Disclaimer:
i
personaggi qui presenti sono © di Jun Mochizuki.
La
loro stupidità intrinseca è anche un po’ merito mio, invece ù_ù”
Note: quando si dice “la
fanfiction si è scritta da sola”. Ecco, tutto è partito dalla considerazione
buttata lì per caso: “Jack Bezarius non ha giornate pesanti” e ne è
uscito questo, che non c’entra niente oltretutto ed è stato scritto
improvvisando, senza una trama.
Ed
è preoccupante che le uscite stupide di Jack mi vengano naturali X°°
Even stupid get sick
Era
impensabile – contro ogni logica – immaginare che Jack Bezarius, il terzo
figlio della famiglia Bezarius, potesse avere qualcosa di simile ad una
“giornata pesante”.
D’altra
parte, era risaputo che si trattava di un giovane dall’indole piuttosto
semplice, allegra e amante della compagnia e delle feste. Soprattutto, Jack
Bezarius amava i compleanni.
Ricordava
quello organizzato dal fratello maggiore l’anno in cui nessuno dei due genitori
aveva potuto presenziare: era stato un compleanno semplice, eppure al Jack
bambino di allora era parso così bello, e pieno del calore di quell’affetto
familiare a cui tanto teneva, che era stato a lungo il suo compleanno
preferito.
Nemmeno
la cerimonia di maggiore età lo aveva superato.
Il
primato era stato raggiunto solo da uno dei compleanni più recenti: il primo a
cui il suo migliore amico aveva deciso di prendere parte.
Era
perciò facile intuire quanto Jack Bezarius tenesse alla ricorrenza di un
compleanno e quanto per lui fosse impossibile dal punto di vista psico-fisico
rinunciare a festeggiare quello di Glen Baskerville. Piuttosto la morte – beh,
non proprio in senso letterale, ma…
Tuttavia,
se anche questa era senz’altro da considerare una grande verità della vita – o,
almeno, una grande verità di Jack Bezarius – era altrettanto vero che il biondo
era adatto a festeggiare tanto quanto non lo era ad organizzare.
Non
in senso cattivo: semplicemente, altalenava da un preparativo all’altro,
secondo l’entusiasmo del momento, senza alcuna logica apparente, e questo alla
fine portava ad un solo, unico, inevitabile risultato.
I
preparati non venivano conclusi.
Ma,
di solito, era la servitù che faceva in modo che ciò avvenisse; invece, Jack
aveva insistito affinché fosse lasciato tutto a lui stavolta. Ed ora, contro la
logica, gli ammonimenti dei fratelli, le raccomandazioni tra il perplesso e il
preoccupato della servitù, Jack Bezarius attraversava il giardino ricoperto da
sei dita di neve con una scatola fra le braccia, canticchiando.
Aveva
acconsentito all’aiuto di due soli dei suoi servitori: «Master Jack, vi serve
anche questa scatola?» sentì chiedere, poco più avanti, individuando Gilbert e
Vincent. Annuì nell’avvicinarsi: «Sì, grazie!» replicò, sistemando meglio il
peso sulle braccia.
Una
volta che furono tutti e tre in casa, sia Jack che i due fratelli posarono le
scatole a terra; il più grande si sedette, incurante di tutto, sul pavimento, a
gambe incrociate.
Sia
Gilbert che Vincent lo osservarono, incuriositi, scambiandosi poi un’occhiata
dopo la quale il minore parlò: «Master Jack, perché organizzate voi questa
festa?» domandò, notando il biondo trafficare con alcuni oggetti contenuti in
una delle due scatole. Jack ridacchiò.
«Perché
è una festa importante più delle altre, no?» replicò con naturalezza.
Gilbert sorrise al
ridacchiare del padrone e Vincent lo imitò pochi istanti dopo.
Entrambi sapevano quanto
padron Jack tenesse al suo migliore amico, anche se l'importanza delle due
casate era così diversa e le aspettative delle due famiglie nei confronti dei
due figli erano così dissimili. Jack gli parlava spesso di Glen Baskerville -
che loro naturalmente non avevano mai incontrato di persona.
E, quando gli raccontava
delle giornate passate con il suo amico, padron Jack era entusiasta proprio
come un bambino, come se avesse la loro stessa età.
Quando Vincent, quindi,
aveva chiesto a Gilbert di quella decisione del loro padrone di organizzare una
festa da solo, Gilbert aveva scrollato le spalle con un sorriso gentile.
«Quando padron Jack parla
del signor Glen sorride come una persona felice. Quindi, visto che adesso
grazie a lui siamo felici anche noi, dovremmo aiutarlo. No, Vince?» aveva detto
suo fratello maggiore - e quindi Vincent aveva subito capito che sì, aiutare
padron Jack in quell'organizzazione era importante ed era giusto, in
qualche modo.
