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Autore: _BlueLady_    02/06/2018    1 recensioni
Fine e Rein: due ragazze come tante, un pò maldestre, esuberanti, con un pizzico di vitalità in più.
Due ragazze come tante, solo gemelle. Una fortuna per molti, una sfortuna per loro.
Soprattutto quando i ragazzi da loro amati dimostrano ogni volta di avere una preferenza per la gemella opposta, anche in estate, in occasione di una vacanza col loro gruppo di amiche.
La domanda sorge spontanea: "Perchè preferiscono sempre lei a me? Cos'ho io di sbagliato?"
Sorgono così gelosia, invidia, frustrazione, rammarico.
"Sarebbe bello, almeno per una volta, essere come lei"
Il desiderio nasce spontaneo, quando prima era soltanto semplice curiosità.
Grazie ad una singolare successione di eventi, che comporterà la realizzazione di un episodio a dir poco straordinario, Fine e Rein capiranno che non è sempre la bellezza fisica la carta vincente che ci rende amabili agli occhi di una persona, e che essere se stessi nell'anima e nel corpo, conservando la propria integrità, è il principio più importante.
Perchè essere amati per ciò che si è, è la cosa più bella che ci possa mai capitare.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bright, Fine, Rein, Shade
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ CAPITOLO 17: TUTTA UN’ALLUCINAZIONE ~
 
“Sei abbastanza strana da interessarmi”.
Così le aveva detto Bright il giorno precedente, e ancora quelle parole dal sapore di zucchero prendevano a vorticarle in testa, escludendola dalla realtà circostante.
Cosa aveva voluto dire con quell’affermazione? Qual era il suo significato?
Doveva prenderla come una confessione, un rimprovero, un’osservazione casuale?
Avrebbe dovuto parlarne con Rein? Dirle che forse stava riuscendo nell’intento che si era ripromessa di fare accadere?
Così si tormentava Fine quella mattina, ancora intrappolata nelle lenzuola del letto, Rein ancora addormentata al suo fianco. Era domenica, e Shade almeno per una mattina aveva risparmiato alla turchina la sveglia presto per la loro solita lezione, concedendole un giorno di riposo dallo stress dei suoi rimproveri.
Quella che non riusciva a dormire, invece, era Fine.
Ogni volta che tentava di chiudere gli occhi, mille pensieri prendevano a vorticarle in testa, e l’immagine di Bright che le sussurrava dolcemente all’orecchio cominciava a spaziarle davanti agli occhi, riempiendo ogni singola cellula di lui. Il cuore prendeva a scalpitarle in petto, accendendole un curioso formicolio in gola.
Fu costretta a riaprire gli occhi, troppo agitata anche solo per tentare di riprendere sonno.
Provò a richiuderli, e ad immaginarsi la stessa identica scena vissuta il giorno prima con Shade a sussurrarle all’orecchio, ma anche senza volerlo il volto del biondo continuava a sovrapporsi insistentemente a quello del moro.
Perché, perché, perché, perché?
Osservò Rein riposare placida e tranquilla al suo fianco, ignara dell’uragano di emozioni che le implodeva dentro, ed improvvisamente si sentì meschina. Terribilmente falsa e sporca dentro.
Con che coraggio avrebbe potuto confessarle tutto quanto?
Avvertì un improvviso bisogno d’aria.
Le parve quasi che le pareti della camera si stessero improvvisamente stringendo attorno a lei, non lasciandole più spazio per respirare.
Si vestì frettolosamente, ed uscì di corsa lasciando che la brezza refrigerante del mattino le schiarisse le idee. Più perdeva tempo a riflettere, più le sembrava di sprofondare in un baratro senza via d’uscita.
Non aveva nemmeno fatto colazione.
Appena giunta sul lungomare, le parve improvvisamente di essere uscita dall’apnea.
La brezza marina le solleticava le orecchie e le narici, facendola quasi starnutire.
Si sedette su uno degli scogli che dava sul mare, con un croissant in una mano e una ciambella nell’altra – alla fine non aveva resistito, e aveva ceduto alla golosità. In cuor suo, non ne era affatto pentita: significava che le stava tornando il buonumore. Aveva sempre appetito, ma quando era in grado di fare una colazione doppia, significava che stava bene con se stessa.
