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Autore: Pachiderma Anarchico    30/05/2018    1 recensioni
Yuriy si guardò allo specchio, e ciò che vide non gli piacque affatto.
La bianca pelle del volto era porcellana purissima, intatta e liscia come la prima neve.
Non un graffio, non un livido a testimoniare l'aggressione subita la notte precedente.
Un normale ventiduenne sarebbe caduto sotto a quei colpi, un normale ventiduenne sarebbe morto.
Ma non lui.
Non lui con quegli occhi azzurri e l'anima in tempesta.
Per sei anni non aveva alzato un dito, per sei anni non aveva più parlato quella lingua, familiare e inconfondibile, ed era bastata una miserabile, stramaledettissima notte perché il suo corpo si ricordasse com'è che si uccide un uomo.
. . .
-E poi c'è Mosca.- esordì la voce limpida e gelida di Serjei, che si sedette sul divano e prese la Vodka che Yuriy gli aveva stancamente allungato.
-Già..- Yuriy si massaggiò le tempie, abbandonandosi contro lo schienale. -Cosa volete scatenare, una ribellione?- proruppe, sarcastico.
I due ricambiarono il suo sguardo, immobili e seri come il russo non li aveva mai visti.
-…Non starete dicendo sul serio.-
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boris, Julia Fernandez, Kei Hiwatari, Un po' tutti, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Ehilà! Eccomi qui con il secondo capitolo.
Spero sia di vostro gradimento e spero anche che non vi abbia fatto attendere troppo, anzi, vista e considerata la velocità dei miei soliti aggiornamenti (uno ogni volta che si scioglie un ghiacciaio) direi di essere stata anche piuttosto veloce!
No? No.
Bado alle ciance e ciance alle bando (ma se prima era "bando", ora perchè si ritrova senza una n?) sotto troverete le risposte alle vostre recensioni (grazie, grazie, grazie! e un sacco di grazie anche ai lettori silenziosi, a coloro i quali hanno messo la mia storia fra le ricordate, preferite e seguite) e le immagini\gif di come io m'immagino Yuriy (perchè prima Yuriy, scusa? NdKaieRei) (Perchè è il primo che ho trovato, su, non fate i gelosi, nel mio cuore c'è spazio per tutti. Tranne per la tinta dei capelli di Olivier, quella ve la tenete. NdIo).
P.S.: Perdonate eventuali errori di distrazione.
P.S.S.: Tutte le frasi e le parole straniere che non ho tradotto o di cui non ho fatto capire il senso son lasciate lì apposta per creare confusione, allarme e\o realismo di trovarsi in un paese straniero in situzioni delicate e non conoscerne la lingua.



 




This is my kingdome come.

 


 

2. 

Kto volk? 
Chi è il lupo?