Gilbert, intanto, si era
rivolto al biondo: «C'è qualcosa che dobbiamo fare?» domandò, servizievole.
Jack, che in quel momento
stava controllando con aria attenta del legno liscio e abbastanza scuro, alzò
lo sguardo su di lui e sorrise quasi subito: «Mi andrebbe tanto del thé caldo.
Vi andrebbe di prepararlo?» propose, il fare allegro, mentre Gilbert e Vincent
annuivano e si dirigevano entrambi alle cucine.
Dopo averli osservati
sparire in un corridoio, Jack tornò a guardare il pezzo di legno ancora fra le
proprie mani. Assunse un'aria divertita: «Bene. E ora, al lavoro!» canticchiò,
tornando a rovistare nelle scatole, mettendo da parte l'oggetto.
***
La servitù, in quei giorni,
era stata occupata con i preparativi che il signore aveva richiesto in vista
della serata di Natale a cui la loro famiglia era stata invitata.
Era uso comune che proprio
i Baskerville, organizzassero di anno in anno una cena che riuniva gli
esponenti di diverse famiglie in occasione della Vigilia di Natale. Un modo come
un altro perché tutte le famiglie girassero intorno a loro - dicevano alcuni.
Jack ne era ben felice,
ogni anno: il compleanno del suo amico ricorreva in inverno e vista la scarsa
inclinazione di Glen a ricevere dei doni, Jack aveva sempre continuato ad
approfittarne biecamente con la stessa, identica scusa.
"Non vuoi il regalo di
compleanno? Oh beh... questo è il regalo di Natale, Glen. Almeno questo devi
accettarlo!", raggirava sempre l'altro - che avrebbe potuto smascherare la
cosa, ma non lo faceva mai.
Le malelingue dicevano che
il giovane erede dei Baskerville non poteva certo abbassarsi a discutere con
uno come Jack. Ma lui, non vi aveva mai badato.
Si era sempre solo limitato
ad essere felice del fatto che Glen accettasse i regali che gli propinava
puntualmente: per uno dalla mente semplice come lui, il perché non era
importante.
Dopotutto, una persona che
odia i regali di compleanno - e sa perfettamente che il tuo non è soltanto
il regalo di Natale - non accetta comunque, se vuole ferirti.
Ma Glen aveva riguardo
degli altri e Jack lo sapeva, e se lo faceva bastare.
Nei preparativi, comunque,
la servitù aveva giurato di aver visto spesso Jack sgattaiolare verso il
ripostiglio dove il loro giardiniere teneva gli attrezzi con cui si prendeva
cura del verde di casa Bezarius. I più audaci avevano provato a chiedere
all'interessato, ma il loro giovane signore aveva sempre rivolto loro quel suo
sorriso innocente, sminuendo il tutto con: "no, stavo solamente facendo
una passeggiata".
Nell'illusione, oltretutto,
che qualcuno potesse credergli - le passeggiate in giardino, seppur fattibili
in autunno e piacevoli in primavera, erano da folli in inverno.
Ma nessuno gli stava con il
fiato sul collo.
Nessuno chiedeva altro, e
lasciavano che il biondo agisse come meglio credeva, anche perché non era certo
in loro potere ordinare nulla a nessuno.
Così, erano passati quasi
cinque giorni.
Cinque giorni in cui Jack
aveva continuato a fare avanti e indietro tra la stanza dove trascorreva
solitamente il tempo libero e nella quale erano stati visti entrare Gilbert e
Vincent con qualche scatola o un vassoio per il thé, e l'esterno della casa.
Solo il sesto giorno, Jack
Bezarius annunciò che sarebbe uscito per andare alla tenuta dei Baskerville e
così aveva fatto, poco dopo pranzo.
Avanzò lungo il passaggio
segreto che, dalla prima volta, Glen stesso gli aveva indicato.
Raggiunta la fine, posò
l'orecchio contro la parete per accertarsi del fatto che nella stanza non ci
fosse nessuno: quando gli parve di non cogliere alcun rumore dell'altra parte,
fece scattare il meccanismo, entrando.
«Imprudente come sempre,
Jack.» si sentì riprendere che ancora non aveva fatto richiudere la via segreta
alle spalle.
Voltandosi, individuò
velocemente la figura di Glen e ridacchiò: «Ho controllato che non ci fossero
rumori.» si difese, osservandolo.
Glen sospirò appena,
ponendo un segno alla pagina del libro a cui si era interrotto e posò
quest'ultimo sul piccolo tavolino al proprio fianco.
