreste, ma solo un ragazzo affascinante, forte e gentile che avrebbe potuto amarla come lei sognava da sempre. 

E lì, su quel soppalco, con le mani strette e gli sguardi persi gli uni negli altri, le sembrò di essere tornata a quel momento. Lo sguardo di Adrien era così caldo, ancora non si capacitava di come quel ragazzo meraviglioso potesse guardarla in quel modo dopo aver scoperto chi era davvero Ladybug. Nonostante quello che si erano detti e avevano passato, Marinette continuava a non sentirsi alla sua altezza, sotto la maschera non era altro che una ragazza come tante, goffa e impacciata. Aveva bisogno di dirglielo, ma Adrien la sorprese.

L'aveva cercata a lungo e quando finalmente aveva scoperto la vera identità di Ladybug, Adrien si era sentito disorientato. Aveva sempre messo la bella eroina su un piedistallo, incapace di vedere quei difetti che la rendevano una persona comune, che gli impedivano di vedere Marinette in lei. Poi l'aveva vista, la ragazza impaurita e insicura, quella che aveva esitato e si era nascosta, timorosa di mostrargli la sua trasformazione. 
Portava ancora nel cuore la delusione per essere stato respinto, ma aveva sempre avuto la speranza che un giorno lei avrebbe visto chi fosse davvero e l'avrebbe amato così come lui amava lei. Dopo lunghe incertezze ed esitazioni aveva finalmente cominciato a vedere la vera Ladybug, la vera Marinette, la ragazza dolce e gentile, così forte e tenace.
L'aveva definita la sua migliore amica in passato, per paura che i suoi sentimenti intralciassero il loro rapporto, ma visto che le cose erano cambiate, non ci sarebbe stato nulla di male a riprovare a cercare di toccare il cuore della ragazza, di smuovere i loro sentimenti e capire cosa ne sarebbe stato di loro.

Si mosse lentamente verso di lei, mostrandole le sue intenzioni con uno sguardo pieno di dolci domande, mentre la sua mano stringeva con ancora più forza quella di Marinette, traendola a sé. In quel modo, però, le fece perdere l'equilibrio ritrovandosi sorretta solo da quella presa ferrea che non le diede scampo al viso di Adrien, sempre più vicino.

Lui era certo di volerlo, ma lei? Era già pronta a tornare a quel punto? Di certo il suo cuore stava scoppiando, le gote le andavano a fuoco e la voce si era incastrata in gola; anche volendo non sarebbe potuta scappare, ma in fondo non voleva fuggire, aspettava quel momento da quando l'aveva conosciuto.

Posata la mano vicino alla sua gamba, Adrien sentì il suo respiro sfiorargli la pelle e le labbra di lei già dischiuse, pronte a sfiorarlo, quando qualcosa di duro lo costrinse inevitabilmente a spostare la sua attenzione sulla mano dolorante posata a terra, sul lembo di felpa che Marinette indossava.

«c-cosa...» sibilò, ancora rossa, notando come si fosse ritirato massaggiandosi il palmo dolente.

Frugando nella tasca, trovò il responsabile. Il portafortuna che lei gli regalò, quel cordino rosso decorato da perline e da quel quadratino verde con inciso un fiore.
Aveva passato la giornata a cercare un segno della sua esistenza, quand'ecco la cosa più importante e preziosa. Si sentì davvero uno stupido ad averlo dimenticato.
La sua mortificazione passò quando vide il dolce sorriso di Marinette mentre lo guardava e districava la mano dalla sua presa per legarglielo al polso.

«forse dovrei fartene uno un po' meno femminile» mormorò, ancora imbarazzata da quel bacio mancato, osservando il nastrino rosso ornato di perline rosa muoversi intorno al braccio assecondando i movimenti di Adrien.
«no! non importa. Va bene». Non gli importava di che colore fosse, era stato un regalo davvero prezioso per lui e non l'avrebbe sostituito con nient'altro.

E in quell'aria di dolcezza e teneri sorrisi, anche lei tirò fuori dalla borsetta il nastrino con le perline azzurre che lui le aveva regalato al compleanno, porgendoglielo perché facesse la stessa cosa.

Altrettanto contento che Marinette lo portasse sempre con sé, lo prese andando ad avvolgerlo attorno al suo polso sottile.

L'ultimo rintocco della mezzanotte si fece udire, più sonoro dei precedenti e con esso l'arrivo del nuovo giorno. Il portafortuna cadde a terra, mentre Adrien stava finendo di annodarlo rendendolo conscio che Marinette era tornata ad essere una figura evanescente alla sua vista.
Era stata solo una cosa temporanea, il tempo di dodici rintocchi.
«cosa facciamo, ora? » si preoccupò Marinette osservando l'amuleto che non era riuscita a indossare e che non poteva nemmeno più toccare.
«lottiamo! » trovò ovvio Adrien, più determinato che mai a riportarla indietro: « te l'assicuro, non mi arrenderò finché tutto non sarà tornato alla normalità e io... noi... tu...».
Non continuò, anche se stavano per baciarsi, la questione non era ancora risolta del tutto e fu quello che lo spronò ancora una volta a non arrendersi.

