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Autore: Hollow23    02/06/2018    2 recensioni
Immaginate che, per assurdo, l’idol più famosa del panorama contemporaneo internazionale sia trascinata giù per il pozzo mangia ossa da un filo rosso. E continuate a immaginare, sempre per assurdo, che dall’altra parte del pozzo, ci sia Sesshomaru a tirare incuriosito il filo. Quando gli sguardi dei due si incroceranno, il destino verrà riscritto.
Una serie di peripezie porteranno Anija e Sesshomaru a conoscersi l’un l’altra, andando oltre le semplici concezioni di ‘umano’ e ‘demone’, per risalire a quella comune di ‘persona’. Bizzarro che tutto ciò accadrà proprio nel tentativo di spezzare il legame che c’è fra i due, vero?
Anija porta al collo la Sfera dei Quattro Spiriti, ed il pozzo mangia ossa non la lascerà tornare nel presente finché il filo rosso che la unisce indissolubilmente a Sesshomaru non sarà tagliato.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. DON’T SAY A WORLD

Sesshomaru non dovette far altro che seguire il filo. Quel filo rosso, materializzatosi di punto in bianco nel bel mezzo del bosco: né Jacken né Ah-Un poterono scorgere la sua brillantezza fare capolino fra l’erba fitta. Eppure Sesshomaru lo vedeva, e lo percepiva, avvilupparsi attorno al suo mignolo sinistro in un nodo, seppur non stretto, saldo e irremovibile. Il filo, resistente come acciaio ma morbido come seta, ripercorreva tutto il bosco, e si perdeva fra i maestosi alberi. In un balzo avvertì il piccolo demone di rimanere lì; sarebbe tornato a breve, non prima di scoprire dove quella linea rosso cremisi portasse. Si sollevò sopra le fronde verdissime, cercando la nascita di quel rosso, eppure, ad un tratto, fu il filo stesso a tendersi e condurlo. Dopo un primo momento di resistenza, Sesshomaru si lasciò condurre al pozzo mangia ossa. La forza che lo muoveva era minima, ed era per la maggior parte lui ad assecondarla, intuendo la direzione del filo e seguendola con i suoi passi decisi e grandi. Arrivato davanti al pozzo, il filamento scompariva nelle sue profondità, eppure il filo tirava ancora. Lo impugnò con tutta la mano, e scoprì che quello se ne stava piccino, quasi insignificante nel suo grande palmo pallido; lo tirò.

Il filo scomparve in un battito di ciglia, lasciandolo perplesso. Nulla parve accadere. Solo dopo qualche istante, quell’odore indimenticabile arrivò alle narici sensibili del demone: cioccolato fondente e caffè. Aromi stranieri, nulla a che vedere col Kyushu. Non se ne capacitava, non poteva essere vero. Tutto si svolse come in un sogno, come in quel sogno. Tese la mano all’interno del pozzo; qualcuno l’afferrò. La stretta non era fredda, ma fresca, la pelle morbida, le unghie lunghe come quelle di un demone, ma ovviamente più deboli. Gli bastò il minimo della forza per tirar su quella donna, e le loro espressioni, incrociandosi, si rivelarono essere uguali: due sguardi stupiti, esterrefatti, nel ritrovarsi davanti i loro sogni divenuti carne e ossa.

La ragazza era ancora più bella che in sogno. I capelli neri come la pece, come l’odio, mossi come le onde del Pacifico e lunghi fino ai fianchi formosi, ora danzavano nell’aria. La pelle diafana, di chi non ha mai visto il sole. Gli occhi grandi e chiari come il cielo, come rugiada, incorniciati da lunghissime ciglia scure che s’incurvavano verso l’alto. Un naso piccolo e all’insù, labbra grandi e carnose, rosse di vita e di risate, gli zigomi alti e non troppo accentuati. Il corpo sinuoso, slanciato, vestito di abiti bizzarri: una sorta di hakama bianco latte molto alto e tanto stretto da rivelare la sagoma flessuosa delle sue gambe, dei suoi fianchi e della sua vita sottilissima, strappato nella zona delle ginocchia, ed un kimono tanto corto da arrivarle a mala pena a coprirle l’attaccatura dell’hakama, dalle maniche corte anch’esse, di un grigio fumo. Ai piedi indossava un paio di sandali dalla manifattura alquanto stramba, chiusi sul davanti, con dei lacci a chiudere il tessuto bianco e nero, ed una scritta dorata. Dall’abbigliamento e dal luogo da dov’era appena sbucata quell’umana, Sesshomaru dedusse che dovesse provenire dal futuro, esattamente come la femmina di suo fratello Inuyasha.
Il demone stette attento a far atterrare la donna con più grazia possibile al suolo, la stretta della mano con cui l’aveva afferrata era gentile quanto sicura, ed i loro sguardi rimasero l’uno nell’altro per un po’. Entrambi erano incapaci di dire una singola parola. Alla fine, però, fu Anija a parlare per prima.