«Un bel problema, giacché
raramente questa casa è piena di rumori.» gli fece notare, il tono che non era
né più, né meno di quello di sempre. Una modulazione neutra poco incline a
farsi influenzare dai sentimenti.
Jack si avvicinò, togliendo
il mantello che ricopriva le sue vesti: «Suvvia, Glen, sarete silenziosi di
famiglia, ma non penso comunichiate con il solo sguardo.» lo prese bonariamente
in giro.
L'altro gli fece cenno di
accomodarsi ad una poltroncina di fronte a quella dove sedeva lui e il biondo
eseguì.
«La tua famiglia ha
ricevuto l'invito?» domandò quindi il moro, osservando l'amico.
«Oh sì, sono in
preparazione da almeno due giorni credo. Vi ringraziano, ovviamente, e saranno
ben lieti di partecipare.» replicò, più preso a giochicchiare col mantello che
a rispondere con attenzione.
Glen sbuffò impercettibilmente:
«Hai avuto qualche contrasto con tuo padre, o i tuoi fratelli?» domandò. Jack
Bezarius aveva la testa fra le nuvole, ma era il tipo di persona che non
evitava mai lo sguardo del suo interlocutore. Era stata una fra le tante cose
ad aver dapprima sorpreso e poi incuriosito l'erede dei Baskerville.
Quel biondo, apparentemente
uno sciocco di prima categoria, lo guardava fisso negli occhi come un qualsiasi
suo pari, parlandogli in maniera poco formale e come se fossero amici di
vecchia data.
E perciò, ora che lo
conosceva e di lui non lo stupiva più nulla - o quasi - sapeva che se Jack non
gli prestava attenzione nel parlargli, c'era qualcosa che non andava.
Lo vide alzare gli occhi
chiari su di sé: «Cosa? Oh, no, no, figurati. I miei fratelli sono fuori, anche
se per motivi diversi. Torneranno stasera, in tempo per la Vigilia di domani.»
assicurò all'altro.
Sorrise, poi, un misto fra
accondiscendenza e chissà cos'altro: «Quanto a mio padre, non ci sono contrasti
fra noi. Non è facile litigare con qualcuno che non parla molto con te, se non
in casi eccezionali.» ammise con un'alzata di spalle leggera.
Glen rimase a fissarlo,
quasi a scrutarlo: non sapeva nulla di questo.
«Tu e tuo padre non andate
d'accordo?» domandò a bruciapelo, senza tanti giri di parole. Vide Jack
osservarlo sorpreso dalla domanda, come se fosse stato convinto di avergliene
già parlato.
«Non so, non è che non
andiamo d'accordo. E' solo che non abbiamo occasione di avere contrasti veri e
propri.» iniziò: «Forse per i figli unici come te, Glen, è estranea questa
cosa. Ma quando si è più di un figlio, ci sono tante cose che di solito non
incoraggiano l'affetto fra fratelli, o fra sorelle. Anche se io, con i miei,
vado d'accordo.» notò infine, come ripensandoci.
Glen sospirò piano, senza
interromperlo: sapeva che Jack divagava, a volte, prima di ritrovare il filo ed
arrivare al punto. Notò, piuttosto, che continuava a giochicchiare col
mantello.
«Puoi fermarti?» chiese
accennando alla stoffa fra le dita del biondo. Quello abbassò lo sguardo e
ridacchiò, rilassandosi quindi contro lo schienale e abbandonando il passatempo
improvvisato.
«Dicevi?» lo incalzò quindi
il moro.
«Ah già. Beh, io ho due
fratelli più grandi, come sai. Sul primo grava l'eredità di famiglia, del nome.
Lui sarà il successore di mio padre, ufficialmente. Il secondo, ha studiato
molto e amministrerà i possedimenti di famiglia, una sorta di amministratore
che aiuta l'erede effettivo.» spiegò, stiracchiandosi come un gatto.
«Quindi, io non ho niente
da fare. Come terzo figlio, non mi si chiede né di imparare ad occuparmi di una
casata, né di amministrarne i possedimenti come un collaboratore. Io sono
libero da aspettative, da compiti, da rimproveri e da elogi. Posso fare quello
che voglio, tranne screditare la famiglia ovviamente. Se non intacchi l'onore
di famiglia, va bene. Se non hai motivo di farti sgridare, tuo padre non ha...
beh, non ha altro da dirti, no?» concluse, con naturalezza, col solito sorriso.
Come se fosse la cosa più
ovvia del mondo, così scontata che una spiegazione non era facile da dare,
perché normalmente non era necessaria.
Glen tacque, perché lui
restava spesso in silenzio.