Se ne restò seduta sullo scoglio, ad addentare il suo croissant osservando il mare. Un confortante senso di pace interiore la pervase.
“Se si potesse sempre vivere così…” pensò.
All’improvviso, senza che se ne fosse accorta prima, avvertì con la coda dell’occhio la presenza di una sagoma accanto a lei, ed un respiro umido e pesante solleticarle l’orecchio.
Quando si voltò, colta alla sprovvista, quasi non le venne un infarto nel riconoscere accanto a lei la sagoma di un cane, che già aveva addentato metà della sua ciambella rubandogliela dalle mani, e se la stava divorando con gusto al posto suo.
Fine si lasciò sfuggire uno strillo di sorpresa misto a spavento.
- IIh! E tu che ci fai qui?!- esclamò con un sobbalzo al cuore, inacidendosi non appena si rese conto della misera fine che aveva fatto la sua colazione – Ehi! Quella era mia! Se ne volevi un pezzo bastava chiedere! – disse piccata, osservando il cane che divorava gli ultimi resti della povera ciambella.
Il cane, per tutta risposta, lanciò un latrato di approvazione, saltandole poi sulle ginocchia con l’intento di chiederle ancora del cibo scodinzolando.
- È inutile che cerchi di corrompermi: quello che ti sei mangiato era tutto ciò che avevo. Come se non bastasse, sono ancora più affamata di prima! – gli disse risoluta, spingendolo giù dalle ginocchia nel tentativo di allontanarlo, ma senza successo.
Il cane le dimostrò il suo affetto, riempiendole le mani di baci e di bava.
- Sei un vero e proprio ruffiano – ridacchiò Fine, riempiendolo di grattini dietro alle orecchie – A guardarti meglio, hai un’aria familiare… - disse, e non appena pronunciò quelle parole, un fischio ormai familiare ed inconfondibile, seguito dalla voce di una ragazza che chiamava da lontano, le perforò i timpani come lo stridio di un gesso sulla lavagna.
- Poomo! Vieni subito qui! – chiamò il cane la padrona, e Fine non poté fare a meno di sgranare gli occhi incredula, riconoscendo nei due che le stavano di fronte le figure del cucciolo di Golden e la padrona dai lunghi capelli rosa che aveva incontrato la settimana precedente sul lungomare, in compagnia di Bright. Le parve tutta una curiosa coincidenza. Cercò di scacciare dalla mente il pensiero che voleva suggerirle la coscienza, che non si trattasse affatto di un incontro casuale.
- Devi scusarmi. Questa peste appena può corre in giro a fare delle birichinate. Non è vero, stupidone che non sei altro? – le disse la ragazza in un sorriso, riagganciando il guinzaglio al collare del cane che scodinzolava soddisfatto.
Fine restò ad osservarla per un minuto buono, in trance, senza proferire parola.
- Ci conosciamo?- riuscì a chiederle infine, mentre la sensazione di averla già conosciuta tornava a pizzicarle forte la gola.
Perché quella ragazza aveva un’aria così familiare?
Lei le sorrise, quasi sapesse già di ricevere una simile domanda.
- Non di persona. Sono Grace, piacere – le rispose, tendendole una mano in segno di amicizia – E questo birbante è Poomo – accennò in direzione del cane.
Fine strinse la mano della giovane titubante, cercando di ricollegare i pezzi nella sua testa, ma senza riuscirci. Una nube confusa e sfocata le anneriva i pensieri.
- Eri tu l’altra volta sul molo, vero? Perché ho l’impressione di averti già conosciuto?- le chiese spaesata, senza capire.
- A volte certe persone emanano una sensazione di familiarità. Un po’ come un’anziana signora che non hai mai visto prima, ma il cui modo di fare ricorda inevitabilmente quello materno di una nonna – le rispose l’altra pacatamente, senza schiodare gli occhi dai suoi.
A Fine non sfuggì il riferimento all’incontro con la vecchina dal foulard color ciliegio fatto insieme a Rein quel pomeriggio lontano, nei vicoli del paese. Era come se Grace volesse suggerirle una strada da percorrere, una deduzione a cui doveva arrivare da sola.
A pensarci bene, Grace e la vecchia signora un po’ si assomigliavano. Avrebbero quasi potuto essere nonna e nipote.
Avrebbe voluto dirle tante cose, ma ciò che riuscì a fare fu soltanto aprire bocca e richiuderla senza emettere alcun suono.
