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Autore: PattyOnTheRollercoaster    05/07/2009    2 recensioni
Ellen ha perso la memoria e ora vive a Daret. Quando due sconosciuti si presentano nella città lei ha un flashback. Siccome nulla la può convincere a restare a Daret, città devastata e che verrà presto invasa dagli Urgali, li segue. Così Brom ed Eragon si ritrovano appresso questa ragazza, dalla memoria perduta e dalle straordinarie capacità nell'arte della spada. Grazie al suo viaggio Ellen scoprirà il suo passato, legato con un filo sottile, ma indistruttibile, a quello di Eragon e Brom.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato Presente & Futuro'
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Capitolo sedici: L’Agaetì Blodhren

“Allora, cosa vuoi fare adesso?” chiese Lifaen ad Ellen rimettendo a posto la sua spada.
“Non lo so …” rispose lei pensierosa. “Stavo pensando all’Agaetì Blodhren”.
Erano passati quasi due mesi da quando Ellen aveva scoperto di essere la figlia della regina degli elfi. Lifaen si era impegnato per insegnarle diverse cose. Con lui aveva imparato moltissime parole nuove nell’antica lingua. Ora poteva parlare abbastanza fluidamente con gli altri elfi. Di conseguenza adesso compiva diverse magie, era diventata brava quanto Eragon, anche se lui si impegnava da molto più tempo di lei, Ellen aveva però dalla sua parte la discendenza elfica. Lifaen aveva anche insistito perché cantasse alle piante, lei aveva provato, ma molto spesso l’albero non le concedeva quello che le chiedeva. Il canto, diceva Lifaen, doveva essere fatto con il cuore. Per quanto si sforzasse Ellen non riusciva ad ottenere più di una risposta dall’albero. Poteva sentire la sua presenza, il suo spirito, come un grande essere dotato anche lui di coscienza. Ma più di questo gli alberi non le consentivano di sentire. In compenso Ellen aveva scoperto che cantare le piaceva. Oltre a questo le venne insegnato a scrivere in elfico, a leggere e la storia del suo popolo e le sue usanze. Giusto pochi giorni prima Lifaen le aveva detto che in quel periodo si sarebbe tenuto l’Agaetì Blodhren, il Giuramento di Sangue, che si festeggiava ogni cento anni e dove veniva ricordato il patto di sangue che gli elfi avevano stretto con i draghi. Le disse anche che, durante la celebrazione dell’Agaetì Blodhren, ognuno doveva portare qualcosa da mostrare agli altri. Poteva essere un dipinto, una poesia, qualsiasi cosa che fosse il prodotto della creatività personale.
“Tu cosa porterai?” chiese Ellen a Lifaen sedendosi sconfortata vicino alle radici di un albero. Lifaen si sistemò accanto a lei e poggiò una mano sul tronco dell’albero, osservandone i rami rigogliosi. La ragazza ci pensava da giorni ma non le veniva in mente nulla che potesse essere originale e che la rappresentasse.
“Sto facendo qualcosa che, sono sicuro, ti piacerà moltissimo, ma non posso dirti che cos’è. Rovinerei la sorpresa”.
“Uffa … tutti sanno cosa portare tranne me. Ho anche provato a scrivere una canzone … ma non mi convince”.
“Potrei sentirla?” chiese gentilmente Lifaen.
Ellen fece involontariamente una smorfia. “Non credo che sarebbe di tuo gradimento. Avevo cercato di scrivere qualcosa come le ballate di un tempo, che raccontasse una storia di coraggio e di avventure, ma è venuta fuori una cosa piuttosto intricata e … brutta”.
“Sai, spesso le cose più semplici sono quelle più incantevoli” disse Lifaen posandole una mano sulla spalla, un gesto che faceva molto spesso. “Non deve essere qualcosa di eclatante. Guarda questo germoglio” disse indicando una minuscola piantina che cresceva in mezzo a loro due ai piedi dell’albero, “non ti sembra che sia bello come il pino?” disse poi indicando il grosso albero sopra di loro.
Ellen sorrise a quella comparazione. “Hai ragione” disse alzandosi. “Penserò a qualcosa”. Salutò Lifaen e cominciò a passeggiare in mezzo al bosco.

Eragon aveva appena finito il suo allenamento giornaliero e si stava recando a palazzo per incontrare Ellen. Ora parlare con lei era diventato molto difficile ma andava volentieri a palazzo, anche per vedere Arya, in realtà.
