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Autore: NicoRobs    04/06/2018    2 recensioni
Da anni ostaggio di una società criminale, K, ex studentessa della Wammy's House, trova un modo per partecipare alle indagini su Kira al fianco di L e Watari, con la segreta speranza che questi possano aiutare lei e Bjarne a tornare liberi. Tuttavia, dovrà prima fare ammenda per i gravi crimini di cui i due la accusano, e che hanno causato il suo allontanamento dalla Wammy's House. Quali segreti si celano nel suo passato? E cosa la lega a Nate River?
Questo racconto, in cui diversi personaggi sono OC (a cominciare dalla protagonista), si pone in alternativa alla canonica indagine dei primi sette volumi del manga, esplorando in parte un passato immaginario degli studenti della Wammy's House, la famiglia e le origini di L e un concetto di giustizia alternativo rispetto a quello dei due famosi protagonisti. Il nemico da affrontare non è il solo Kira; l'esito positivo dell'indagine dipenderà pertanto dalla capacità di L e di K di scendere a patti col loro passato.
Le descrizioni scarne, la forma prettamente dialogica e monologica e il cambio repentino del punto di vista cercano di rifarsi allo stile narrativo dell'anime, da cui sono riprese alcune scene.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'About November 8th'
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Capitolo XV

Ora d'aria

     -Allora posso scegliere io cosa farti mettere per uscire di qui?- domandò Misa, squittendo. Quello sarebbe stato il suo primo giorno di libertà dopo più di due mesi di prigionia e, sebbene non fosse per nulla entusiasta di passarlo con l'inquietante Nathalie, avrebbe dovuto far buon viso a cattivo gioco per tutto il giorno. Ne andava della buona riuscita del suo piano.
-Fai come ti pare.- sbuffò lei, dandole le spalle, in piedi davanti al suo specchio, mentre sistemava i suoi capelli folti, secchi e sfibrati, in modo da potersi mettere la retina e poi la parrucca.
-Da quanto tempo non vedi un parrucchiere?- le domandò Misa, osservandola, mentre si portava un dito sotto il mento, con un braccio che le avvolgeva la vita.
-Almeno sei anni.- rispose lei, senza smettere di puntare le lunghe ciocche di capelli bianchi con le forcine. -Te l'ho detto, sono stata presa in ostaggio. E di farmi rasare come tutti gli altri mercenari non avevo proprio voglia.-
-Allora magari dovremmo chiamare la mia parrucchiera.- disse Misa, voltandosi per prendere l'unico cellulare che le era stato concesso di tenere dalla propria borsetta. -Anche perché ho due mesi di ricrescita e devo rifare il biondo.-
Ma in meno di un secondo, si materializzò davanti a lei il braccio bianco della donna, che la afferrò per i polsi.
-Tu fai quello che vuoi, ma io non mi esporrò davanti ad un'altra persona.- ringhiò, piantandole in faccia il suo sguardo rosso sangue. -Non devo far vedere il mio vero aspetto, a meno che non voglia farmi riconoscere ed ammazzare.-
-Lasciami andare subito!- protestò lei, gonfiando le guance. -Guarda che lo dico agli altri se mi tratti così.-
Per tutta risposta lei sogghignò, e poi si voltò di nuovo verso lo specchio per finire il lavoro.
-Comunque non ti devi preoccupare.- riprese poi, rimettendo il cellulare nella borsetta. -La mia parrucchiera è abituata a lavorare con persone che vogliono mantenere la privacy, come appunto le star come me. Perciò non corri pericolo.-
     Nathalie mugugnò qualcosa e poi si infilò la retina.
-Hai deciso che parrucca metterti?- domandò allora la ragazza, andando verso l'armadio e aprendolo; cercava di nascondere il sorrisetto che le era spuntato all'idea di come avrebbe conciato la sua irascibile carceriera.
