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Autore: cabin13    03/06/2018    1 recensioni
[Percy Jackson!AU]
Il figlio di Ares ha la fama di essere ribelle e scorbutico, ma è anche il migliore spadaccino del Campo. E un mio caro amico.
– Sei pronta Pidge? – mi chiede mettendosi al centro dello spiazzo e contemporaneamente facendo roteare la spada di legno che usa per gli allenamenti.
***– Lance! – strillo a questo prendendolo per le spalle magre, è più basso di me solo di pochi centimetri. Il mio migliore amico sobbalza preso alla sprovvista e poco ci manca che faccia un infarto, ma finalmente chiude la bocca e sta ad ascoltarmi. – Amico, se ti chiama in fisica ti copro io! Sperando di non farmi beccare da Altean, s’intende…
***Digrigno i denti e stringo i pugni, i muscoli mi stanno chiedendo pietà ma non sono intenzionato a mollare; se proprio devo, preferisco mille volte morire per la fatica che per mano loro. {...} questi corridoi sono tutti uguali per me, senza un mortale è impossibile districarsi in questo dedalo di vie.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garrison Hunk, Gunderson Pidge/Holt Katie, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mi porto due dita alle tempie sperando vivamente che non mi venga un gran mal di testa.

Sarà un quarto d’ora che Lance non sta zitto, sta imprecando contro il mondo intero in spagnolo: quando parla nella sua lingua madre, se possibile, diventa ancora più logorroico del solito. In più, io non capisco una parola di quello che sta dicendo e praticamente mezzo corridoio ci sta fissando.

– Lance – provo a chiamarlo un paio di volte, ma zero. Potrebbe anche andare a fuoco la scuola e lui continuerebbe a sproloquiare tutto concitato.

– Lance! – strillo a questo prendendolo per le spalle magre, è più basso di me solo di pochi centimetri. Il mio migliore amico sobbalza preso alla sprovvista e poco ci manca che faccia un infarto, ma finalmente chiude la bocca e sta ad ascoltarmi. – Amico, se ti chiama in fisica ti copro io! Sperando di non farmi beccare da Altean, s’intende…

Mi sono appena messo nei guai da solo dato che il professor Altean sembra avere occhi sia davanti che dietro, ma non potevo ignorare la situazione di cacca in cui si trova Lance. Non mi piace vedere le persone in difficoltà, mi fa sentire inutile ed è una sensazione che detesto.

Lo conosco da quando si è trasferito a New York e da altrettanto sono al corrente del suo problema con la dislessia, che lo svantaggia a scuola. Quando me l’ha confessato era parecchio titubante, temeva che potessi mutare la mia opinione su di lui e iniziare a considerarlo uno stupido – sue testuali parole. Non so neanche io perché gli abbia taciuto per tutto questo tempo di trovarmi nella sua stessa condizione…

– Ah, ti adoro Hunk! – esclama passandomi un braccio attorno alle spalle e scompigliandomi i ciuffi castano scuro.

Ridacchio con aria compiaciuta mentre mi sistemo la fascia arancione che porto annodata in fronte. Me l’ha regalata mia madre, ci ha ricamato sopra il simbolo Maori della famiglia, un simbolo appartenente alla cultura del suo Paese d’origine – le isole di Samoa.

Prendo dall’armadietto il mio libro di storia, la mia materia della prima ora. Lance invece ha inglese e prego mentalmente tutte le entità dell’universo che non faccia qualche stupidata delle sue: la settimana scorsa si è addormentato a metà della spiegazione e si è svegliato di soprassalto urlando qualcosa come “arriva uno tsunami, no… Atlantide!”. È diventato lo zimbello dell’intera classe. La Terrington gli ha fatto una ramanzina di mezz’ora, poi l’ha spedito dal preside ed è rimasto in punizione tutto il pomeriggio.

Ci dirigiamo alle rispettive aule. La lezione di storia non è poi così male, se si esclude la voce monotona e soporifera del prof. Devo lottare con le mie palpebre per non crollare addormentato, sono realmente interessato.

Incrocio le braccia sul banco e vi poso il mento sopra, giusto per cambiare posizione.