Troppe cose voleva chiederle, tante altre voleva domandarle.
Grace, ancora una volta, sorrise.
- Fine – come diavolo faceva a conoscere il suo nome? A riconoscerla anche quando non era se stessa? – Non avere paura. Sono un’amica. Di me puoi fidarti –
- Come… come…- balbettò lei, in cerca delle parole.
- Come va con Bright? – la precedette Grace di punto in bianco, senza darle il tempo di ragionare.
Quella domanda a bruciapelo la colpì come un fulmine a ciel sereno.
- Conosci Bright? – riuscì finalmente a domandarle.
Grace sorrise – No – le disse – ma conosco te -
 
¤¤¤¤¤¤
 
- Fine?-
Rein quella mattina si svegliò con il nome di sua sorella sulla punta delle labbra, e l’imminente sensazione che a Fine fosse capitato qualcosa a pesarle nel petto.
Si rigirò frettolosamente nelle lenzuola, sgranando gli occhi spaventata quando realizzò che accanto a lei, nel letto, non c’era nessuno.
Fine era uscita. Doveva essere sicuramente successo qualcosa. Non era da lei alzarsi così presto al mattino, ed andarsene in giro tutta sola.
Rein sapeva bene che sua sorella detestava la solitudine. Era un carattere troppo affabile per poter anche solo desiderare di starsene in solitaria.
Aveva notato il suo atteggiamento taciturno ultimamente, e la sua tendenza a chiudersi in se stessa senza sbottonarsi più di tanto, né con lei né con nessun altro. All’inizio aveva deciso di non darci peso, dandole il tempo per riordinare le sue emozioni prima di assillarla con milioni di domande finché non si fosse decisa a confessarle tutto. Fine era come un piccolo cerbiatto: bisognava avvicinarsi a lei con pazienza e cautela, senza fretta, per non spaventarla facendola scappare a gambe levate.
Un po’ glielo invidiava, quel suo lato del carattere. La rendeva dolce e amabile agli occhi di tutti, per niente debole o scontata. Rein sospirò. Lei, a volte, con la sua eccessiva esuberanza e forza di carattere, spaventava le persone. Si poneva in modo troppo esplosivo e frettoloso, non lasciando il tempo all’altro di metabolizzare chi avesse di fronte per reagire di conseguenza. Lo testimoniava il suo rapporto con Shade, altalenante e burrascoso fin dall’inizio.
Fine era diversa.
Fine era fragile, delicata, pura, preziosa. Bastava un suo sorriso per riassestare il mondo, ed era in grado di stabilire una così profonda empatia con le persone, che i pochi fortunati che avevano la fortuna di conoscerla fino in fondo restavano poi legati a lei per la vita. Rein la trovava straordinaria, sorprendente questa sua innata dote. La ammirava, e gliela invidiava anche un po’.
Era quella a suscitare così tanto fascino nei ragazzi della scuola. Fine non se ne rendeva neanche conto, ma la sua semplicità, unita alla sua dolcezza, era ciò che le persone apprezzavano in lei, più di ogni altra cosa. La rendevano bella, oltre ogni misura. A volte le dispiaceva che lei si ostinasse a non rendersene conto.
Forse era per quel motivo, per la sua capacità di attrarre così forte a sé le persone, che Rein, nel profondo, desiderava in tutto e per tutto assomigliarle.
Anche a lei sarebbe piaciuto legarsi alle persone in maniera indissolubile, profonda, vera. E invece non era nemmeno stata in grado di far innamorare di sé il suo ragazzo. Se fosse stata come Fine, forse Fango non l’avrebbe tradita?
Un po’ le mancava essere se stessa. Per quanto volesse bene a Fine. Per quanto essere lei, conoscendola ancora più a fondo di quello che avrebbe mai potuto fare standole accanto, gliela facesse ammirare ancora più di prima. Le mancavano le sue abitudini, la sua vita.
Alzarsi la mattina e pettinare i suoi lunghi capelli allo specchio. Litigare con Altezza, e poi fare pace. Vestirsi alla moda, crogiolarsi in spiaggia senza il peso di dover dimostrare a tutti di saper nuotare, riportando a galla vecchi e dolorosi ricordi.