-Quella nera col frangione.- le rispose lei, indicandola con un dito, senza togliere gli occhi dalla propria immagine riflessa nello specchio. -Per nascondermi meglio. Non sarebbe male avere anche un paio di occhiali da sole.-
Si mise poi delle gocce negli occhi e sbatté le pesanti palpebre.
-Allora prendi questi.- disse Misa, passandole i vestiti ancora appesi alle grucce. -Usa pure il bagno per cambiarti. Ci sono un paio di lenti a contatto azzurre non ancora aperte nell'armadietto, ma non sono graduate.-
-Poco male.- fece lei, prendendo i vestiti senza nemmeno guardarli e andando verso il bagno. -Non penso che, anche se avessi delle lenti graduate, sarei in grado di vedere un cecchino che mi punta, con tutto il sole che c'è lì fuori oggi.-
     Nathalie si chiuse in bagno, e Misa cominciò a spogliarsi per cambiarsi i vestiti. Ormai aveva deciso: avrebbe fatto qualsiasi cosa per dimostrare che lei e Light non erano i due Kira; solo in quel modo le accuse su di loro sarebbero cadute e il suo amato sarebbe stato libero. Non aveva ancora idea di come fare, ma avrebbe cercato qualsiasi spiraglio per riuscire nel suo intento. Non c'erano dubbi sull'innocenza sua e di Light, e allora perché si ostinavano tutti a sospettare di loro?
Si infilò la sua minigonna tartan rossa con una cintura borchiata infilata mollemente tra i passanti e un bustino nero, per poi andare allo specchio per farsi i codini. Quel giorno faceva decisamente caldo per mettersi anche i guanti di pizzo e le calze, per cui optò per delle autoreggenti a rete sotto gli stivali neri. Nel frattempo, Nathalie era uscita dal bagno: le aveva fatto mettere un top aderente nero con le coppe rinforzate e la scollatura a cuore, con due bretelline abbastanza ampie da coprirle le cicatrici, e una gonna svasata di pizzo, anch'essa nera, che la giovane aveva però sistemato sui fianchi.
-Questa gonna non mi va.- disse, mostrandole la cerniera che aveva lasciato aperta. Si era truccata con un cerone bianco, rossetto nero, pesante ombretto dello stesso colore, una spessa linea di eyeliner sopra e sotto gli occhi colorati di azzurro dalle lenti e le folte ciglia finte. Il pallore della sua pelle sarebbe stato perfetto per farla sembrare una ragazza goth, soprattutto aggiungendoci la parrucca nera col frangione, e magari qualcuno degli accessori di Misa.
-Certo che non ti va.- sbuffò la ragazza. -Quella va in vita, non sui fianchi.-
-Appunto.- fece Nathalie, tirando finalmente su la gonna e chiudendola in vita, rivelando di colpo un notevole stacco di coscia bianca e tonica. -Considera che sono alta venti centimetri in più di te. Capisco che il tuo intento fosse quello di farmi sembrare ridicola, ma qui si sfiorano i limiti dell'indecenza.-
Misa le si avvicinò, le sistemò un po' le pieghe della gonna e poi fece un passo indietro per osservarla meglio.
-Pensavo che fossi vanitosa e ti piacesse farti vedere.- osservò.
-Ma non conciandomi in modo indecente.- ribatté lei, andando a prendersi la parrucca che aveva scelto tra quelle esposte su uno degli scaffali. -Ah, penso che prima di tutto dovrò andare a comprarmi dei nuovi stivali; quegli anfibi vecchi e logori sono troppo riconoscibili.-
     Misa si diresse verso uno dei suoi cassetti e ne tirò fuori alcuni anelli e collane, che poi porse a Nathalie, e infine raccolse dal proprio comodino la sua collana preferita, quella col ciondolo a forma di giglio, da cui non si separava quasi mai.
-Come mai sei scappata con quegli stracci?- domandò infine, avvicinandosi allo specchio dove Nathalie si stava sistemando con cura la parrucca, per controllarsi il trucco.
