Anime & Manga > Uta no Prince-sama
Segui la storia  |       
Autore: _Takkun_    01/06/2018    1 recensioni
Dal prologo:
Fece scorrere la playlist e, come di consuetudine, il suo dito andò a fermarsi su una canzone in particolare: Rise Again.
Quando la fece partire, Ranmaru indirizzò lo sguardo verso il cielo terso di quel pomeriggio.
Il giorno seguente sarebbe stato il primo di aprile, lo stesso giorno in cui, una decina di anni prima, il destino gli aveva riservato un inaspettato scherzo, facendogli incontrare un ragazzo che con la sua inesauribile vitalità e il sorriso sempre ben piantato sulle labbra, gli aveva cambiato la vita.
Rise Again era la loro canzone.
Sua e di quel ragazzo che un tempo rispondeva al nome di Reiji Kotobuki.
~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~
“Even if I lose everything, I’ll still love only you”
So in love… I don’t want to be apart from you
Even if my dreams are ripped to shreds
“Even in stormy winds… Even if lightning strikes… I will not fall again”
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Ranmaru Kurosaki, Reiji Kotobuki
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Rise Again

 
 
03. Tra sfide e nuove impressioni



 
 
 
 
[Tokyo, 2 aprile 2015]
 
 


«Un’uscita?! Noi e altri esseri umani? Se è una presa per il culo ti ricordo che il pesce d’aprile era ieri.»
Ranmaru sospirò senza prestargli troppa attenzione, piegandosi, piuttosto, a contare i soldi all’interno della custodia del suo basso. Forse avrebbe dovuto cominciare a scrivere una nuova canzone per continuare a tenere alto l’interesse dei passanti. «Non sei costretto a venire. In realtà andrebbe bene solo Hiroto, parla talmente tanto che basta anche per me.»
Kurou schioccò la lingua, alzando gli occhi al cielo. «Wow, Ranny, trattieni il tuo spirito festaiolo, eh. Pensa invece ad usare tutto questo entusiasmo per racimolare qualcosa in più di quello.» fece, indicando la somma in mano a Ranmaru.
L’albino non poté dargli torto.
Si rialzò con una smorfia, infilandosi in tasca quei miseri mille yen*. Mille. Non era poco per un’artista di strada, certo, ma vista la media giornaliera a cui era abituato, quelli non erano neanche un granché.
Soprattutto perché era convinto che la sua musica andasse più che bene.
Attirava, e anche quando non era propriamente in vena di cantare davanti a delle persone, nessuno si era mai accorto della differenza nelle sue esibizioni. Poteva persino arrivare a sbagliare degli accordi e solo in tre, probabilmente, fra il pubblico, sarebbero stati in grado di cogliere la stonatura.
Erano tutti un branco di idioti che della sua musica, del testo delle sue canzoni, non capivano assolutamente nulla. Specie quelle mocciose starnazzanti che non mancavano mai di perdersi le loro serate al Parsley’s.
Le avrebbe fatte sopprimere dal dottor Sakagami più che volentieri se non fosse stato per il fatto che, proprio grazie a loro, le entrate del locale erano incrementate.
Sospirò di nuovo, deciso a suonare un altro paio di canzoni prima di raccogliere le sue cose e dirigersi al Parsley’s per dare una mano in cucina vista l’avvicinarsi dell’ora di pranzo. «Tu levi le tende o no?»
«Per favore, Kurou, puoi lasciarmi spazio libero per poter suonare un altro po’? Ti viene così difficile da dire? Un corso di buone maniere no, eh?»
«Sei l’ultima persona da cui posso sentirmelo dire.»
«A differenza tua le basi almeno le conosco.»
«Sei ancora qui a dare aria alla bocca?»
Kurou grugnì ma decise di non aggiungere altro, tornando piuttosto alla propria postazione dall’altra parte della strada, stiracchiandosi una volta seduto sul suo sgabellino.
«Comunque per me va più che bene! Vuoi che li avvisi?!» urlò con un sogghigno, sapendo bene quanto il compagno di band poco lo sopportasse quando cercava di comunicare in quel modo. Questo gli fece un cenno di assenso col capo, scaturendo una certa ilarità in Kurou nel vedere la sua espressione palesemente infastidita.
Sghignazzò con il pennello tra i denti, dando la schiena a Ranmaru e mettendosi velocemente all’opera per avvisare l’amico.
Una volta inviato il messaggio, riprese in mano il pennello e lo fece roteare abilmente tra le dita, mantenendo nel frattempo il ritmo con il piede quando Ranmaru riprese a suonare.
Il suo viso non tardò a contrarsi in un’espressione seria e concentrata, le orecchie focalizzate sulla sua musica.
Ormai in un mondo a cui solo lui e quelle noti graffianti appartenevano, lasciò che proprio queste guidassero il pennello sulla tela candida.
Lo aveva odiato fin dalla prima esibizione a cui aveva assistito, e ancora oggi il suo odio per lui non cessava di roderlo dentro.
Odiava quanto fosse maledettamente bravo a usare quelle dita per tirare fuori il meglio dallo strumento.
Odiava come era riuscito a guadagnarsi il rispetto degli altri artisti di strada, i quali, riconoscendo il suo talento, gli avevano concesso un “territorio” che apparteneva solamente a lui e in cui nessuno lo avrebbe disturbato.
Ma a parer suo dietro a quello che loro spacciavano per rispetto si nascondeva più che altro il timore di non essere abbastanza al suo confronto per i gusti del pubblico, rischiando così di essere ignorati.
Con Ranmaru non c’era competizione, ne erano tutti ben consapevoli.
Kurou chiuse gli occhi, portando la mano libera all’altezza del petto, stringendo in un pugno il tessuto della maglietta.
Ma ciò che forse più odiava era il modo in cui i muscoli del suo braccio finivano col contrarsi ad ogni pennellata; il modo in cui i peli gli si rizzavano mentre il battito del suo cuore diventava man mano più irregolare, provocandogli dei brividi a partire dalla nuca e poi via via scendendo lungo la spina dorsale che mai si sarebbe immaginato di poter provare.
Odiava quanto in realtà amasse la sua musica.
Kurou riaprì gli occhi, accigliandosi nell’avvertire il brusio di nuove persone raccolte attorno a lui.
«Tsk
Alla fine era solo quella a legarlo a Ranmaru, nient’altro.
 