La mia testa, però,  è pesante e il mio corpo ancora mezzo assonnato si sente davvero stanco, gli occhi non riescono a mettere a fuoco la lavagna. E il signor Dave ha una voce così rilassante…


Sto camminando in un bosco, è buio e non vedo a un palmo dal naso. Capisco che si tratta di una foresta perché sento lo scricchiolio delle foglie secche sotto i miei piedi e qualche raggio fugace di luna illumina delle fronde sopra la mia testa. Non ho mai visto questo posto in vita mia – non assomiglia neppure per sbaglio a Central Park, in più non conosco nessun posto del genere qui a New York –  e non ho la minima idea di dove mi stia dirigendo.

Non credo nemmeno di essere davvero io la persona che sta camminando. Percepisco una sensazione strana, come se non fossi davvero me stesso.

Le mie guance impallidiscono non appena sento parlare: adesso ne sono davvero sicuro, non sono io. La voce che impreca non è la mia, ha un vago accento sudamericano, ma è molto meno marcato di quello di Lance. Si sta sarcasticamente lamentando della scarsità di luce.

È una cosa assurda, sono l’ospite indesiderato nella mente di qualcun altro.

Solleva una mano e la porta davanti a sé, il palmo rivolto verso l’alto. I miei occhi – o i suoi? – osservano le lunghe dita affusolate, noto che i polpastrelli sono sporchi di una qualche sostanza scura e ha un paio di calli.

Un rumore mi fa trasalire. È stato un suono metallico decisamente poco rassicurante, come di un albero che viene spezzato da qualcosa di molto molto grosso. Il mio primo istinto sarebbe quello di filarmela a gambe levate e invece… restiamo?

Si sta avvicinando, non mi piace per niente. Sento il cuore rimbombarmi a mille nelle orecchie, fa quasi più rumore quello che non il boato.

La persona del mio sogno rimane ferma immobile con la mano a mezz’aria, sembra propensa ad andarci in contro. O è estremamente brava a nascondere la sua paura oppure è totalmente fuori di testa.

No, no, no!

Il baccano si fa più vicino e stavolta anche il ragazzo misterioso sussulta. Forse si è finalmente reso conto che camminare in mezzo al bosco a notte fonda finendo in bocca a chissà quali esseri non è stata propriamente una grande idea. Però è testardo, non si smuove.

Due grandi luci rosse si fanno largo tra le fronde. Un grido spaventato mi si smorza in gola e anche il latinoamericano che non è Lance deglutisce a vuoto, è agitato, le ginocchia tremano eppure non cede.

Quella cosa, qualunque cosa sia, compie in due passi gli ultimi metri che ci separano da lei.

La mano del ragazzo si è illuminata, ha appena preso fuoco e la cosa più spaventosa è che lui sembra non esserne minimamente preoccupato

Ho davanti l’inimmaginabile: un drago! Grande almeno quanto un camion e interamente di metallo, le scaglie che brillano sotto la luce lunare e le ali affilate come rasoi ripiegate sulla schiena.

E io non posso fare a meno di gridare.


Il trillo della campanella mi sveglia bruscamente, quasi perdo l’equilibrio e scivolo giù dalla sedia per la sorpresa. Mi arriva qualche occhiata scettica, ma nessuno commenta niente e neanche il signor Dave fa domande; credo che non si sia nemmeno accorto del mio pisolino fuori programma.

Anche se chiamarlo pisolino è un eufemismo. Non credo sia normale sognare di gente che prende fuoco e affronta creature che dovrebbero esistere solo nelle favole per bambini, o al massimo nei film in stile Signore degli Anelli.

Lance diventerebbe matto se sapesse che ho fatto un sogno così simile al suo quando la settimana passata l’ho rimproverato proprio per la stessa identica cosa. Ha passato un paio giorni insistendo che la storia di Atlantide gli fosse sembrata davvero reale nella sua testa.

Devo avere un’aria davvero stravolta in viso perché il mio migliore mi osserva inarcando un sopracciglio quando lo raggiungo ai nostri armadietti. Abbiamo qualche momento di pausa prima della lezione successiva.