Dall’altra parte del mondo, nella Russia occidentale, un elicottero privato atterrò nelle sterminate distese della steppa.
Un ragazzo e una ragazza scesero velocemente nel cuore del mondo slavo, dopo essersi lasciati indietro una manciata di chilometri e una realtà nettamente diversa.
Julia non era mai stata in Russia, ma avrebbe capito che non si trovava più in Giappone anche se avesse tenuto gli occhi chiusi per tutto il viaggio, o se l’avessero drogata per confonderle i sensi.
L’aria che le sbattè in faccia non appena uscì dall’abitacolo non aveva niente a che vedere con il fascino caldo dell’Oriente, l’autunno colorato che aveva appena abbandonato per addentrarsi nel mondo in cui il freddo non chiede mai permesso.
-Mierda.- bonfonchiò, avvolgendosi meglio la grossa sciarpa color caramello che portava al collo, stretta come se si ci volesse impiccare.
-Che ti aspettavi, l’Egitto? O forse la tua Spagna caliente?- la schernì il ragazzo dai capelli biondi al suo fianco.
Julia fece una smorfia male proprio mentre un fiocco di neve cercava di insinuarsi nel suo lungo cappotto.
-Ti ricordo che questa è stata un tua scelta.-
-Me lo ricordo.-
-Allora non lamentarti.-
-Senti, non so se in questo momento sia più insopportabile il freddo o tu, ma se evitassi di commentare ogni mio commento riusciremmo ad arrivare dove dobbiamo arrivare molto più in fretta.-
-Notevole gioco di parole.-
Julia, onestamente, non capiva.
Aveva insistito per accompagnarlo, aveva sbattuto i piedi e inarcato sopracciglia per far sì che la ragione danzasse con lei.
“Se proprio vuole morire almeno non diamo al monaco squilibrato il 100% di possibilità di riuscirci mandandolo lì con una faccia conosciuta come Sergej o Kai, si aspetteranno di vederlo con loro. E no Takao, non provare neanche ad insediare il tuo protagonismo patologico nella questione questa volta, tutti voi fate parte della 'vecchia guardia' tranne la sottoscritta, Hilary e Daichi. Se Yuriy comparisse a Mosca con uno di voi inizierebbero a lampeggiare le sirene. 
Con me invece..."
"Con me invece cosa, esattamente? Cosa? Che non so neanche camminare sulla neve?"
Era la terza volta che il russo l'afferrava per un braccio prima che il suo bel visino dorato sprofondasse in due metri di acqua e ghiaccio.
La ragazza si guardò intorno, perplessa. Tutto ciò che vedeva era un’infinita distesa di mare bianco, tanto lieve da non fare rumore, tanto prepotente da soffocare qualsiasi altro colore.
Era la terza volta che Julia gli rivolgeva la stessa, stizzita domanda.
-Dove troveremo quel carciofo ammuffito, nei cassonetti della spazzatura?-
Yuriy l’aveva ammonita di non chiamare assolutamente e per nessuna ragione al mondo -neanche in punto di morte- lui Boris con i loro nomi.
Come se i capelli di un biondo così chiaro da diventare bianco al sole non fossero bastati a mimetizzarlo in mezzo all'orda infinita di russi con quella stessa caratteristica.
Ma quando Yuriy si volse verso di lei, con quel suo modo affilato e fluido di muoversi, come il vento Buran che soffia nella tundra, e gli occhi di un azzurro che niente aveva a che vedere con il cielo sopra di loro, Julia pensò che forse neanche tutti i colori dell'arcobaleno sarebbero mai bastati a nasconderlo.
-Sai, sarebbe di grande aiuto se la smettessi di lamentarti e mettessi un piede davanti all'altro senza cadere.-
La spagnola sbuffò, stringendosi nel cappotto.
-Sai, vorrei farti notare che stiamo camminando da mezz'ora in questo labirinto di vicoli sporchi.-
-E lo faremo fino a quando lo dirò io. Cammina.-
Si ferma. Semplicemente. Come una giumenta testarda.
Come la falla nel piano.
-Non stai parlando con uno della tua banda Ivanov, io non eseguo gli ordini a comando solo perché riesci a fare il vocione o perché fai quella cosa con gli occhi che mette i brividi.-
Julia se ne accorse, di star superando il confine.
Che lei non sapeva nulla, che Takao l'aveva avvisata di abbassare il freno dell'auto in corsa perché avrebbe potuto investire qualcuno.
Che la strada era sterrata e le voragini si inabissavano a vista d'occhio.
Che il passato era solo lontanamente limpido quanto Rei, con la sua proverbiale pazienza e il tono tranquillo, le aveva fatto credere.
E continuò, con il calore della Spagna che le bruciava nelle ossa.
-Non so cosa vi abbiano fatto credere a voi altri, ma non costringermi a dar ragione a Ralph e Andrew quando dicono che siete dei disadattati instabili con problemi di controllo della rabbia cresciuti in gabbia come le belve che devono diventare feroci.-
Un confine che non aveva visto, una linea invisibile tra ciò che si tollera e ciò che è abbastanza.
Tra ciò che è pace e ciò che è guerra.
Perché Yuriy in tre passi piantò il viso ad una manciata di centimetri dal suo, incurante del fatto che le stesse ringhiando praticamente addosso.
E Julia si rese conto che, forse, l’aveva fatto apposta.
Che forse, e dico forse, l’aveva provocato con quel puntiglio vuoto e illogico solo per vederlo scricchiolare, per veder crollare quei muri d’impassibilità che, ai suoi occhi, lo avevano sempre reso inaccessibile, e incomprensibile.
-Ascoltami Fernandez. Ascoltami bene perché non lo ripeterò una seconda volta.
Se ti dico di scappare senza guardarti indietro, tu lo fai; se ti dico di nasconderti, qualunque cosa succeda, anche fosse la fine del mondo, tu ti nascondi.
Se ti dico di afferrare saldamente una pistola e spararmi un colpo in testa tu lo fai senza. battere. ciglio. É chiaro?-
Julia si era scavata la fossa da sola e ne era consapevole, ma non avrebbe mai creduto di non riuscire a ribattere.
Non ebbe paura di Yuriy.
Lei non aveva paura di niente.
Ebbe paura di ciò che vide nei suoi occhi.
E se davvero l'aria di Mosca li volesse morti?
Che avesse ragione?
Era lei a non capire le note ruvide nella voce dell'altro? Il peso del suo respiro in quella fredda aria nordica?
C'era altro. C'era di più.
C'erano cose nascoste nel buio, cose che minacciavano di saltarti addosso non appena muovevi un passo nella stanza del passato.
Neanche Rei avrebbe potuto smussarne gli angoli.
E per la prima volta nella sua vita Julia Fernandez si morse la lingua.
Il petto le si sgonfiò, le parole che avrebbe voluto dire si persero nelle tonsille.
Ma non si diede per vinta e sussurrò, come chi pretende comunque l'ultima parola:
-Se pensi che possa riuscire a sparare a qualcuno stai sbagliando persona, Ivanov. Forse farei un’eccezione se quel qualcuno fossi tu.-
Yuriy strinse le palpebre, ma dagli angoli della bocca scomparve quella luce tagliente.
Un passante avrebbe potuto scambiarlo per divertimento, colpa probabilmente dell’ombra della stradina e del bianco lampeggiante della neve.
Alzò una mano.
-Dopo di te.-
La madrilena lo superò senza proferir altro suono se non quello del suo respiro, greve come pezzi di ghiaccio.
Rimase in silenzio almeno per una decina di passi, poi dovette per forza borbottare qualcosa, qualsiasi cosa, perché quel mondo straniero era già abbastanza ovattato e monocolore per i suoi gusti.
-Allora… dove dobbiamo arrivare?-
-In realtà?- Yurij alzò le spalle, scuotendo la testa. –Non ne ho idea.-
-…Estàs scherzando??-
-No querida, non estò scherzando.-
-Ma…- Julia strofinò gli scarponcini a terra, cercando di scaldarsi. –Mi spieghi, di graziacomo dovremmo fare ora?!-
Yuriy la guardò per un lungo, interminabile momento, serio e impassibile come non mai e Julia si sentì sprofondare nelle viscere di quel terreno indurito dal gelo. Sentiva già le ossa sbriciolarsi una a una per ogni spiffero che le banchettava sulla pelle; avrebbe preferito avvertire il calor bollente del sangue sulle mani piuttosto che camminare alla cieca sotto quel cielo grigio e fra quelle erbacce nere e scricchiolanti e… la risata di Yuriy la colpì in pieno petto come un pugno ben assestato.
Così, di bello e di buono, prese a sghignazzarle accanto, sguaiatamente come solo chi gode della disperazione altrui può fare.
-Mi… mi hai preso in giro!-
Il russo scosse la testa ma continuò a ridacchiare e lei lo spinse, corrucciandosi in volto.
O almeno tentò di farlo, perché non lo mosse di un millimetro.
Yuriy rimase ben piazzato a terra nel cappotto lungo e nero dal taglio classico, così diverso dall’abbigliamento che era solito indossare.
Un prestito di Kai.
E si stava davvero divertendo alle sue spalle, anzi! Le stava apertamente ghignando in faccia!
Come si permetteva quel cosacco di ridere di Julia Fernandez?
-Ah querida… si vede che non mi conosci affatto. Credevi davvero che sarei venuto qui, con una che viene dritta dritta da Madrid e ha il sole appiccicato ai bulbi oculari come un francobollo sgualcito e che il solo Inverno che abbia mai  avuto l’onore di vedere probabilmente era di 20 gradi centigradi, senza avere idea di dove andare, brancolando magari fino a sera e aspettando che gli scagnozzi di Vorkov ci trovino e ci portino da lui?-
Julia stava per ribattere che in Spagna gli inverni non erano per niente di 20 centigradi, determinata a sottolineare una volta per tutte che non viveva nel deserto, quando il russo la guardò di nuovo, senza avvicinarsi.
