Per gli
abitanti di Fagianolandia, una ridente valle ricca di fiumi e
circondata da
dolci colline, quell’estate era stata benedetta da un sole
sufficiente a far
maturare il grano e della sporadica pioggia che aveva scongiurato lo
spauracchio della siccità. La sera in cui si svolge la
nostra storia, però, il
cielo non si limitò a dispensare qualche goccia gentile. Un
temporale estivo
come ne capita solo una volta l’anno, violento e tremebondo,
con plumbee nuvole
color ardesia che gravavano minacciose sui tetti mentre
l’acqua cadeva a
secchiate, alimentata da raffiche di vento in grado di far piegare le
cime
degli alberi e divellerne non pochi, si abbatté improvvisa
su Fagianolandia e
sui villaggi della contea.
Fu proprio
in uno di questi villaggi che, una volta placatasi l’ira
degli elementi, giunse
un orso bruno. La sua folta pelliccia era lucida di pioggia. La mole,
benché
non particolarmente imponente, era distribuita su due zampe invece che
su
quattro. A giudicare dallo scarso strato di grasso che lo ricopriva e
dalla
forma del muso, si poteva dedurre senza sforzo la giovane
età dell’orso. Aveva
occhi molto dolci, di un nero screziato, e artigli ancora poco
sviluppati. Nonostante
la generale mitezza che traspariva dalla sua andatura tranquilla e
dalle tenere
orecchie che gli adornavano la sommità del capo, era pur
sempre un animale
selvatico. Così gli abitanti del villaggio, come videro
quella sagoma scura e
pelosa avanzare verso il centro cittadino, se la diedero a gambe e
corsero a
barricarsi dentro le rispettive case, sbarrando porte e finestre in
preda ad
un’isteria collettiva davvero buffa.
Il giovane
orso, il cui nome era Jongin, assistette perplesso al fuggi fuggi
generale. Nondimeno,
consapevole che la sua specie avrebbe reso se non altro diffidente
anche
l’essere più ottimista del mondo,
sistemò la pesante bisaccia che teneva appesa
ad una spalla e, sospirando, si fermò davanti alla prima
casetta che trovò sul
suo cammino. Bussò.
“Chi
mi
cerca?” domandò una voce stridente, quasi
strozzata.
“Sono
un
viandante e cerco riparo per la notte. Il temporale mi ha colto di
sorpresa,
stanotte farà troppo freddo perché io possa
dormire all’aperto come mio solito”
spiegò Jongin. “Se potessi offrirmi una coperta ed
un posto alla tua tavola, te
ne sarei davvero grato”.
Il
proprietario dell’abitazione si affacciò alla
finestra. Era un galletto dal
piumaggio bianco neve, con cresta e bargiglio di un rosso acceso.
“Non esiterei
a farti entrare, se tu non fossi un orso”
chiocciò.
“Purtroppo
non posso cambiare ciò che sono”
replicò sagacemente l’altro. “Tuttavia
comprendo il tuo rifiuto. Posso chiederti un semplice piatto di
minestra, o
qualsiasi pietanza tu abbia in pentola per la cena? Del cibo caldo mi
sarebbe
di grande aiuto per combattere l’umidità
notturna”.
“Ti
ripeto,
orso, che non esiterei a venirti incontro se tu non fossi un predatore
carnivoro. Chi mi assicura che non approfitteresti della mia
generosità per
papparmi in un sol boccone?” gli occhietti acuti del gallo si
assottigliarono,
sospettosi. “Nella mia condizione, se solo mi convincessi ad
aprire la porta o
a passarti del cibo dalla finestra metterei a repentaglio la mia vita.
Sei
forte e pericoloso. Non posso fidarmi di te, mi dispiace”
concluse.
Jongin
annuì
gravemente. “Capisco” disse, e non aggiunse altro.
Con somma pazienza si recò
presso ogni casa, bussando e chiedendo asilo. La risposta fu sempre
negativa, e
le motivazioni addotte le stesse espresse dal galletto. Nessuno di loro
osava
tendere la mano ad un orso.
Egli
però
non si perse d’animo. Tornato di fronte
all’abitazione del giovane gallo, dove
il terreno era meno fangoso, aprì la bisaccia e vi
rovistò dentro. Vi tirò
fuori dei ciottoli, diversi rametti secchi ed un paiolo in peltro. I
suoi
movimenti non sfuggirono agli sguardi attenti degli abitanti del
villaggio, i
quali, sebbene intimoriti dalla presenza dell’orso e ben
decisi a non uscire di
casa, non resistettero all’urgenza di sbirciare cosa diavolo
l’animale avesse
intenzione di fare. Lo osservarono dunque riempire il paiolo con
l’acqua di un
ruscello nelle vicinanze, assemblare un rudimentale falò
servendosi dei sassi e
delle fascine, estrarre dal suo sacco un mestolo. Infine, colmo dei
colmi, lo
videro immergere nel pentolone una grossa pietra.