§§§§
 
«Fatemi capire un attimo! Non è uno scherzo?»
«Heh, visto che non sono l’unico ad averlo pensato, Ranny?»
«Fottetevi.»
Il batterista della band, ora al bancone, sospirò sconsolato a quella scena, prendendo in mano il vassoio con su qualche bibita datogli da Yume, ringraziandola poi educatamente, chinando il capo.
L’anziana sorrise al gesto.
«Mi chiedo ancora come sia possibile che tu riesca a stare insieme a loro. I vostri caratteri sono talmente diversi.»
Hisoka le sorrise a sua volta, lanciando un altro sguardo ai tre seduti al tavolo in attesa del suo arrivo. «Se fossero come me, probabilmente sarebbe tutto molto più noioso e monotono, invece con loro non sai mai cosa aspettarti.»
Rifletté un attimo prima di correggersi.
«A parte i litigi tra Ranmaru-san e Kurou, quelli ormai sono all’ordine del giorno.» ridacchiò, regalando la stessa risata a Yume che, alla fin fine, non poté dargli torto.
«Hisocchi! Quanto ci stai mettendo per quelle bibite?!»
«Hiroto, arrivo! Con permesso, allora.»
«Vai, vai. Mi raccomando, tienili sotto controllo, mh?» scosse la testa, la donna, per poi dirigersi verso le scale che l’avrebbero condotta al piano superiore del locale. «Per qualsiasi cosa mi trovate su.»
Una volta che il ragazzo le ebbe annuito, iniziò a salire poco per volta gli scalini, Hisoka, invece, si diresse finalmente dagli altri, facendo rilasciare a Hiroto un urlo di esaltazione che lo fece divertire, ma la sua attenzione si spostò subito su Ranmaru quando questo si allungò per prendere la propria lattina, ringraziandolo con un cenno del capo.
Hisoka gli dedicò un sorriso imbarazzato, sedendosi infine al suo posto. «Uhm, quindi questa sera ci vedremo davvero?» chiese, infilando la cannuccia nel suo tè alla pesca, sorseggiandone un poco.
Kurou a quella domanda scoppiò a ridere sguaiatamente, spazientendo visibilmente Ranmaru. Cosa credevano che fosse? Un buffone a cui piaceva fare battute?!
«H-Ho detto qualcosa di divertente?»
Hisoka spostò subito lo sguardo da Kurou a Ranmaru, preoccupato di averlo in qualche modo offeso. «Era solo una domanda, non volevo prendere in giro nessuno! Io-»
«Oh, non fare quella faccia!» Hiroto interruppe il suo discorso, toccandogli da sotto il tavolo la gamba con il ginocchio, come per rassicurarlo che ci avrebbe pensato lui e di non farsi alcuna paranoia. Hisoka quindi si zittì all’istante, abbassando lo sguardo. Sperava davvero che Hiroto potesse fargli capire che non era sua intenzione prendersi gioco di lui.
«Io e Hisocchi ne abbiamo parlato un po’ stamattina, Ran-chan.» Il chitarrista allungò poi una mano alla nuca di Kurou, colpendolo leggermente in modo da farlo smettere di ridere. Questo non prese la cosa troppo bene, ma Hiroto non gli diede alcun modo di interromperlo. Continuò a parlare anche sopra le sue minacce e imprecazioni varie.
«Non è per scherzare, siamo davvero rimasti sorpresi. Non siamo mai usciti assieme da quando ci conosciamo, per quello ci era sembrato un po’ strano! Ma questo non vuol dire che non ci faccia piacere~» gli sorrise ampiamente, acchiappando poi Kurou con un braccio avvolto attorno alle sue spalle, strofinandogli il ciuffo sul davanti con le nocche. «E anche Kurry è della stessa idea, ne sono convinto. Siete solo due brontoloni che non amano ammettere le cose anche quando sono evidenti.» sospirò sconsolato e un filo melodrammatico, venendo poi spinto malamente da Kurou, il quale non apprezzò affatto quel trattamento. Ma questo non fu sufficiente a spegnere il suo animo.
Hisoka in tutto ciò continuò a ringraziare mentalmente il migliore amico con un tenero sorriso sulle labbra. Riusciva sempre a impedire che gli altri due si scannassero tra loro. Aveva un carattere carismatico e sapeva come imporsi in una situazione come quella senza alcuna prepotenza, solo tanta esuberanza e simpatia, oltre che particolare attenzione alle parole da usare in base al suo interlocutore.
Chiunque finiva irrimediabilmente attratto dalla sua personalità vitale.
Hiroto era sempre stato qualcuno a cui aspirava di poter anche solo somigliare un giorno.
Hisoka sentì poi un pizzicotto sul dorso della mano che lo distolse dai suoi innumerevoli pensieri, sollevando lo sguardo verso l’amico. Anche se era impegnato a parlare, Hiroto non si era comunque lasciato sfuggire il suo silenzio e gli occhi persi a fissare il vuoto.
Risollevò quindi il capo e si sforzò di rendersi partecipe alla conversazione per non farlo preoccupare.
«Kurou ci aveva scritto che non saremo solo noi, giusto?»
Ranmaru finì di bere la sua bibita e la riappoggiò sul vassoio. La voglia di annullare tutto e dimenticarsi di quella storia stava diventando sempre più forte, ma in qualche modo temeva che con la sua sfortuna sarebbe finito per incontrare di nuovo quello squilibrato e che questo lo avrebbe tormentato ancora per un’altra uscita. Quindi era meglio non rischiare e giocarsi quella serata con infinita pazienza, anche se la vedeva estremamente dura fin da ora.
«Non so quanta gente ci sarà, spero non troppa, comunque. So solo che questo tizio porterà alcuni suoi amici per passare la serata assieme.»
I tre si scambiarono un rapido sguardo fra loro, poi Kurou, dopo essersi ripreso e calmato da prima, azzardò una domanda.
«Ranny, che intendi per tizio? Non lo conosci?»
Ranmaru scrollò le spalle. «Ho avuto il dispiacere di conoscerlo ieri, dopo che ha quasi rischiato di tirarmi sotto la sua auto. Poi ha insistito per offrirmi questa serata e farsi perdonare, o meglio, per mettersi la coscienza a posto.» grugnì, grattandosi la nuca, mentre gli altri continuavano a fissarlo allibiti da come stesse raccontando il tutto con apparente tranquillità.
«Non mi ricordo nemmeno come si chiama…»
Il silenzio che venne a crearsi tra loro si ruppe con il rumore di una testata che Kurou diede sulla superficie del tavolo, basito. Non poteva dire sul serio, giusto?
«Dio…»
E invece no, sapeva benissimo che l’altro non stava affatto scherzando. Non a caso gli era venuto il dubbio, quella mattina, considerando che Ranmaru non sembrava aver mai avuto un gruppo di amici o conoscenti con cui uscire. Ora tutto aveva un senso… più o meno.
Alla testata di Kurou seguì pochi secondi dopo la risata di Hiroto, il quale finì addirittura per piegarsi in due sul tavolo, con le lacrime agli occhi.
«Ran-chan, ti adoro! Credo di stare per morire, davvero! Sembri il protagonista di un anime!» continuò a ridere, voltando il viso verso Hisoka, il quale lo guardò con gli occhi sbarrati per come aveva appena reagito. Non ci si poteva mettere pure lui!
«Hisocchi! Hisocchi! Sto pensando a Ichigo delle Mew Mew! Hai presente la puntata dove viene quasi investita, ma riesce comunque a evitare il camion grazie al nuovo DNA?! Ce lo vedo troppo! UGUALE!»
Hisoka ritenne diretta responsabile di ciò la sorella minore dell’amico, e se quel pomeriggio fossero riusciti ad uscirne indenni, si ripromise di non permettere mai più a Hiroto di guardare altri anime in sua compagnia.
Ranmaru sbatté con forza il palmo della mano sul tavolo, facendo sobbalzare il castano per lo spavento, ma quest’ultimo sembrava essere l’unico ad aver reagito al gesto dell’albino.
«Brutti pezzi di-!»
Hisoka si tappò le orecchie e sollevò gli occhi al soffitto, sospirando sconsolato.
Ranmaru afferrò Kurou per la collottola e iniziò a sbraitargli contro, ma quando questo cercò di difendersi chiedendo per quale diavolo di motivo se la stesse prendendo con lui se era Hiroto quello che stava ancora ridendo, Ranmaru gli rispose che la boccaccia del ragazzo gli sarebbe servita quella sera per non stare dietro ai discorsi degli amici del pazzo di ieri, e che il giorno dopo si sarebbe impegnato a far fuori anche lui.
Con un altro sospiro, il batterista scosse un po’ per il braccio il migliore amico, richiamandolo più volte per farlo smettere – anche se effettivamente non poteva dargli torto, una breve risata se l’era fatta sfuggire anche a lui a pensarci –, ma Hiroto sembrava averne ancora per molto, mentre gli altri due avevano già iniziato a bisticciare e insultarsi con termini che ancora lasciavano di sasso il povero Hisoka.
Sarebbero davvero riusciti ad arrivare a quella sera?
 