-Sai cosa farebbe Vorkov col tuo viso?-
Non c’era traccia di tristezza nella sua voce, né malinconia.
Ma quando il russo la guardò in quel modo, Julia si sentì strana.
Non voleva chiederlo, non voleva conoscerne la risposta, ma le parole le sgusciarono testarde dalle labbra gelide.
-Cos’ha fatto a te?-
Non capiva perché si sentisse come se qualcuno le stesse stritolando il cuore, infilandovi le unghie come lei volle fare d’un tratto, improvvisamente, nelle guance di Yuriy, trasfigurato da quei colori che non erano i suoi, e urlargli che sarebbe andato tutto bene.
Ma lei non lo sapeva se sarebbe andato tuto bene, lei non ne sapeva abbastanza per promettere al vento finali incerti di storie mai raccontate.
Eppure, forse, avrebbe mentito se necessario, se fosse servito.
Yuriy si guardò intorno, poi s’inoltrò nell’ennesima stradina incolore.
-Andiamo.-
-Quanto è pericoloso quello che stiamo per fare?-
Troppo sveglia.
Yuriy strinse i denti, tornò accanto a lei con il dieci percento di pazienza in meno, recisa di netto dalla caparbietà della latina.
-E’ pericoloso stare qui e io non avrei alcun rimorso a lasciarti indietro. Riuscirei comunque a dormire stanotte, te lo garantisco.-
E ricominciò a camminare per davvero, come se Julia non gli stesse dietro con un persuasivo formicolio alle mani che la implorava di prenderlo a schiaffi.
Stava giusto per formulare la quindicesima domanda degli ultimi cinquantacinque minuti, sentendosi mostruosamente come Takao, o Hilary nei suoi momenti migliori, quando il sole la colpì in faccia vestito delle più sfolgoranti tonalità di rosso, blu e oro, sfaccettato come le facce di un diamante in caduta libera dal cielo.
Aveva visto tanti posti meravigliosi nella sua vita, tra un’esibizione col nastro e un volo sul trapezio, ma nessuno mai le aveva reciso in due il respiro come la Piazza Rossa di Mosca.
Un intrico di sfumature sgargianti, edifici dalle forme neoclassiche, barocche e bizantine si appoggiavano l’un l’atro come spalle su cui piangere, o si contendevano l’immensità della piazza sotto ad una coltre di candida neve.
Il bianco pareva quasi un vestito leggero sui tetti dalle forme come caramelle, un velo da sposa sul Cremlino, una fredda carezza sulle caratteristiche cupole della chiesa di San Basilio, e il bianco, sdraiato sul rosso, era quasi accecante.
Lo sguardo le cadde su uno strano disco di pasta dolce che un gruppo di turisti giapponesi reggeva in mano, con l'espressione beata di Gianni dopo che una ragazza gli dava il suo numero di telefono.
-Cosa mangiano quelli?-
-Vatrushka.-
Julia alzò gli occhi al cielo.
-Sai, quando uno pone una domanda è perché vuole una risposta.-
-Ti ho risposto.-
-Con un incomprensibile nome russo?-
-Vuoi la ricetta?-
-Sei... sei..-
-Il tuo ragazzo, da questo momento.-
Ci mancò poco che Julia non si schiaffasse una mano sulla coscia destra, mandandola in frantumi.
-Se questa è la nuova frontiera del flirt devi allenarti di più Iva-
Ma la ragazza non ebbe il tempo di finire che le ultime sillabe le morirono sulla lingua come cubetti di ghiaccio in una fornace.
Era una fornace anche il respiro di Yuriy, caldo come l'Inferno nel freddo tagliente, rosso come il sangue sulla neve, molto più vicino di quanto non fosse mai stato.
Julia avvertí la pressione decisa di due dita piegarle il viso, gli occhi del moscovita celarsi fra le ciglia arcuate come le ali degli angeli e lo sentí, l'orgoglio indirizzarle la mano.
La sentí la dignità scorrerle nel polso.
Lo schiaffo gli arrivò dritto in faccia, tra la mandibola e lo zigomo.
Preciso come un proiettile.
E questa volta Yuriy fu impreparato.
Questa volta la testa gli scattó di lato e la sorpresa gli laceró a metà il respiro.
-¿cómo te osar?!-
Julia fece un passo indietro, i denti stretti come un felino e i pugni serrati a sentire le mezzelune delle unghie scavarle nei palmi della mano abissi di carne.
Yuriy raddrizzó il volto, lentamente, tornò a guardarla.
Indecifrabile come una maschera di cera.
Ma l'azzurro delle sue iridi saettó agli angoli degli occhi per una breve frazione di tempo, infinitamente veloce.
E Julia capì.
Qualcuno li stava seguendo.
E ci avrebbe scommesso i suoi lunghi capelli di miele con tanto di boccoli alle punte che quei due con la macchina fotografica non erano una semplice coppia felice in luna di miele.
Erano fermi dinnanzi allo stesso monumento da dieci minuti, e non si rivolsero mai la parola.
Si schiarí la voce, gonfió il petto, aggiustó il tiro.
-Miguel, se ti trovo di nuovo a parlare con quella vacca ti prendo a calci fino a casa di tua madre!- Puntó le mani sui fianchi, scosse la mano come a volerlo strangolare. -E non fingere di non capire o me ne torno da Carlos, che quello sì che era un grande uomo!-
Yuriy, che di spagnolo conosceva venti parole in croce, non stava fingendo affatto di non capirci un accidenti di quello che la ragazza andava decantando ad alta voce, con buona premura di far voltare nella loro direzione tutti i presenti nel raggio di cinquecento metri.
Ma la madrilena era stata furba, dovette ammetterlo, e terribilmente sveglia.
Troppo sveglia.
Ma Yuriy aveva un alfabeto di piani in testa ed ebbe la risposta pronta.
-Lo siento.. Mi amor por favor, disculpe. Mi ojos son solo por ti, tu lo se bien.-
-Dici siempre così, ma so bene che mi tradisci con quella prostituta di poco conto. Cos'ha lei che io non ho, eh?!-
E continuò, perché tanto si stava divertendo, perché Yuriy aveva rigurgitato quelle parole con una pronuncia notevole, perché le fu chiaro che non avrebbe potuto continuare oltre.
E allora giù d'insulti, di rancore, di tradimento mistificatore e amanti gelosi, e quel -Il mio ex era molto più dotato di te!- che combinazione Yuriy comprese perfettamente, mormorando un "vigliacca" a mezza voce, con il sarcasmo sui denti e il profilo slavo celato il più possibile dal cappuccio.
Se la tiró in una strada secondaria con la scusa di implorarne il perdono e invece, non appena il cielo aperto della Piazza Rossa smise di renderli due facili bersagli, s’irrigidì.
-Ma cosa ti salta in mente? Diamine, so quel che faccio.-
-Mi sei saltato addosso, pensavo volessi...-
-Non l'avrei fatto per niente al mondo, Fernandez.-
Julia si ritrovò a bocca spalancata ad inghiottire a sorsi troppo grandi la voglia che l'assalì di sbattergli la testa al muro.
-E questo cosa vorrebbe dire?-
-Che preferirei baciare Daichi e Takao insieme piuttosto.-
-È questo il tuo modo di ringraziarmi per averti salvato il fondoschiena Iva… Miguel?-
-Se tu non mi avessi preso a schiaffi come una mentecatta non ci sarebbe stato niente da salvare.-
-Mi perdoni Sua Maestà se non avevo idea che il suo piano comprendesse lo slinguazzarmi!-
-Ti ripeto per l'ennesima volta che non. l'avrei. fatto.-
-Ovvio...vuoi uomini siete tutti uguali, pensate sempre a..-
-Brava.-
-E non dirmi... come?-
Yuriy si fermò, puntando quelle due spille di ghiaccio nei grandi occhi della ragazza.
Occhi di smeraldo.
-Brava. Prima.-
A Julia per poco non caddero le braccia a terra.
Fino a quattro secondi prima una parola gentile nel vocabolario di quel sovietico rasentava l'utopia, un complimento sembrava del tutto inammissibile.
E invece non solo la voce non gli graffiava più in gola, ma fu un vero complimento quello.
Julia sollevò il mento.
-Bueno, bueno, bueno...-
-Non ti ci abituare Fernandez.-
-E se lo..-
Una fitta alla spalla sinistra.
Julia si voltó proprio quando una montagna su due piedi le si faceva più vicino, sovrastandola con i suoi due metri e mezzo d'altezza e lo sguardo incupito da cane rabbioso.
-Ma guarda un po' cos'abbiamo qui... Che ci fa una bambolina come te in un posto come questo?-
La pronuncia era larga e lasciva, le lettere si scioglievano su loro stesse come plastica sul fuoco, il lungo tatuaggio di un serpente strisciava del giubbotto sul collo taurino e le braccia immense reggevano due spalle altrettanto poderose.
Julia avrebbe risposto, eccome se avrebbe risposto, se non fosse stato per il puzzo di alcol e qualcosa che sapeva di fumo non bene identificato nei capelli di un biondo sporco, gettati alla rinfusa sulla faccia quadrata. La stava osservando dall'alto in basso carezzando la chewing gum che aveva in bocca con la lingua ad ogni battito di ciglia della spagnola.
-Yo...-
-Problemi?-
La vista del biondo venne parzialmente coperta da un'altra figura, che per l'occasione era bionda anch'essa, ma diversa nella stazza quanto nei modi.
Non ostentó nulla di fronte al gigante, piazzandovisi davanti con la nonchalance di uno che si trova  lì per caso.
Non ci fu un sopracciglio inarcato, né un tendine più rigido visibile nell'incavo del polso; persino le schegge di ghiaccio nei suoi occhi sembravano essersi liquefatte, a lasciar intravedere l'acqua di un mare celeste.
Un mare in cui Yuriy sembró suggerigli di non addentrarsi, un mare con cui l'avrebbe annientato se solo avesse provato a rendere realtà ciò che la sua mente gli suggeriva di fare.
"Dai retta a me, non ai tuoi pensieri" voleva dirgli, "perché loro non ti uccideranno."