Lei sospirò.
-Sono un'inguaribile romantica.- disse poi. -Quegli “stracci” sono legati a molti ricordi. Rappresentavano l'unico legame col mio passato, per questo sono l'unica cosa che mi sono portata dietro.-
E così dicendo si voltò e andò a prendere le calze di pizzo che Misa le aveva appoggiato sulla spalliera di una sedia.
-È proprio necessario che metta anche queste?- domandò, con espressione schifata. -Coi reggicalze?-
-Almeno così puoi coprire quei sei metri di gambe che ti ritrovi.- ribatté lei, con un risolino.
Uscirono dall'appartamento dopo che Nathalie l'ebbe perquisita un'ultima volta, poi questa usò la tessera per chiamare l'ascensore e scesero al piano terra, dove Light e gli agenti stavano lavorando.
Appena le porte dell'ascensore si furono aperte, Misa corse fuori dall'abitacolo e poi giù dalle scale, chiamando Light a gran voce. Il ragazzo si voltò per salutarla, e lei gli saltò al collo.
-È così ingiusto che il mio primo giorno di libertà io non possa uscire con te, Light!- esclamò, sprofondando il proprio viso nella sua camicia, che odorava di fresco e pulito. Lui le mise timidamente una mano sulla schiena, sussurrando: -Dai, Misa, ne riparliamo un'altra volta, ok?-
Misa alzò il volto e si mise in punta di piedi, protendendo le labbra verso Light, con gli occhi socchiusi... quando nel silenzio generale scoppiò alta e forte una risata.
Era Ryuzaki.
Che guardava Nathalie scendere dalle scale.
     Tutti gli agenti erano rimasti attoniti e si erano subito voltati verso il detective, che rideva sguaiatamente, quasi nervosamente, con una mano sul ventre e l'altra davanti alla bocca. Misa guardò allora Nathalie, che si era sfilata i grandi occhiali da sole dalle lenti rotonde che lei gli aveva prestato, e ora lanciava a Ryuzaki un'occhiataccia.
-Hai finito?- domandò infastidita, una volta sceso l'ultimo gradino, piantandosi ritta di fronte agli agenti con una mano sul fianco.
Ma lui ormai non riusciva a fermarsi. Si chiuse la bocca con entrambe le mani, ma continuava a mugolare, mentre le sue larghe spalle andavano su e giù.
Nathalie sbuffò sonoramente, si avvicinò a Misa afferrandola per un braccio, e le intimò di muoversi, dal momento che Watari le stava aspettando.
-Ah, Ryuzaki?- disse, fermandosi davanti alla porta di vetro ad apertura automatica, mentre Misa protestava per il malo modo in cui stava venendo trattata. -Se dovessero piantarmi un colpo in testa... ho lasciato detto a Watari a chi dovrai versare il mio ingaggio. Non sarà una grande eredità, ma mi auguro qualche soldo possa tornare utile alle persone che tu sai.-
E poi tirò dritto, mentre alle loro spalle i mugolii del detective si erano trasformati in una tosse strozzata.

     Hayer si passò nervosamente le mani tra i cortissimi capelli appena striati di grigio.
C'era sicuramente una talpa all'interno del suo reggimento, e se n'era accorto soltanto quel pomeriggio.
Cominciò a camminare ansioso avanti e indietro per il suo ufficio, aprendo e chiudendo i cassetti, andando al computer per cercare quei file che gli avrebbero salvato la vita. Ma le cartelle col materiale raccolto su Banks e su L era sparito dal suo computer. Tutte le informazioni che aveva raccolto in quegli anni si erano semplicemente volatilizzate. In quel momento rappresentavano la sua unica via di fuga, e non riusciva a trovarle da nessuna parte!