Passarono il resto della notte a parlare del più e del meno come non era mai accaduto tra loro, continuando la conversazione di pochi minuti prima.
L'unico lato positivo di tutta quella storia, forse, fu proprio che riuscirono a conoscersi meglio, a scoprire più cose l'una dell'altro, senza cadere nell'imbarazzo, come accadeva a Marinette o chiudersi in se stessi come capitava spesso ad Adrien.

Era quasi l'alba, il cielo della notte si stava schiarendo, quando si accorsero delle ore passate.
«tra poco dovrò prepararmi per andare a scuola» mormorò Adrien.
«dovresti riposarti un po', abbiamo parlato tutta la notte» sorrise la ragazza, guardando con paura il cielo farsi sempre più chiaro.
«sai, questo è quello che ho sempre voluto» le confessò tenendo la testa bassa, imbarazzato da quello che le voleva dire, ma tenendo lo sguardo alzato su di lei, scrutando il suo viso: «parlare, conoscerti...sono felice».
«anche io».
Marinette aveva sempre fantasticato sul suo amore per lui, sapeva moltissime cose del suo bel Adrien, sapeva ogni sua singola attività della giornata, ma quella notte si rese conto che c'erano molte cose di lui che ancora ignorava, cose che l'aiutarono a rispondere alla domanda che tanto la allontanava da lui, aiutandola a scoprire il suo vero 'io'.

«comunque ora dovresti dormire un po'» insistette Marinette.
Le aveva detto di aver dormito per tutto il pomeriggio, ma leggeva tanta stanchezza sul suo viso e non si sarebbe mai perdonata se si fosse addormentato durante la lezione, finendo per la seconda volta dal preside. Due volte in due giorni e per colpa sua; no, proprio non poteva accadere.
«Marinette, non voglio perderti di vista, di nuovo...» ammise, seppur con imbarazzo. 
Non ti voglio perdere. Fu ciò che pensò, più precisamente, ma non riuscì a dirlo.
Marinette arrossì di fronte alla sua apprensione, ma le fece anche tanta tenerezza.
«non vado da nessuna parte» sorrise dolcemente alzandosi per prima.

Quanto le stava costando trattenere l'imbarazzo che in altre circostanze le avrebbe fatto uscire dalla bocca solo parole senza senso e frasi sconclusionate, ma fu felice di quell'autocontrollo che stava dimostrando.

Restò inginocchiata a terra, al capezzale del suo letto per un po' a osservarlo, mentre si sistemava sotto alle coperte.
Si scambiarono solo poche parole e sorrisi, prima che Adrien crollasse, sprofondando in un sonno profondo che sarebbe durato solo un paio di ore.

Marinette rimase lì, ferma a osservarlo dormire, fingendo di accarezzargli i capelli biondi, sembravano così morbidi, avrebbe tanto voluto toccarli davvero e baciare quelle labbra rosee su cui era scivolato il suo dito. Quella notte era quasi accaduto, ma poi, come al solito, il destino era stato crudele impedendo loro di avere un'altra occasione. Era ancora molto confusa, ma forse quel bacio l'avrebbe aiutata a chiarirsi le idee, o l'avrebbe sconvolta ancora di più.

Sentì che era già mattina, quando riaprì gli occhi. Si era addormentata al capezzale di quel letto su cui non c'era nessuno. Il silenzio era assordante in quella stanza e anche fuori.

Parigi era deserta, nessun piccione appollaiato sui tetti, nessuna macchina, nessuno.
Niente e nessuno popolava le strade della capitale francese, solo il nulla dilagava sotto a quel cielo grigio e inespressivo. Un senso di disorientamento e panico s'impossessò di lei facendola balzare in piedi.

«do...dove sono? » si domandò Marinette cominciando a guardarsi intorno, sforzandosi di ricordare come fosse finita in quella camera così grande e anche perché l'intera città fosse deserta. «come ci sono finita qui? E questa di chi è? » continuò a chiedersi ad alta voce, trovandosi poi con una felpa di due taglie più grande addosso. Le dava un calore piacevole e aveva un buon odore, ma non ricordava proprio come quell'indumento, chiaramente maschile, le fosse finito addosso. Anzi, come fosse finita lei nella camera di un ragazzo che nemmeno conosceva.

«ehi! C'è nessuno? Qualcuno mi sente? » gridò incamminandosi fuori da quella stanza, scoprendo quanto immensa fosse quella casa. Stanze, porte, una grossa scala, marmi, quadri e sculture. Chiunque vivesse in quel posto doveva essere molto ricco.
Aveva un grosso vuoto di memoria, sentiva di dover andare da qualche parte, ma non avrebbe saputo dire dove. Forse a casa, ma non aveva una chiara idea di dove abitasse.
«forse dovrei andare a scuola» si disse incamminandosi giù dalle scale, verso quella che sembrava la porta d'ingresso. «già, ma io dove vado a scuola? » tornò a domandarsi sfilando il cellulare dalla pochette a tracolla in cerca di un indirizzo utile.
Non capiva cosa le stesse succedendo, cosa le era successo per rimuovere gran parte della sua vita dalla memoria. Non aveva ancora acceso lo schermo, quando il quadro che incombeva sulla sua testa si riflesse sul vetro incuriosendola a tal punto da voltarsi.