§§§§
 
Ospedale della baia di Odaiba – ore 17:38
 
 
Otoya rimase aggrappato a Reiji con le braccine ben avvolte attorno al suo collo, il viso premuto sulla sua spalla.
Reiji gli accarezzò la schiena mentre aspettò che l’infermiera uscisse dalla stanza 308, riservata a uno dei loro nuovi pazienti, Tokiya Ichinose.
«Io lo sapevo che non voleva fare amicizia…» mormorò intristito il piccolo.
Reiji sospirò, infilando in tasca il naso rosso che si era messo addosso per far divertire i due bambini, specialmente Tokiya, il quale quella mattina aveva ricevuto la prima iniezione del trattamento per la malattia.
I due erano andati in missione per controllarne lo stato – il tutto sotto la complicità delle infermiere, che con il tempo avevano sviluppato una certa simpatia e fiducia nei confronti del moro -, ma le cose non erano andate come da programma, tutt’altro.
Tokiya si era mostrato, proprio come l’ultima volta, restio e schivo nei loro confronti, dicendo che non era in alcun modo interessato a stringere amicizia con nessuno all’interno dell’ospedale, men che meno con un adulto che se ne andava in giro con un naso rosso sperando di far divertire i bambini. Almeno, aveva messo in chiaro che con lui quel genere di cose non sarebbero funzionate.
E Reiji dovette ammettere di essere rimasto colpito dalla serietà con cui continuava a rivolgersi a lui, senza scomporsi un solo attimo mentre se ne rimaneva sdraiato sul suo letto. Per un bambino di soli sette anni una parlata e un atteggiamento come i suoi erano sorprendenti, ma comunque non adatti alla sua età.
Reiji si chiese in quale modo potessero averlo educato i genitori per renderlo così.
«Kotobu- Reiji-kun.» l’infermiera si corresse ancor prima di concludere, ricordando le volte in cui l’altro le aveva detto di dimenticare il suo cognome e rivolgersi a lui utilizzando direttamente il nome, odiando quel genere di formalità. «Credo che per oggi sia meglio lasciarlo riposare. Per essere stata la prima iniezione ha sopportato anche fin troppo bene questa giornata, ma trattandosi solo di una piccola dose iniziale per farlo lentamente abituare, dalla prossima sarà un po’ più difficile vederlo subito. E direi che è arrivato il momento di tornare in camera anche per te, Ittoki-kun.»
A quello Otoya si strinse ancora di più a Reiji, scuotendo piano la testa. «Voglio stare ancora un po’ con Rei-nii.»
Reiji sorrise all’infermiera, facendole capire che non doveva preoccuparsi e che ci avrebbe pensato lui.
«Otoyan.» lo chiamò, staccandolo un poco da lui. «Ha ragione. I patti erano che saremmo venuti qui per Tokki e che poi saresti tornato in camera, ricordi? Se fai questi capricci, allora non potrò più prenderti come mio assistente la prossima volta.»
Otoya sbarrò gli occhi a quella prospettiva e si affrettò subito a scuotere un’altra volta la testa.
«Sono solo triste per Tokiya, per quello volevo stare ancora con Rei-nii! Però se dici così allora torno.»
Reiji inclinò il capo intenerito, sistemandogli meglio la bandana rossa – con tanto di teschi pirateschi - sul capo. «Se potessi ti porterei direttamente a casa con me, piccolo.»
A quella confessione Otoya lo abbracciò di nuovo con tutte le forze in suo possesso. «Anche io voglio…» disse, il tutto sotto gli occhi dell’infermiera che continuava ad osservarli con dolcezza.
Non sapeva come, ma per lei e le sue colleghe era diventato un problema allontanare Reiji dai bambini, e non perché questo opponesse resistenza, bensì erano i bambini stessi a rifiutarsi di lasciarlo andare. Anche in quel momento quasi non se la sentiva di dividerli, ma se il primario fosse venuto a conoscenza della cosa, era conscia del fatto che Reiji non sarebbe più stato in grado di entrare in contatto con loro, le prossime volte.
«Ittoki-kun, mi dispiace davvero, ma dobbiamo andare.»
Reiji lasciò un bacio sulla guancia a Otoya e gli sussurrò un ti voglio bene prima di lasciarlo tra le braccia dell’infermiera. «Fai il bravo, mi raccomando. Tanto domani mi hai ancora qua, non ti liberi di me, sai?» ammiccò, facendolo sorridere entusiasta.
«Domani ti aspetto!» disse, aggiungendo in un sussurro - coprendosi da un lato la bocca, convinto che l’infermiera non fosse in grado di sentirlo. «Io voglio ancora provare…» fece, indicando con un piccolo cenno del capo la porta di Tokiya, certo di usare moltissima discrezione.
Reiji trattenne una risata e l’impulso di mangiarselo di baci, rispondendo con la stessa serietà alla proposta del minore. «Ci puoi contare.»
Otoya annuì, accoccolandosi - ora più tranquillo - tra le braccia dell’infermiera. «Possiamo andare!»
La donna sorpassò il moro e scosse la testa, non nascondendo un certo divertimento in tutto ciò. «Siete dei criminali, voi due.»
Reiji salutò entrambi con la mano fino a quando non furono entrati in camera, poi si riportò davanti alla porta di Tokiya, osservandola attentamente.
Se avesse provato a parlarci da solo e con più serietà, sarebbe riuscito ad ottenere maggiore confidenza con lui?
«Kotobuki!»
Non ebbe nemmeno il tempo di mettere mano alla maniglia che quella voce profonda e severa tuonò alle sue spalle, facendolo sobbalzare. Era stata una fortuna che non lo avesse trovato in giro con Otoya, ci sarebbe finita di mezzo anche l’infermiera, e se possibile preferiva evitare di discutere davanti ai più piccoli.
«Inoue-sensei, che coincidenza! Anche lei da queste parti?» gli sorrise amichevolmente quando si voltò verso di lui, e ancora non sapeva come mai cercava di buttarla sul ridere con quell’uomo: era pressoché impossibile farlo sorridere.
Questo infatti lo raggelò con un solo sguardo, facendogli ben intendere che di scherzare non ne aveva proprio intenzione.
«Che cosa ci fa davanti a quella stanza? Stava per entrare?»
«No, signore.»
Sì, signore.
Il primario controllò l’ora sull’orologio da polso. «Posso sapere, allora, che cosa ci fa qui? Il suo tirocinio dovrebbe essersi concluso un’ora fa.»
Reiji prese a grattarsi la nuca, cercando di trovare una scusa che potesse suonare convincente e che non gli valesse alcuna strigliata o, peggio, l’espulsione da quel reparto.
Inoue seguì ogni suo movimento, pronto a fiutare qualsiasi suo tentativo di mentirgli, e quando pensò di essere ormai con le spalle al muro e di non avere più scampo, Reiji vide improvvisamente la luce, la sua ancora di salvezza.
«VAN!»
Il diretto interessato finì quasi per rovesciare il caffè che aveva in mano nel sentire il suo nome urlato in quel modo. Solitamente non c’era mai nulla di buono da aspettarsi.
Quando però vide che quello che lo aveva chiamato era Reiji, il suo cuore si alleggerì notevolmente, per poi appesantirsi di nuovo nell’esatto momento in cui spostò il suo sguardo sulla persona accanto a lui. Lo sapeva lui, niente di buono.
Non poteva far finta di nulla e ignorare che l’avesse chiamato, vero?
Van ci provò comunque, ma non appena indirizzò il piede nella direzione opposta alla loro, questa volta fu Inoue-sensei a farsi sentire con un bel “KIRYUIN” che echeggiò per tutto il corridoio.
Ora ne andava della sua futura carriera e, soprattutto, della sua vita. Nessuna persona con un briciolo di buonsenso avrebbe potuto ignorare il primario dagli occhi – e dal cuore – di ghiaccio.
