Quando giunse il momento di trasferirsi sul serio,
Peter dovette ammettere a se stesso di non avere idea del numero esatto di
camicie di cui disponeva. Dal momento che quello era il capo principe del suo
abbigliamento era inevitabile che ce ne fossero di tutti i colori, a maniche
lunghe e corte, ma ne trovò alcune, sul fondo dell’armadio, di cui ne aveva
completamente perso memoria. Mentre le stipava in una valigia di poco più
grande di un bagaglio a mano, si arrese all’idea che avrebbe dovuto fare almeno
un paio di giri solo per i vestiti. Quando riuscì a chiudere il trolley con il
primo carico di abiti, sollevò lo sguardo su quella che per anni era stata la
sua camera da letto. Senza i suoi bozzetti sparsi ovunque, senza i post-it
appesi in ogni angolo con i suoi appunti incomprensibili, quella stanza gli
sembrava un’altra. Si sentiva un po’ giù all’idea di andarsene da lì dopo tutto
quel tempo, ma la prospettiva della casa nuova continuava a essere più
allettante. Avrebbe reso anche la sua nuova stanza – che aveva già deciso di
dipingere di verde – lo specchio di se stesso e l’avrebbe presto chiamata casa.
Al posto suo e di Damian erano in arrivo altre due ragazze, amiche di Veronica
e conoscenti di Iris, che stavano giusto cercando dove vivere per muoversi
dalla contea dell’Oxfordshire e raggiungere la
capitale. Considerando che le due future ex coinquiline di Peter sapevano già
chi chiamare per rimpiazzare lui e l’amico, al ragazzo era venuto spontanea
chiedersi per quale motivo Iris avesse sollevato tutto quel polverone quando
Damian le aveva riferito del loro trasferimento. Tuttavia aveva finito per
capire praticamente subito il vero motivo o, meglio, per sospettarlo
fortemente.
Smise di pensare a tutto ciò e andò a riempire uno dei
suoi zaini più capienti con tutto il suo materiale da disegno. Quella di
trasferirsi era stata una scelta affrettata, dettata dall’istinto e dall’impulso,
tuttavia era sempre più sicuro di aver preso la decisione giusta.
Stava riponendo con cura uno della sua moltitudine di album
di schizzi quando sentì qualcuno raggiungere la soglia di camera sua. Si voltò
giusto in tempo per vedere Iris incrociare le braccia al petto e appoggiarsi
con il fianco allo stipite della porta. La ragazza si mise a studiare Peter,
guardandolo quasi con sufficienza. Negli ultimi giorni i rapporti fra loro
si erano un po’ ricuciti, ma continuava a esserci una certa freddezza da parte
della ragazza.
Si scambiarono un’occhiata.
«Ehi» esordì Peter, rompendo il silenzio.
«Come stanno andando i preparativi?» domandò lei in
risposta.
Il ragazzo si guardò intorno, nella stanza svuotata
per metà. «Direi bene. Credo dovrò fare almeno tre giri, ma dovrei farcela a
svuotare tutto entro pochi giorni. Damian ha pensato bene di noleggiare un
furgoncino.»
Iris non disse nulla, cosa che mise Peter a disagio.
Davanti a quel silenzio il ragazzo pensò bene di rimettersi a riordinare le
proprie cose, così da evitare almeno per un po’ di continuare quell’imbarazzante
situazione di stallo. Era chino sul suo zaino, intento a mettere il più
ordinatamente possibile tutti gli astucci che vi aveva infilato sul fondo,
quando Iris parlò di nuovo.
«Tu lo sai quello che provo» disse, con un tono di
voce impossibile da decifrare.
Peter tornò a guardarla. «Sì, lo so. Ti abbiamo deluso
e mi dispiace. Ma non siamo più riusciti a ignorare questa idea» rispose,
abbozzando un sorriso.
«Non mi riferivo a questo» replicò lei,
asciutta.
Non aggiunse altro, ma l’illustratore non aveva
bisogno che lei andasse avanti per sapere a cosa si stava riferendo. Sapeva che
intendeva quello anche prima, solo che aveva voluto credere di sbagliarsi; ma
non si era sbagliato. La conversazione che stava per iniziare fra lui e la ragazza
lo preoccupava. Dopotutto aveva cercato costantemente di evitsrla,
persino il trasferimento poteva apparire più una fuga che altro. Ora che si
trovava lì, però, con Iris davanti e la questione tirata in ballo proprio dalla
diretta interessata, avrebbe fatto meglio ad affrontare la faccenda. Non aveva
nulla da perdere, in fondo. Lasciò vagare per alcuni momenti lo sguardo per la
stanza, infine prese una generosa boccata d’aria. «Che cosa dovrei dirti?
Mi...dispiace che fra di noi le cose siano finite in questo modo, dico sul
serio.» Inspirò ancora. «Ma, forse non sarebbe potuta andare altrimenti.»
