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Autore: MarcoMarchetta    02/06/2018    0 recensioni
Fra storia e rocconto.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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DUE  DI  FIRENZE  
(1305)  
 
La chiesa dell'Annunziata era parzialmente un cantiere. Sul fianco destro alcune impalcature davano modo all'artista di dipingere rapidamente sull'intonaco fresco allestito dai lavoranti. Uno di questi gli lanciò la voce:
"Maestro, vi si vuole."
"Per un po' mi si lasci tranquillino" replicò Giotto intento a pennellare senza distogliere neanche uno sguardo, "e di', chiunque sia, che in certi momenti al dipintore non si deve romper l'anima!"
Mezz'ora dopo scese giù dalla scaletta, lanciò uno sguardo al visitatore e diede ordine di sospendere.
"Non merito tanto, amico mio" si scusò Dante.
"Hai ragione: infatti meriti tantissimo" scherzò l'altro respingendo l'abbraccio. "Non sai, grullo, che se mi vieni accosto ti imbratto più di quest'affresco?"
"Vengo proprio per affreschi. Ma la delizia di vedere un vecchio collega della corporazione Medici e Speziali e di sentire chi parla il fiorentino schietto mi avrebbe mosso comunque."
"Caro Dante, è dal Giubileo di papa Bonifacio a Roma che non t'incontravo. Anche là mi venisti a tirar via dai miei lavori in Laterano.
Ho saputo del tuo priorato e di come te l'hanno fatta pagare, povero te."
"Non proprio secondo i loro desideri: Corso Donati m'avrebbe dato fuoco in piazza se m'avesse preso e la condanna a morte è rimasta in vigore a tutt'oggi."
"Quello, da quando ti sei accasato con la cugina Gemma, s'aspettava ti schierassi con lui non coi Cerchi che lo stavano a metter sotto schiaffo."
L'Alighieri quasi piangeva per la rabbia e lo sconforto; si mise a spiegare anche per allontanare quel momento imbarazzante:
"Corso era l'unico della famiglia a non meritare alcun rispetto. Non ero, forse, amico dei suoi fratelli Forese e Piccarda? Ma lui era prepotente, violento, triviale, assolutamente ignobile."
"Però la tua condanna era per baratteria. C'era una multa da pagare e un processo da subire. Tu non ti sei presentato ai giudici."
"Ma che pensi, o Giotto? Anche tu a darmi la croce addosso?
Io non ho imbrogliato la povera gente. Io ho fatto in modo che tante cose storte fossero raddrizzate, eliminati tanti abusi dei forti sui deboli, sanate molte ingiustizie perpetrate dai potenti. E quelli non me l'hanno perdonata.
Se mi fossi fatto prendere il qui presente Durante Alighieri sarebbe durato solo per un po' di fumo nel vento."
"Però lo stesso Vieri Cerchi ha ammesso che nella sua banca c'è ancora un grosso conto a nome della tua famiglia."
"Io al di sopra dei miei doveri d'ufficio, che non mi obbligavano a tanto, ho fatto gli interessi di tanti poveracci spogliati di terre e di case. È stato nelle vesti di loro difensore, e col loro benestare, che ho ritenuto giusto fosse di mia spettanza una minima parte di tali recuperi. Un avvocato non si fa pagare? Quando tu dipingi non presenti il conto al committente?
Capisci, Giotto? Il priorato mi dava il potere per far sentire la voce dei derelitti ma ciò esulava dai compiti di un priore. Era abuso del mio ufficio? So che se mi hanno pagato è perchè ho reso dei servigi che nessun altro avrebbe fornito, non perchè ho estorto o ingannato.
E la casa dei miei antichi non me l'hanno demolita quando sono stato costretto all'esilio? Quella chi me la ripaga?"
"Perdonami, amico, ma avevo delle curiosità.
Che mi dicevi di affreschi? Chi ne vuole? Io, come vedi, lavoro svelto. Lì tutto il lato sinistro in due mesi è bell'e fatto."
"Tra poco lascerò Verona e l'ospitalità dei Della Scala per accettare quella dei Malaspina: mi vogliono per una trattativa dei Signori col vescovo di Luni. Parlerò di te anche a loro.
Per ora, qui a Padova, gli Scrovegni hanno costruito una cappella e ci vogliono affreschi dappertutto. La Chiesa ce l'ha con Enrico perchè il padre Rinaldo si è arricchito con l'usura. Io gli ho consigliato di tacitarla in tal maniera e ho fatto il tuo nome.
È un lavoro grosso e se saranno soddisfatti sono certo che si disobbligheranno anche con me."
"Se c'è da guadagnare bene, amico mio, con te mi disobbligherò anch'io."
"No, Giotto, non accetterei mai denaro da te. Semmai metti la mia faccia in un dipinto. E tornando a Firenze vuoi parlare a mio favore?
Mi piacerebbe chiudere i miei occhi in patria e sono certo che anche le architetture mentali in versi che mi sorgono nell'animo in continuazione, visioni infernali e paradisiache, mi riuscirebbero più musicali e scorrevoli se risciacquassi i miei pannucci in Arno."
 