Il tipo era di una spanna più alto, un suo pugno era grande quanto la sua faccia, un piede gli avrebbe fracassato tre costole e il suo visetto bianco e aristocratico si sarebbe colorato di sangue scarlatto e globuli rossi, schizzando da un taglierino piantato nello sterno.
Eppure qualcosa gli disse che era meglio tenere le mani in tasca.
-Chi è la scommessa corrente?-
-Non farmi ridere, non dureresti neanche cinque minuti.- rispose il tipo.
Era incredibile e inquietante come le parole degli altri parevano avere su Yuriy l’effetto di una selezione naturale, immediata e involontaria, quasi come se solo alcune parole -poche in verità- avessero il privilegio di restargli nei padiglioni auricolari, mentre il resto di loro scivolava sul collo e sulle spalle senza lasciarvi tracce.
Aveva una mente rigorosa, e lo si capiva dal modo in cui non guardava mai la stessa cosa per ben due volte.
-E se ci riuscissi?- ribattè Yuriy a mezza voce, tranquillamente come si parla del tempo.
-Non ci riuscirai… hahaha scordatelo. Ma… se sei così deciso a romperti qualche osso non avrai problemi a rendere le cose più… eccitanti.- e gli occhi scuri e lascivi si acquattarono nuovamente su Julia, con la pesantezza di un macellaio.
La ragazza non riuscì a nascondere il disgusto.
-Se duri giusto cinque minuti mi sganci 10000.00 Rubli. Se ti ritrovi steso anche prima me ne dai 10000.00 e la bambolina. Se vuoi entrare questo è il prezzo.-
Il cuore di Julia si fermò.
E riprese a battere all’impazzata non appena scorse il cenno di assenso di Yuriy.
Lo afferrò malamente per un braccio.
-Por Dios, che stai facendo? Non sono un oggetto da vendere!-
Già se le figurava quelle dita tozze e umide di Vodka andata male spalmarglisi sulle cosce.
Gli uomini erano da sempre fissati con quelle specifiche curve del suo corpo.
-Stai calma.-
-Stare calma?!- e lo spinse bruscamente, -sei un selvaggio!-
E lo era davvero, ma non nel modo in cui pensava lei a quel tempo.
Lo era perché non si era fatto scrupoli a guardarla negli occhi dopo averla messa in palio come un biglietto da venti dollari in una partita di Poker, perché affrontava le conseguenze delle sue azioni, anche quelle più sfrontate, anche quelle più distruttive, come solo un selvaggio sa fare.
O un leader.
-Non ti toccherà.- mormorò, mentre la montagna umana si faceva da parte per lasciarli entrare in una stanza buia.
-Come… lo prenderò a calci Yuriy, e prenderò a calci anche te se solo mi…
Por qué dovrei fidarmi di te?!-
-Perché se venuta fin qui con me e non credo saresti stata così sciocca da farlo se mi avessi considerato uno sprovveduto.-
-Uno sprovveduto? AH! Piuttosto un porco schifo..-
-Hai la mia parola Julia.-
La spagnola lo guardò come si guardano le espressioni matematiche, quelle con l’incognita nascosta, quelle con le parentesi dentro altre parentesi e i numeri dentro numeri più grandi. Come le scatole cinesi.
Come le Matrioske.
Dinnanzi alle quali sospiri e ti arrendi, perché diverresti pazzo a rifletterci un minuto di più.
-Sono comunque incazzata come una bestia Iv… Miguel. E fa che la tua parola conti qualcosa o sarà peggio per te.-
E andò avanti, inoltrandosi nell’antro oscuro e sbottonando il cappotto perché faceva improvvisamente caldo.
Yuriy la seguì scuotendo la testa.
L’attimo prima era terrorizzata, l’attimo dopo se ne andava senza avere la benchè minima idea di cos’avrebbe trovato sulla sua strada.
Lui, invece, lo sapeva benissimo.
Dopo aver attraversato fianco a fianco il piccolo soggiorno di una casa ombrosa, uscirono dal retro ritrovandosi in un tunnel in pietra, di quelle vecchio tipo in cui si respira il passato.
E dopo di esso… il ring.
Era così che si rivolvevano le cose da quelle parti: combattimenti corpo a corpo, sudore, soldi, sangue e scommesse.
Clandestini fino al midollo.
Il “ring” non era altro che uno sprazzo di terra e polvere concavo dove un giovane uomo veniva incitato dagli schiamazzi esaltati degli spettatori.
Un uomo dal singolare colore di capelli e un enorme falco nero tatuato sui pettorali.
-Quello è…-
-Un pezzo di merda con la faccia tosta come uno scalino.- la interruppe Yuriy, stringendo le parole fra i denti. –Stare così davanti a tutti, al centro dell’attenzione a Mosca. E’ tanto se non l’abbiano già scannato come un agnello.-
-Chi è il prossimo?- ruggì il combattente, con il corpo possente bagnato di sudore e la mente travolta dall’adrenalina indomita dell’invincibilità.
-Yastreb*, divertiti un attimo con questo gioiellino. Ho fatto una scommessa, eliminalo subito così mi faccio un giro sulla troia che si è portato appresso.-
Julia strinse i denti e selezionò velocemente in testa la raffica di insulti con cui l’avrebbe soffocato da un secondo all’altro, se Yuriy non l’avesse guardata di scatto, facendole segno di non aizzarlo.
Poi inarcò un sopracciglio nella sua direzione.
Il bestione alzò le mani.
-Ah vai tranquillo gioiellino, non la sfioro neanche con un’unghia fino a quando non ti vedrò con la faccia spiaccicata nella polvere. Sono un uomo di parola io.- e si affiancò a Julia, mentre il “gioiellino” si toglieva di dosso il giubbotto visibilmente costoso di Kai –così in contrasto con quel luogo- e il maglione, rimanendo con una sottile t-shirt bianca.
Julia poteva sentire il fianco dell’altro sfiorarle la parte destra del corpo.
-Vedrai tesorino, io durerò più del biondino in campo, ci puoi battere con una mazza.-
L’unica cosa che Julia avrebbe voluto “battere con una mazza” era la sua testa.
-Però aspetterò, porque ya un dzhentl'men i porque un patto è un patto.- masticò in una macedonia scadente di spagnolo e russo.
Fu subito evidente che si sbagliava.
Julia non ne sapeva molto di “agnelli” e “gioiellini”, ma era chiaro che quei due non erano né l’uno, né l’altro.
Quello chiamato Yastreb non aveva neanche degnato di uno sguardo lo sfidante dopo il primo e il secondo pugno, sicuro di fare centro, sghignazzando a bocca larga.
Ma quando l’avversario li bloccò entrambi senza sforzo, fu costretto a farlo.
Julia non dimenticherà mai il modo in cui Boris Kuznestov spalancò gli occhi non appena lo vide.
Fu come se un travolgente vento del Nord avesse travolto via ogni residuo di spavalderia goliardica e scherno, per lasciare il posto a un’incredulità sorda e sì, anche a rabbia, a un assoluto rispetto e… timore, forse?
Non fisico, quello Boris non l’avrebbe provato neanche contro un esercito.
Timore per come si erano lasciati, per come Boris non aveva risposto al richiamo degli altri, per come antiche promesse erano state infrante, per come sedici anni di conoscenza si materializzarono lì, in quell’arena stantia, con tutto il peso dei ricordi.
-Cosa ci fai qui?- sussurrò in russo.
-Dovevo ricordarti chi sono, perché temo che tu te lo sia dimenticato.- rispose Yuriy.
-Sei tu che hai fatto in modo che accadesse, o no? Non eri tu che diceva di essere morto? Allora con te è morta anche la mia lealtà.-
Julia aveva smesso di capirli, e con lei tutti gli altri che neanche notarono come si stessero ringhiando a vicenda, spazientiti dalla mancanza di azione.
Ma poi uno dei due bisbigliò un Fatti sotto- e nessuno capì più niente.
Non si capì cos’avessero al posto dei corpi, non si capì chi avesse iniziato, ma sembrava non potesse finire.
Scattarono come se al posto dei muscoli avessero delle molle ben oliate, senza bisogno di studiarsi, senza bisogno di guardarsi.
Si conoscevano a memoria.
Ogni passo, ogni finta, ogni caratterstica del loro stile era marchiata a fuoco nella loro memoria, scavata a forza nei recessi delle loro anime scheggiate.
Il bestione realizzò velocemente che le cose non sarebbero affatto andate come previsto.
Quel biondo, non era un gioiellino, era un’arma di muscoli e ossa.
Julia vedeva i pugni, i calci, i respiri sincronizzati; vedeva i tendini come vipere al di sotto della pelle accaldata, una preparazione marmorea e due tecniche caotiche e inespugnabili che dovevano essere costate a quei due anni e anni di chi sa quali sacrifici.
E vento e ghiaccio.
Boris aveva cambiato stile non appena Yuriy gli si era presentato davanti, non più quei colpi disimpegnati e scialbi che avevano sconfitto facilmente i precedenti sfidanti.
Con Yuriy dovevi dare tutto te stesso, ridurti all’osso cercando la strategia migliore per varcare le sue difese, se mai ne fosse esistita una.
E giocare d’intelligenza, perché il rosso, o il biondo o di qualunque colore volesse tingersi i capelli non lo battevi solo con la forza bruta.
Con lui non era mai una rissa.
Era una battaglia navale.
-Vieni via con me…- ansimò Yuriy, schivando l’ennesimo pugno al collo. –Ti ammazzeranno da un giorno… all’altro se resti.-
Per tutta risposta Boris si piegò con un’azione secca, mirando con la tibia spessa al suo fianco sinistro. E lo prese.
I presenti urlarono di giubilo.
Yuriy si destabilizzò per un secondo.
-Non scapperò via come un ratto.- caricò di nuovo. –Tu non hai idea di com’è la situazione qui con quel pezzo di merda a comandare su vita, morte e miracoli.-
-Io non ne ho… idea?-