«Oh! Che coincidenza veder-»
«Sì, anche noi da queste parti. Dovrebbe cambiare repertorio, il suo compare ha già dato.»
Van rise nervosamente a quell’interruzione, lanciando un’occhiata a Reiji che mimò con le labbra un aiutami, e il moro in cuor suo sperò che l’amico non avesse combinato nulla di troppo folle questa volta.
«Quindi? Perché sono stato chiamato?»
Inoue incrociò le braccia, assottigliando lo sguardo verso Reiji. «Me lo dica lei, Kiryuin. Sembra essere il motivo per cui Kotobuki è ancora qua nonostante il suo tirocinio si sia già concluso, o almeno così presumo.» gli occhi del primario si abbassarono su una delle tasche del camice di Reiji. Allungò una mano verso suddetta tasca e tirò fuori il naso rosso del ragazzo, assumendo una smorfia disgustata mentre se lo rigirava tra le dita. «Altrimenti non l’avrebbe chiamata con tutta quell’urgenza.»
«E-Esatto! Van, digli-»
«Silenzio. Sono sicuro che il signor Kiryuin sappia parlare benissimo anche senza che lei dia indicazioni, o sbaglio?»
Van spostò più volte lo sguardo dal loro superiore a Reiji, chiedendosi se quest’ultimo avesse già accennato a qualcosa o se poteva inventare di sana pianta una scusa senza preoccuparsi che le due versioni combaciassero.
Notando Inoue-sensei stringere il naso rosso in una mano, spazientito, capì di starci pensando troppo e che qualsiasi cosa avesse tirato fuori sarebbe comunque risultata troppo sospetta.
Quindi alla fine decise di correre il rischio e optò per la seconda opzione.
Alla peggio sarebbero finiti insieme nei guai, non avrebbe potuto lasciare Reiji da solo in quella situazione – anche se si ripromise di fargliela comunque pagare con una cena a sue spese.
«Oh, sì, Reiji stava aspettando che finissi il mio turno perché questa sera abbiamo un impegno in comune.»
E da una parte non stava nemmeno mentendo completamente, quindi si sentiva la coscienza piuttosto a posto. «Ma come sa Reiji non riesce a stare fermo in reparto, quindi per ammazzare il tempo si è messo a parlare con qualche infermiera. Cos’è successo, Reiji? Ti hanno dato tutte il due di picche e ti hanno lasciato da solo?» ghignò in sua direzione, sperando di essere stato sufficientemente convincente con quella storia.
Lo sguardo carico di gratitudine da parte dell’altro gli fece capire di aver fatto un lavoro soddisfacente e, soprattutto, di non aver detto nulla che contrastasse con qualsiasi cosa avesse detto lui prima del suo arrivo.
«Io due di picche? Quando mai? Credo tu ti stia confondendo con te stesso, sai?»
«Oh-oh? Mi stai forse provocando? Stasera possiamo provare a fare una sfida su chi riesce a ottenere più numeri di telefono~»
«Vuoi proprio fare brutta figura davanti altra gente, mh?»
«Non voglio sentirvi blaterare oltre.» gli interruppe Inoue, alquanto scocciato. Era chiaro come la luce del sole che quei due lo stavano prendendo in giro, e sebbene gli passò per la testa un provvedimento disciplinare riguardo il loro atteggiamento in reparto, specialmente con quello che Kiryuin aveva appena commentato nei confronti del personale femminile, anche per questa volta decise che era inutile perdere tempo con loro considerando quanto lavoro aveva ancora da sbrigare.
«Voglio solo che mi ascoltiate attentamente, soprattutto lei Kotobuki, che è il principale responsabile dello scompiglio in questo reparto.» disse, sollevando il naso rosso all’altezza del viso dell’altro prima di porgerglielo in mano. «Se ancora non ve ne foste accorti, ci troviamo in un ospedale, e svolgete da qualche mese un tirocinio in oncologia pediatrica. Capite la serietà delle condizioni dei nostri pazienti, giusto? Trattandosi soprattutto di bambini, vorrei non dover più riprendere nessuno di voi pagliacci per le vostre trovate. Siete aspiranti infermieri, l’ospedale non è di certo un circo.»
Reiji si accigliò, sentendo il sangue ribollirgli nelle vene.
Era raro che il moro si arrabbiasse così visibilmente per qualcosa, Van lo sapeva bene.
Ma sapeva anche quanto Reiji tenesse a tutta questa storia della clown terapia e di quanto fosse convinto che portare una ventata di gioia e divertimento a dei pazienti che ogni giorno si limitavano a passare il tempo senza alcuno stimolo all’interno della loro stanza - scambiando magari quattro chiacchiere con il paziente a fianco o con i medici al momento delle somministrazioni delle medicine – fosse non importante, ma fondamentale al fine di garantire un trattamento ancora più efficace per la lotta contro la malattia.
In quanto studenti tirocinanti non avevano un grande potere, infatti non avrebbero potuto fare molto in quei mesi senza l’aiuto di Satou-san – folle quanto loro, ma un vero e proprio santo quando si trattava di portare pazienza e aiutarli nel mettere in atto i loro piani, prendendosi buona parte della responsabilità per coprirli – e soprattutto delle infermiere, degli angeli, a detta di Van, che avevano subito nutrito un certo interesse nei confronti di quella terapia, e un’immediata simpatia nei confronti di Reiji.
La stessa simpatia che aveva provato lui e che lo aveva irrimediabilmente attratto alla sua personalità così simile alla propria. Diventare amici e instaurare quella complicità era solo stata questione di tempo, non si sarebbe mai potuto rifiutare di dargli una mano in quell’impresa.
Erano due pagliacci, vero, ma avrebbe fatto volentieri l’idiota a vita se questo significava vedere ogni giorno il sorriso sui volti di quei bambini.
«La farò ricredere, Inoue-sensei.»
Sebbene nei suoi occhi si stessero riflettendo fiamme pure, Reiji non alzò il tono della sua voce, rimase fermo e deciso, continuando a portare rispetto alla figura del primario.
Un atteggiamento ammirevole, secondo Van: come facesse mantenere la calma e la testa, nonostante tutto, doveva ancora capirlo. Sapeva quanto l’altro si caricasse di lavoro tra lo studio e il tirocinio, molto più di lui e di tutti i suoi compagni di corso, ma non l’aveva mai sentito lamentarsi della stanchezza sebbene questa fosse piuttosto evidente, anzi, cercava sempre di caricare di entusiasmo ed energia chiunque gli stesse vicino senza cadere una sola volta in quello che si prefiggeva di raggiungere quotidianamente.
L’amico aveva sicuramente una forza di volontà fuori dal comune, ma spesso Van si era chiesto se questo fosse dovuto a qualcosa, forse un avvenimento del passato, che l’aveva visto costretto ad abituarsi a questo tipo di atteggiamento.
Poi Van si sentì preso per il braccio, trascinato via da un Reiji che di continuare quella conversazione non sembrava più averne voglia.
«Allora a domani, signore!» si affrettò a congedare per entrambi, ricevendo nulla in risposta se non la schiena del primario mentre si allontanava per controllare il resto del corridoio.
Van sospirò, sorpreso da come il suo caffè – ormai freddo – fosse ancora all’interno del bicchierino. «Puoi spiegarmi cosa è successo prima che venissi?» chiese, mentre l’altro continuava a tirarlo con sé.
Reiji rimase con lo sguardo basso, pensieroso, procedendo a grandi falcate verso lo spogliatoio. «Ne parliamo domani, non voglio rovinarmi la serata.»
 