Stava proprio pensando a quello quando scorse la sua esile figura in mezzo ad una sala del palazzo. “Arya!” la chiamò e corse verso di lei.
“Eragon, piacere di vederti”.
“Anche per me”. Il ragazzo le sorrise. Era da qualche tempo ormai, si era reso conto, che lei lo evitava, e, anche se cercava di non darlo a vedere, non gli voleva parlare. Eragon pensava che fosse a causa del Fairth, il dipinto magico che mostrava cosa vedeva l’occhio della mente, che Oromis gli aveva insegnato a fare. Ne aveva fatto uno per lei, ma, quando lo aveva visto, si era infuriata e lo aveva gettato a terra, distruggendolo.
“Arya, ascolta … io vorrei scusarmi. Mi sono reso conto in che posizione difficile ti ho messo, ma non intendevo fare nulla del genere. Oltretutto voglio che tu sappia che, in ogni caso, nulla mi potrà distrarre dal mio addestramento, quindi puoi tranquillizzarti”.
“Certo Eragon” disse l’elfa educatamente, ma il ragazzo si accorse subito che non voleva comunque restare da sola con lui. “Se cerchi Ellen, è nella sua stanza”. Si voltò e se ne andò.
Eragon sospirò, poi si diresse verso la stanza della ragazza. Percorse i corridoi che ormai conosceva a memoria e si fermò davanti alla camera di Ellen. La porta era semi aperta. Quando Eragon sbirciò dentro vide che Ellen aveva sistemato la scrivania e il letto contro il muro per creare uno spazio in mezzo alla stanza. Al centro c’era lei, che si muoveva a ritmo di una musica inesistente. Eragon rimase sulla soglia ad osservarla, non disse niente per non deconcentrare la ragazza, che non lo vide nemmeno dato che aveva gli occhi chiusi. Dopo qualche minuto di una danza forsennata Ellen rallentò. Prese a danzare dolcemente e un sorriso affiorò alle sue labbra. Quando si fermò una lacrima scese lungo la sua guancia e la ragazza aprì gli occhi.
“Eragon! Da quanto tempo sei li?” chiese stupita asciugandosi in fretta la faccia.
“Abbastanza. Sei molto brava”.
“Davvero?!” chiese lei raggiante. “Aspetta, tu mi spiavi. Dovrei arrabbiarmi”. Lo guardò stringendo gli occhi ed Eragon si lasciò sfuggire una risata, poi entrò nella stanza e si sedette ai bordi del letto.
“Dove hai imparato?” le chiese.
“Mi ha insegnato un elfa che ho conosciuto l’altro giorno. Mi sto facendo dare lezioni”.
“Ah … cos’era quello comunque?” chiese. Ellen lo raggiunse e si sedette a gambe incrociate.
“Era … una prova. Pensavo di ballare durante l’Agaetì Blodhren”.
“Sul serio? Era bello, mi prendeva … a cosa pensavi di così intenso?” chiese Eragon, ma si pentì all’istante. Ellen abbassò lo sguardo e prese a strofinarsi le ginocchia.
“Lo sai … pensavo a Murtagh”.
Eragon sospirò teatralmente, cercando di rallegrare la ragazza. “Ahh! Siamo messi davvero male noi due!”.
“Perché?” chiese lei incuriosita alzando lo sguardo. Eragon sorrise interiormente: aveva compiuto il suo scopo. Ellen non era più troppo triste. Le raccontò cos’era successo con Arya, del Fairth e di prima.
“Uffa però!” disse Ellen. “Tutte le persone che mi stavano antipatiche fanno parte della mia famiglia. Tranne Brom, e in effetti anche Arya, a pensarci bene non è male”. Restò in silenzio per un po’, poi: “Forse se io mi conoscessi mi starei antipatica”. Eragon rise fragorosamente.
“O così, oppure saresti sempre d’accordo con te stessa! E non riusciresti mai a batterti a duello con la spada. A proposito, Lifaen mi ha detto che sei diventata molto abile”.
Cominciarono a parlare del più e del meno, poi uscirono a fare una passeggiata insieme a Saphira. Anche lei stava prendendo lezioni dal drago di Oromis, Glaedr. Tutti e due erano molto assorbiti dal loro compito, e sembravano davvero entusiasti.
“In questi giorni dovremmo lavorare tanto” disse Eragon prima di congedarsi da lei, “ma ci vediamo all’Agaetì Blodhren sicuramente”.
“Tu cosa porterai?” chiese Ellen curiosa.
“Un poema” rispose Eragon alzando le spalle.