Ma nella sua mente, pensava
che da fuori il ruolo di figlio più giovane era conveniente, e che invece
dall'interno, non era nemmeno così facile come sembrava.
Si disse che Jack sapeva
mentire più di quanto non desse a vedere.
Si chiese quanti sorrisi
falsi dispensava, come aveva imparato a renderli così naturali: la domanda che
non gli aveva mai sfiorato la mente, appariva ora prepotentemente in procinto
di essere pronunciata.
Una volta, non si sarebbe
mai nemmeno chiesto se ci fosse un solo momento in cui Jack Bezarius non
sorridesse - perché era ovvio, la risposta era: "no".
Ora si chiedeva: quante
volte, approfittando di stare da solo, Jack Bezarius smetteva di
sorridere? Non lo sapeva.
«Ohi, Glen.» lo richiamò
l'altro, che probabilmente cercava di attirare la sua attenzione da un po'
senza che lui se ne accorgesse: «non pensare che io non sia felice. Sono libero
come una farfalla ~ !» esclamò, quasi canticchiandolo.
Glen si alzò, andando a
rimettere a posto il libro su uno degli scaffali presenti nella piccola
libreria nella stanza.
«E poi, ci sei tu che mi
fai compagnia, no?» scherzò su, affondando un po' nella poltrona dov'era. Glen
scosse la testa: in qualunque modo la si vedesse, Jack restava sempre Jack.
Sembrava incapace di deprimersi.
Nel ritornare verso la
propria poltroncina, passandogli accanto, si concesse di fermarsi un attimo,
affondando una mano fra i capelli biondi e scompigliandoglieli appena.
Jack non aprì gli occhi, ma
ridacchiò sommessamente, quasi soddisfatto.
Il moro non commentò,
tornando a sedersi: «Aaaah, che calduccio...» commentò il biondo con un tono
che, se fosse stato davvero un felino, sarebbe certamente corrisposto a delle
fusa.
Voltò appena il capo,
cercando con lo sguardo il fuoco che scoppiettava nel camino scaldando
abbondantemente la stanza.
Glen lo osservò con una
nota di perplessità nello sguardo: «Non sarai venuto a piedi, voglio sperare.»
Jack rise: «Ma no, è solo
che in questi giorni sto spesso in giardino.» ammise.
Lo sguardo dell'altro non
mutò di molto.
«Jack... è inverno.» gli
fece notare.
«Lo so, Glen. E' che sto
facendo una cos...»
«Se è un regalo, piantala
prima di prenderti un malanno. Tanto più che non voglio...»
«Non vuoi regali, sì, lo
so. Me lo dici ogni anno, Glen.»
«E ogni anno fai come ti
pare.»
«Che vuoi farci? Anche
questa è una peculiarità di noi figli più piccoli.» buttò lì come scusa.
«Questa è una peculiarità
solo tua, Jack Bezarius.» lo riprese, senza farsi incantare.
Jack rise, una risata
allegra che di falso non aveva nulla: era quindi sinceramente allegro, in quel
momento?
Suppose di sì.
«Ma non è forse per questo
che mi vuoi bene e non potresti più vivere senza di me?» recitò in maniera
melodrammatica che, con quella faccia, stonava assolutamente e non era per
nulla convincente.
«Dillo di nuovo e ti butto
al freddo e al gelo fuori di qui.»
«Ehi, ma che cattivo!» lo
sentì ribattere, imbronciandosi, prima di ridacchiare di nuovo qualche istante
dopo.
Sì, sembrava allegro.
Perciò, andava bene così.
***
Infine, era arrivata la
Vigilia di Natale.
I Bezarius al completo -
capofamiglia, moglie e tre figli - erano partiti in modo tale da non essere i
primi e non arrivare nemmeno in ritardo.
La tenuta dei Baskerville
era stata adornata dei migliori addobbi e preparata con ogni cura: le luci
della casa si confondevano e riflettevano quelle poste nell'ampio giardino,
complice l'assenza di vento malgrado la serata fredda.
La neve era compatta e dava
quel tocco magico che dà ad ogni Natale.
Gli ospiti di ogni famiglia
varcavano l'ingresso trovando poco più avanti i padroni di casa a cui rivolgere
i loro saluti e ringraziamenti per l'invito, insieme a tutti i convenevoli di
rito.
Riuscito a liberarsi di
quell'incombenza, Jack si era educatamente congedato dai familiari per andare
nella sala, da cui la musica proveniva già a segnalare l'avvenuto inizio delle
danze.
Ad uno sguardo generale ne
confermò lo splendore, ma non riuscì ad individuare volti amici - solo
conosciuti.
Glen probabilmente faceva
gli onori di casa altrove; forse, Charlotte era da qualche parte nella sala.