§§§§§
 
 
Shibuya – Ore 20:17
 
 
Ranmaru non poteva credere che quel deficiente fosse davvero in ritardo.
Per una cosa che aveva proposto lui, peraltro.
L’unico che sembrava aver capito di doversi presentare alle 20 era quel tipo che ora stava parlando con Hiroto e Hisoka, e sperò davvero che quella fosse l’unica persona che il pirata della strada si era voluto portare come compagnia. Gli era bastato sentirlo ridere sguaiatamente per tre volte di fila – chissà per cosa gli aveva raccontato Hiroto – per capire che fosse una persona irritante quasi quanto quel dannato ritardatario.
Si voltò dall’altra parte, osservando Kurou poco distante da lui, impegnato a parlare con un gruppo di ragazze. Se fosse tornato per vantarsi di qualche nuovo numero di telefono, probabilmente sarebbe finito col mandarlo a quel paese e andarsene definitivamente.
Non aveva nulla di meglio da fare nel suo appartamento, questo era vero, ma non aveva nemmeno intenzione di starsene lì in piedi come un idiota ad aspettare i comodi di qualcuno.
Anche perché a quanto sembrava, in quel momento era l’unico a non starsi divertendo minimamente. Dubitava tra l’altro di potersi divertire dopo, ma questa era un’altra storia.
Esattamente per quale motivo aveva accettato, quando poteva semplicemente farsi dare dei soldi visto che aveva insistito così tanto? Di sicuro gli sarebbero stati molto più utili di quella stupida uscita…
«Ehi! Ci siamo anche noi! Scusate il ritardo!» 
E finalmente il miracolo accadde.
«È la seconda volta che ho a che fare con te, ma ho già capito che non hai la minima idea di che cosa significhi puntualità.»
Reiji si grattò la nuca, chiedendosi se giustificarsi sarebbe servito a far sparire quel cipiglio arrabbiato dal viso dell’albino.
 Poi si sentì stringere la mano dalla persona al suo fianco che intervenne per lui.
«Chiedo scusa a tutti, se ci abbiamo messo un po’ ad arrivare è stato per colpa mia.»
Ranmaru spostò l’attenzione sul ragazzo vicino a lui che continuava a guardarlo con un’irritante tranquillità. L’albino poté in realtà vedere solo uno degli occhi di quel tipo dato che l’altro era coperto da un ciuffo di capelli corvini, ma quella sola iride azzurra, accompagnata da un leggero sorrisino fintamente gentile - che sembrava quasi sfidarlo in attesa di sapere la sua prossima azione -, bastò per fargli passare del tutto la voglia di essere lì.
Se prima rasentava lo zero, ora era sotto lo zero.
Reiji si accigliò alle parole del compagno, scuotendo la testa.
«Ran-Ran, in realtà-»
Ranmaru però lo precedette, dando le spalle a entrambi. «Entriamo e mettiamo subito fine a questa cosa. Levati di torno, tu.» fece, scansando malamente Kurou e facendosi strada in mezzo a quelle oche che avevano appena starnazzato indignate per la sua maleducazione.
«Ancora non ci abbiamo messo piede e sei già con la luna storta?!» gli urlò dietro l’artista, scusandosi con le ragazze prima di congedarle e voltarsi finalmente verso i due nuovi arrivati, i quali catturarono subito la sua attenzione per un piccolo dettaglio: si stavano tenendo per mano.
Riservò loro un semplice saluto con un cenno del capo, mentre tanti campanelli d’allarme avevano iniziato ad attivarsi nella sua testa.
Avrebbe davvero passato la serata con una coppia di froci?
Che diavolo di compagnie si andava a cercare quel cretino?
Né Reiji né tantomeno Ryosuke si lasciarono sfuggire il costante sguardo che il corvino stava riservando loro, ma decisero di lasciar perdere, facendosi scivolare la cosa addosso.
«Come mai così tardi? Dubito che la colpa sia davvero di Ryo-chan.» alzò un sopracciglio Van, avvicinandosi ai due insieme a Hiroto e Hisoka.
Reiji sospirò, guardando male il suddetto Ryosuke che colpì il moro con una leggera testata scherzosa, a mo’ di scusa. «Infatti non lo è. Ho avuto un problemino con la piccola…»
Van si tirò una manata sul viso. «Sarebbe il caso di cambiare quel catorcio, non credi?»
«Mai. Sai quanto è difficile trovare quel modello in giro, al giorno d’oggi? Anche se fossi milionario me la terrei, insieme a qualche auto sportiva, magari, che male non mi farebbero…»
Van rise, scuotendo la testa. «Pregheremo che tu non finisca per morirci in quell’auto. Falla controllare più spesso, però.»
Reiji annuì, non aggiungendo altro. Quella sera in realtà non era affatto in vena di uscire per divertirsi, le parole del primario erano ancora vivide nella sua mente e sentiva lo stomaco bruciare dalla voglia di fargli rimangiare al più presto ogni singola virgola.
Quello Van lo intuì bene, quindi si prese la briga di fare le presentazioni, avvolgendo un braccio attorno alle spalle dei ragazzi che gli avevano tenuto compagnia.
«Questi sono Murakami Hiroto-chan e Fujita Hisoka-chan~ Sono simpaticissimi e penso di volerli già adottare come fratelli minori! Posso adottare dei fratelli, vero?»  
«Mi spiace che siate finiti per conoscerlo. Proviamo davvero a tenerlo chiuso in casa, ma riesce sempre a fuggire.»
«Mr. Simpatia qui presente è il carissimo Watanabe Ryosuke-chan, fratellini, e come avrete capito non merita la mia amicizia
Il corvino alzò un sopracciglio, guardandolo male. «Suvvia, non fare il permaloso.»
Hiroto rise di gusto, picchiettando una mano sulla schiena di Van. «In realtà siamo felici di aver conosciuto Kiryuin-sa- Van-san.» si corresse, chiudendo gli occhi per un breve attimo all’arruffamento di capelli del maggiore. «È lui quello veramente simpatico.» disse, lanciandogli uno sguardo d’intesa.
«Poi fammi sapere quanto ti ha pagato per fartelo dire.» commentò Ryosuke, scaturendo una certa ilarità in Reiji.
«Dai, l’hai tormentato abbastanza.» fece il moro, sorridendo gentilmente ai due ragazzi. «Hiro-chan, Hiso-chan, è un piacere! Io sono Reiji, Kotobuki Reiji. Ammetto che per gli amici di Ran-Ran mi sarei aspettato un altro tipo di, uhm, persone…»
Hiroto guardò attentamente il moro, riflettendo sul suo nome che poté giurare non fosse nuovo per lui. Spostò lo sguardo su Hisoka che, accorgendosi di quello, ricambiò, senza però capire a cosa stesse pensando.
Questo scosse il capo, decidendo di lasciar perdere. «Beh, Ran-chan-»
«Sentite, ora che ci siamo tutti direi che è il momento di entrare, no?» fece Kurou, chiedendosi quanto ancora avessero da parlare. «Prima che Ranmaru se ne vada. Perché credetemi, è esattamente come appare, non ha un briciolo di pazienza quando si tratta di socializzare.»
Beh, nemmeno tu sembri scherzare, si disse Van mentalmente, preferendo non dar voce a quel pensiero.
Reiji annuì ancora, sentendosi in colpa di aver ulteriormente peggiorato anche l’umore dell’altro quando doveva trattarsi di una serata tranquilla e spensierata soprattutto per lui. Non credeva nemmeno che Ranmaru gli avrebbe dato un’altra possibilità per farsi perdonare, anzi, aveva detto chiaramente che aspettava solo di andarsene da lì e da loro.
 
§§§§
 
21:45
 
«Woah! Quindi avete un gruppo?! Mi piacerebbe potervi sentire!»
«Solitamente organizziamo delle serate al Parsley’s, non so se ne avete sentito parlare. Piacerebbe anche a noi se faceste un salto!»
Tra una bibita e l’altra e qualche canzone, la conversazione tra loro procedeva solo grazie a Van e Hiroto, entrambi infatti stavano cercando di alleggerire quanto più possibile l’atmosfera dato che da parte di entrambi i gruppi c’era almeno un componente che di godersi quell’uscita non sembrava averne intenzione.
Ryosuke, dal canto suo, ogni tanto cercava di coinvolgere il batterista in brevi scambi di battute a cui il minore rispondeva sempre molto timidamente, probabilmente perché doveva ancora abituarsi a loro.
Da quanto il corvino aveva potuto notare, il ragazzo si mostrava così tanto introverso solo quando l’amico, Hiroto, non era compreso nella conversazione. Sembrava quasi un bambino che si nascondeva dietro la madre, intimidito dalla presenza degli altri.
Poco prima, però, dopo averlo visto cantare in un duetto con il ragazzo al suo fianco, era rimasto sorpreso da come avesse preso immediata confidenza nell’esibirsi, nonostante ci fossero sempre loro all’interno della sala, gli estranei.
Hisoka era apparso completamente diverso da ora.
Hiroto sembrava essere una presenza rassicurante per lui, l’aveva visto negli sguardi che si erano scambiati in quel lasso di tempo: se Hisoka iniziava a vacillare e a prendere piena coscienza della presenza degli altri, a Hiroto bastava incatenare quei magnetici occhi smeraldo a quelli grigi del castano per riottenere la sua completa attenzione e farli perdere di nuovo nel loro mondo fino alla fine della canzone.
Tutto quello era stato piacevole da osservare e soprattutto ascoltare: la dolcezza delle loro voci insieme lo aveva completamente intenerito.
Per quanto riguardava gli altri due, invece, né l’uno né l’altro gli avevano trasmesso molto.
Quel Kurou continuava a messaggiare al cellulare, rendendo palese il suo disinteresse.
Mentre il conoscente di Reiji continuava a scorrere la lista delle canzoni da più di mezz’ora, non risparmiandosi espressioni cariche di disapprovazione per ciò che era disponibile, probabilmente nulla di suo gusto.
E oltre a loro, Ryosuke notò come anche Reiji fosse silenzioso e quasi estraneo al gruppo.
Non era da lui, soprattutto in presenza di più persone.
Aveva provato diverse volte a coinvolgerlo per cantare qualche canzone insieme, ma si era sempre rifiutato, scusandosi e dicendogli che per quella sera proprio non se la sentiva.
Il tutto accompagnato da qualche occhiata discreta all’albino, ognuna delle quali non fece che peggiorare il suo stato d’animo nel vederlo completamente insoddisfatto.
Se solo avesse avuto il suo numero di telefono, Reiji avrebbe potuto contattarlo per annullare tutto e rimandare a un’altra volta.
Con un umore migliore avrebbe saputo come farlo divertire, perché nessuno poteva annoiarsi in presenza di Reiji Kotobuki.
Ma quest’ultimo non era l’unico preoccupato di come stesse procedendo la serata. 
Ranmaru infatti non stava davvero prestando attenzione alle canzoni, più della metà di quelle nemmeno le conosceva.  
Tutte quelle espressioni stizzite erano riservate a dei pensieri che avevano a che fare con quel dannato dall’altra parte del tavolo. Più volte in quell’ora si era interrogato su che diavolo avesse e perché continuasse a rimanere così silenzioso, tutto il contrario di come gli era parso ieri, così fastidiosamente chiacchierone e petulante.
Ricordava solo quello scambio di battute che si era fatto con il Doc sul dover andare in ospedale per qualcosa o qualcuno, e a rigor di logica era l’unica motivazione che gli veniva in mente e che potesse giustificare il suo stato d’animo attuale.
Ma Ranmaru di certo non l’aveva obbligato a venire in quello stupidissimo karaoke, anzi, era stato lui a stressargli l’anima con tutta quella voglia di “farsi perdonare”.
E ora che aveva fatto lo sforzo di venire fin lì, sperava davvero che avesse la pazienza di sopportarlo mentre teneva lo sguardo basso e ogni tanto si lasciava andare a qualche sospiro?