E se gli Hogson avessero intuito il suo piano e se ne fossero impossessati? Hayer aveva sempre tenuto quelle informazioni segrete; in primo luogo perché gli Hogson preferivano rimanere all'oscuro di tutte le operazioni illecite pianificate dal PPEP; in secondo luogo, perché quelle informazioni avrebbero potuto rappresentare il suo salvacondotto, nel caso le cose si fossero messe... come si stavano mettendo.
Già, perché se gli Hogson erano all'oscuro di quasi tutte le informazioni su L, lui avrebbe potuto venderle al miglior offerente e garantirsi un passaporto falso, un biglietto di sola andata verso un paese senza estradizione e un'agiata pensione.
E invece, ora quelle informazioni erano sparite dai CD dove erano state salvate. Esistevano ancora le copie cartacee, ma sarebbe stato enormemente rischioso, a quel punto, allontanarsi dal quartier generale per andarle a recuperare dalla cassaforte di casa sua.
     Prese il proprio cellulare dalla tasca dei pantaloni e vi gettò un'occhiata nervosa. Gli uomini inviati in Giappone dopo il fallimento dell'operazione di due mesi prima lo aggiornavano costantemente sugli spostamenti di Watari e degli agenti giapponesi. Ormai avevano intuito che tutta la squadra di L si era trasferita in un edificio di recentissima costruzione e con sistemi di sicurezza assolutamente all'avanguardia, e stavano tentando di recuperare quante più informazioni fosse possibile per elaborare una nuova strategia che avrebbe permesso loro di far fuori Banks. Eliminato il testimone più pericoloso, per la Hogson uscire da quella situazione non sarebbe più stato un problema.
Ma quel pomeriggio (che corrispondeva alla mattina del giorno seguente in Giappone) non aveva ricevuto ancora alcuna chiamata. Cosa stava succedendo?

     -Ok, ora non siamo più sotto controllo.- disse K, una volta chiusa la portiera dell'auto di Watari. -Ora puoi dirmelo: perché hai finto di voler a tutti i costi uscire insieme a me?-
Misa stava controllando la chiusura della propria borsa, e alzò stupita gli occhi colorati dalle stesse lenti che aveva prestato alla giovane.
-Perché credi che abbia finto? Volevo davvero uscire a prendere una boccata d'aria!- protestò.
K si stava guardando intorno, circospetta, alla ricerca di eventuali segni di pericolo. Avevano deciso di andare a Roppongi a fare shopping, dal momento che c'erano diversi negozi di vestiti di marche occidentali, e anche perché Misa voleva fare un salto al salone di bellezza che curava la sua immagine da quando era diventata una idol; scelta che non era piaciuta per nulla a K, conscia del fatto che si trattava di una zona non solo in passato controllata dalla Yakuza, ma anche prevalentemente frequentata da occidentali, che fossero turisti o uomini d'affari... e, soprattutto, da militari. In quelle condizioni, riuscire a riconoscere gli uomini di Hayer, che con ogni probabilità erano ancora sulle sue tracce, diventava praticamente impossibile. Watari le aveva dato una ricetrasmittente e avrebbe fatto il giro di ogni isolato in cui sarebbero passate, per garantirle almeno un po' di copertura, ma K non poteva fare a meno di sentirsi in pericolo ad ogni passo.
     Infine fece cenno a Misa di seguirla, e si mescolò alla gente che affollava i marciapiedi in quella calda giornata d'agosto, cercando istintivamente l'ombra degli alberi e dei tendoni dei negozi per ripararsi dal sole che, nonostante la sua protezione 50+ spalmatasi l'ultima volta mentre era in auto, avrebbe presto cominciato ad arrostirle la pelle.
-Perché non ti sto per nulla simpatica.- disse infine, accelerando il passo per raggiungere una zona d'ombra tra i palazzi. -E ho capito abbastanza di te da non avere dubbi sul fatto che tu abbia un piano.-
-Ah...- fece Misa, delusa. Si avvicinò rapidamente a K, mentre questa si voltava ancora nervosamente per guardarsi attorno.