A confermarglielo, senza
bisogno di cercare altrove, fu il sentirsi tirare appena la treccia, segnale
inconfondibile che - data la delicatezza - era stato certamente fatto con
discrezione voluta.
Voltandosi, trovò
Charlotte, i capelli legati in un accurato chignon, il vestito chiaro che le
donava esaltandone le forme e l'eleganza.
Portò una mano vicino al
petto, esibendosi in un inchino educato verso di lei, imitando il baciamano
come Galateo voleva.
Le sorrise: «Buonasera
Lotti, ti trovo splendida.» si complimentò - suvvia, era un gentiluomo.
Lei lo osservò imbronciata,
ma non ostile: «Quindi sei venuto anche tu, alla fine.» notò, come se fino
all'ultimo avesse avuto il dubbio.
Lui ridacchiò: «Potevo
forse rifiutare? Tutta la mia famiglia è invitata, tanto più che si tratta del
mio migliore amico.» aggiunse.
Scambiarono qualche altra
parola, frase un po' di circostanza, un po' di approccio: lei confermò che
padron Glen era occupato nel dare il benvenuto, lui assicurò - con l'intento
anche di farla arrossire, era così carina quando era in imbarazzo! - che di
certo Glen avrebbe trovato il tempo di chiederle un ballo.
Lei era arrossita -
minacciando di legargli la treccia al corrimano della scala presente
all'ingresso fino alla quale lo avrebbe trascinato - ed aveva risposto con un
burbero: «E' quasi più probabile che balli con te che non con me, sciocco di un
Jack!»
Lui l'aveva osservata per
un attimo perplesso, poi aveva riso, con moderazione: «Che sciocchezza Lotti,
io e Glen saremmo quantomeno grotteschi, essendo due uomini. E poi, suvvia, mi
vuoi così male?» scherzò su, osservandola e facendole l'occhiolino.
«Se soltanto osassi una
cosa simile anche solo per prendere in giro i presenti, darei certamente motivo
di vergogna a mio padre. E non è la serata per uno scherzo tanto sciocco,
persino per me.» concluse.
Charlotte era stata
sorpresa, da cosa non avrebbe saputo dirlo esattamente.
Più tardi, allontanandosi,
un pensiero le avrebbe attraversato la mente, troppo vago e veloce perché vi ci
soffermasse o lo credesse davvero possibile e non un'eco troppo fantasiosa.
Eppure - inconsapevolmente
- così veritiera.
Forse, Jack Bezarius non
desiderava avere un motivo per parlare col proprio padre.
***
La serata era proseguita
nel migliore dei modi. Le danze erano state belle e varie, per tutti i gusti.
Chi non gradiva danzare,
invece, aveva potuto godere di un servizio di bevande e buffet degno della
famiglia che li ospitava tutti quella sera. Jack aveva ballato spesso e un paio
di volte aveva chiesto proprio a Charlotte di accompagnarlo nella danza - una
più movimentata e allegra, l'altra più lenta e rilassante.
Poi, l'aveva osservata
danzare con altri, si era incrociato con lei e il suo cavaliere, assieme alla
propria dama, in quelle danze che richiedevano lo scambio seppur breve del
proprio partner.
E, infine, con un sorriso
allegro e di chi la sa lunga l'aveva osservata danzare con Glen, preferendo
guardare loro che danzare a sua volta.
Si era intrattenuto
parlando con alcuni conoscenti, e aveva poi effettuato un cortese congedo da
due dame più giovani per una boccata d'aria.
Era dunque uscito sulla
balconata della sala che ospitava chi ancora suonava e ballava.
Charlotte lo aveva
raggiunto: «Ci sono dame sole e senza cavaliere e tu sei qui. Il Natale ti fa
uno strano effetto Jack.» lo prese in giro.
Lui le sorrise: «Forse. Il
freddo mi rende effettivamente più pigro. Mi sento molto più stanco di quanto
sono normalmente nelle feste estive o in quelle primaverili.» ammise.
Charlotte si poggiò appena
alla balconata, il viso però rivolto verso la sala, mentre Jack rimaneva ad
osservare il giardino.
«Hai parlato poco con
padron Glen. Avete discusso?»
«Assolutamente. Ma è un
ballo organizzato dalla sua famiglia, è impegnato e non voglio essergli
d'intralcio.» replicò semplicemente.
Lotti lo osservò,
perplessa: perché Jack non si era mai riferito a se stesso come un
"intralcio", parlando di sé e di padron Glen.
Avvicinò la mano chiusa a
pugno alla sua tempia, e diede un paio di colpetti leggeri: «Questo Jack non mi
piace neanche un po'.» decretò.