Yuriy scartò di lato e i presenti si unirono in un unico OOOOH, perché quella era stata una mossa davvero difficile da evitare, Boris era stato velocissimo.
Ma a Yuriy salì l’acredine dentro.
-Hai dimenticato proprio tutto vedo, anche il fatto che quello che sta facendo ora a Mosca l’ha fatto prima al sottoscritto.-
Boris annuì, spostandosi verso destra.
-Infatti proprio tu dovresti essere in prima fila.-
-In prima fila per cosa? Vuoi una guerra?!-
-Voglio morire con lui che mi guarda negli occhi. Non lo capisci?! Tanto ci ammazzerà comunque…e se vuole ucciderci, che ci uccida a testa alta e dispiegando tutti i mezzi che ha a disposizione, e non nascosti in un fetido buco di fogna.-
Yuriy quasi lo vide lo spostamento d’aria a due millimetri dal viso, segno che c’era mancato poco e l’ex compagno gli avrebbe spaccato in due la guancia.
Non era arrabbiato, Boris era furioso.
E quando Boris era furioso era come se le mani gli si rivestissero di una coltre di metallo e collera.
Non avevano mai risparmiato colpi fra di loro e anche questa volta non fecero eccezione, ma entrambi sapevano che non si sarebbero mai uccisi a vicenda.
Questo però non aveva mai impedito loro di farsi molto male.
Erano fatti così.
Ghiaccio e vento.
Cicatrici e sangue sulle cicatrici.
Animali feroci nati nell’Inverno.
-D’accordo.- acconsentì infine Yuriy. –Torneremo. Ma per ora… vieni via con me.-
Boris scoprì i canini in un ghigno di pura estasi.
-E quando torneremo sarà per togliere il trono da sotto il culo di quel bastardo?-
L’altro annuì.
-E allora sia.-
Yuriy gli tirò una ginocchiata nell’addome e Boris si fece travolgere in pieno, piegandosi dal dolore (estremamente reale) e fingendo di non riuscire a proseguire. Sputò un grumo di saliva accanto a sé, urlando con voce roca un..
–Basta! Non ce la faccio più.-
Il bestione era sgomento.
Yuriy sapeva perché l’aveva fatto.
Non c’era stato neanche bisogno di concordarlo.
Chi avesse sconfitto un lottatore imbattuto da giorni (conoscendo Boris anche da settimane) avrebbe attirato l’attenzione del capo delle scommesse.
E Yuriy aveva bisogno di parlare con lui.
-Sledovat za mnoy.- esclamò uno dei suoi uomini, facendogli intendere che avrebbe dovuto seguirlo.
-Sta’ con lei.- Yuriy spinse Boris accanto a Julia.
-Con chi dovre… Hola.- disse Boris, raddrizzando la schiena e impiegando più del dovuto per infilare la maglietta.
Julia non era certa se volesse ridere, piangere o prendere a schiaffi entrambi e scommettere quanto tempo sarebbe passato prima che i bulbi oculari saltassero fuori dalle orbite
Lanciò un’occhiata a Boris -che adesso fingeva di stiracchiarsi per flettere ogni singolo muscolo del suo corpo, e ce n’erano tanti- per niente convinta.
-Boris è tranquillo. Pravda Borja?-
-Eto pravda, eto pravdae fece alla madrilena una radiografia completa con tanto di ossa e sistema linfatico dalla punta delle orecchie fino alla punta degli scarponcini imbottiti.
Julia divenne, se possibile, ancora più scettica.
-Senti, bastardo de un ruso que no eres otra cosa, non so cosa sembri ai tuoi occhi il tuo compare qui, pero no me inspira toda esta tranquilidad.-
Boris, che doveva aver inteso i dubbi della spagnola sulla sua integrità morale borbottò, tra un sorso di birra e un altro, uno svogliato –Ringrazia che sono leale a… Miguel- e si trattenne a stento dal ridere e annaffiare tutti con l’alcolico che non aveva ancora mandato giù –altrimenti ti avrei fatta cadere ai miei piedi.-
-A me sta solo cadendo il latte alle ginocchia in este momento.-
Julia gli sfilò con stizza la bottiglia dalle mani e ne ingurgitò l’intero contenuto in tre o quattro sorsi.
I due ragazzi la fissarono, immobili come statue di sale.
Le sopracciglia di Yuriy schizzarono fin sulle stelle, a Boris avevano appena comunicato che Babbo Natale esiste.
-Ma sei la donna dei mei sogni! Un giorno faremo una gara, se perdi me la dai.-
-Non ti fare strane idee in testa, l’ho finita solo per spaccarti la bottiglia in testa se solo azzardi un passo verso di me.-
-E anche violenta…! Dove sei stata tutto questo tempo?!-
-Lontana da te.-
Yuriy finalmente raggiunse il ragazzo corpulento che ancora lo aspettava sulle scale di ferro che conducevano alla stanza dalla quale il capo osservava i combattimenti, e che aveva tutta l’aria di volerlo prendere a testate.
Che solo ci provasse.
Se i suoi calcoli erano esatti, l’ultimo capo, sei anni fa, era stato Donat Vasil'ko, discendente dalla nobiltà decaduta di una delle famiglie più vicine alla corte dell’ultimo Zar Nicola II, e di cui si diceva che avesse informatori e spie dovunque -anche nei tombini- dopo un “incidente” mortale in cui era stato coinvolto il precedente capo, suo fratello Egor, “l’invisibile”.
I circoli clandestini andavano in mano a chi, come loro, avevano intessuto una fitta rete di relazioni sociali in ogni strato della società, dai bassifondi più squallidi con le prostitute sfruttate ai lati delle strade e i ladruncoli da quattro soldi nei torrenti di sporcizia, passando per i mondi dei ricchi e degli imprenditori, con le vecchie signore dal naso incipriato e i bambini infiocchettati, fino ad infiltrarsi nel tessuto cruciale della politica e della criminalità.
Ed erano di estrema importanza per tutti quegli esseri umani, così diversi per classe ed estrazione, accomunati dal desiderio di fare soldi facili, illudendosi che una notte e un paio di pugni dati nel modo giusto avrebbero potuto cambiato la loro condizione.
E la persona più propensa ad imbrigliare le spie dei cunicoli e dei viottoli dimenticati, dopo Donat, sarebbe stata certamente…
-Iviania.-
-Yuriy!- esclamò una voce femminile non appena la porta si fu richiusa, e una ragazza lo ebbe sotterrato in un abbraccio.
-Sapevo che con un lupo in giro era solo questione di tempo prima che arrivasse anche il branco. Quanto mi hai fatto aspettare?-
-Sei anni, ufficialmente. Ufficiosamente... ci siamo visti sotto ai vestiti diverse volte o sbaglio? L'ultima due anni fa.-
Iviania, detta Iva Papov, sorella maggiore di Ivan, più grande di otto anni: gli stessi capelli lisci, la stessa tinta color verde petrolio, la stessa lingua affilata e la stessa schiettezza nel colpire e affondare.
Bella come le volpi artiche e sfuggente altrettanto.
-E meno male, altrimenti avrei creduto a quel monaco di merda quando ha diffuso la notizia della tua morte.- quasi non sputò per terra.
-È questo che dice?- Yuriy non riuscì a capire perché, ma il saperlo gli crucciò qualcosa nel petto: come la testa di un fiore strappata bruscamente dal suo stelo.
-Ah, se dovessi tener conto di tutte le schifezze che dice...- Iva si gettò su un vecchio divano rossastro al cospetto di una grande finestra rettangolare, opaca e polverosa.  -Ma per un attimo a questa ci ho creduto. Non ti vedevo da due anni... è stato orribile pensare che fosse riuscito ad ucciderti. Credevo che dopo la tua fuga ti avrebbe lasciato perdere una volta per tutte.-
Yuriy si sedette accanto a lei, osservando come il tempo non l'avesse affatto cambiata, come le lentiggini sul naso alla francese -così in contrasto con il resto del suo essere- fulgevano come macchie di leopardo, e come i capelli fossero ancora più corti dell'ultima volta.
Un taglio da maschiaccio che metteva in bella vista il viso dai contorni definiti e gli occhi brillanti di un castano chiaro.
-Non è mai venuto a prenderti?-
-No. Non ancora almeno. Sai come gli sono sfuggita da sotto il naso la prima volta, quando prese Ivan.-
Come dimenticarlo.
Il piccolo Yuriy Ivanov di sei anni, già da un anno un animale in gabbia fra le spesse mura del monastero, ricorderà per sempre la notte che portarono Ivan Papov in quell’Inferno, e origliò involontariamente le voci concitate di alcuni uomini a guardia della sua cella (non era stato abbastanza veloce nella corsa della sera ed era stato punito) del nuovo arrivato e della sorella, venduti dalla zia che non poteva più tenerli con sé.
La sorella era scappata.
E chiunque avrebbe preso il primo treno, il primo pullman, persino un cavallo per andarsene il più lontano possibile da lì, dove per giorni la cercarono invano.
Ma lei era rimasta.
E Mosca aveva premiato la sua fedeltà.
S'era inserita negli ambienti in cui giravano i soldi sporchi, si era guadagnata la fiducia di persone più importanti di lei: capi di bande, escort di lusso, gioiellieri dalle dubbie attività, sino a ottenere la protezione di Egor l’Invisibile, il re di tutte le scommesse clandestine dell'epoca.
E quando siedi alla destra di chi detiene il monopolio dei combattimenti a Mosca... diventi un bersaglio difficile da puntare.
E Vorkov rinunciò al suo uccellino scaltro pensando che non ne valeva la pena, che mettersi contro i sobborghi di Mosca per una ragazza qualunque sarebbe stato sciocco e infantile.
Un cruccio che gli sarebbe passato col tempo, quello di essersela lasciata scappare come un teppistello alle prime armi, e doverla sapere comunque a gironzolare nella sua città.
Un cruccio che, Iva ne era certa, Vorkov non aveva mai dimenticato.
