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Autore: Sanae77    31/05/2018    10 recensioni
Tutti pronti per i mondiali del 2018?
No?
I nostri campioni invece lo sono, o lo saranno (si spera).
Prima dovranno andare in ritiro e il capitano, purtroppo, non è molto in forma.
Insieme scopriremo che cosa lo disturba. ;-)
Ho il piacere di annunciare che la storia è stata tradotta da Lyra Nym in spagnolo
https://www.fanfiction.net/s/13826347/1/Rusia-2018-Entre-sue%C3%B1o-y-realidad
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Azumi Hayakawa, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
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Parigi

Era l’ultima sera che trascorreva con sua moglie, poi si sarebbero rivisti a Tokyo per i mondiali, e non aveva davvero intenzione di trascorrere la notte dormendo, lo avrebbe fatto l’indomani sull’aereo. Aveva voglia di sentire il corpo morbido di lei sotto di sé e per questo era la terza volta che la cercava tra le lenzuola.
“Taro, basta, per favore.” Sussurrò la donna quando lo aveva sentito avvicinarsi e le sue braccia l’avevano circondata da dietro, facendole avvertire il sesso turgido.
Con le dita, Taro le scostò i capelli dal collo e prese a baciarla lì, nell’incavo tra la spalla e l’orecchio. I denti sul lobo non le fecero trattenere un ansito di piacere.
“Azumi, staremo lontani almeno un mese, per non parlare poi dei giorni in cui disputeremo i mondiali; è lungo un mese, sai?”
Ridacchiò, continuando a baciarla.
“Qua è già una decina di giorni che stiamo facendo i recuperi e i tempi supplementari, mi pare.” Voltandosi tra le braccia del marito, Azumi lo ebbe di fronte. Al tenue bagliore della lucina di cortesia, che tenevano in camera per essere liberi di alzarsi nella notte, ne intravide i contorni del viso e prese a baciargli le morbide labbra.
“Potremmo tentare i calci di rigore.” Ironizzò lui, continuando a vagare con le dita tra le scapole e il seno. Ne toccò uno delicatamente per poi proseguire la sua corsa verso le cosce e tra di esse.
Quando attraversò la linea della vita lei rise, aveva sempre sofferto il solletico in quel punto. Ma questi si spensero quando la mano raggiunse il centro del piacere e prese a stimolarlo senza tregua.
Poi quel grido improvviso e inconsolabile squarciò la notte.
Azumi s’irrigidì e schizzò fuori dal letto come una scheggia impazzita. Afferrò la vestaglia al volo e, sfruttando la lucina, si diresse nella camera della bambina. Quando Desirée piangeva in quel modo era opportuno intervenire al più presto, se non volevano che anche i vicini venissero destati dalle sue urla.
Taro spalancò le braccia, sbuffando. Quella piccola adorabile canaglia da quattro anni impegnava la loro vita a trecentosessanta gradi. Da quando era arrivata, la loro tranquillità aveva assunto le sfumature del rosa. Desirée era arrivata dopo un anno di tentativi. Ricordò con piacere quel periodo, ringraziando mentalmente la figlia. Ed era stato un periodo fantastico perché, dopo lo Jubilo Iwata, il suo procuratore gli aveva assicurato un ottimo ingaggio in Francia nel Paris Saint Germain, lì aveva incontrato nuovamente Azumi e, dopo essersi frequentati per un paio di anni, avevano deciso di convolare a nozze. Un anno dopo era arrivata la piccola peste.
Si alzò e, dopo aver infilato una maglia e il pantalone della tuta, andò nella cameretta della figlia per vedere se la moglie avesse bisogno d’aiuto.
Quando udì il leggero rumore prodotto dalla sedia a dondolo restò incantato a guardarle, appoggiato allo stipite della porta. Un primo raggio di sole si palesò all’orizzonte. Sollevò il braccio e osservò l’ora. Erano le 6:07 in punto. Desirée era tanto precisa da poter essere utilizzata come sveglia. Sorrise e avanzò verso le sue donne, diede loro un bacio sulla testa e andò a prepararsi; tra tre ore doveva essere all’aeroporto.
Sistemò la divisa ufficiale, qualche tuta e dei completi eleganti dentro la valigia, poi afferrò le cerniere e le chiuse. Azumi gli arrivò alle spalle e lo circondò da dietro, stringendolo al petto.
“Mi mancherai” mormorò, con le labbra incollate al centro delle scapole, poco sotto l’attaccatura del collo.
Il caldo del respiro gli trapassò anche la giacca d’ordinanza, facendolo rabbrividire.
Sciogliendosi da quell’abbraccio, Taro si girò su se stesso e la strinse.
Dopo essersi coccolati per qualche istante, i saluti finali furono inevitabili se non voleva perdere l’aereo.
“Fate le brave” si raccomandò il numero undici della nazionale, indicando con un impercettibile movimento della testa la camera della figlioletta.
“Sai che quando non ci sei non si sveglia mai? Sarà bravissima, ne sono certa.”
“Lo credo bene, dorme al mio posto, la piccola vipera, ma me ne ricorderò quando avrà il ragazzino, stanne certa.”
“Sei geloso, Misaki, confessalo!”
“Da impazzire.” E, regalandole un ultimo bacio, scese per prendere il taxi che lo avrebbe condotto al gate.
Lui e Tsubasa avevano deciso di partire dalla Germania insieme a Genzo.
Nessuno dei tre aveva voglia di farsi il viaggio intercontinentale da solo, così avevano trovato questa soluzione.
Il cellulare iniziò a lampeggiare; in anteprima vide la notifica di Whatsapp di Ozora. Compose la password e aprì la chat. Dovette inclinare prima la testa a destra e poi a sinistra per capire in che diavolo di posizione stessero dormendo i gemelli. Sorrise all’immagine inviatagli dall’amico e scrisse un messaggio veloce.