Lui rise: «Quindi il Jack
che solitamente non ti piace ora sta guadagnando punti?» la prese in giro,
bonariamente.
Lei non rispose,
limitandosi ad avvisarlo del proprio rientro - con una velata raccomandazione a
non congelare quel poco cervello che pareva ancora funzionante.
«E' soltanto febbre, volete
che faccia venire qualcuno?» chiese il medico, lo sguardo che inglobava sia
Jack che Glen.
Quest'ultimo scosse la
testa: «No, rimango io.» disse solamente, lasciando che l'altro uscisse,
portando lo sguardo sul biondo.
Non pensava che il suo
amico potesse raggiungere simili livelli di stupidità - eppure, di nuovo,
c'era sempre qualcosa di Jack che doveva ancora scoprire.
Era stata Charlotte a
metterlo in allarme: rientrando nella sala, si era diretta verso di lui
chiedendo di poter conferire per un attimo privatamente. Quando entrambi si
erano allontanati dalla famiglia con cui Glen stava scambiando qualche parola,
l'espressione di Charlotte aveva assunto un'involontaria connotazione
preoccupata.
«Padron Glen, potrei
sbagliarmi» aveva esordito, lo sguardo che era guizzato verso la finestra della
sala che dava sulla balconata: «ma credo che Jack non stia bene.» aveva
concluso incerta.
Aveva motivato quel suo
dubbio in base al fatto che, accostando la mano alla fronte del biondo le era
parso che questa fosse calda e, inoltre, le era sembrato che Jack avesse l'aria
molto più stanca del solito.
Quando Glen aveva raggiunto
l'amico, gli era bastato uno sguardo per capire che qualcosa non andava: e
d'altra parte, solo uno sciocco avrebbe potuto ignorare gli occhi appena
lucidi, il viso un po' arrossato e lo sguardo stanco.
Anche dietro il sorriso che
Jack gli aveva rivolto.
Aveva insistito non solo
perché rientrasse, ma anche perché lo seguisse in una stanza che non ospitava
la festa, in un'ala della casa non adibita agli ospiti.
Lo aveva condotto alla
propria stanza e fatto chiamare il medico di famiglia - invitato alla festa per
il legame con i Baskerville da anni. Questi aveva infine confermato che si
trattava di una semplice influenza e Glen aveva fatto il resto.
Aveva obbligato Jack a
cambiarsi e restare lì: non esisteva, il rimandarlo a casa quella sera, tanto
più che aveva iniziato a nevicare piano, ma pur sempre a nevicare., dunque
l’aria si era ulteriormente freddata.
Jack aveva protestato per i
primi cinque minuti, poi l'occhiata eloquente di Glen doveva aver messo fine
alla resistenza.
«Ti avevo detto che ti
saresti preso un malanno.» lo riprese, severo.
Jack, una camicia pulita e
dei pantaloni comodi e leggeri, la testa sul cuscino - pesante come fosse
piombo, e per lui era decisamente una novità - le lenzuola fino alla vita,
ridacchiò sommessamente.
«Lo so, ma che vuoi farci.»
mormorò: «E' una prerogativa di noi Bezarius.» scherzò su.
«Essere stupidi? Dio non
voglia per il bene della tua casata.» commentò, lo sguardo ancora severo. Non
capiva quale parte del ragionare di Jack reputasse normale prendere un malanno
per stare in giardino con il gelo invernale e venire ad una festa consapevoli
di stare già male.
Rimasero in silenzio
qualche istante, in cui Glen più che altro osservava il bordo del letto senza
guardarlo, credendo che Jack si fosse addormentato in un lampo come solitamente
accadeva alle persone febbricitanti.
Questo, almeno, finché non
si sentì tirare appena la manica, ritrovandosi a guardare un Jack un po'
intontito, ma sveglio.
«Glen, sei arrabbiato con
me?» chiese, il mormorio e il tono infantili, così identici a quelli di un
bambino che si sente in colpa. Così tipici di Jack.
Sospirò: «Un po' sì.
Dovresti curarti della tua salute, non è una cosa di cui possono occuparsi
altri per te.» lo riprese di nuovo.
Il biondo mollò la presa,
adagiando la mano sul materasso, sempre vicina alla manica del moro.
«Essere stupido è una
qualità solo mia. Se diventassi serio, non sarei come tutti gli altri figli del
mondo?» scherzò su, ma c'era qualcosa che sembrava troppo seria, malgrado il
tono usato: «E poi, il Jack che è riuscito a conquistarsi l'amicizia
dell'inavvicinabile Glen Baskerville è questo. Quindi, io ho imparato ad
apprezzare davvero questo Jack. Tu no, Glen?» chiese, con semplicità, come fosse
una domanda retorica.