-Verrá. Non so quando né come, nè come farà a non scatenare una sommossa, visto che questo è il circolo clandestino più numeroso di Mosca, ma lo farà.-
Si alzó, aprí un piccolo frigorifero e ne tiró fuori due bottiglie di birra al limone.
-È tutto quello che ho, almeno fino a quando non riusciranno a far passare le nuove provviste.-
Yuriy prese la birra, ma continuò a seguirla con lo sguardo.
I Jeans neri attorno alle gambe sode erano sbiaditi e rotti, e non per un vezzo modaiolo. Ci avrebbe scommesso che era stata costretta a dileguarsi in fretta e furia più di una volta.
-Controlla il cibo?-
-Controlla qualsiasi cosa. Sacchi di patate, scatole di scarpe, buste di vestiti... E ne fa passare la metà. Qualunque cosa sia sospetta finisce al Monastero e chi la vede più, è un buco nero quell’ammasso di stronzi e pietra. Crede che ci siano nascoste armi all'interno.-
Le labbra screpolate di un rosa tenue come l'alba si chiusero attorno al collo verde della bottiglia.
-Ha ragione a crederlo, Iva?-
La ragazza si poggiò allo schienale, disegnando cerchi nell'aria.
-Probabile...- e sorrise, di quei sorrisi che il russo non era mai riuscito a fare, quelli larghi e sinceri di chi non ha nulla da nascondere. -È crudele e sadico e tutti i lati negativi che un essere umano può racchiudere in un unico corpo, ma non è stupido. Sa bene che qualcuno tenterà da un momento all'altro di rovesciare il suo regime. Sperava solo che quel qualcuno non fossi tu.-
Si inclinò in avanti e Yuriy potè contarle le lentiggini, scorgere i seni dalla scollatura della maglia larga.
-Mosca ricorda. Ed è pronta a saltargli al collo. C'è bisogno solo di una piccola spinta, di un obiettivo concreto. Di un leader.- I grandi occhi castani percorrono il viso del russo. Un orecchino danzò lievemente ad un lobo.
-Iva...-
-So cosa vuoi fare. So chi sei. Cazzo ti ho scopato più volte di quante ne possa ammettere.- ghignò, ma la leggerezza non raggiunse gli occhi. -E Dio solo sa quanto vorrei che fossi tu, Dio solo lo sa.- Strinse tra le mani la croce d'oro incastonata tra le clavicole.
-Iva, quanto è reale la possibilità di una rivolta?-
-Se Vorkov continua con questa simpatia... sarà realtà molto molto presto. Le cose sono cambiate.- continuò, abbassando la voce di qualche tacca come se i muri si fossero sporti per ascoltarla. -Sono peggiori dell'ultima volta. Bambini che scompaiono, persone che muoiono misteriosamente da un giorno all'altro, reclute sempre più numerose e più crudeli. Devi stare attento a ciò che dici, a ciò che fai… giri di malaffare con altri paesi passano tutti dalle sue mani, diffidenza che si diffonde come la Peste. Nessuno si fida più di nessuno, i fratelli denunciano i fratelli e i figli rinnegano i padri, tutti in cerca della salvezza o di uno sputo di potere aiutando gli scagnozzi di Vorkov o riunendosi in piccoli gruppi segreti per allentarne la presa. Ma non ci riusciranno.- Bevve un sorso di birra quasi con stizza, quasi che il retrogusto aspro del  limone potesse cancellare tutto lo schifo attorno.
-Siamo in un casino totale, ognuno pensa per sé e per il gruppetto fidato di cinque, sei persone, le rivalità interne fra i circoli impediscono qualunque collaborazione e non c'è n'è uno che riesca ad imporsi, a fare la voce grossa e a mettere d'accordo tutte queste teste di cazzo. Non hanno capito che l'unico motivo per il quale sono ancora in possesso dei loro giri di soldi è perché Vorkov glielo permette, e non perché sono tanto bravi a nasconderlo.-
Yuriy rimase in silenzio per degli attimi che sembravano già protendersi all'infinito.
Le dita affusolate ticchettarono sul collo della bottiglia con velocità meccanica e i suoi occhi riflessero un pensiero.
Un'ipotesi, che li oscurò.
-E se ci riuscissi io?-
-A fare cosa?-
-A metterli d'accordo.-
La ragazza mancò della prontezza che Yuriy si sarebbe aspettato da una che era riuscita a vivere dignitosamente da fuggiasca per quasi tutti i suoi 24 anni, ma non gliene fece una colpa.
Anche lui si era reso conto un attimo dopo averlo detto, di ciò che era uscito dalla sua bocca.
Di ciò che significava.
-Se le antiche storie fossero vere... potremmo avere una possibilità.-
E quando Iva si raddrizzó, scollandosi dallo schienale del divano con la consapevolezza che le rovinava nelle vene, seppe che l'aveva capito anche lei.
-Yuriy... stronzo di un lupo, quella leggenda sul fuoco, sul vento e sul ghiaccio e altre schifezzuole simili gira a Mosca da un po' di tempo. Crediamo che Vorkov abbia tentato di uccidervi quando ne è venuto a conoscenza. Potrebbe essere vera? Potresti essere tu??-
Iva posò a terra la bottiglia, alzandosi in un impeto febbrile.
-Sono cosa vuoi fare. So chi sei. Cazzo ti ho scopato più volte di quante ne possa ammettere.- ghignò, ma l'ironia non raggiunse gli occhi. -E Dio solo sa quanto vorrei che fossi tu. Dio solo lo sa.- strinse tra le mani la croce d'oro incastonata tra le clavicole sporgenti.
-Ma pensaci bene. Molto bene Yuriy. C'è gente fedele al suo servizio, gente a cui ho visto fare cose atroci in nome delle promesse di Vorkov. Gente che persino io riesco solo a immaginare cosa farebbe con la tua testa, se le cose andassero male.-
-Hai paura Papov?- rispose il ragazzo, sollevandosi a sua volta. Un angolo delle labbra tentò di evocare un mezzo sorriso, che si accartocciò su se stesso.
Come si allentava una tensione del genere?
-Per te, Yuriy. Ho una fottutissima paura che appenda la tua testa sopra al camino come si fa con gli animali selvatici.-
-Borja ha ragione.- disse, e il mento si sollevò involontariamente, la testa si fece più ferma e la vena sul collo si mostrò in rilievo. -Ha tentato di uccidermi, lo farà ancora. Ma se vuole la testa del lupo della steppa dovrà impegnarsi di più, e dovrà sudare per averla.-
E allora Iva ricordò perché.
Perché suo fratello lo ammirava più di qualsiasi altra persone, perché Boris e Serjei sarebbero morti per lui, perché nei vicoli di Mosca il vento sussurrava il suo nome.
Perché aveva quell'aria di assoluta certezza, la determinazione che accendeva micce alle bombe nella sua testa e lo sguardo risoluto di chi è stato spinto a forza tra i lupi e ne è tornato capobranco.
Nonostante gli anni in fuga, nonostante Vladimir Vorkov tenesse in scacco il mondo, non era facile dimenticare occhi come i suoi.
Non lo faceva apposta, non era come quell'altro, quell'Hiwatari, naturalmente incline alla teatralità della forza; Yuriy non voleva attenzione, né responsabilità. Non avrebbe voluto neanche questa guerra.
Ma alla fine era stato forgiato per questo, per la guerra, per la grandezza che non aveva mai saputo indossare, ma che lo seguiva come un'amante gelosa.
E se la leggenda fosse stata vera... Vorkov avrebbe fatto meglio a gettarlo in pasto ai serpenti che teneva nascosti nelle profondità del Monastero molti anni fa.
Iva annuì.
-Mosca ricorda. Ed è pronta a saltargli al collo.- I grandi occhi castani percorsero il viso del russo. -È pronta a seguirti.-
-Tu lo farai?-
Un orecchino le dondolò lievemente a un lobo.
-Do kontsa zimy.-
“Fino alla fine dell’Inverno”
Così si faceva da quelle parti per giurare lealtà, fino alla fine dellInverno
poichè si diceva che in Russia l’Inverno non finisse mai.
Lei fece un passo avanti.
-Devo diffondere la voce che i lupi sono tornati?-
-No, non ancora. Potremmo avere la necessità di fare altre cose in segreto in città. Per il momento limitati a capire di chi possiamo fidarci. Cerca tra chi ha perso qualcosa a causa di Vorkov, punta su chi vuole vendetta. Sai bene che non c'è nulla più potente di questo.-
-Mmm...- Iva prese mentalmente nota, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla cicatrice sulla clavicola destra del ragazzo, una sottile linea traslucida di sette centimetri.
Ricordava che era sempre stata lì, ma adesso ammiccò con più prepotenza, come se anche lei volesse spingersi più in là, oltre la linea di non ritorno.
Come se volesse ricordare loro cosa Vladimir Vorkov era capace di fare.
-E puoi dire ad Ivan di farsi vivo? Se i lupi sono tornati è bene che torni anche lui. Lo aspetto nel covo del vecchio pennuto, tu digli così, capirà.- disse, con l’ironia in gola.
-Il covo... guarda, non ti chiedo neanche spiegazioni. Conoscendo te e mio fratello avrei gl'incubi fino alla fine del mondo.-
E stava per aggiungere qualcosa, su come la fine del mondo sembrasse molto meno una canzone di Lana del Rey e molto più un qualcosa che poteva avverarsi da un giorno all'altro.
La ragazza osservò il profilo di Yuiry e ne seguì le fattezze; prese tra le dita una ciocca di capelli e la fece ricadere davanti al viso, come era solito portarli in altri tempi.
-Mi piaci biondo. Certo, non è la stessa cosa, ma... ti scoperei ugualmente.-
Questa volta gli angoli della bocca di Yuriy si curvarono davvero all'insù.
E stava per aggiungere qualcosa quando la porta venne spalancata violentemente, soffrendo sui cardini.
Sulla soglia stava Boris.
-Speravo proprio di non trovarvi impegnati di una delle impossibili posizioni del Kamasutra che sapete fare solo voi, dobbiamo muoverci.-