Col cavolo.
 
«Oi.»
Bastò quello per fermare la conversazione tra Van e Hiroto: finalmente qualcun altro sembrava mostrare dell’interesse oltre a loro. Persino Kurou sollevò gli occhi dallo schermo, interrompendo la chat con la ragazza della lavanderia del giorno prima.
Reiji lanciò una rapida occhiata agli altri prima di indicarsi. «Dici a me?» 
«Prendi un microfono, cantiamo.»
Il moro non recepì subito le parole di Ranmaru, impiegò qualche secondo prima di sbarrare gli occhi, sorpreso.
«Me lo stai chiedendo davvero?»
«Non te lo sto chiedendo, ma ordinando. O forse hai paura di non essere abbastanza bravo, pirata della strada?» disse, scimmiottando le parole che Reiji stesso gli aveva detto il giorno prima, scorrendo poi velocemente la lista delle canzoni, scegliendone una caso: Fukanzen Puzzle sembrava un titolo accettabile. O almeno sperava.
«È inutile che continui a chiamarmi così, so che ti ricordi il mio nome, Ran-Ran.»
«In realtà no, e smettila di chiamarmi in quel modo se non vuoi che ti ficchi una cannuccia in gola.»
«Prima la patente, ora la cannuccia… c’è altro che vuoi mettermi in gola, Ran-Ran?»
«Reiji.»
«Mmh~, vedi che te lo ricordi?»
Reiji sorrise, prendendo in mano uno dei microfoni sotto gli sguardi allibiti degli altri, quello di Ryosuke in particolare: aveva accettato di cantare con l’albino invece che con lui? Com’era possibile?
Hiroto e Hisoka, allo stesso modo, non mancarono di chiedersi come fosse possibile che Ranmaru non avesse ancora sbottato completamente. Era palese che l’altro lo stesse stuzzicando per divertirsi un po’, ma a Ranmaru non sembrava importare così tanto dal mollare tutto e levare le tende.
Van invece si mise comodo al proprio posto, curioso di godersi lo spettacolo: era ora che Reiji si svegliasse un po’ e dimenticasse almeno per un attimo quello che era successo nel pomeriggio.
Kurou nel frattempo mise da parte il cellulare, infastidito da come si era improvvisamente evoluta la situazione. Perché in un modo o nell’altro Ranmaru finiva sempre per avere gli occhi di tutti su di sé? Non poteva permettere che il merito di aver cambiato un po’ quella serata così monotona fosse il suo. Non dopo che lui, prima di tutti, si era mostrato il più restio a stare lì dentro. 
Ranmaru si alzò dal proprio posto, facendo partire la canzone.
«Se canto lo faccio in piedi.»
Reiji rilasciò un soffio divertito dalle narici, alzandosi a sua volta.
Perché no? Sarebbe stato interessante.
Quando finalmente apparvero le parole sullo schermo fu Ranmaru a iniziare: era forte, deciso e graffiante. Non si sarebbe potuto aspettare altrimenti da uno con il suo carattere.
Reiji sentì lo stomaco contorcersi quando quegli occhi eterocromatici si posarono su di lui, lasciandogli la prossima strofa.
Sopraffatto da quelle prime sensazioni tentennò un solo, misero attimo, ma l’albino l’aveva sentito bene: quel ghigno ne era la prova. Probabilmente si sentiva un predatore pronto a saltare addosso alla sua preda, e se da una parte era felice che l’altro sembrava iniziare a divertirsi un po’, dall’altra non poteva permettere che quel ragazzino gli bagnasse il naso in quel modo.
Non quando aveva alle spalle dell’esperienza nel mondo della musica e dello spettacolo.
Quel duetto però non tardò a trasformarsi in un trio quando Kurou si inserì quasi con prepotenza in una delle strofe, deciso a prendersi parte delle attenzioni che gli altri stavano riservando a quei due: non ce la faceva a rimanere buono col pensiero che dopo questa canzone lui sarebbe stato l’unico a non aver cantato nulla.
L’intromissione però non sembrò disturbare né Reiji né Ranmaru, c’era qualcosa che in qualche modo li aveva resi estranei al resto della sala, ma nessuno dei due sapeva spiegarsi quella sensazione.
Ranmaru in primis.
Forse perché prima d’ora non aveva mai cantato in coppia con qualcuno, una persona che tra l’altro sembrava saperci fare a discapito dell’impressione iniziale che gli aveva dato.
Il suo udito era sempre stato molto fine, fin da bambino era stato abituato a percepire la più piccola stonatura – che si trattasse di canto o strumenti musicali -, ma in quel momento non ne stava cogliendo alcuna, ogni parola usciva perfettamente dalle sue labbra e quando le loro voci si univano, quella canzone, che prima di quel momento non aveva mai sentito, sembrava acquistare sempre più senso.
Era così strano, ma nulla che potesse essere classificato come spiacevole.
Nonostante i suoi occhi fossero concentrati sullo schermo per seguire il testo, Ranmaru era convinto di sapere che espressione avesse l’altro in quel momento, come lo stesse guardando mentre aspettava di poter prendere il testimone della strofa seguente.
Poi quando toccava a Reiji, per Ranmaru era quasi inevitabile non lanciargli una rapida occhiata per guardarlo a sua volta, curioso di scoprire che tipo di espressività stesse assumendo: anche lui stava provando lo stesso o era semplicemente ammattito tutto d’un colpo?
Quando la musica giunse al termine, solo Kurou si buttò subito sui divanetti, sospirando soddisfatto della sua esibizione.
Reiji e Ranmaru rimasero ancora qualche secondo in piedi, guardandosi dritto negli occhi, silenziosamente.
Fu Ryosuke - attirando Reiji al suo fianco – a interrompere quella sottospecie di stato di trance tra i due. Avrebbe mentito se avesse detto che quella canzone, sebbene poi si fosse unito Kurou, non gli aveva dato fastidio.
Lui osservava parecchio, sapeva capire le persone dopo averle studiate attentamente dopo un solo incontro, e quella sintonia che avevano mostrato di avere non gli era affatto piaciuta.
Van e gli altri, invece, sembravano aver gradito parecchio, il maggiore infatti partì subito con una serie di fischi d’apprezzamento, battendo le mani insieme a Hiroto per avere il bis.
«Siete stati fenomenali!»
«Ran-chan, non credevo che saresti davvero riuscito a cantare con qualcuno!»
«Crepa.»
Reiji bevve un sorso d’acqua da una bottiglietta per idratare un po’ la gola, ridacchiando poi ai commenti degli altri: doveva ammetterlo, nemmeno a lui sarebbe dispiaciuto poter cantare un’altra canzone insieme, possibilmente solo loro due, senza alcuna intromissione. Quanto era passato dall’ultima volta in cui si era sentito così?