« Dove mi trovo? » la sua voce, carica di preoccupazione e confusione, risuonava dolce e femminile, constatò Sesshomaru. Una voce dolce quanto il suo profumo.

« Sei nell’epoca Sengoku, nel Kyushu, umana. » disse solamente lui, mantenendo lo sguardo nei suoi occhi « Il mio nome è Sesshomaru. »

Anija era confusa, shoccata quasi. Troppe cose assurde, fuori dal suo controllo, stavano accadendo; e per di più il tizio con la luna in fronte del suo sogno ora era qui, davanti a lei. Non solo, l’aveva anche aiutata a uscire dal pozzo. Tutto quanto aveva dell’incredibile; magari stava sognando anche stavolta.

« Come sarebbe a dire … nell’epoca Sengoku? »

Sesshomaru non fece in tempo a rispondere, che si rese conto di una sensazione, una forza, che inspiegabilmente non aveva sentito prima; l’umana ed il fascino che portava con sé dovevano averlo distratto. Corrucciò le sopracciglia, lo sguardo si fece rabbioso e indagatore mentre scrutava la ragazza dalla testa ai piedi. E poi la vide pendere dal suo collo, la Sfera dei Quattro Spiriti. Ed assieme a quella forza, stranamente pura e incandescente, il fetore demoniaco di centinaia di demoni in avvicinamento ad una velocità impressionante. In una mossa fulminea prese la ragazza e se la caricò su una spalla, mentre cominciò a correre, attraversando il fitto bosco. Il villaggio era la destinazione migliore, gli yokai non si sarebbero avvicinati a un territorio abitato da sterminatori di demoni. E lui avrebbe avuto finalmente delle risposte.

« Ma che diavolo fai?! Dove mi stai portando?! »

Anija protestava e scalciava, ma l’uomo aveva una presa troppo salda e forte. Le aveva fatto perdere un colpo nel prenderla e caricarsela con così tanta rapidità e scioltezza, e correva troppo veloce per qualsiasi standard umano. Di boschi fitti e verdeggianti come quello che stavano attraversando, in Giappone non se ne vedevano da centinaia d’anni.

« Hai la minima idea di cosa porti al collo, umana? » le disse in tono rabbioso lui.

« Al collo? »

Anija era nuovamente confusa, ma il suo stupore si azzerò quando vide, alle loro calcagna un serpente gigantesco, dalle squame rossastre ed i bulbi oculari completamente neri, pronto e protendersi e morderle il viso con i suoi denti assurdamente grandi. La ragazza cacciò un urlo acuto e chiuse gli occhi, aspettandosi il peggio, ma sentì Sesshomaru voltarsi in uno scatto improvviso, e lei con lui. Riaprì gli occhi, e riuscì a vide l’uomo dai capelli bianchi fare a pezzi la carne di quell’essere mostruoso con le sue unghie, simili ad artigli per quanto erano lunghe e affilate. I muscoli le si intorpidirono dallo spavento e smise automaticamente di ribellarsi, la voce tremava. Quella cosa non era umana. E neppure Sesshomaru. La corsa continuò come nulla fosse successo.

« Sesshomaru … che sta succedendo? » la donna costrinse la sua voce ad essere il più ferma possibile, senza far trasparire la paura.

« Non c’è tempo per le spiegazioni. » la liquidò lui. Odorava di muschio selvaggio, come nel sogno, e quell’odore ora le inondava le narici.

« Mi hai salvato la vita … »

Sesshomaru non rispose. In breve i due arrivarono al villaggio, ma Inuyasha li stava già aspettando con un’espressione preoccupata dipinta sul volto. Quando Sesshomaru rallentò il passo, fino a fermarsi del tutto, Anija con una spinta si sciolse dalla sua presa, balzando a terra. Si voltò verso lo strano uomo davanti a loro in un clima dove scoprì che la tensione era palpabile. Arrivò dopo una corsa impacciata anche una donna dai capelli scuri ed abiti da sacerdotessa, che si fermò davanti ai tre in preda al fiatone.