 
***


-Lyubov'!-
Julia capí che non era stata una mossa astuta nell'attimo in cui una voce, chiaramente maschile, chiaramente impaziente, la chiamò da lontano, come si farebbe con un cane.
La madrilena non sapeva cosa significasse, né perché la lingua russa le sembrasse improvvisamente rozza e cavernosa, ma accelerò il passo, d'istinto come d'istinto avrebbe fatto una cerva con un fucile puntato al cuore.
-Kukla...- il cuore in gola era lo stesso. L'occhio che prendeva la mira, lo stesso.
-Kukla ne ubegayte!-
Strinse i pugni ma allungó le gambe.
Sperava solo che questo suo accenno di orgoglio non fosse la fierezza della preda prima di venire abbattuta.
Julia Fernandez non era abituata a essere preda.
Julia Fernandez credeva di poter dominare Mosca e le sue strade nascoste, dove persino le lame di vento tagliente cessavano di spaccarti la pelle perché a raffreddare gli animi ci pensavano occhi di uomini famelici e affari loschi malcelati.
Julia Fernandez si sbagliava.
Un secondo uomo le comparve davanti, sbucando come un ratto grosso e affamato da un'insenatura laterale.
"Come ha fatto a passare da lì? È impossibile!" sbraitarono i pensieri della ragazza mentre indietreggiava.
Ma sembrava che i moscoviti avessero un modo tutto loro per muoversi in questa cittá nata dal gelo.
-Privet ... eto ne russkiy.- e sorrise, mostrandole i denti giallastri.
Julia sentí altri passi ostacolarle la fuga e il respiro.
Non osò voltarsi indietro.
-Mozhet, eto kubintsy? Ili frantsuzskaya devushka ...-
-Vy kubintsy?-
Se avesse potuto urlare, l'avrebbe fatto.
L'avevano circondata e stretta al muro alle sue spalle, su quei vecchi ciottoli dimenticati da Dio.
Ma Julia non era una che urlava.
E se lo faceva, era per insultarti.
-Fuck off piece of shit!- strepitò, come una lince dal pelo ritto e i denti in mostra.
Ma si sa, neanche una lince può avere la meglio su un branco di iene a digiuno.
Due... tre... forse quattro.
E quello con gli occhi grigi le ghermì il viso con le unghie, tenendolo come si tiene una noce di cocco prima di spaccarla in due.
E Julia reagì mollandogli un calcio in mezzo alle gambe e spaccando non una, ma ben due noci di cocco.
L'uomo si prostrò a terra dal dolore, tirando pugni all'aria, guaendo e ringhiando con egual impeto.
-Suka...- soffiò tra gli incisivi, -shlyukha chertova shlyukha.-
"Troia, fottuta troia."
L'avrebbe pagata cara.
Se ne accorse quando un braccio la sbattè al muro, una mano giovane le afferró un polso e lei, nella foga di respingerlo e lui in quello di trattenerla, lo taglió contro la pietra grezza, strisciandocelo come se fosse stato uno strofinaccio e non la sua carne.
Aveva il respiro del ragazzo sulla faccia, caldo e ansante, preludio di quello che stava per succedere.
I suoi occhi scuri la vedevano già nuda.
Julia lo guardò con disprezzo e il giovane sorrise, afferrandole una ciocca di capelli e annusandola come un mastino.
Una delle sue mani era quasi sulla sua bocca, un'altra più grossa e venosa spuntata da chi sa dove le strappó il cappotto in due, facendo saltare tutti i bottoni.
-Teper'..-
-..delat dobro'-
-Stop it.-
I tre si voltarono.
Il più giovane che la teneva inchiodata al muro abbassó la mano con cui non era arrivato a zittirla, ma non si volse subito. Si premuró di imprimersi nella mente il viso di lei, del colore esotico e lontano delle dune di sabbia baciate dal sole, e di come gli occhi verdi le si spalancarono al suono di quella voce.
-Who is he? Your boyfriend?-
L’uomo con la mano ancora fra le cosce era livido.
Se la sarebbe fatta, in un modo o nell'altro avrebbe dimostrato a questa sgualdrina che il suo calcio non era servito a renderlo "inutilizzabile", che la sua virilità non avrebbe potuto scalfirla una zoccola qualunque.
Ma Julia non ne era più così sicura.
Il corpo del nuovo arrivato non aveva niente di ciò che la postura degli esseri umani diventa quando avvertono il pericolo, e nei suoi occhi non vi era la più piccola traccia di quel Settembre, troppo mite, troppo clemente.
Troppo caldo.
Non c'era vento in quel vicolo ma Julia avvertì inaspettatamente freddo.
Un freddo in cui avrebbe danzato per l'eternità.
-Who the fuck are you?-
-The question is... who do you think you are to hunting a lady like that?-
 in un americano perfetto.*
I quattro sghignazzarono sguaiatamente.
-Noi siamo i padroni di questo quartiere. Scappa puttanella, e nessuno ti farà del male.-
Il loro accento russo gravava sulle parole come una mannaia.
-Siamo i lupi della città.-
Ma il più piccolo si allontanò da Julia, meno ironico degli altri tre.
-Tornatene nel paese da dove sei venuto. Questo non è posto per fighette delicate come te.-
Gli occhi di Julia erano palline da tennis, volavano dall'uno all'altro con velocità supersonica.
-Oppure?-
-Oppure ti prendiamo a calci fino alla foresta e lasciamo che i lupi facciano il resto.-
Nulla lasciava intendere che stesse per succedere qualcosa, tranne il modo in cui Yuriy inarcò il sopracciglio.
Sul suo viso tagliente, parve ancora più delicato. 
Come i coltelli di ceramica che la nonna di Julia chiudeva nella cristalliera quando era piccola.
Lei aveva sempre pensato che fossero lì solo per la loro bellezza, per la raffinatezza delle rose che vi erano dipinte a mano sopra, una per una, con cura.
Fino a quando non ne aveva toccato uno, il più bello, il più lucido di tutti, e aveva scoperto che la sua lama tagliava più in profondità di qualsiasi altro coltello da cucina.
Alla spagnola venne spontaneo dirlo.
Immobile, braccata, tesa come la corda di un violino, la schiena rigida e le gambe di sale, schiuse le labbra e quello che disse le sembrò la cosa più naturale del mondo.
-I lupi non uccidono i lupi.-
-Che cazzo stai dice..-
E un’altra voce.
-Ma i lupi uccidono le pecore.-
Gli fu addosso, in un attimo.
Il tempo di un respiro e il giovane stava belando come una pecora, con un rivolo di sangue a imbrattargli l’occhio.
Forse ci aveva infilato le dita dentro.
Il grosso dagli occhi grigi cercò di sorprenderlo da dietro, Yuriy gli torse il braccio con la freddezza di un sicario.
-Kto volk?- chiese, e un inquietante "crack" fece da colonna sonora alle sue parole.
Lo stesso crack del naso di quello che aveva tentato di colpirlo alla nuca, lo stesso squarcio che disegnava giochi concentrici sullo zigomo del terzo.
Quattro contro uno ma uno era un lupo, e aveva le nocche sporche della loro strafottenza.
Un altro pugno. Un altro lamento.
Occhi Grigi lo abbracciò, serrandogli le braccia contro il corpo. Era il doppio del ragazzo.
Yuriy sorrise.
Julia sì, ora urlò.
Lui scattò con la testa all'indietro, il cranio cozzò con violenza contro il volto dell'uomo riducendogli il setto nasale ad una poltiglia sanguinolenta.
Quello barcollò, ruggendo di dolore e Yuriy gli afferrò nuovamente il braccio, nello stesso punto, torcendolo come prima. E pose la stessa domanda.
-Kto volk?-
"Chi è il lupo?"
L'uomo sputò qualcosa tra i denti e lui gli portò il braccio ancora più dietro, piegandogli la schiena.
-Net... net pozhaluysta...- piagnucolò. -...ti prego..-
Gli altri fecero un passo indietro.
Julia, in quel momento, avrebbe voluto che lo lasciasse.
Il tipo era un porco, gli altri dei maiali, ma quello che vide negli occhi di Yuriy e nel sangue incastrato sotto le unghie e nella voce dura che sembrò provenire da un altro tempo la spaventarono di più.
Il russo strinse ancor di più la presa sul braccio, vi affondò i polpastrelli, sollevò gli occhi, guardò gli altri tre dritti in faccia… e glielo spezzò.
Quelli trasalirono.
Julia sussultò.
Nessuno, in quel vicolo sporco, ebbe più dubbi su "chi fosse il lupo."
L'attimo dopo non c'erano già più.
L'attimo dopo ancora anche il quarto era scomparso, con un braccio ciondolante e inerme, le guance umide di lacrime e lo sguardo attonito.
-Vieni. Veloce. Abbiamo attirato troppo l'attenzione.-
Ma la ragazza non si mosse.
-Julia.- la guardò.
Julia era ancorata al muro, come se fosse stato l'unica casella del prato fiorito a non nascondere una bomba.
Come se il ghiaccio si potesse spezzare anche a camminarci sopra in punta di piedi.
Un clacson suonò alla fine della stradina, fermandosi con una sgommata su quella principale.
Attraverso la strettoia tra i due muri si scorgeva una porzione di finestrino.
La spagnola si riscosse e si raddrizzò, stringendosi sul corpo il cappotto ormai impossibile da abbottonare.
S’incamminò verso l'auto e aprì lo sportello posteriore, ricordandosi solo allora del polso martoriato.
Si issò sui sedili e Yuriy entrò velocemente dietro di lei.
Boris partì a tutto gas.
-Beh, non mi dite niente? Guardate con che gioiellino vi sono venuto a prendere. E in fretta e furia aggiungerei, considerando il modo in cui "io non dovevo farmi riconoscere".-
-Ho... non...- Julia prese un respiro, stringendo le mani sulle cosce. -Non... sarei dovuta andare in giro da sola... credevo di aver sentito qualcosa... di utile ecco. Qualcuno parlava di te... Boris.-
La tensione era ancora condensata a grappoli nel suo petto, le mani non smettevano di tremare e il respiro si perdeva da qualche parte fra stomaco, polmoni e tonsille, ma per il resto si rese conto che l’episodio non l’aveva prostrata più di quanto avesse dovuto.
Non aveva conati di vomito, né emicranie da capogiro.
Non guardava oltre la propria spalla per accertarsi che nessuno la stesse seguendo.
Non avrebbe dormito per un paio di notti, ecco tutto.
Sarebbe andata giù di quegli intrugli rilassanti che Mao le dettava maniacalmente dalla Cina attraverso Skype per una settimana, sarebbe uscita in compagnia per i prossimi tre giorni e poi niente, come al solito.
Vivere una vita da soli, crescere da soli, vagare nel cuore dell’Europa con la sola presenza certa di tuo fratello e poche altre persone scelte e essere incappata in esperienze simili più di una volta in città diverse con uomini tutti uguali avevano dato i loro frutti.
Imparare a vivere o imparare ad accettare la vita.
Osservò distrattamente gli interni in pelle beige della macchina, una Volvo ultimo modello, e commentò con un -L'hai comprata?- carico di aspettative.
-L'ho rubata.-
-Ah.-
Appunto.
-Tu, in ogni caso, non avresti dovuto perderla di vista.- disse Yuriy, con la faccia verso il finestrino. Neanche con il vetro a schiacciargli il respiro si attenuò quella lastra di gelo che stava al di sotto delle sue parole.
-Eh, lo so Yuriy. Fatto sta che la signorinella qui presente è sgattaiolata via come un'ombra, capiscimi. Ah.- mise le mani nelle tasche dei jeans scuri e ne tirò fuori una spessa mazzetta di banconote. Fece a metà e ne lanciò una al compagno continuando a guardare la strada.
-I soldi del combattimento.-
Yuriy li mise in una delle tasche del giaccone di Kai senza guardarli.
Non guardava mai due volte la stessa cosa.
Altre, neanche una.
Ma guardò Julia, e fu la terza volta della giornata.
E poi il suo polso.
-Sanguini.-
Anche lei lo guardò, realizzando solo allora che bruciava un botto.
-Non è niente.-
I primi due strati di pelle erano praticamente svaniti dove il tipo le aveva sfregato il polso nel tentativo di immobilizzarla e polvere e sporco si annidavano tra il sangue e la ferita come piccoli insetti neri.
-Se non la disinfetti si formerà un'infezione.-
-Come faccio? Non ho disinfettante nella borsetta. Anzi, non ho neanche la borsetta.-
-Borja, accelera. Troviamo una farmacia prima di uscire da Mosca poi andiamo di filato verso il lato ovest del fiume, quello dove ci facevano allenare, aggiriamolo e fermiamoci sulla sinistra, accanto agli alberi. Lì ci mettiamo sul jet di Jürgens e voliamo via da qui il prima possibile.-
Boris fece il cenno dei soldati sulla fronte, spingendo sull'acceleratore.
-Ralph Jürgens eh... quel simpaticone. Come mai cotanto galantomismo?- chiese, ridendosela allegramente.
-Perchè altrimenti Daichi gli avrebbe messo la tinta per capelli di Olivier nel tubetto dello shampoo.-
-HAHAHAHAHAHAHAHA!- questa volta Boris spalancò le fauci per mostrare il suo signorile giubilo.
Julia, suo malgrado, accennò un sorriso.
-Comunque, bentornato Yura. In realtà era da un po’ che ti aspettavo, quasi quasi temevo che fossi diventato davvero un agnellino impaurito.-
-Un agnellino io, Borja? Se ci fossi riuscito probabilmente non ci avrebbero definito un… com’è che hanno detto il tedesco e lo scozzese?
-Jürgens e McGregor? Cito fedelmente…- Julia si schiarì la gola con aria solenne, - “sono dei disadattati instabili con problemi di controllo della rabbia cresciuti in gabbia come le belve che devono diventare feroci.”-
-Carino.- Boris sorrise. –Quanti complimenti tutti in una volta, potrei arrossire.-
-Frena la furia omicida orca assassina, quei due tizi ci serviranno se vogliamo andare fino in fondo, purtroppo.- osservò l'altro.
-Che cazzo… oh no, oh no, dannazione non ci avevo mica pensato! Che palle megagalattiche…-
Julia sentì il suono di uno squarcio e si voltò, notando che Yuriy aveva strappato una striscia di stoffa dalla sua maglietta e che stava per afferrarle il polso.
Ma si fermò a metà strada.
Lei alzò lo sguardo, ma lui non fece lo stesso.
Allora la ragazza lo avvicinò alle sue mani e lui lo avvolse nella benda improvvisata.
Nella mente di Julia le immagini di poco prima si affollavano ancora l'una sull'altra, accavallandosi e scontrandosi, restituendole brevi sprazzi di gemiti, pugni e sangue.
E il sorriso di Yuriy, dell'uomo che le stava fermando lo stesso sangue, con il volto impassibile e le dita leggere.
Le stesse dita che avevano artigliato quel braccio come le unghie di un'aquila.
La fasció in modo rapido, con gesti meccanici e precisi, annodandola saldamente, come chi è abituato a farlo.
Quel sorriso non lo avrebbe mai scordato.
Non era stato feroce come i suoi calci, né impietoso come la sua voce, ma del più assoluto godimento.
Come un orgasmo.
Come se non avesse aspettato altro che uno di loro riuscisse a toccarlo, a placcarlo, per mostrare cosa succede quando si cerca di mettere il collare a un predatore.
Però doveva dirglielo.
Perché se non fosse stato per lui ora non sarebbe stata lí a pensarci.
- Spasibo.*-
Yuriy annuì una volta, tornando a fissare il vuoto oltre il finestrino.