***

L'allarme della sveglia fu il suono peggiore che potesse sentire in quel momento, si sentiva più stanco di quanto non fosse quando era andato a letto. Se non fosse stato per la scuola e gli amici, Adrien quella mattina sarebbe rimasto volentieri a dormire; era come se avesse riposato non più di un paio d'ore.
Con tanta forza e tanto coraggio, si alzò e si preparò.
Non era solo la stanchezza di una notte, probabilmente turbolenta a farlo sentire in maniera strana, era il modo in cui tutti lo guardavano in casa.
Era da tempo immemore che suo padre non si sedeva al tavolo con lui a fare colazione, che si interessava della sua giornata. Ancora più strano fu il modo apprensivo con cui sia lui che Nathalie gli chiesero come si sentiva, come se fosse stato malato, eppure lui non ricordava di aver avuto nulla di strano la sera prima, o meglio, non si ricordava proprio cos'aveva fatto la sera precedente; sicuramente la solita e noiosa routine.
Preferì passarci sopra e salire in macchina.
Come sempre, trovò Nino ad attenderlo all'ingresso della scuola e insieme s'incamminarono verso l'aula. Anche il suo amico sembrava avere qualcosa di insolito, era particolarmente taciturno, come se cercasse il coraggio di dirgli qualcosa.

«Nino, tutto bene? » gli domandò prima di entrare in classe.
«sì... eh no» rispose con un po' di incertezza: «insomma... Adrien, io volevo scusarmi per ieri. Non volevo prenderti in giro, sei mio amico e io mi sono comportato veramente male con te. Ti chiedo scusa».
Nino si aggiungeva decisamente alla lista di persone strane quel giorno. Doveva essersi perso qualcosa di davvero molto importante, ma vista l'aria mortificata del suo migliore amico preferì non dargli altre preoccupazioni e accettò le sue scuse con un sorriso andando poi a sedersi insieme al loro banco.

Adrien attese di sistemarsi, posare la cartella e sfilare il tablet, prima di porre all'amico un'altra domanda.

«perché mi guardano tutti in modo strano? » gli mormorò accostandosi al suo orecchio. L'aveva notato fin dal suo arrivo in aula, ma aveva cercato di ignorarli, pur trovando quelle occhiate perplesse molto irritanti.
«penso che sia per quello che è successo ieri» trovò ovvio Nino.
«già... sì hai ragione» rispose, ma in realtà non aveva la più pallida idea di che cosa stesse dicendo.

Cos'era successo ieri che aveva creato quell'aria tesa in classe?

Smise di chiederselo quando la prof. Bustier entrò in classe salutando tutti e iniziando a fare l'appello come ogni mattina. Segnò tutti presenti, ma mentre lo faceva lanciò un'occhiata al biondino in prima fila, sperando che non riprendesse la discussione del giorno prima.

«oggi non hai obbiezioni da fare, Adrien? » si assicurò prima di cominciare la lezione.
Lo trovò alquanto disorientato da quella domanda, ma vedendo come l'aveva fatto sentire a disagio, preferì non approfondire, dovevano averci pensato il preside e suo padre a riportarlo sulla giusta strada, lontano da scherzi sciocchi.
Le ore di lezione passarono, come sempre, troppo lentamente.

Finalmente arrivò la pausa e i ragazzi si sbrigarono a lasciare l'aula per sgranchirsi le gambe e rilassarsi qualche minuto.

«Adrien, e quello? » gli domandò Nino notando solo in quel momento il nastro rosso con perline annodato al polso dell'amico che, quando vi posò lo sguardo fu come se lo vedesse per la prima volta. Esitò un momento a rispondere.
«è un regalo» disse, titubante.
«di chi? » gli chiese ancora. La risposta sarebbe dovuta essere semplice, invece il suo amico esitò, guardò a lungo il bracciale per poi voltarsi verso Nino con aria disorientata.
«non lo so...»

____________________________________________________________

Buongiorno a tutti!
Eccoci a un nuovo capitolo.
E' una situazione un po' complessa, sia Adrien e Marinette dubitano di loro stessi, di ciò che provano, ma appena si ritrovano molti di quei dubbi svaniscono.

Vi sembrerà strano e magari mi odierete, ma è stato un bene che non siano riusciti a baciarsi, credetemi, quel bacio avrebbe portato a tragiche conseguenze.

E già la loro amnesia mattutina non è uno scherzo...


Ci rivediamo al prossimo capitolo! :)

   
 
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