-Perché ti muovi come un animale in gabbia?- tentò quindi di cambiare discorso.
Per tutta risposta, K le mise una mano sulla spalla e si rimise a camminare, tenendola alla propria sinistra, mentre sulla destra c'era la strada.
-Perché potremmo venire seguite.- disse infine. -Quelli che hanno tentato di farmi fuori una volta potrebbero tornare a finire il lavoro.-
-Ma allora tu e Ryuzaki non stavate scherzando ieri!- esclamò Misa, portandosi le mani davanti alla bocca. -Si può sapere perché hai voluto mettere anche me in pericolo in questo modo?-
-Parla piano!- le intimò K, spingendola dentro la porta girevole di un centro commerciale. -Watari ci sta coprendo. E siamo in mezzo ad un sacco di persone. È molto improbabile che riescano a spararmi in queste condizioni, soprattutto se continuiamo a muoverci.-
     Si trovavano ora nella hall di un grande centro commerciale, e K stava guardando sospettosamente in ogni direzione, facendo attenzione a rimanere sempre nelle zone d'ombra. Alla fine sospirò.
-Pare che non ci siano problemi.- disse infine. -Forza, scegli un negozio dove entrare.-
-Pensi che potrei fare shopping tranquilla sapendo che potrebbe esserci qualcuno che vuole ucciderci?- protestò lei, piantandolesi di fronte con le mani sui fianchi.
-Nessuno vuole uccidere te, Misa.- ribatté K, sistemandosi i grandi occhiali tondi sul naso all'insù e muovendosi verso uno dei negozi di scarpe che circondavano la piazzetta al piano terra del centro commerciale.
-Ma in ogni caso è molto più sicuro che ci sia io insieme a te.-
Entrarono dalle porte scorrevoli, una dietro all'altra, ma K non si tolse gli occhiali. Secondo le sue ricerche, i criminali mostrati in televisione di cui venivano mostrate le foto con cappuccio e occhiali da sole si salvavano dalla morte, motivo per cui sperava di rimanere il più possibile coperta, nel caso Kira avesse voluto avvicinare Misa.
-Perché lo pensi?- domandò la ragazza sottovoce, aumentando il passo e affiancandolesi.
-Se fossi stata tu da sola, è possibile che ti avrebbero rapita per estorcerti informazioni su dove si trovasse Ryuzaki, e, di conseguenza, anche la sottoscritta. Dopotutto, anche se l'uomo che ha cercato di sparare a Ryuzaki non sapeva che eri proprio tu la persona sospettata di essere il secondo Kira, i suoi colleghi e superiori non ci avranno messo molto a fare due più due, dal momento che sei stata arrestata il giorno dopo la sparatoria, e proprio mentre ti trovavi all'università frequentata da Light.- rispose lei, fermandosi davanti al reparto stivali.
-Essendoci invece io con te, suppongo che la mossa più logica sia cercare di far fuori me.-
Scelse un paio di stivali alti e neri in finto cuoio, con qualche centimetro di tacco spesso e i lacci, e si sedette su uno dei divanetti del negozio, sfilandosi i logori anfibi.
Misa afferrò dallo scaffale un paio di Demonia e si sedette di fianco a lei.
-Quindi sei qui per proteggermi?- domandò, cominciando a slacciare le fibbie dei propri stivali.
-Sono qui per assicurarmi che una certa entità (con ogni probabilità sovrannaturale) non prenda possesso del tuo corpo.- sussurrò K in risposta.
Misa gonfiò le guance e assunse un'espressione imbronciata.
-Ma allora la vostra è una fissa!- protestò.

     Finalmente il telefono squillò.
Hayer rispose in meno di un secondo.
-Colonnello.- fece la voce di uno dei suoi soldati dall'altro capo. -L'obiettivo numero tre, Watari, era riuscito a seminarci, ma ci è stata comunicata la presenza della idol Misa Amane in giro per Tokyo con una ragazza caucasica.-
Hayer prese il proprio fazzoletto dalla tasca e si tamponò la base del collo; poi si lasciò finalmente andare ad un sorriso.