– Tutto bene? – mi chiede indagando la mia espressione. Non sono sicuro di potergli rispondere in tutta onestà, ma vengo salvato in corner dalla campanella che annuncia l’inizio dell’ora successiva.

L’esperimento nel laboratorio di chimica si rivela molto più noioso di quanto ci potessimo immaginare: Lance si diletta con dei disegnini senza senso sui bordi del foglio – su cui sono scribacchiati ben pochi appunti – e io trascorro il tempo a fissare l’orologio perso nei miei pensieri.

La lezione di matematica non è tanto differente, chiacchieriamo poco; con la coda dell’occhio vedo Lance che ripassa fisica, il quaderno nascosto sotto quello degli esercizi di algebra. La temutissima interrogazione del professor Altean è l’ora successiva e lui fatica a memorizzare tutte le formule e i teoremi. Io non ci riuscirei neanche se volessi, a studiare. Sono nervoso, non so come parlarne con lui senza farlo saltare su come una molla – aveva ragione lui, sembrava davvero che fossi io il protagonista della scena, esattamente come nel suo sogno. Forse non è una coincidenza.

Lance è un fascio di nervi quando usciamo dall’aula. Cammina a scatti e ignora pure il fatto che gli siano passate accanto un paio di cheerleader – di solito impazzisce quando le vede, entra in modalità flirt e spara qualche pessima frase delle sue per fare colpo.

Si siede nel posto accanto al mio, ha un tic al piede e non riesce a stare fermo.

Porca miseria, così agita anche me. È possibile venire contagiati dalle… farfalle nello stomaco? Mi premo di nuovo le dita sulle tempie, sperando inutilmente di ritrovare la calma. Sento il cervello lavorare a mille e non so neppure il perché.

Il professor Altean entra in classe con la sua andatura bizzarra e un po’ barcollante e posa la valigetta sulla cattedra con un gran fracasso. Sento Lance imprecare qualcosa che suona come un “Puta mierda” e il suo naso sprofonda maggiormente tra le pagine del libro.

Deglutisco a vuoto. Questo giorno sembra diventare ancora più strano ogni minuto che passa. Il signor Coran sta fischiettando una melodia assurda in una lingua che di primo acchito mi pare incomprensibile. Canticchia a bassa voce, ma dopo un paio di secondi mi abituo e riesco persino ad afferrare qualche parola.

Senza tanti preamboli ci ricorda che oggi è il primo giorno di interrogazioni e dà un’occhiata al registro, passandosi una mano sui grandi baffi arancioni che gli adornano il viso.

– Garrett, McLain! Sentiamo un po’ voi due!

Sbianco di colpo, così come Lance. Sta scherzando, spero! Questo ce l’ha con noi! E adesso chi cacchio ci suggerisce? Non avevo minimamente messo in conto che potesse estrarne due, di vittime sacrificali. Se avesse chiamato solo me o lui, l’altro avrebbe tentato in qualche maniera di passare le risposte all’interrogato, ma così se ne va ogni speranza di poter guadagnare un paio di voti in più.

Con facce da funerale io e Lance ci alziamo dalle nostre sedie e ci prepariamo per quella che sarà un’interrogazione di fisica lunghissima.

---

Neppure quando scopriamo che oggi in mensa ci sarà la pizza Hunk sembra dare cenni di vita. Non sembra esserci rimasto male per la C ottenuta in fisica, certo, un po’ deluso lo è – del resto fisica è la sua materia preferita – ma sembra esserci qualcos’altro che lo turba.

Tento, per la seconda volta di questa mattina, di chiedergli cosa c’è che non va. Lui smette di masticare la sua fetta di pizza al salamino e deglutisce, ci scambiamo una lunga occhiata, la sua fronte si corruccia e immagino stia riflettendo se dirmelo o no.

Vorrei tanto potermene uscire con qualche battuta ironica per sdrammatizzare, ma non mi viene in mente nulla e non credo nemmeno che possa davvero funzionare.