E Glen si disse che quella
testa funzionava troppo diversamente della sua e in maniera troppo difficile
per lui - troppo strana - perché potesse sperare di capirla del tutto.
«Posso almeno sapere il
perché della permanenza in giardino?»
«...regalo.» ammise Jack,
mentre Glen alzava gli occhi al cielo: «Ma ti avevo detto....» iniziò,
interrotto dall'altro, come in un gioco a terminare le frasi a vicenda.
«Che non era necessario. Lo
so. Ma mi piace, mi aiuta a dire "grazie" per tutte le volte che mi
dimentico di farlo. O per le cose di cui magari non parliamo.» spiegò, il tono
flebile ma udibile.
Glen alzò un sopracciglio:
«Per esempio?» domandò, una punta di curiosità mentre bagnava il panno da
poggiare sulla fronte del biondo.
«Per esempio: "grazie
di essermi amico".» se ne uscì, come un'ovvietà.
«Ma quello lo dimostri ogni
volta che arrivi quasi scodinzolante, Jack.»
«Oh. Si notava tanto?»
scherzò su l'altro, beandosi del contatto con la pezza fresca: «Oppure,
vediamo... grazie di volermi bene?» tentò.
«...Non ho mai detto di
volerti bene.» gli fece notare.
«Glen, accidenti, almeno
con un malato potresti avere un minimo di riguardo anche se lo pensi davvero.»
«Se lo dici tu.» lo blandì
il moro. E se conosceva bene Jack Bezarius, il silenzio sarebbe durato poco.
Esattamente tre... due...
uno...
«Glen?»
«Mh?»
«Davvero non mi vuoi bene?»
«Io ho paura di chiederti
se lo fai a posta o se sei proprio così.» ribatté, sospirando: «per la cronaca,
non faccio dormire in casa mia e nel mio letto persone che non mi vanno a
genio.» aggiunse.
Jack sorrise.
Normalmente, forse avrebbe
insistito - solo per il gusto di sentirglielo dire, dopo averlo quasi
esasperato con le domande - ma era stanco, e andava bene anche così.
Dopotutto, lui la verità la
sapeva comunque.
«Finiti i motivi per
ringraziarmi?» lo incalzò l'altro, sperando che a quel punto si mettesse a
dormire come un normale febbricitante avrebbe dovuto.
«Ancora uno, il più
importante.» lo disilluse il biondo, con un sorrisetto divertito: «Grazie di
esistere. Non vale la pena, questo?» chiese, retoricamente.
Glen scosse la testa: «Non
un malanno per una cosa che, se proprio dovevi farla, potevi farla in casa.»
replicò, cocciuto.
Jack sospirò, socchiudendo
gli occhi e rimanendo in silenzio.
Per la seconda volta, Glen
pensò che si fosse addormentato dopo un po' che non parlava: differentemente,
però, lui non aveva lo sguardo fisso sul bordo del letto, ma sulla figura del
biondo.
I capelli legati nella
treccia morbida di sempre erano sparsi un po' sul cuscino.
I primi bottoni della
camicia erano rimasti sbottonati dalla visita medica, il torace si alzava e
abbassava al ritmo del respiro dell'altro, appena più velocizzato per la
febbre.
Le labbra, incurvate nel
solito sorriso, erano appena socchiuse, il respiro leggermente più pesante ne
usciva.
«Però c'è un problema,
Glen.» se ne uscì, quasi svegliandolo dal torpore.
«Sarebbe?»
«Il regalo. Ero convinto di
reggere fino a sera per dartelo ed è nella carrozza. I miei ormai lo avranno
riportato indietro.» osservò.
Il moro sospirò, rassegnato
ormai al fatto che anche quell'anno avrebbe avuto il suo regalo di compleanno -
o di Natale, come diceva Jack.
«E' davvero così
importante?» se ne uscì, seguendo il filo dei propri pensieri.
Jack non aprì gli occhi, ma
annuì: «Sì. Ci tenevo a dartelo oggi che è Vigilia. Così la mia copertura
salta.» scherzò su.
Non aggiunse nulla,
sentendo Glen sbuffare, né quando ebbe la sensazione tipica del materasso che
affonda appena e si appesantisce quando qualcuno si aggiunge a te sul letto.
Non aprì gli occhi quando
sentì delle dita sfiorargli appena la pelle nello scostare qualche ciocca di
capelli, né si mosse quando il respiro di Glen - uguale ad altri eppure
inconfondibile - si mescolava la proprio.
