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Autore: MadAka    01/06/2018    2 recensioni
Audrey è solita prendere la District line a Tower Hill station ogni giorno. Pianista di professione, amante di musica jazz e cinema, trascorre il tempo in attesa ripercorrendo mentalmente note e partiture, allontanandosi totalmente dal mondo reale.
Tower Hill è anche la fermata metropolitana di Peter, in cui prende la Circle line, la linea gialla. Illustratore dalla fantasia contagiosa, divoratore di musica e consumatore di matite, il ragazzo trascorre il tempo alla stazione con gli auricolari inforcati, riempiendo con le note di Bastille, Coldplay e OneRepublic il mondo intorno a sé.
Proprio la musica o, in questo caso, la sua assenza, sarà causa dell'incrociarsi delle loro strade in quella sconfinata metropoli che è Londra.
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"La vita è un viaggio solitario. Ma con un po' di fortuna trascorri gran parte di essa con la giusta compagnia."
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Quando giunse il momento di trasferirsi sul serio, Peter dovette ammettere a se stesso di non avere idea del numero esatto di camicie di cui disponeva. Dal momento che quello era il capo principe del suo abbigliamento era inevitabile che ce ne fossero di tutti i colori, a maniche lunghe e corte, ma ne trovò alcune, sul fondo dell’armadio, di cui ne aveva completamente perso memoria. Mentre le stipava in una valigia di poco più grande di un bagaglio a mano, si arrese all’idea che avrebbe dovuto fare almeno un paio di giri solo per i vestiti. Quando riuscì a chiudere il trolley con il primo carico di abiti, sollevò lo sguardo su quella che per anni era stata la sua camera da letto. Senza i suoi bozzetti sparsi ovunque, senza i post-it appesi in ogni angolo con i suoi appunti incomprensibili, quella stanza gli sembrava un’altra. Si sentiva un po’ giù all’idea di andarsene da lì dopo tutto quel tempo, ma la prospettiva della casa nuova continuava a essere più allettante. Avrebbe reso anche la sua nuova stanza – che aveva già deciso di dipingere di verde – lo specchio di se stesso e l’avrebbe presto chiamata casa. Al posto suo e di Damian erano in arrivo altre due ragazze, amiche di Veronica e conoscenti di Iris, che stavano giusto cercando dove vivere per muoversi dalla contea dell’Oxfordshire e raggiungere la capitale. Considerando che le due future ex coinquiline di Peter sapevano già chi chiamare per rimpiazzare lui e l’amico, al ragazzo era venuto spontanea chiedersi per quale motivo Iris avesse sollevato tutto quel polverone quando Damian le aveva riferito del loro trasferimento. Tuttavia aveva finito per capire praticamente subito il vero motivo o, meglio, per sospettarlo fortemente. 

Smise di pensare a tutto ciò e andò a riempire uno dei suoi zaini più capienti con tutto il suo materiale da disegno. Quella di trasferirsi era stata una scelta affrettata, dettata dall’istinto e dall’impulso, tuttavia era sempre più sicuro di aver preso la decisione giusta. 

Stava riponendo con cura uno della sua moltitudine di album di schizzi quando sentì qualcuno raggiungere la soglia di camera sua. Si voltò giusto in tempo per vedere Iris incrociare le braccia al petto e appoggiarsi con il fianco allo stipite della porta. La ragazza si mise a studiare Peter, guardandolo quasi con sufficienza. Negli ultimi giorni i rapporti fra loro si erano un po’ ricuciti, ma continuava a esserci una certa freddezza da parte della ragazza.

Si scambiarono un’occhiata.

«Ehi» esordì Peter, rompendo il silenzio. 

«Come stanno andando i preparativi?» domandò lei in risposta.

Il ragazzo si guardò intorno, nella stanza svuotata per metà. «Direi bene. Credo dovrò fare almeno tre giri, ma dovrei farcela a svuotare tutto entro pochi giorni. Damian ha pensato bene di noleggiare un furgoncino.»

Iris non disse nulla, cosa che mise Peter a disagio. Davanti a quel silenzio il ragazzo pensò bene di rimettersi a riordinare le proprie cose, così da evitare almeno per un po’ di continuare quell’imbarazzante situazione di stallo. Era chino sul suo zaino, intento a mettere il più ordinatamente possibile tutti gli astucci che vi aveva infilato sul fondo, quando Iris parlò di nuovo.

«Tu lo sai quello che provo» disse, con un tono di voce impossibile da decifrare. 

Peter tornò a guardarla. «Sì, lo so. Ti abbiamo deluso e mi dispiace. Ma non siamo più riusciti a ignorare questa idea» rispose, abbozzando un sorriso.

«Non mi riferivo a questo» replicò lei, asciutta. 