Starsene seduta in silenzio, e piangere per Fango quando non era vista da nessuno. Battibeccare con Shade, sognare Bright. Le mancava tutto, di sé. E più lo desiderava, più tornare indietro le sembrava impossibile.
A volte, se ci pensava, le veniva quasi da piangere per la paura. Perché anche se in quel terribile casino ci era finita assieme alla sorella, e insieme ne sarebbero uscite, sentiva che inevitabilmente le cose stavano cambiando. Loro due stavano cambiando, non sapeva dire se in meglio o in peggio, ma la cosa un po’ la spaventava. Forse più di un po’.
A volte, quando era da sola in acqua con Shade, sentiva premerle sulla gola il desiderio di lasciarsi andare, e confessargli finalmente tutto quanto. Perché anche se lo detestava, sentiva di starlo prendendo in giro, e se ne vergognava alquanto. Dopo che finalmente avevano trovato un loro equilibrio. Dopo che era finalmente riuscita ad esorcizzare un minimo i suoi demoni interiori, confessandoli apertamente per la prima volta ad una persona alla quale mai si sarebbe immaginata di confidare una simile realtà. Eppure Shade, in quel momento, le era sembrato la persona più giusta con cui lasciarsi andare. Inspiegabilmente.
Certe volte non è necessario ricercare sempre un perché nelle cose. Accadono e basta. E Rein si era aperta con lui, per la semplice voglia di farlo. Perché lui era stato l’unico a rispondere alla sua muta richiesta d’aiuto. E lei ci si era aggrappata con tutta la forza possibile.
Si vestì in fretta e furia, fiondandosi fuori dalla villa senza neanche fare colazione alla ricerca della sorella, senza la minima idea di dove andare a cercarla.
Non aveva un piano ben preciso, sentiva solo di doverla trovare il prima possibile. Era come se sentisse una mancanza premerle forte sul petto. Si sentiva incompleta, a metà. E l’idea che a Fine fosse successo qualcosa continuava a tormentarle la coscienza.
Si infilò in ogni caffetteria, in ogni pasticceria, in ogni panetteria della cittadina, sperando di trovarla seduta ad un tavolo ad ingozzarsi di cibo. Tentò anche sul lungomare, ma senza successo.
“Fine, ma dove diavolo ti sei cacciata? Perché non rispondi al telefono?” pensò, constatando che, all’ennesima telefonata, il cellulare risultava ancora staccato, irraggiungibile.
Cominciò davvero a preoccuparsi.
La cercò ancora per i vicoli della città, perdendosi a sua volta. Il senso dell’orientamento non era mai stato il suo forte. Si maledisse per la sua impulsività, che l’aveva spinta a correre in lungo ed in largo, senza registrare alcun punto di riferimento per poter tornare indietro.
Adesso a tornare a casa le ci sarebbe voluto il doppio del tempo.
Si sedette sconsolata su una panchina che fronteggiava un piccolo parchetto ancora deserto, sospirando amareggiata della sua sfortuna.
La brezza soffiava leggera scompigliandole i capelli, imprigionandola in una realtà ovattata.
Improvvisamente, un fischio simile ad un miagolio le attraversò i timpani, stridente come le ruote di un treno che frenano sulle rotaie.
Si voltò di lato, e sorprese una figura esile ed elegante osservarla sorniona.
- Tu! – esclamò poi, riconoscendo nella sagoma di fronte a lei quella del gatto che le aveva rubato l’elastico, qualche giorno prima.
Il gatto miagolò, quasi facendosi beffe di lei, e strusciandosi amabilmente sulle sue gambe.
Rein gonfiò le guance inacidita.
- È inutile che cerchi di corrompermi. Mi devi ancora un elastico per i capelli – gli disse, prendendolo i braccio e guardandolo negli occhi severa.
Il gatto miagolò, quasi volesse risponderle, e facendo le fusa.
- Sei proprio uno stupido gatto – rise lei, senza poi resistere alla tentazione di coccolarlo – Sei sempre più morbido. Ce l’avrai un nome? –
- Credo che tu gli piaccia molto – la sorprese una voce alle spalle, accompagnata da una risatina familiare già sentita prima.
- La vecchia pazza del vicolo!- si lasciò sfuggire Rein istintivamente, mordendosi poi la lingua per essersi lasciata sfuggire parole che non era proprio opportuno esplicitare di fronte alla diretta interessata. La vecchia parve non farci caso. Aveva ancora il suo foulard attorcigliato attorno alla testa.