Ma sorrise, senza poterselo
evitare, quando sentì delle labbra sfiorare le sue, in un contatto leggero e
sfuggente, ma gentile.
Proprio come era Glen.
«Diciamo che per adesso va
bene così. E smetti di preoccuparti del regalo.»
«Mhh... quindi adesso posso
chiedere il regalo per me, quello che voglio per Natale?» domandò, socchiudendo
gli occhi e trovando Glen ancora vicino, il viso a poca distanza dal suo quando
si aspettava si fosse già scostato.
«Mh. Se è fattibile, sì.»
«Ah, così mi togli un sacco
di opzioni.» scherzò su Jack, Glen che restava in silenzio, in attesa: «Allora
va bene. Una cosa fattibile, se non hai paura di prendere la febbre anche tu.»
«Sarebbe a dire?»
Si mosse appena,
ringraziando che Glen non fosse così lontano da costringerlo a tirarsi su a
sedere, e sfiorò le sue labbra in un'imitazione del gesto dell'altro.
«Sei obbligato a farmi da
cuscino.» lo prese in giro, osservandolo sorridere in quella maniera
impercettibile che tanto gli piaceva e che sapeva essere riservata solo a lui.
Lo guardò sistemarsi al
proprio fianco, anche se sopra le coperte.
Gli si accoccolò vicino,
come un bambino, godendosi quella fonte di calore in più oltre alle coperte,
beandosi dell'abbraccio leggero intorno alla vita - così tipico di Glen che non
era di quelle persone che hanno gesti di affetto plateali, ma solo intimi e
discreti - e della mano che gli sfiorava i capelli ad intervalli regolari, come
una conciliante ninna nanna silenziosa.
«Sai Glen» mormorò, il tono
che già sapeva di sonno, rilassato nel calore delle coperte e dell'abbraccio
del moro: «magari prendo la febbre più spesso.» scherzò su.
L'altro sorrise di nuovo,
invisibile al biondo che aveva gli occhi chiusi.
«Dillo di nuovo e ti butto
al freddo e al gelo fuori di qui.» disse, come il giorno precedente, il tono
palesemente per nulla convinto.
Jack sorrise appena.
«Che cattivo...» borbottò
quasi indistintamente, mentre scivolava nel sonno.
Glen, al suo fianco, si
concesse di chiudere gli occhi a sua volta.
Pensò che Jack a volte
sorrideva per circostanza, forse, e altre per nascondere qualcosa.
Che mentiva - come tutti
loro - e anche se non sembrava, e non ci avresti mai scommesso nulla su, aveva
le sue preoccupazioni.
Ma di porsi domande sul
fatto che potesse mai aver mentito con lui, non era il caso.
Jack era troppo stupido per
cose così articolate; perciò, si diceva, era tutto a posto, no?
N/A
(ringraziamenti): grazie per aver letto e commentato “I want you to see (the worst of
me)”.
Makotochan:
ti
ringrazio <3 Sono contenta che ti sia piaciuta (e che, nonostante gli esami,
hai trovato il tempo di leggerla >.< *tanto l’aveva minacciata XD*)
Questa cosa del miglioramento non saprei proprio definirla: io mi vedo sempre
uguale, è già tanto se distinguo quando ho usato solo periodi lunghi da quando
ne ho usati solo di brevi XD
Comunque,
arigatou <3
Doremichan:
le tue
recensioni mi lusingano sempre ç//ç” Sapere di riuscire e rendere i sentimenti
dati ai personaggi i sentimenti di chi legge (anche solo un po’), credo sia
quello che ripaga al meglio l’impegno di chi scrive. Sono anche contenta che
Gilbert non sia risultato OOC, che era la mia maggior preoccupazione e la cosa
che mi convinceva meno.
Spero
che anche questo lavoro possa piacerti come i precedenti ^^
Naru
4 ever: wiiih,
è bello rileggerti fra le recensioni ^O^
Anche
io (scommetto che non si era capito XD) adoro questi due. Sono così
assolutamente differenti che vederli insieme è un piacere. E poi è colpa
della Mochizuki che scrive che Glen ha detto a Jack del passaggio segreto per
incontrarsi. Mi tenta! XD
Contenta
che ti sia piaciuta anche la shot su Vincent: io non potevo vederlo, ma l’ho
rivalutato :3
Kaho
Chan: ti
ringrazio davvero per la tua recensione! ^^
Sono
contenta sia che la narrazione sia risultata fluida, sia che tutti i personaggi
che ho tirato in ballo non abbiano stonato rispetto a quelli originali del
manga ^-^
Tenendo
io particolarmente al rapporto tra Jack e Oz, che abbia avuto un riscontro
positivo non può che farmi piacere, perciò grazie ancora ^^