Marco Marchetta
 
 
UNA  GARA  A  MORTE  
(1130 / 1138)                              
 
La manovra fu concertata di nascosto dai cardinali controllati dai Frangipane.
La maggioranza dei prelati in conclave, presi alla sprovvista da quel colpo di stato, all'annuncio dell'elezione del nuovo papa si scambiavano sguardi di stupefazione.
Il neoeletto nel discorso iniziale del suo pontificato non potè esimersi dal gongolare:
"Signori miei, considerate la mia elezione un pareggiare quella del mio predecessore: i Pierleoni lo portarono al Soglio Pontificio apparentemente rispettando le norme procedurali sancite da Niccolò Secondo. Essi comprarono l'elezione e lo dico certo di non essere smentito perchè anche a me fu offerto un lauto compenso.
La vittoria questa volta sfuggirà loro perchè il pontefice sono io, Innocenzo Secondo."
Forse i pronunciamenti si richiamano l'un l'altro come gli sbadigli perchè quasi subito il cardinale Pietro Pierleoni prese la parola per smentirlo:
"Voi resterete cardinale, eminenza, perchè il successore del nostro beneamato papa Onorio sono io. Inginocchiatevi con gli altri e appellatemi Anacleto Secondo!
Voi avete quattordici nomine, io ventiquattro; contate pure.
Sono dolente per voi, cardinale Papareschi, ma sono io che vinco."
 
Alcuni mesi dopo i due papi si confrontarono singolarmente in un colloquio privato e, lontano da orecchie indiscrete, si soffiavano addosso l'odio reciproco:
"Pietro" ringhiava il mancato papa Innocenzo, " cedimi la tiara! Anche Bernardo di Chiaravalle è del parere che essendo stato eletto prima di te sia io il vero pontefice. Le norme procedurali le abbiamo violate entrambi."
"Caro Gregorio" grugniva Anacleto, "te lo sogni. Qui non stiamo facendo una corsa."
"Ho gli appoggi di Luigi di Francia e di Enrico d'Inghilterra. La predicazione di Bernardo sta portando a me anche la Chiesa di Spagna. A te che resta?"
"Il duca Ruggero di Sicilia. Appena i suoi Normanni giungeranno qui lo incoronerò re. Se non vuoi fare una brutta fine ti consiglio di lasciare Roma.
Gregorio, hai perso ancora."
 
L'anno dopo Innocenzo riceveva un'altra delusione.
Anche Norberto, arcivescovo di Magdeburgo, riteneva lui il vero papa e accompagnò Lotario di Germania sceso a Roma con esigue truppe.
Innocenzo incoronò quegli imperatore, poi lo fece re dei Romani e, se ciò non fosse sembrato sufficiente, gli concesse in feudo i beni matildini; tutto ciò in cambio della restituzione del trono di San Pietro, ovviamente, sul quale il posteriore di Pietro Pierleoni continuava a soffermarsi più che comodamente.
Il popolo di Roma con armi proprie e improprie (sassi e forconi), fece fare una figuraccia al suo novello re, ostacolato nella fuga verso casa anche dai milanesi e da Guglielmo d'Aquitania.
Anacleto vinceva un'altra volta.
 
Neanche negli anni successivi Lotario riuscì a rendere il papato a Innocenzo. Le buscò anche da re Ruggero e, da specialista in ritirate, ne compì un'altra.
A otto anni dalla sua elezione papa Anacleto, sul letto di morte, ha convocato il suo eterno antagonista per passargli le consegne. Fra i rantoli cerca di farsi capire:
"Gregorio, mi pare di non essermi portato male in questa vita pur essendo il bisnipote di Barach l'ebreo che prestava a strozzo.
In questa gara fra noi due ho sempre cantato vittoria ma alla fine, come vedi, il vincitore resti tu. Hai trovato, finalmente, un alleato capace di mettermi fuori gioco.
Riconoscimi, se credi, di essere stato io il vero eletto a Vicario di Cristo in quel conclave."
"Questo sognatelo tu" infierisce l'altro invelenito "come io ho sognato la tiara fino adesso. Appena sarò papa, riconosciuto da tutti, tu non sarai stato altro che un antipapa, un usurpatore illegittimamente eletto."
Contento e fiero di questo gesto agognato da tempo si allontana dal moribondo con la solennità di un pontefice.
 
 
(Ringrazio chi legge e gradisce. Appuntamento al prossimo sabato, 9 giugno, con un altro racconto)
 
Marco Marchetta
   
 
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