La
curiosità
del gallo ebbe la meglio sulla propria paura.
“Perché mai hai messo a cuocere
una pietra, orso?” stridette.
Jongin ci
pensò su. “Hai ragione, ce ne vogliono almeno un
paio affinché la zuppa venga
bene” e detto ciò ne aggiunse un’altra,
tratta sempre dalla sua capiente
bisaccia. Riprese a mescolare.
“Ho
capito
bene?” il pennuto strabuzzò gli occhi.
“Intendi ricavare una zuppa da- da-”
balbettò allibito.
“Mi
stupisci, gallo. Forse non conosci la ricetta della zuppa di
pietre?” l’orso lo
guardò con sufficienza. “E sì che si
tratta di un piatto basilare, nonché
estremamente semplice da preparare. Servono acqua in abbondanza, due o
tre
pietre di medie dimensioni e del sale, che ahimè mi
manca” disse alzando le spalle.
“E poi basta mescolare di tanto in tanto, lasciando cuocere a
fuoco medio per
circa un’ora. Il risultato è
un’eccellente minestra, molto corroborante. È la
mia preferita. Certo, se non avessi finito il
sale…” mormorò rivolto al
calderone. “Tanto peggio. Verrà un po’
insipida ma ugualmente buona”.
Il galletto,
ormai oltremodo intrigato dalla peculiarità della
situazione, gettò alle
ortiche la sua naturale ritrosia. “Posso dartene io un
po’, e anche del pepe”
offrì.
“Sarebbe
molto gentile da parte tua, gallo” gli sorrise Jongin.
“Chiamami
Sehun” ribatté quegli velocemente, allontanandosi
dalla finestra per alcuni
istanti. Vi fece ritorno recando con sé, insieme alle spezie
promesse, una
bottiglia di olio d’oliva.
“Grazie,
grazie davvero” l’orso ricevette il cesto piegando
il capo a mo’ di inchino.
“Poiché ti sei mostrato tanto generoso, ti
farò assaggiare la zuppa una volta
che sarà ultimata”.
“E
sia, uhm-
qual è il tuo nome, orso?” domandò il
galletto, un po’ impacciato.
Ancora una
volta l’animale snudò i denti amichevolmente.
“Jongin” rispose. Versò gli
ingredienti nella pentola, mescolò e li restituì
senza incidenti al
proprietario.
Fu allora
che gli abitanti del villaggio, assicuratisi che l’orso non
rappresentasse una
minaccia, iniziarono poco a poco ad uscire dai loro nascondigli. Chi si
avvicinò circospetto, chi -più coraggioso-
approcciò Jongin per chiedere
delucidazioni sui tempi di cottura, chi semplicemente incredulo che
fosse
possibile mettere insieme un pasto con qualche pietra; tutti, nessuno
escluso,
vollero contribuire alla riuscita della minestra. Un bel toro nero
dalle
possenti corna di nome Kyungsoo fornì i fagioli del suo orto
e il coniglietto
color crema che lo accompagnava, Joonmyun, aggiunse delle carote.
Yifan, un
airone grigio chiaro, porse con il suo lungo becco dei gambi di sedano
che lui
stesso coltivati. Il cavallo Chanyeol, nitrendo, offrì
alcune foglie di bieta
ed un grosso cavolfiore. Dopo di lui venne Zitao, un grazioso panda,
che teneva
tra le zampe diverse patate. Jongdae, fiero Germano Reale dalle
seducenti piume
variopinte, portò del prezzemolo fresco e
l’agnello Yixing qualche zucchina
verde. Baekhyun, vivace allodola, asserì che senza un paio
delle sue cipolle la
zuppa non avrebbe saputo di alcunché. Completarono la folla
dei fornitori uno
scoiattolo di nome Minseok, che recò chicchi
d’orzo in abbondanza, e Lu Han, un
bel cervo adulto che aggiunse alla lista qualche grappolo di pomodori
succosi,
resi ramati dal calore del sole.
Jongin
accettò di buon grado l’aiuto ed i consigli che
tardivi giungevano da parte di
chi gli aveva voltato le spalle per paura. Ad ogni nuovo contributo
rispose che
la zuppa di pietre ne avrebbe giovato in gusto, e pazienza se la
ricetta
originale era assai più parca di ingredienti. La cottura fu
accompagnata da
chiacchiere allegre intorno al fuoco e dall’acciottolio della
porcellana dei
piatti che, sempre più numerosi, andavano aumentando in
attesa della minestra.
Quando l’orso decretò dopo un ultimo assaggio che
era ora di cena, la notizia
fu accolta con vero giubilo e molto appetito.