Si sedette accanto a Rein, richiamando il gatto sulle sue ginocchia.
- Che fa? Mi sta seguendo forse? – azzardò Rein sulla difensiva, scostandosi un poco dalla figura della donna sedutale accanto.
La vecchia rise, come suo solito.
- Cerchi qualcosa, cara?- le domandò, accarezzando il gatto che ora faceva le fusa beato sulle ginocchia della padrona.
- Le interessa? – rispose Rein, sempre guardinga ed in allerta, quasi si aspettasse una catastrofe da un momento all’altro. Quella donna non metteva paura, ma uno strano senso di inquietudine addosso, e ciò bastava a Rein per tenere al massimo le distanze, almeno finché non avesse capito qualcosa di più su quella strana signora cieca.
La vecchina alzò le spalle, disinteressata.
- Se non interessa a te, perché credi che dovrebbe interessarmi? –
- Sto cercando mia sorella – si affrettò a rispondere Rein, per tagliare corto il discorso il prima possibile.
La vecchia sorrise.
- Fine? Oh, non devi preoccuparti per lei, è in ottime mani. Tu, piuttosto. Perché tanta tristezza? – le domandò a bruciapelo, senza darle il tempo di pensare.
- Cos..? Si sbaglia. Non sono affatto triste, ma preoccupata –
La vecchina schioccò la lingua con disappunto.
- Il tuo cuore sta gridando aiuto a squarciagola, lo sento – Rein boccheggiò un istante, senza sapere cosa controbattere – Ti ripeto la domanda: perché tanta tristezza?-
Per un istante soltanto, Rein fu sul punto di piangere. Poi si ricompose, trovando la forza necessaria a non lasciarsi abbattere. Quella vecchia cieca aveva modi di fare simili ad una nonna, persuasivi e confortanti, ma non per quel motivo significava che poteva fidarsi di lei.
- Le ripeto che non sono triste, ma preoccupata – rispose secca, quasi volendosi dimostrare più forte di quello che era in realtà – Non ho notizie di mia sorella da più di un’ora, sto perdendo tempo a parlare con una vecchia pazza invece che andarla a cercare, dispersa chissà dove, mi sono persa a mia volta, sono intrappolata in un corpo che non è il mio e dal quale non saprò mai se riuscire a liberarmi, sto mentendo a tutti i miei amici, Bright compreso, e come se non bastasse comincia a starmi simpatico perfino quel pezzo di idiota di Shade. A cosa crede sia dovuta la mia tristezza?- trattenne a stento un singhiozzo, conscia che non era né il luogo né il momento adatto per abbandonarsi a capricci da bambina.
La vecchia le sorrise, materna.
- Molte cose ci sembrano difficili, quasi impossibili all’inizio, degli ostacoli insormontabili da superare. È proprio questo che deve spingerci ad andare avanti con tutte le nostre forze. Ci sarà sempre un lato positivo –
- Davvero? Beh io in questa situazione proprio non riesco a vederlo – asserì Rein, con gli occhi che pungevano di rabbia e sconforto. Desiderava solo ritrovare Fine, e tornarsene a casa.
- Eppure l’altra mattina, in spiaggia, assieme a Shade, non mi sembrava che le cose andassero così tragicamente come vuoi farmi credere – asserì l’anziana donna, continuando ad accarezzare imperterrita il suo amato gatto.
Rein per poco non si sentì mancare.
- Lei come fa a sapere…- disse, per poi aggiungere – Allora era lei! Era lei a spiarmi sulla collina, quel giorno! Sapevo di non essere completamente uscita fuori di testa! –
La vecchia alzò le spalle, disinvolta.
- Ero io, ma non ero io. So molte cose. È nella mia natura saperle. Conosco te e tua sorella molto più di quanto voi due conosciate voi stesse. Sono qui per questo, del resto –
Rein ne aveva piene le tasche di tutto quel mistero, del suo parlare per vie enigmatiche ed incomprensibili. Necessitava di risposte chiare e concise, e le voleva all’istante.
- Adesso basta. Mi dica definitivamente chi è lei, cosa vuole da me e mia sorella e perché continua a tormentarci. Sono stufa di questi continui giochi di parole –
La vecchia, di nuovo, sorrise, per nulla turbata dall’atteggiamento aggressivo della turchina nei suoi confronti.