«Lasciando un attimo le chiacchiere da parte, io avrei sete.» gli interruppe Kurou, grattandosi la nuca, scocciato dal fatto che nessuno avesse elogiato anche la sua parte di esibizione.
Reiji fece scivolare la bottiglia d’acqua davanti a lui, sorridendogli gentile nonostante continuasse a ispirargli davvero poca simpatia.
«Puoi bere dalla mia, se vuoi, non c’è problema.»
Kurou però ignorò quella gentilezza, come se Reiji non avesse minimamente aperto bocca, rivolgendosi a Hiroto. «Hai qualcosa da passarmi o devo per forza ordinare altro?»
Reiji però non apprezzò molto quella completa mancanza di educazione nei suoi confronti, bastava semplicemente dirgli che non la voleva, non far finta di nulla.
«Non mi hai sentito, forse?» insistette allora, non tanto per costringerlo a bere dalla sua bottiglietta ma per una questione di principio: non credeva di avergli detto nulla di sbagliato, di conseguenza non si meritava di essere ignorato in quel modo.
Kurou alzò gli occhi al cielo, reclinando il capo all’indietro, infastidito. Che diavolo voleva da lui?
«Amico, non prenderla sul personale, ma preferirei evitare di bere dalla tua bottiglia o dalla sua.» disse molto semplicemente, quasi fosse la cosa più ovvia del mondo, indicando Ryosuke.
«Qual è il problema?»
La voce di Van mutò completamente rispetto al tono gioioso e allegro che aveva mantenuto per tutta la serata. Perché sì, poteva già immaginare dove sarebbe andato a parare con quella frase, la sua era una domanda retorica.
Kurou percepì subito dell’ostilità da parte sua, quindi alzò le mani in segno di resa, sorridendo sfrontato. «Che sono etero e non vorrei prendere malattie da gente come-»
Hiroto scattò sul posto e fece per aprire bocca, ma la mano che Van sbatté sulla superficie del tavolo fu più veloce, zittendo Kurou in un attimo.
«Ripeto la mia domanda, forse non hai capito. Ho detto, qual è il problema?»
Il corvino si accigliò. Pensava di star parlando con un ritardato? Come si permetteva di usare quel tono con lui?
 «Ho specificato che non si tratta di nulla di personale, no? Non capisco perché-»
«Kurou
 Questa volta fu la voce di Hiroto a richiamarlo e a suonare diversa dal solito, quasi glaciale.
Kurou guardò Hisoka al fianco del chitarrista: aveva lo sguardo basso e non osava alzare il capo per guardare in faccia nessuno, completamente rigido e immobile.
«Oh, andiamo! Hisoka, non dirmi che ti ho ferito? Tu sei diverso, ti conosco!»
«Credo che sia arrivato il momento di tacere, non credi?» disse apparentemente calmo Ryosuke, cercando di distogliere l’attenzione dal castano. Poteva ben immaginare come si stesse sentendo in quel momento, in un’età delicata come la sua, e non avrebbe permesso che l’ignoranza di quel ragazzo raggiungesse ulteriormente le sue orecchie.
Se l’atmosfera sembrava essere migliorata solo qualche minuto prima, ora tutto era tornato a quando avevano messo piede nel karaoke.
«Ragazzo, vorrei che la prossima volta pensassi due volte prima di aprire bocca, soprattutto quando ormai ci troviamo nel ventunesimo secolo.» consigliò Van, lanciandogli una bottiglia chiusa che Kurou prese al volo prima che potesse colpire la sua faccia.
Un vero peccato, si disse, forse era stato troppo gentile con quel lancio, avrebbe dovuto trattenersi di meno: non permetteva a nessuno di parlare in quel modo ai suoi amici.
Quel ragazzino era fortunato che non avesse in mano una palla da baseball, o direttamente la sua mazza: avrebbe detto addio a quei denti.
«Io direi che è arrivato il momento di tornare ognuno a casa propria.» fu questa l’unica frase con cui Reiji se ne uscì, troppo stanco per poter pensare anche a quel genere di commenti da parte di un ragazzo che di maturo sembrava avere solo il corpo.
Kurou fu il primo ad andarsene dalla sala, imprecando tra i denti dopo aver buttato sul tavolo i soldi per pagare la sua parte di conto. Col cavolo che sarebbe finito con l’uscire di nuovo con gente come quella!
«Ahhh, ora si respira più intelligenza!»
«Van.» lo riprese Reiji, non trattenendo però un leggero sorriso. In fondo aveva apprezzato che l’amico avesse preso le loro difese. «Hiso-chan, va tutto bene?» si preoccupò poi di chiedere, facendo sobbalzare sul posto il castano.
«Eh? Oh, s-sì, tutto bene,grazie.»
Ranmaru lo guardò mentre si mise a stringere i pugni sulle gambe. Anche se diceva che andava tutto bene, era palese che fosse ancora scosso dalle parole di quell’imbecille.
Lo stesso non sembrava valere per Reiji e quel suo amico – o fidanzato, da quanto aveva capito -, forse perché erano abituati a quel genere di commenti…?
Avrebbe dovuto dire qualcosa anche lui?
«Vi chiedo perdono per quello che è appena successo, purtroppo Kurou ha un cervello grande come una nocciolina, ma non è una cattiva persona.» Hiroto si alzò in piedi e si chinò in avanti, stringendo i denti. «Vedrò comunque di occuparmene domani con una strigliata. Non si sarebbe dovuto permettere.»
Ryosuke, Reiji e Van si scambiarono un sorriso tra loro, poi Van gli scompigliò i capelli.
«Non preoccuparti! Abbiamo capito che con lui c’entrate ben poco, anche se non capisco perché lo frequentiate ancora.»
Ranmaru continuò a rimanere in silenzio. Aveva già detto tutto Hiroto, era inutile che chiedesse scusa anche lui, probabilmente volevano già smettere di parlarne.
«Cambiando discorso.» fece Ryosuke, rimettendosi la giacca addosso.
Appunto, si disse Ranmaru mentalmente, dopotutto non si trattava di un argomento piacevole, e delle continue scuse sarebbero risultate fastidiose dopo un po’, o almeno così la pensava lui.
«Un attimo.» Reiji interruppe il corvino, rivolgendo lo sguardo su Ranmaru. «Ran-Ran, c’è qualcosa che vuoi dire?» domandò dopo averlo visto pensieroso per tutto quel tempo. Sembrava che non riuscisse a trovare il momento giusto per entrare nella conversazione, come se sentisse che un suo parere sarebbe stato futile in quel momento.
E Ranmaru lo pensava davvero. Non era mai stato in grado di consolare qualcuno per qualcosa, e quella era una situazione a cui non aveva mai assistito, come avrebbe dovuto comportarsi?
Nel dubbio, semplicemente si alzò. «Sì, che come hai detto è ora di andare.»
Non erano scuse che si aspettava da parte sua, quelle le aveva già sentite abbastanza, no? Non sapeva che cosa avesse voluto sentire da lui, quindi tanto valeva evitare di dire qualsiasi cosa che potesse peggiorare il tutto.
 