“Posso leggerlo?”.
Il ragazzo scosse la testa. “L’ho lasciato a Oromis perché mi dicesse cosa ne pensava”.
  E tu Saphira?
  Non te lo dico, disse la dragonessa arricciando le labbra squamose in quello che sembrava un sorriso.
  Dai, insistette Ellen avvicinandosi a lei e carezzandole un fianco. E se ti chiamo pure io Squame di Luce? Oppure Leggiadro essere dei venti e delle terre? O anche … aspetta, ne avevo sentito uno davvero bello, è incredibile come questi elfi ti adorino!
  Hai ragione, all’inizio era bello, ma ora è diventato noioso.
  E tu Eragon, non eri geloso di ricevere così poche attenzioni?, lo punzecchiò Ellen rivolgendosi a lui.
  Tzé! Io sono superiore a queste cose, cosa credi?, disse Eragon guardandosi le unghie con fare critico e strofinandole sulla camicia, come per lucidarle.
  Immaginavo, disse allora Ellen, e se ti chiamo Grugno di Fuoco?
Saphira scoppiò in un leggero ruggito e scosse l’intero corpo squamoso.
  Se anche un solo elfo ti sentisse ti condannerebbero alla forca!

L’Agaetì Blothren era arrivato.
Ellen si vestì con quel che gli era stato dato dalla regina. Una sottile veste di seta con il collo a v che si stingeva in vita e cadeva morbida sulla gambe, di un colore azzurro molto chiaro. Uscì dal palazzo e andò verso lo spiazzo erboso dove si trovava l’albero di Menoa. Lì davanti trovò Eragon e Arya. Si sedette accanto a loro, in attesa che i festeggiamenti cominciassero.
Islanzadi fece la sua apparizione portando in mano una sfera luminosa. Si diresse davanti al maestoso albero di Menoa e la posò in terra. La sfera divenne di mille colori e illuminò di una luce intensissima tutta la radura. Ellen ed Eragon dovettero distogliere lo sguardo, tanto la luce era forte. In quel momento gli elfi risero di gioia e si alzarono tutti insieme.
Cominciarono a cantare, suonare e danzare. Il loro riso riempiva l’aria, i loro corpi si muovevano leggiadri al suono della musica. C’erano diverse portate, tutte a base di verdura fresca, legumi e frutta succosa.
Né Eragon né Ellen vissero del tutto lucidamente quei giorni. Tutti e due erano assoggettati alla magia sprigionata dagli elfi stessi, anche se Eragon di più.
Infine giunse il momento di mostrare che cosa avevano creato per la festa. Saphira volò via e andò a prendere una specie di grossa roccia brillante. Quando la depositò in terra si resero tutti conto che era la statua di un drago. Tutti applaudirono il più fragorosamente possibile. Saphira rivelò ad Eragon che aveva creato la statua leccando la roccia semifusa. L’effetto scintillante non era stato voluto, ma era arrivato come conseguenza alla cristallizzazione di alcuni minerali contenuti nella roccia.
Eragon recitò un bellissimo poema. Ellen ne rimase molto stupita, e non solo lei, anche gli altri elfi. Islanzadi disse che avrebbero messo il poema nella biblioteca, così che tutti avressero potuto goderne. Eragon le fu davvero riconoscente, non si aspettava certo che il suo poema, raffinato fra quelli della sua razza ma sicuramente un po’ ruvido per gli elfi, riscuotesse tanto successo.
Ellen ballò la sua danza. Con più passione e ardore di quanto lei stessa sospettasse di avere. Tutti gli elfi apprezzarono il ballo perché capirono che era sincera e, quando finì, applaudirono e si complimentarono con lei. Anche Oromis le disse qualche parola e Lifaen la fece volteggiare.
“Hai un talento così grande e lo tieni nascosto?”.
“Non è poi così grande come credi. Mi sono esercitata tanto. E’ solo che mi diverte ballare, anche se non sono così brava come voi elfi”.
“Io credo che con l’impegno potrai raggiungerci e superarci, perfino”.
“Magari, un giorno … a proposito, devi farmi vedere cos’hai portato tu”.
“Giusto”. Lifaen sparì tra la folla e tornò indietro con qualcosa in mano. “Ecco qui” disse mostrandogli una catenina argentata con appeso uno strano ciondolo. Aveva forma di una foglia, di colore arancio chiaro con varie sfumature che toccavano anche il marrone e sembrava che si muovesse al vento tanto era veritiera. Sulla foglia v’era incisa la lettera E.