- Il mio nome è Grace, e questo è il mio gatto Poomo. Ora che mi conosci ti senti più rassicurata? –
- Cosa vuole da me e mia sorella? – ripeté Rein, scandendo a modo ogni sillaba perché capisse che era inutile indugiare ancora.
La vecchia tirò le labbra in un sorriso sapiente, consapevole.
- Io? Io non voglio niente da te e tua sorella. Siete voi ad avermi chiamata, io ho soltanto risposto alla vostra richiesta. Sono qui per aiutarvi – le disse, e Rein socchiuse gli occhi, tentando di sforzarsi di capire con tutta se stessa – Sono stata io ad esaudire il vostro desiderio, pensando di rendervi finalmente felici. Sono stata io, a scambiarvi di corpo. Io sono Saggezza, Coraggio, Esperienza. Sono la cometa di Twin –
 
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- Curiosità, Fiducia e Sentimento?- ripeté Fine, rigirandosi nella mente quelle parole, senza capirne davvero il significato.
La giovane Grace annuì: - Questa è la mia essenza, la parte più recente di me, la superficie, la scia luminosa che si accende di notte quando prendo contatto con l’atmosfera terrestre. Mia sorella Grace, invece –
- La vecchia signora cieca? –
- Proprio lei. Lei è la parte ancestrale, il nucleo, il cuore della cometa, la struttura portante. Senza di lei, io nemmeno esisterei. Siamo complementari, indivisibili, inscindibili. Siamo due facce della stessa medaglia –
- Capisco – mugugnò Fine pensosa – Eppure, pur essendo sorelle gemelle, non vi assomigliate granché. Forse una leggera similitudine, ma come potete essere gemelle, e avere così tanti anni di differenza? –
- Non serve assomigliarsi, per essere sorelle – sorrise Grace, premurosa – Ci sono fratelli di sangue che nemmeno si rivolgono la parola, ed amici talmente uniti nel cuore e nell’anima da sentirsi parte di una famiglia –
- Ma se tu sei la cometa di Twin, e ci hai scambiate di corpo, allora puoi anche invertire il processo, no?- la interruppe Fine, speranzosa e su di giri per aver finalmente trovato la soluzione al problema che tanto affliggeva lei e Rein.
Grace scosse la testa, risoluta: - Non è così semplice – disse.
 
- Come sarebbe a dire che non è così semplice?- esclamò Rein inacidita, stufa che ci fossero ancora ostacoli ad interporsi tra lei ed il suo desiderio di tornare alla normalità – Mi stai dicendo che ci hai fatto una fattura, e non sai come disfarla? – dopo che Grace le aveva rivelato chi fosse, aveva preso a darle del tu.
- La mia non è una fattura, non sono mica una strega. Io esaudisco soltanto i desideri delle persone – spiegò la vecchia cieca.
 
- E non basta desiderare di tornare normali perché io e Rein possiamo rientrare nei nostri rispettivi corpi? – domandò Fine, più confusa di prima.
- Non ricordi cosa vi ha detto mia sorella, poco tempo fa? Non serve desiderarlo, ma serve volerlo – le disse Grace, accarezzando Poomo accucciato ai suoi piedi.
 
- Dunque non basta una semplice formula magica perché tutto ritorni come prima. D’accordo. Cosa dobbiamo fare, allora? – chiese Rein, pregando che ci fosse una via d’uscita.
Grace frugò nelle tasche del vestito in cerca di qualcosa, e quando lo trovò lo porse alla turchina con fare enigmatico e senza proferire parola.
A Rein quasi non venne un tuffo al cuore nel riconoscere la sagoma del suo elastico preferito intrappolata tra le dita consumate e raggrinzite della vecchia che le stava di fronte.
Si domandò cosa mai avrebbe potuto fare un misero elastico di fronte al loro immenso problema.
- Questo cosa dovrebbe significare? – domandò incerta, quasi sul dubbio che Grace la stesse prendendo in giro o no.
- Se ti dicessi che questo elastico hai il potere di farti tornare normale, tu cosa faresti? – le domandò, penetrandola con uno sguardo severo che mai le aveva visto prima dipingersi in volto.
Rein restò qualche istante ferma a contemplare l’elastico, e a rimuginare attentamente sulla domanda che le era appena stata posta.