«Io lo sapevo di non piacerti» disse Iris, abbassando
lo sguardo e stringendo ancora di più le braccia al petto. «È solo che una
parte di me ci sperava, tutto qui» concluse con un’alzata di spalle.
«Beh, non c’è niente di male, dopotutto.» Peter
avrebbe voluto aggiungere altro, ma proprio non fu in grado di trovare le
parole. Gli dispiaceva davvero che le cose fra lui e Iris fossero andate a quel
modo. Non era semplice avere a che fare con lei, ma nonostante tutto le voleva
bene. Lui aveva sempre creduto nell’amicizia fra uomo e donna, forse per questo
gli risultava tanto semplice legare con le persone e stringere nuove relazione,
a volte davvero durature.
Non seppe che altro dire e finì con il rimanere in
silenzio, le braccia abbandonate lungo i fianchi.
«Toglimi solo una curiosità» riprese a parlare Iris. «Se
anche la tua nuova coinquilina dovesse finire per provare qualcosa per te,
scapperesti anche da lei?»
Lo sguardo della ragazza era tagliente, esattamente
come il tono della sua voce. Peter, infatti, si sentì quasi trafitto da una
coltellata in pieno stomaco. Venne invaso dal senso di colpa, ma non gli riuscì
di provare neanche il più leggero moto di collera verso la ragazza. Si morse il
labbro, pensando fra sé che lei avesse ragione. Tuttavia decise di non
rispondere a quella provocazione; era un campo minato e dal momento che aveva
già capito che fra lui e Iris le cose non erano più le stesse, trovava non
avesse senso peggiorarle ulteriormente.
«Considerando che Evangeline è lesbica, dubito possa
succedere» disse con semplicità.
Iris non parlò, ma si irrigidì appena. Peter capì
dalla sua espressione di aver superato un confine invisibile e cercò di
rimediare nel modo più sincero che conoscesse. «Comunque sia, mi dispiace per
com’è andata, dico davvero. Mi piacerebbe, però, se riuscissimo a rimanere
amici» le disse. Pensava davvero tutto ciò, non era una scusa.
A Iris, però, non parve importare. «Non sono rimasta
amica di molte persone.»
Detto ciò si sollevò dallo stipite della porta, cui
era ancora appoggiata, diede le spalle a Peter e si allontanò.
*
Il vestito celeste era piegato perfettamente quando
Audrey lo infilò in valigia, sotto lo sguardo attento di April e Sadie, sedute
rispettivamente sul letto a gambe incrociate e sulla sedia della scrivania.
Quel vestito era quanto di più simile a un portafortuna per la pianista, come
se lo spesso cotone e la lieve trama a fiori racchiudessero tutta la buona
sorte che le potesse tornare utile.
Stava preparando il bagaglio a mano con cui sarebbe
partita alla volta di Glasgow il giorno successivo, pronta per il provino alla Scottish Symphony Orchestra. Dopo la prima telefonata si
era risentita con il responsabile il giorno successivo e avevano stabilito un
colloquio per la settimana dopo, di mercoledì. Quella settimana; quel
mercoledì. Audrey aveva prenotato una camera d’albergo non molto distante dalla
stazione dei treni per due notti, decisa ad approfittare di quella situazione
anche per vedere la città. Era allettante l’idea di visitare Glasgow; la
metropoli scozzese l’aveva sempre affascinata, ma non l’aveva ancora mai
raggiunta.
Era lunedì, sarebbe partita in treno il mattino del
giorno dopo, emozionata all’idea di quello a cui sarebbe andata incontro, ma
anche alquanto preoccupata. Il provino di mercoledì avrebbe potuto influire
definitivamente sulla sua vita e, sebbene ancora non sapesse cosa avrebbe
voluto fare della sua carriera, non voleva sprecare l’opportunità che le si era
presentata. Era decisa a fare del suo meglio.
April e Sadie si erano presentate di loro spontanea
iniziativa in casa dell’amica quella sera e avevano cominciato a tempestarla di
domande circa il suo stato d’animo in vista del grande giorno; subito dopo,
poi, l’avevano aiutata a scegliere cosa indossare per il provino, sebbene
Audrey non ne avesse bisogno.
«Hai già pensato a cosa suonerai?» le chiese April,
mettendosi ancora più comoda sul letto e spostando i capelli rossi sulla spalla
destra.
«Dubito avrò la possibilità di scegliere» rispose la
pianista, sistemando in valigia qualche vestito di emergenza.
«E perché no?»
«Beh, è un’orchestra importante. Credo che la
selezione sarà severa, probabilmente vorranno vedere se sono in grado di
suonare qualcosa che non ho avuto modo di preparare prima.»
«Cioè ti danno uno spartito a caso dicendoti “suona”?»
intervenne Sadie, il tono incredulo.