Non aggiunse altro, ma l’illustratore non aveva bisogno che lei andasse avanti per sapere a cosa si stava riferendo. Sapeva che intendeva quello anche prima, solo che aveva voluto credere di sbagliarsi; ma non si era sbagliato. La conversazione che stava per iniziare fra lui e la ragazza lo preoccupava. Dopotutto aveva cercato costantemente di evitsrla, persino il trasferimento poteva apparire più una fuga che altro. Ora che si trovava lì, però, con Iris davanti e la questione tirata in ballo proprio dalla diretta interessata, avrebbe fatto meglio ad affrontare la faccenda. Non aveva nulla da perdere, in fondo. Lasciò vagare per alcuni momenti lo sguardo per la stanza, infine prese una generosa boccata d’aria. «Che cosa dovrei dirti? Mi...dispiace che fra di noi le cose siano finite in questo modo, dico sul serio.» Inspirò ancora. «Ma, forse non sarebbe potuta andare altrimenti.»

«Io lo sapevo di non piacerti» disse Iris, abbassando lo sguardo e stringendo ancora di più le braccia al petto. «È solo che una parte di me ci sperava, tutto qui» concluse con un’alzata di spalle. 

«Beh, non c’è niente di male, dopotutto.» Peter avrebbe voluto aggiungere altro, ma proprio non fu in grado di trovare le parole. Gli dispiaceva davvero che le cose fra lui e Iris fossero andate a quel modo. Non era semplice avere a che fare con lei, ma nonostante tutto le voleva bene. Lui aveva sempre creduto nell’amicizia fra uomo e donna, forse per questo gli risultava tanto semplice legare con le persone e stringere nuove relazione, a volte davvero durature.

Non seppe che altro dire e finì con il rimanere in silenzio, le braccia abbandonate lungo i fianchi.

«Toglimi solo una curiosità» riprese a parlare Iris. «Se anche la tua nuova coinquilina dovesse finire per provare qualcosa per te, scapperesti anche da lei?»

Lo sguardo della ragazza era tagliente, esattamente come il tono della sua voce. Peter, infatti, si sentì quasi trafitto da una coltellata in pieno stomaco. Venne invaso dal senso di colpa, ma non gli riuscì di provare neanche il più leggero moto di collera verso la ragazza. Si morse il labbro, pensando fra sé che lei avesse ragione. Tuttavia decise di non rispondere a quella provocazione; era un campo minato e dal momento che aveva già capito che fra lui e Iris le cose non erano più le stesse, trovava non avesse senso peggiorarle ulteriormente.

«Considerando che Evangeline è lesbica, dubito possa succedere» disse con semplicità.

Iris non parlò, ma si irrigidì appena. Peter capì dalla sua espressione di aver superato un confine invisibile e cercò di rimediare nel modo più sincero che conoscesse. «Comunque sia, mi dispiace per com’è andata, dico davvero. Mi piacerebbe, però, se riuscissimo a rimanere amici» le disse. Pensava davvero tutto ciò, non era una scusa.

A Iris, però, non parve importare. «Non sono rimasta amica di molte persone.»

Detto ciò si sollevò dallo stipite della porta, cui era ancora appoggiata, diede le spalle a Peter e si allontanò.

 

*

 

Il vestito celeste era piegato perfettamente quando Audrey lo infilò in valigia, sotto lo sguardo attento di April e Sadie, sedute rispettivamente sul letto a gambe incrociate e sulla sedia della scrivania. Quel vestito era quanto di più simile a un portafortuna per la pianista, come se lo spesso cotone e la lieve trama a fiori racchiudessero tutta la buona sorte che le potesse tornare utile.

Stava preparando il bagaglio a mano con cui sarebbe partita alla volta di Glasgow il giorno successivo, pronta per il provino alla Scottish Symphony Orchestra. Dopo la prima telefonata si era risentita con il responsabile il giorno successivo e avevano stabilito un colloquio per la settimana dopo, di mercoledì. Quella settimana; quel mercoledì. Audrey aveva prenotato una camera d’albergo non molto distante dalla stazione dei treni per due notti, decisa ad approfittare di quella situazione anche per vedere la città. Era allettante l’idea di visitare Glasgow; la metropoli scozzese l’aveva sempre affascinata, ma non l’aveva ancora mai raggiunta. 

Era lunedì, sarebbe partita in treno il mattino del giorno dopo, emozionata all’idea di quello a cui sarebbe andata incontro, ma anche alquanto preoccupata. Il provino di mercoledì avrebbe potuto influire definitivamente sulla sua vita e, sebbene ancora non sapesse cosa avrebbe voluto fare della sua carriera, non voleva sprecare l’opportunità che le si era presentata. Era decisa a fare del suo meglio.

April e Sadie si erano presentate di loro spontanea iniziativa in casa dell’amica quella sera e avevano cominciato a tempestarla di domande circa il suo stato d’animo in vista del grande giorno; subito dopo, poi, l’avevano aiutata a scegliere cosa indossare per il provino, sebbene Audrey non ne avesse bisogno.

«Hai già pensato a cosa suonerai?» le chiese April, mettendosi ancora più comoda sul letto e spostando i capelli rossi sulla spalla destra.

«Dubito avrò la possibilità di scegliere» rispose la pianista, sistemando in valigia qualche vestito di emergenza.

«E perché no?»