Invero, la
serata trascorse in completa armonia. La zuppa fu ritenuta squisita
all’unanimità, e i complimenti allo chef non si
fecero attendere. L’orso
ringraziò, mangiò di buonumore e
conversò amabilmente, minimizzando le lodi e
insistendo che invece il merito era di tutti, che il gusto squisito
della
pietanza dipendeva dalla cura con cui ogni singolo abitante aveva
partecipato
alla sua preparazione. Se mai qualcuno avesse ancora nutrito dei dubbi
sulla
bontà delle sue intenzioni, essi si sciolsero come neve al
sole. Jongin parlò
della sua vita raminga ma pacifica con serenità e modestia,
pronunciò battute
di spirito argute e pose domande intelligenti sulla vita del villaggio.
Insomma
intrattenne i suoi ospiti come un eccellente anfitrione, tanto che in
breve
anche i più reticenti si ritrovarono a ridere insieme a lui.
Tra questi vi era
Sehun. Il galletto fissò l’orso bruno durante la
cena, dapprima con simpatia e
poi con crescente ammirazione. Jongin era bello, scuro e robusto, era
alla
mano, generoso, semplice. Trattava con assoluta cortesia chi prima lo
aveva
rifiutato, Sehun incluso. E quella sua bontà lo confondeva.
Turbamenti
del giovane gallo a parte, la cena fu un assoluto successo per il
villaggio
intero. I suoi abitanti, trascinati da quel nuovo clima di
convivialità, si
comportarono da vecchi amici. Vicini che sino ad allora si erano
scambiati a
malapena due parole bevvero insieme alla salute del simpatico orso e
della zuppa
di pietre, specie con specie: toro e coniglio, allodola e scoiattolo,
panda e
papero, airone e cavallo, cervo e agnello.
Terminato il
pasto, tutti si dichiararono sazi e soddisfatti. Joonmyun, rivelatosi
il
sindaco di quella piccola comunità, affermò che
una tale esperienza andava
senza dubbio ripetuta quanto prima. “Siamo stati sciocchi a
non pensarci prima.
Adesso che il caro Jongin ci ha insegnato la ricetta di questa
eccellente zuppa
non abbiamo più scuse. Propongo di riunirci a cena almeno
una volta alla
settimana per cucinarla; e badate, è fondamentale che ci
siamo tutti perché, a
sentire le parole del nostro amico, il segreto affinché
venga così buona è la
compagnia” disse allegro, proponendo un ultimo brindisi.
L’orso,
ascoltato il discorso del sindaco e osservata la reazione gioiosa
(ancorché
influenzata in piccola quantità dall’alcol) degli
abitanti, decise che era
arrivato il momento di togliere il disturbo. Sciacquò gli
utensili nel fiume,
comprese le pietre, asciugò e ripose tutto nella sua sacca.
Così facendo però
attirò l’attenzione degli altri animali. Sehun,
vinta la timidezza, si spinse a
domandargli il perché di quel gesto.
Jongin si
strinse nelle spalle. “È ora che io mi rimetta in
cammino. C’è ancora luce, la
temperatura si è un poco rialzata. Ho molta strada da
fare” spiegò.
Un coro di
lamentele insorse di fronte a una tale affermazione. Come si era
verificato per
la donazione degli ortaggi, allo stesso modo gli abitanti del villaggio
fecero
a gara per offrire un alloggio confortevole al gentile orso, in modo da
impedirgli di trascorrere la notte all’addiaccio.
“Ho
una
stanza per gli ospiti molto accogliente, ti ci troverai bene”
propose Sehun,
seguito ed imitato dal resto degli animali.
“Inoltre”, aggiunse timidamente,
“se volessi potresti fermarti più di una notte. Ne
sarei lieto, amico mio”
concluse guardandolo speranzoso.
La frase non
sfuggì all’udito fino dell’orso.
“Ti ringrazio, Sehun. Ringrazio tutti voi, ma
non posso restare. Altri villaggi reclamano la zuppa di pietre. Il mio
compito
qui è terminato” caricò la bisaccia in
spalla. “Mi mancherete. Ma se vorrete
ricordarvi di me, dell’orso che sembrava una minaccia e che
vi ha insegnato il
gusto della condivisione e dell’accoglienza, allora preparate
un bel pentolone
di minestra e mangiatela alla mia salute”.
Scorgendo il
dispiacere balenare negli sguardi dei suoi nuovi amici, si accinse ad
abbracciarli uno ad uno. Quando fu il turno di Sehun, il galletto
faticò molto
a lasciar andare Jongin. “Resta” lo
pregò.
“Non
posso.
Quando avrete bisogno di me tornerò da voi”
promise l’orso, arruffando
affettuosamente il piumaggio del gallo.
Mentre lo
osservavano andarsene via, gli animali ripensarono alle parole di
Jongin e al
loro prezioso significato. A lungo le serbarono nel cuore; talvolta
scordandole, pur senza perderle. Quelli che di loro si sposarono le
insegnarono
ai figli, e ai figli dei figli. Non tradirono la memoria
dell’orso. Non
dimenticarono.
Ma non lo
videro mai più.
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