 « Ma che ti è preso, Inuyasha! Perché diavolo sei scappato co- PER TUTTI I KAMI! Ma tu sei Anija Paganelli! »

Anija gridò interiormente al miracolo: qualcuno la conosceva! Almeno ora aveva la certezza di non essere finita fra gli aborigeni come Robinson Crusoe. Il ragazzo accanto a lei le riservò uno sguardo di sbieco, un misto fra lo stranito e il rassegnato. La ragazza, dalla chioma corvina e liscia e gli occhioni grandi, dal canto suo, guardava Anija come in estasi. Come darle torto? Aveva davanti il pupillo del panorama artistico contemporaneo.

« Sì … sono io. Ma voi chi siete? » fece lei, titubante.

Stavolta fu l’uomo a intervenire, e solo allora Anija riconobbe un paio di orecchie da cane sulla sua testa, bianche come i suoi capelli. I suoi occhi, dorati come quelli dell’uomo alle sue spalle, avevano un qualcosa di antico. Volle svenire.

« Il mio nome è Inuyasha, e lei è Kagome. »

Fra i due, la ragazza di nome Kagome sembrava la più normale, o per lo meno l’unica a non avere qualcosa di anormale, oltre ad essere stata l’unica a riconoscerla. Ma se quello che aveva detto Sesshomaru era vero, ed ora si trovavano nel Sengoku, possibile che …

« Tu vieni dal presente, vero?! Dalla mia era, intendo … » guardò Kagome con sguardo di supplica, al quale lei si ricompose.

« Sì, è così. Ma tu come sei arrivata qui? » le chiese, in tono serio seppur dolce.

« Sono caduta in un pozzo … o meglio, qualcosa mi ha tirata giù. »

Sesshomaru sgranò gli occhi a quelle parole, e la guardò con la coda dell’occhio. Era logico, doveva essere stato lui a portarla lì. Eppure, possibile che ci fosse stata davvero lei dall’altra parte del filo, esattamente come nel sogno, seppur in un tempo differente dal suo? Anija guardò Sesshomaru per una frazione di secondo, incontrando il suo sguardo silenzioso e fermo, e capì cosa di rimando lesse negli occhi dell’uomo dai capelli argentei: non dire una parola. E così fece, sentendo in lui più che una minaccia, l’unico legame a quel tempo.

« Anija, sai cos’è il gioiello che porti al collo? » lo sguardo di Kagome stavolta si fece più ferreo.

La ragazza si guardò la collana e la perla rosea, la prese in mano, sentendo nel suo palmo le sue piccole dimensioni e la consistenza coriacea.

« È un regalo di mio padre, l’ho ricevuto qualche ora fa … » farfugliò, confusa.

« È un oggetto potente, distrutto tre anni fa! Come fai ad avercelo tu? » ringhiò Inuyasha.

« È evidente che la ragazza non sa nulla. » intervenne Sesshomaru, scocciato, lasciando i presenti di stucco « Che possa rientrare nei piani di qualche scellerato, che cerca di seguire le orme di Naraku? »

« Non è da escludere. » sbuffò il ragazzo con le orecchie « Ma tu cos’hai a che fare con questa storia? Perché hai portato tu qui questa ragazza? »

Sesshomaru non si degnò di rispondere. Kagome ignorò i due, come al solito sul piede di guerra, e si avvicinò ad Anija con uno sguardo visibilmente preoccupato e compassionevole. Le rivolse un sorriso tenero, e la invitò ad avvicinarsi tendendole la mano.

« So che tutto questo ti sembrerà assurdo, ci sono passata anch’io. All’inizio ti sembrerà impossibile credere a quello che stai vedendo. »

« Un serpente grande come un alano ha appena provato a mangiarmi la faccia, ed il ragazzo vicino a te sembra un cosplay di Scooby-Doo: se tu mi dicessi che gli asini volano, probabilmente crederei anche a quello. » sbottò Anija, in un sarcasmo che voleva evadere il suo nervosismo.

Kagome trattenne una risata, ed annuì.

« Vieni con me, ti spiegherò tutto. »

Anija gettò un ultimo sguardo a Sesshomaru. Il ragazzo, incredibilmente alto – ma avrebbe osato dire imponente grazie alla sua stazza e al suo portamento, rimase impassibile, così Anija scelse di fidarsi e seguì la dolce ragazza. Tuttavia, quello sguardo non sfuggì a Inuyasha, che li osservava di soppiatto. Quei due non erano semplici sconosciuti.
   
 
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