Ranmaru non li aspettò, non congedò nessuno.
Una volta fuori dal karaoke prese a camminare verso il suo monolocale, fermandosi solo quando un micio del quartiere si avvicinò a lui in cerca di attenzioni.
Si piegò sulle ginocchia e prese ad accarezzarlo, sorridendo appena quando questo iniziò a fare le fusa sotto il suo tocco.
I gatti, ecco con chi sapeva per certo di non poter sbagliare mai – anche se a volte Mike gli dava da dubitare anche su quello.
I gatti e la musica. La sua musica.
Erano le uniche cose che gli portavano davvero piacere e lo aiutavano ad andare avanti nella vita di tutti i giorni.
Parlando di piacere, però, la sua mente non poté fare a meno di ricordargli le sensazioni che aveva provato durante il duetto.
Forse era stato un caso, dopotutto era la prima volta che cantava insieme a qualcun altro ed era a prescindere qualcosa di nuovo per lui, ma… doveva ammetterlo, in fondo, molto in fondo, sarebbe stato curioso di poter cantare di nuovo qualcosa con Reiji – o qualsiasi altra persona, non per forza lui, sia mai che gli desse troppa importanza – giusto per vedere se sarebbero stati in grado di creare ancora quel genere d’intesa con le loro voci.
Ma si era anche ripromesso che questo sarebbe stato il loro ultimo incontro e che se l’avesse visto da qualche parte, sarebbe finito con l’ignorarne l’esistenza, quindi al diavolo quei pensieri.
Non ne aveva davvero bisogno.
 
§§§§
 
Quando Reiji e Ryosuke tornarono a casa del primo dopo aver congedato Van e i due ragazzi – e, da parte di Reiji, aver sperato che Ranmaru fosse rimasto fuori ad aspettarli per un ultimo saluto -, il moro si buttò a peso morto sul letto, aspettando che l’altro lo aiutasse a togliersi quantomeno la giacca.
Per il resto avrebbe volentieri dormito con i vestiti di quella giornata addosso.
«Sono esausto. Non pensavo che sarebbe stata una serata così stancante…»
Ryosuke appese la giacca del compagno sull’appendiabiti e subito dopo tornò a letto, gattonando fino a mettersi sopra di lui.
«Sei davvero tanto stanco, Rei?» gli sussurrò a fior di labbra prima di iniziare a baciarlo lentamente, cercando di coinvolgerlo in qualcosa di più, se possibile.
C’era ancora qualcosa che lo infastidiva, e aveva bisogno che quella notte il moro si occupasse di lui e gli desse le dovute sicurezze sul loro rapporto.
Perché quello che aveva ascoltato non era stato un semplice duetto da karaoke, giusto per divertirsi.
C’era stato ben altro, qualcosa che nemmeno la voce di Kurou era riuscita ad interrompere, e se quella intensità era stata percepita da loro che erano stati semplici spettatori, non immaginava che cosa avessero provato i diretti interessati.
Voleva che Reiji si togliesse l’albino dalla mente e pensasse a lui, solamente lui.
Si spostò a lasciargli una scia di baci lascivi lungo tutto il collo, succhiando leggermente alla base, ma Reiji lo fermò subito, mozzandogli d’un tratto il respiro con quel semplice gesto.
Perché?
Reiji gli prese il viso tra le mani, sollevando poi il capo il tanto che bastava per lasciargli un bacio sulla fronte. «Non oggi, Ryo-chan, non ne sono molto in vena.»
Ryosuke si lasciò spostare, inerme, con in viso l’espressione di uno che non sembrava aver recepito perfettamente il messaggio. L’aveva appena rifiutato?
«È successo qualcosa in ospedale, Reiji?» domandò.
Doveva essere così, giusto? Ancor prima di andare al karaoke gli era sembrato strano e più silenzioso del solito, ma aveva preferito evitare di parlarne.
Non poteva avere niente a che vedere con quel Ranmaru, o almeno sperava.
Reiji si sdraiò sulla sua parte di letto, allungando una mano per spegnere la luce dell’abat-jour sul comodino. «Non è un discorso che voglio iniziare adesso, scusa. Ne parliamo domani, okay? Buonanotte, Ryo-» sbadigliò, interrompendosi. «-chan.» concluse, chiudendo finalmente gli occhi e sperando di potersi addormentare il più velocemente possibile, senza che inutili pensieri lo costringessero a rimanere sveglio.
Ryosuke, non potendo aggiungere altro, seguì silenziosamente il suo esempio, spegnendo la luce anche dal suo lato.
Non aveva nulla di cui preoccuparsi, ne avrebbero parlato domani.
Il corvino si rannicchiò su se stesso, stringendo al petto le mani chiuse a pugno.
«Buonanotte, Rei.» mormorò, sforzandosi di chiudere occhio.
Ne avrebbero parlato domani.
 
 
 
 
*Mille yen sono più o meno sui dieci euro (o almeno così mi dice il cambio valuta)
 
 
Angolo autrice:
Okay, inizio con qualcosa che avrei dovuto dire il capitolo precedente, ma di cui mi sono ovviamente scordata. Nelle note della storia c’è l’avvertimento “tematiche delicate”, che come penso abbiate capito fa riferimento alle malattie di cui tratterò. Ecco, proprio riguardo a queste, sappiate che non entrerò mai troppo nel dettaglio, primo perché pur essendomi documentata ovunque, continuo a non sentirmi completamente in grado di parlare di questo tema in una semplice fanfiction, e non vorrei nemmeno finire per urtare la sensibilità di qualcuno scrivendo delle cavolate. Secondo perché non voglio che per voi e per me che la scrivo la lettura risulti troppo pesante e angosciante. Ci sarà già una bella dose di angst in mezzo, anche solo nel descrivere lo stato d’animo dei personaggi, per questo preferisco evitare ulteriori dettagli sulle terapie o altro. Detto questo, eccomi puntualissima con il terzo capitolo, decisamente più lungo rispetto ai precedenti! Finalmente abbiamo avuto un’interazione un po’ più forte tra i due protagonisti, nonché nuove apparizioni tra gli OC e il mio adorato Van <33
Insomma, questa volta vi sommergerò davvero di un bel po’ di canzoni :”)
Partendo da quelle che ci sono state durante il karaoke, ossia il duetto tra Hiroto e Hisoka e quella cantata dagli altri tre, voglio che ve le ascoltiate cercando di immaginarvi la scena da quel po’ che ho descritto. E voi direte “ma va?”, però non so se risulta davvero una cosa ovvia per molti >.>
Non voglio che ve le ascoltiate giusto per sentirle e basta, ecco. E spero soprattutto che vi piacciano e che vi arrivi tramite queste il genere di emozioni che volevo trasmettervi çwç
Non mi dilungherò troppo perché ho già scritto un sacco, quindi ora vi lascio qua sotto le immagini dei pg che sono apparsi, mettendovi tra parentesi i loro prestavolto, e ovviamente la solita character song :”)
Per qualsiasi dubbio, chiedete pure senza farvi problemi! E grazie un’infinità di volte ad Ailess e Starishadow per le loro recensioni, vi ricopro ancora di affetto <333
Un grosso bacione a tutti, ci sentiamo al prossimo capitolo! 


La canzone tra Hiroto e Hisoka -> 
https://soundcloud.com/akira-yuukiz24/kaji-yuki-hatano-wataru-day-by
La canzone tra Reiji, Ranmaru e Kurou -> https://soundcloud.com/kanon-koizumi/fukanzen-puzzle-shinsaku-katsura-makoto-kamen



Il doppiatore che ho scelto per Hiroto è Hatano Wataru, prestavolto Kisumi Shigino di Free!: https://soundcloud.com/sxun102/kai-fuduki-sasa-no-ha-love-letter





Doppiatore Yuki Kaji, prestavolto China di Hetalia: https://soundcloud.com/janie-sj/mirai-kaji-yuuki




Per Ryosuke ho semplicemente trovato questo ragazzo tra le immagini, assolutamente perfetto per come lo immaginavo (non so se viene da qualche manga), mentre per la sua voce ho optato per Pokota, dopo aver ascoltato una canzone cantata da lui (e il testo si rifà molto al rapporto che ha con Reiji, in caso voleste darci un'occhiata): https://www.youtube.com/watch?v=BSZwHKATZ3A




E poi abbiamo il temuto primario (che personalmente è L'OC che amo di più insieme al veterinario, Satou e Hiroto <3). Doppiatore Hosoya Yoshimasa, prestavolto Akari di Karneval: https://soundcloud.com/fujo-shin/sakura-to-tomo-ni-kimi-dake-wo 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Uta no Prince-sama / Vai alla pagina dell'autore: _Takkun_