«Beh, è un’orchestra importante. Credo che la selezione sarà severa, probabilmente vorranno vedere se sono in grado di suonare qualcosa che non ho avuto modo di preparare prima.»

«Cioè ti danno uno spartito a caso dicendoti “suona”?» intervenne Sadie, il tono incredulo.

«È molto probabile» rispose tranquilla Audrey. Si era preparata a ogni eventualità, anche alla possibilità più assurda – come chiederle di smontare il pianoforte – giusto per non lasciare trapelare alcuna emozione possibilmente dannosa davanti a una richiesta complessa.

«Cavolo» borbottò Sadie. «È giusto il genere di cose che serve per stare tranquilli.»

Quella frase strappò una risata a Audrey. La ragazza provò a chiudere la valigia, notando con soddisfazione che il contenuto era commisurato allo spazio disponibile, dopodiché si sedette anche lei sul letto, accanto a April. 

«Cosa farai se dovesse andare a buon fine?» chiese quest’ultima, guardando la pianista.

«Perché siete tutti così ottimisti?»

«Sei tu a essere pessimista» la bacchettò Sadie.

Audrey le sorrise, ma non rispose subito. Aveva pensato a quell’eventualità solo un paio di volte e per di più neanche in modo tanto approfondito, quasi avesse paura di portarsi sfortuna da sola. Si era resa conto in breve tempo di quanto tenesse a quella possibilità, di quando, nel profondo, una parte di sé sognasse di farcela, di trasferire il proprio futuro nella città scozzese. Tuttavia la prospettiva di lasciare Londra le metteva addosso una sensazione spiacevole, triste. Era presto per fare congetture, lo sapeva, tuttavia non riusciva a non immaginare cosa sarebbe potuto accedere se tutto fosse andato per il verso giusto. Se l’avessero presa nell’orchestra scozzese e lei avesse colto l’occasione al volo avrebbe dovuto andarsene da Londra e una parte di sé non voleva, era evidente. In quella città aveva stretto i legami più forti, le amicizie indissolubili; amava la metropoli, con tutti i suoi locali, i colori, gli angoli sconosciuti ai molti. Anche se avrebbe imparato ad apprezzare Glasgow, l’idea di andarsene la faceva stare male. Scacciò tutti quei pensieri, dicendosi che non aveva senso farsi tanti problemi senza neanche sapere se la BBC Scottish Symphony Orchestra la voleva con sé, non le faceva bene. 

La cosa di cui era più soddisfatta, a ogni modo, era di non aver trovato una alternativa abitativa a casa sua. Le case che aveva visto non l’avevano convinta e l’idea di mettere in affitto la stanza di Olivier era sempre stata l’ultima ipotesi considerata. Così facendo era ancora punto e a capo, come il primo giorno successivo al matrimonio. Adesso aveva un motivo in più per non muoversi in quella direzione. Prima avrebbe visto come sarebbero andate le cose a Glasgow, poi avrebbe scelto di conseguenza.

«Prova a pensare se dovessero prenderti» disse April. «Avrei una scusa perfetta per venire a Glasgow a cadenze regolari» proseguì ridacchiando.

«Per me sei già proiettata troppo avanti.»

«Io la lascerei dire. Magari ti porta fortuna» intervenne Sadie. 

Le tre si scambiarono un sorriso, dopodiché, in seguito a un breve attimo di silenzio, Sadie chiese: «Che mi dici, Audrey, questa può essere la tua occasione?»

La pianista la guardò, pensando. April si era zittita di colpo e osservava l’amica, seduta accanto a lei sul letto.

«Onestamente devo ancora capirlo» ammise, tornando a rimuginare su quanto le riempiva la testa da giorni. «Penso che prima farò questa audizione dando il mio massimo, poi si vedrà. Sono sicura che, indipendentemente dal risultato, il verdetto mi aiuterà ad aprire gli occhi.»

Quella risposta servì anche a se stessa; sentiva di avere ragione. Dopotutto, vedere quell’occasione sfumare o, al contrario, diventare realtà, le avrebbe senza ombra di dubbio consentito di trovare le risposte ai suoi dubbi. Era sempre così, in fondo, le eccezioni erano poche.

Sadie parve soddisfatta di quella risposta, ma si leggeva – così come in April – un velo di dispiacere all’idea di vedere l’amica trasferirsi in Scozia. Nonostante ciò, entrambe le amiche furono molto brave a non darlo troppo a vedere. 

«Beh» disse d’un tratto Sadie, «basta parlare di te. Questa ve la devo raccontare.»

Audrey sorrise a quelle parole. Le sue amiche erano particolarmente brave a farla sentire bene e Sadie, soprattutto, era in grado di leggere quanto non detto da Audrey, almeno ai livelli di Oliver. 

La pianista fu contenta di avere un motivo per cambiare argomento. Il mattino seguente sarebbe partita alla volta di Glasgow e già sapeva che avrebbe trascorso tutte le quattro ore del viaggio a pensare e ripensare a quello che sarebbe potuto accadere. Almeno la sera prima della partenza, almeno con le sue amiche, voleva scollegare la mente.

 

  
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