 

Storse la bocca osservando i messaggi sempre più brevi di Tsubasa. Aveva anche smesso di fargli i vocali, riducendo al minimo le conversazioni. Avevano un mese di fronte a loro e lui ne avrebbe approfittato per sviscerare cosa lo turbasse. Aveva saputo da Azumi, che lo aveva saputo da Sanae, che il numero dieci dormiva male ultimamente. Lui se n’era reso conto invece dalle pagelle calcistiche: c’era stato un declino progressivo e impercettibile. Le immagini dei giornali riportavano sempre un Tsubasa sorridente ma, lui lo conosceva benissimo, quegli occhi cerchiati non gli erano certo sfuggiti.
Sarebbe arrivato circa un’ora prima di Ozora e ne avrebbe parlato con Genzo, voleva capire se anche il portiere avesse avuto le sue stesse impressioni o se lui si fosse semplicemente immaginato tutto.
Quando scese dall’aereo la hostess gli indicò la saletta riservata alla prima classe dove Genzo, era sicuro, lo stesse già aspettando.
Ravvivati i capelli e indossati gli occhiali da sole, per non farsi riconoscere, si avviò verso la nuova destinazione.
Wakabayashi, avvolto nell’impeccabile completo della nazionale, indossava a sua volta un paio di occhiali scuri. Da lontano gli vide alzare una mano in segno di saluto, che contraccambiò con un cenno della testa.
Quando furono vicini, si scambiarono un abbraccio e varie pacche sulle spalle.
“Taro, la vipera come sta?”
“Come sempre puntuale come un orologio svizzero, che vuoi farci?” rispose il numero undici, sollevando le spalle.
“Vuoi farmi credere che tutte le mattine continua a strillare in quel modo alle 6:07?” lo stupore sul volto del portiere fece sorridere Misaki. Immaginò che fosse difficile per Genzo credere che dopo un anno dall’invito a casa sua Desirée ancora non avesse smesso quella bizzarra abitudine. Oramai tutta la nazionale lo sapeva e anche i giornali di gossip, tanto che ne avevano tirato fuori pure un articolo divertente. La viperetta aveva già conquistato il cuore delle cronache calcistiche. Fortuna che Misaki non aveva avuto problemi in campo, altrimenti, era certo, avrebbero dato la colpa alla bambina.
“Già, sembra incredibile, ma è così” il tono contrariato di Taro gli fece intendere che forse era meglio cambiare argomento.
“Capisco. Cosa ne pensi delle convocazioni in nazionale?”
“Ecco, a proposito di questo, volevo chiederti una cosa” e, dopo averlo preso sotto braccio, si spostarono in direzione della saletta privata, mettendosi in attesa di Ozora.
“Hai visto le ultime pagelle di Tsubasa?” chiese, scrutando la reazione di Genzo.
“Sì, le ho viste, sono ottime, ma non eccellenti come suo solito.”
“Esatto, sono mesi che non lo vedo, ma Sanae ha detto che ultimamente non riposa bene; tu ne sai nulla?”
Il portiere scosse la testa. Aveva sentito Tsubasa al telefono e non aveva carpito chissà quali problemi. Infatti tutte le volte che leggeva gli articoli dei giornali calcistici, le pagelle o le varie opinioni poi andava sempre a sincerarsi del tutto, ricercando i video delle partite.
E tutte le volte aveva constatato che quello che veniva detto e votato era esatto. Ozora era un gran talento, come pochi se ne vedevano in giro, ma negli ultimi mesi era sbadato, sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno in campo. Come se gli mancasse un pezzo.
“Io lo vedo distratto” sentenziò il portiere.
“Mh-mh, non saprei definire il problema, ma è come se gli mancasse qualcosa mentre gioca, non lo avevo mai visto così – con le dita, Taro si massaggiò il mento, pensieroso – comunque ho intenzione di parlarci durante il prossimo volo.” Affermò convinto.
“Ottima idea, sull’aereo non può certo sottrarsi a un buon interrogatorio.”
Taro sorrise per il sarcasmo dell’amico poi gli afferrò un braccio.
“Questo mondiale forse è l’ultimo che giochiamo insieme, vorrei vincerlo e non vorrei che ci fossero dei problemi, il nostro capitano deve essere al massimo della forma.”
“Concordo!” esclamò Genzo convinto. Si alzò e con un braccio indicò verso la porta. “Parli del diavolo…”




Un grazie speciale a Guiky che, seguendo i miei scleri giornalieri, mi asseconda improvvisandosi Tsubasa e scambianto messaggi su WhatsApp con me.
Tocchiamo livelli psicotici altissimi sappiatelo!
Grazie betuccia mia *_*
   
 
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