Hunk abbassa lo sguardo mentre si pulisce le mani con un tovagliolo, tartassa le sue dita scure e attorciglia il fazzoletto fino a strapparlo. Sono sorpreso dalla sua reazione, non l’ho mai visto così titubante.

– In realtà… ci sarebbe qualcosa – esala alla fine, dopo avermi tenuto sulle spine per qualche interminabile minuto.

Quando inizia a raccontare, devo trattenermi dal gridare qualche chabacanería1 e quasi non credo alle mie orecchie.

A dire la verità, fino a prima che mi rivelasse del suo sogno di stamattina, persino io stesso credevo che la storia di Atlantide fosse stata solo l’incubo più scemo e al contempo reale che una mente umana potesse aver mai creato. Insomma, non capita quasi a nessuno di ritrovare se stesso in una civiltà immaginaria e vedere un tizio gigantesco che sbuca dall’acqua e con un’onda anomala cancella un’intera isola! Però è vero che la sensazione di essere i protagonisti del sogno faceva credere di trovarsi nella realtà, altrimenti non avrei insistito con questa storia di Atlantide per giorni interi. Queste sensazioni sono un gran casino.

Hunk conclude la spiegazione e mi osserva mogio, con aria dispiaciuta. Si aspetta qualche mia escandescenza e sarei davvero tentato di dare di matto, perché la storia è davvero assurda. Non capisco come possano essere possibili due sogni così simili.

Sospiro e do una pacca sulla spalla al mio migliore amico. – Maggio ci sta facendo diventare quimbaos2, asere! – rido.

La sua espressione si fa un po’ confusa e le sue sopracciglia si aggrottano…

Cavoli, mi sa che non era inglese, quello! Ho ancora qualche difficoltà ad usare la lingua di qui, spesso inserisco molte parole spagnole nel mio discorso e, ovviamente, Hunk non le capisce. Devo aver usato un accento buffo, però, perché gli angoli della sua bocca sono incurvati verso l’alto.

Nel complesso è un cipiglio talmente assurdo che non posso fare a meno di scoppiare a ridere senza ritegno, scrollando le spalle con leggerezza. Le mie risate sono contagiose e Hunk non ce la fa a rimanere serio, lo vedo che si morde le labbra, gonfia le guance e poi non resiste più.

– Amico, si può… sapere… che cavolo… hai detto? – quasi annaspa per articolare la frase, le parole interrotte dai suoi continui risolini. La tensione che abbiamo accumulato questa stamattina si sta finalmente scaricando.

Sto ancora ridendo quando mi alzo in piedi e con il mio vassoio del pranzo mi dirigo verso il cestino per buttare i residui del mio pasto. La pattumiera sta vicino a una porta verde senza scritte che è sempre chiusa e che sospettiamo sia lo sgabuzzino dei bidelli o degli addetti alla mensa – nessuno ha mai indagato la cosa e nessuno se ne interesserà mai.

Asere? Asere vuol dire “amico” a Cuba! – gli spiego con un sorriso mentre getto nel bidone la mia bottiglia vuota. – E invece quimbao significa—

La frase rimane in sospeso, non riesco a terminarla che improvvisamente la porticina verde si spalanca di colpo, un grande boato riecheggia nella sala pranzo e nei corridoi circostanti e qualcosa di grande e lanciato alla massima velocità mi investe in pieno.





1volgarità in sapgnolo cubano
2matto in spagnolo cubano




 
Hola gente
Eccomi qui con il secondo capitolo!
Ho avuto qualche difficoltà a scrivere la prima parte perché non volevo concentrarmi troppo sulle parti poco importanti (le ore di scuola tra la 1 e fisica) per non scrivere un papiro ripetitivo ma non volevo nemmeno liquidare il tutto con tre sbrigative righe... Ho provato a fare un misto e spero di esserci risucita ^^
Il sogno di Hunk non l'ho inserito a caso per allungare il capitolo, ha un suo senso che verrà spiegato andando avanti con la storia...
Ringrazio Miss Marvel MJ che ha messo la storia tra le preferite e Cesi2002 che l'ha messa tra le ricordate! Ringrazio chi recensirà e chi leggreà e basta
Alla prossima gente
Adios

   
 
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