«È molto probabile» rispose tranquilla Audrey. Si era
preparata a ogni eventualità, anche alla possibilità più assurda – come chiederle
di smontare il pianoforte – giusto per non lasciare trapelare alcuna emozione
possibilmente dannosa davanti a una richiesta complessa.
«Cavolo» borbottò Sadie. «È giusto il genere di cose
che serve per stare tranquilli.»
Quella frase strappò una risata a Audrey. La ragazza
provò a chiudere la valigia, notando con soddisfazione che il contenuto era
commisurato allo spazio disponibile, dopodiché si sedette anche lei sul letto,
accanto a April.
«Cosa farai se dovesse andare a buon fine?» chiese
quest’ultima, guardando la pianista.
«Perché siete tutti così ottimisti?»
«Sei tu a essere pessimista» la bacchettò Sadie.
Audrey le sorrise, ma non rispose subito. Aveva
pensato a quell’eventualità solo un paio di volte e per di più neanche in modo
tanto approfondito, quasi avesse paura di portarsi sfortuna da sola. Si era
resa conto in breve tempo di quanto tenesse a quella possibilità, di quando,
nel profondo, una parte di sé sognasse di farcela, di trasferire il proprio
futuro nella città scozzese. Tuttavia la prospettiva di lasciare Londra le
metteva addosso una sensazione spiacevole, triste. Era presto per fare
congetture, lo sapeva, tuttavia non riusciva a non immaginare cosa sarebbe
potuto accedere se tutto fosse andato per il verso giusto. Se l’avessero presa
nell’orchestra scozzese e lei avesse colto l’occasione al volo avrebbe dovuto
andarsene da Londra e una parte di sé non voleva, era evidente. In quella città
aveva stretto i legami più forti, le amicizie indissolubili; amava la
metropoli, con tutti i suoi locali, i colori, gli angoli sconosciuti ai molti.
Anche se avrebbe imparato ad apprezzare Glasgow, l’idea di andarsene la faceva
stare male. Scacciò tutti quei pensieri, dicendosi che non aveva senso farsi tanti
problemi senza neanche sapere se la BBC Scottish
Symphony Orchestra la voleva con sé, non le faceva bene.
La cosa di cui era più soddisfatta, a ogni modo, era
di non aver trovato una alternativa abitativa a casa sua. Le case che aveva
visto non l’avevano convinta e l’idea di mettere in affitto la stanza di
Olivier era sempre stata l’ultima ipotesi considerata. Così facendo era ancora
punto e a capo, come il primo giorno successivo al matrimonio. Adesso aveva un
motivo in più per non muoversi in quella direzione. Prima avrebbe visto come
sarebbero andate le cose a Glasgow, poi avrebbe scelto di conseguenza.
«Prova a pensare se dovessero prenderti» disse April. «Avrei
una scusa perfetta per venire a Glasgow a cadenze regolari» proseguì
ridacchiando.
«Per me sei già proiettata troppo avanti.»
«Io la lascerei dire. Magari ti porta fortuna»
intervenne Sadie.
Le tre si scambiarono un sorriso, dopodiché, in
seguito a un breve attimo di silenzio, Sadie chiese: «Che mi dici, Audrey,
questa può essere la tua occasione?»
La pianista la guardò, pensando. April si era zittita
di colpo e osservava l’amica, seduta accanto a lei sul letto.
«Onestamente devo ancora capirlo» ammise, tornando a
rimuginare su quanto le riempiva la testa da giorni. «Penso che prima farò
questa audizione dando il mio massimo, poi si vedrà. Sono sicura che,
indipendentemente dal risultato, il verdetto mi aiuterà ad aprire gli occhi.»
Quella risposta servì anche a se stessa; sentiva di
avere ragione. Dopotutto, vedere quell’occasione sfumare o, al contrario,
diventare realtà, le avrebbe senza ombra di dubbio consentito di trovare le
risposte ai suoi dubbi. Era sempre così, in fondo, le eccezioni erano poche.
Sadie parve soddisfatta di quella risposta, ma si
leggeva – così come in April – un velo di dispiacere all’idea di vedere l’amica
trasferirsi in Scozia. Nonostante ciò, entrambe le amiche furono molto brave a
non darlo troppo a vedere.
«Beh» disse d’un tratto Sadie, «basta parlare di te.
Questa ve la devo raccontare.»
Audrey sorrise a quelle parole. Le sue amiche erano
particolarmente brave a farla sentire bene e Sadie, soprattutto, era in grado
di leggere quanto non detto da Audrey, almeno ai livelli di Oliver.
La pianista fu contenta di avere un motivo per
cambiare argomento. Il mattino seguente sarebbe partita alla volta di Glasgow e
già sapeva che avrebbe trascorso tutte le quattro ore del viaggio a pensare e
ripensare a quello che sarebbe potuto accadere. Almeno la sera prima della
partenza, almeno con le sue amiche, voleva scollegare la mente.