“Wow … di cosa è fatta?” chiese Ellen stupefatta. Alcuni elfi si congratularono con Lifaen per aver prodotto un così bel manufatto.
“Di resina. L’ho scaldata, modellata e asciugata. Al buio brilla, sai?”.
“Davvero? Voglio vedere”.
“Certamente”. Prese la ragazza per mano e cominciò a trascinarla nel bosco. Incontrarono molti elfi durante il percorso. Ellen intravide Eragon ballare con un’elfa e stringerle la mano. Sorrise fra sé e sé. Lifaen incrociò il suo sguardo e vide Eragon.
“Sembra che Eragon Ammazzaspretti e Saphira si stiano divertendo”. La dragonessa era poco dietro Eragon e faceva divertire gli unici due bambini elfi facendogli scalare la propria schiena.
“Già”.
Continuarono a camminare finché i rumori della festa non furono lontani e giunsero in un punto del bosco molto fitto di alberi, dove la luce della luna non giungeva.
“Guarda” sussurrò Lifaen aprendo la mano. Sul suo palmo bianco la foglia di resina scintillava luminosa. Le venature della finta foglia rilucevano e la lettera E incisa irradiava una luce giallognola.
“Per cosa sta la E?” chiese la ragazza.
Lifaen la guardò un po’ triste. “Ancora non lo sai?” le chiese. Le mise una mano sui capelli e l’accarezzò dolcemente, sul volto un sorriso morbido come la seta. Ellen restò paralizzata. Forse aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi, ma aveva cercato con tutte le sue forze di non guardare ciò che non voleva vedere. Lifaen le si avvicinò lentamente e depositò un piccolo bacio sulla sua guancia.
“La E sta per Ellen, la più bella creatura che abbia mai camminato per questi luoghi” le sussurrò all’orecchio. “So bene che il tuo cuore appartiene ancora a Murtagh, tuttavia ti chiedo di accettare questo dono”. Le mise in mano la collanina con forza, poi si voltò e sparì nel bosco, appena prima di dire: “Pensaci su, Ellen”.

“Ellen! Vieni qui!”. Eragon allungò un braccio fra la folla e prese la ragazza per le mani. “Balliamo!”. Cominciarono a volteggiare al ritmo della musica, che divenne man mano più frenetica. Diversi strumenti dal timbro cristallino si univano al flauto che aveva iniziato quella melodia. Ellen ed Eragon si tenevano a braccetto e saltellavano qua e la, ridendo rumorosamente.
Islanzadi si alzò e andò a chiamare Ellen. Portandola in un angolo le bisbigliò qualcosa all’orecchio. La ragazza era ancora stordita dalla magia degli elfi, che si sprigionava forte e intensa come un odore pungente invade l’aria, quindi la regina decise di farla restare un po’ da parte, lontana dalla festa. La portò al castello fino in camera sua e la distese a letto.
“Dormi figliola” le disse sorridendo. “Fra qualche ora l’Agaetì Blothren finirà, manderò qualcuno a chiamarti”.
“No! Voglio venire anch’io!” disse Ellen con poca convinzione.
“Certo tesoro. Domani …” le disse Islanzadi coprendola. Mentre la regina usciva Ellen già si era addormentata. Anche a Eragon era stato detto da Oromis di riposarsi per un po’, prima di partecipare ad un’importante cerimonia.




Doveroso capitolo sull'Agaetì Blodhren, che non potevo assolutamente tralasciare. Credo che quella dell'addestramento sia una delle mie parti preferite del libro, anche se qui non l'ho riportato con precisione altrimenti sarebbe stato noioso, dato che l'abbiamo già letto tutti! XD Comunque mi piaceva l'idea che Lifaen facesse un regalo ad Ellen proprio in questa occasione ... ma sappiate che io sono dalla parte di Murtagh! Non so perchè, ma Lifaen mi dà l'idea di essere viscido ... povero Lifaen, si è offeso! XD
KissyKikka: hai visto che anche qui Ellen ripensa alla sua famiglia, ma non è molto felice di questo fatto. In effetti devo ammettere che come personaggio Islanzadi non mi piace poi tanto, quindi credo che sia per questo che non piace nemmeno ad Ellen! XD Comunque cosa ne dici dei festeggiamenti degli elfi e del regalo di Lifaen? Grazie mille per la recensione, al prossimo capitolo! *smack*
Grazie a tutti i lettori, lasciate un piccolo commentino, prego! :D
Patty.
   
 
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