 


 
 *Yastreb (
ястреб): Falco in russo.

*Spasibo (спасибо): Grazie

*In un americano perfetto perché, ricordo, Yuriy è rimasto 6 anni a Toronto, in Canada, nel lasso di tempo tra la fine della terza stagione (scontro con Vorkov e la BEGA) e l'inizio della mia fanfiction.


//SPAZIO AUTORE:
pin: Ciao pin, sono Pachiderma Anarchico, come va? Sono lieta che tu abbia voluto lasciarmi una recensione, fa sempre piacere sapere che la storia piace. 
Mi auguro che continui ad essere di tuo gradimento in questo "futuro post apocalittico", come l'hai definito perfettamente tu. 
Alla prossima, e grazie!
Pachiderma Anarchico

 
BenHuznestova: Ciao BenHuznestova, sono io che devo ringraziare te che hai trovato il tempo e la voglia di scrivere una recensione. 
Già, i temi cupi, tragici, problematici e nei quali non vedi la felicità neanche a guardarla con il cannocchiale sono decisamente i miei pilastri portanti, assieme allo stile di scrittura contorto che non facilità affatto il tutto, ma spero ti possa entusiasmare ancora con i prossimi capitoli.
Grazie e a presto!
Pachiderma Anarchico

 

Che ne pensate di Bill Skarsgård per Yuriy?
Non avrei mai creduto di trovare una persona reale per uno dei miei personaggi preferiti in assoluto di tutti gli anime, ma ecco che compare l'attore svedese a venirmi in soccorso.
Non so, probabilmente per il suo sembrare ermetico, aggressivo e vulnerabile allo stesso tempo e per il visino nordico e elegante. 
Fate un po' voi.
Ho modificato le foto sotto per farvelo immaginare con i capelli rossi e gli occhi di ghiaccio, un "photoshop" molto blando perchè non sono capace di altro.
Ovviamente voi pensatevelo come volete, se Bill non vi piace per Yuriy o vi destabilizzo l'immaginazione ignorate pure quest'ultima parte. :D

Se invece volete vederlo in versione anime scorrete giù.
 






Questo disegno l'ho trovato su Tumblr e non è di mia proprietà nè tantomeno di mia creazione (sapessi disegnare), sull'immagini trovate tutti i crediti.

Mi riservo il diritto di far crescere o tagliare capelli, fare tatuaggi e\o piercing ai personaggi nella storia e, come ben sapete, cambiare colore ai capelli dei nostri eroi. xD
Okay, vi ho rimbambiti a sufficienza, ho inserito un trilione di immagini, scappo. (Mi auguro che tutto ciò non pesi come un macigno sulla memoria del server di EFP.) 
Ai prossimi capitoli!
(Sperando di avere un governo nel frattempo.)

Pachiderma Anarchico.
 
 
  
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