In un primo istante, pensò si trattasse di una presa in giro. Era impossibile che la chiave dell’enigma fosse racchiusa in un misero oggetto consunto dal tempo. Quantomeno, si aspettava qualcosa di più mistico, di più simbolico, come veniva raccontato nei film. Non poteva essere che fosse proprio il suo insignificante elastico, a donarle la libertà.
Poi però, in un secondo momento, forse presa dalla disperazione o forse presa da un’incrollabile fiducia, cominciò a crederci davvero. Magari Poomo glielo aveva rubato con l’intenzione di darlo a Grace perché lei ci eseguisse sopra uno strano artificio. La teoria poteva anche funzionare, in fondo.
- Come può un misero elastico riportarci alla normalità?- chiese perplessa, osservando Grace di sbieco.
La vecchia schioccò la lingua risoluta, sospirando: - Se non ci credi tu, che sei quella che tanto desidera rimettere le cose a posto, perché dovrei crederci io? – le disse.
Rein sbuffò: ancora enigmi da risolvere.
Afferrò l’elastico non senza esitazione, e se lo mise in testa, legandosi i capelli in una coda alta.
- Non succede niente – disse sconfortata. Per un attimo ci aveva creduto davvero.
Grace scosse la testa sorridendo.
- Non serve desiderarlo, serve volerlo – ripeté, quasi stesse recitando un mantra antico secoli – Non importa cosa vi farà tornare normali, ma come agirete per ottenerlo. Il segreto è tutto qui – le disse, e si alzò dalla panchina sulla quale era seduta, per dirigersi verso una meta sconosciuta.
- Ehi, aspetta un attimo! Cosa intendi dire? – le gridò dietro Rein disperata, nella piena confusione del non sapere che fare.
Non lasciarmi anche tu, sola in mezzo a tutto questo frastuono.
Poomo miagolò forte verso di lei, e le sfilò di nuovo l’elastico dai capelli per riportarlo alla padrona.
- Questo lo terrò io per un po’. Te lo restituirò quando sarai pronta – asserì Grace, facendole un occhiolino in segno di saluto – Se avrai bisogno, saprò dove trovarti –
- Pronta per cosa? Possibile che debba essere tutto così poco chiaro e confuso? Aspetta! Dammi almeno un’indicazione!- le strillò ancora Rein dietro, percependo un vuoto angosciante impadronirsi di lei.
Grace, ancora una volta, sorrise.
- La soluzione ce l’hai proprio davanti agli occhi, eppure neanche te ne accorgi. E dire che la cieca, tra le due, sono io – e finalmente scomparve, lasciando dietro di sé soltanto il suono allegro e ridondante della sua risata a spandersi nell’aria.
La brezza riprese a soffiare, sempre più forte, riempiendo gli occhi, la bocca, le orecchie di Rein. Era talmente forte da risultare quasi insopportabile.
Chiuse gli occhi un solo istante, e quando li riaprì si stupì nel ritrovarsi in piedi di fronte al cancello della villa, quasi non fosse mai uscita di casa quella mattina, Fine al suo fianco poco distante da lei con la stessa espressione stralunata a solcarle il volto.
- Fine! – esclamò Rein dopo un secondo di smarrimento, saltandole al collo sollevata – Ti ho trovata, finalmente! Dove ti eri cacciata? – le chiese.
- Non lo so – rispose l’altra titubante – O almeno, credevo di saperlo, ma forse è stata tutta un’allucinazione –


Angolo Autrice:

Torno prima del previsto!
Bello riaggiornare in tempi decenti ogni tanto!
Che dire, questo è un altro capitolo di transizione, ma molto importante, perchè si scopre una piccola verità. Che ve ne pare del ruolo che ho voluto dare a Grace? In realtà l'ho sdoppiata, non chiedetemi da dove mi sia venuta questa idea malsana, ma mi piaceva così, e l'ho lasciata. 
Dunque ora le nostre Twins sanno chi le ha scambiate di corpo, ma non sanno ancora come tornare normali. Voi un'idea ce l'avete? Ce la faranno mai?
Con questi dubbi, vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo.
Un grazie a chi è sempre presente e mi sprona con le sue belle parole a proseguire questa storia.
Baci sparsi.

_BlueLady_

 
  
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