-Era ora che quella puttana uscisse dal suo nascondiglio.- sogghignò.
-Voi continuate a seguirla, e, mi raccomando, prendetela viva.-
Tra le informazioni che Hayer aveva comunicato agli Hogson vi era quella che Kendra Burton e Eraldo Coil, o L, erano stati amanti. Avevano pertanto l'ordine di recuperare Banks come ostaggio per costringere L a non intervenire al processo che (era solo questione di tempo) avrebbe interessato la Hogson, in cambio della vita della donna.
Ma i soldati che in quel momento si trovavano dall'altra parte dell'oceano erano i suoi uomini, non quelli della Hogson. Non importava che le loro telefonate fossero sotto controllo: i suoi uomini sapevano sempre come dovevano agire.

     -Era proprio necessario passare due ore e mezzo dalla tua parrucchiera?- sbuffò K, risistemandosi la parrucca. -In tutto questo tempo chi mi segue avrebbe tranquillamente potuto prepararsi per farmi fuori.-
-Rilassati...- disse Misa con un sorrisetto, accarezzandosi i capelli biondi freschi di piega. -Quel negozio è fatto apposta per essere introvabile dai paparazzi, e abbiamo usato l'uscita di servizio. Nemmeno i miei fan riescono mai a trovarmi.-
Dopo le compere al centro commerciale, Misa l'aveva trascinata in un salone di bellezza nascosto in un edificio riservato ad uffici di una ditta di telecomunicazioni, e ora stavano di nuovo camminando all'aria aperta.
-Alla fine non mi hai detto che cos'avevi in mente, Amane.- fece ad un certo punto K, alzando le borse sue e di Misa e caricandosele sulle spalle, per riparare meglio la propria pelle dal sole.
-Parli come se fossi io quella che stava complottando alle tue spalle.- protestò lei, camminandole avanti con le mani intrecciate dietro la schiena. -Quando sei stata tu a farmi uscire per catturare i tuoi inseguitori.-
-Io però te l'ho detto.- ribatté K. -Il fatto che tu non mi abbia presa sul serio è un tuo problema.- E stava per continuare, quando sentì il proprio stomaco brontolare rumorosamente.
Misa si voltò e scoppiò a ridere.
K continuò ad andare avanti, intimando a Misa di seguirla con un gesto della testa.
-Visto che siamo andate al salone di bellezza come volevi tu, ora si pranza dove dico io. So che qui a Roppongi c'è l'Hard Rock Café, e ho una voglia di hamburger che nemmeno immagini.-
     Il locale, com'era prevedibile, era incredibilmente affollato, ma alla vista di Misa Misa i camerieri liberarono immediatamente uno dei tavoli riservati e portarono loro un menù.
-Ti sembra una buona idea scegliere un locale così affollato per parlare e per nasconderti?- domandò la ragazza, alzando la voce e sporgendosi verso K per contrastare la confusione intorno a loro.
-Fidati di me, siamo più al sicuro qui.- disse K, mentre con una mano teneva il menù e con l'altra razziava il cestino del pane posto al centro del tavolino.
Dopo aver osservato minuziosamente il locale per individuare potenziali sospetti e le vie di fuga più agibili, lasciò detto a Misa cosa avrebbe dovuto ordinare per lei, nel caso fosse arrivato il cameriere, e poi si alzò per andarsi a comprare un paio di magliette al negozio.
Pareva tutto tranquillo. Watari la teneva costantemente aggiornata, e fino a quel momento non avevano rivelato alcun movimento anomalo che fosse riconducibile ad un pedinamento, o ad un agguato.
     Non dovettero aspettare più di mezz'ora perché venisse portato loro il pranzo. Misa aveva ordinato un'insalata, mentre K aveva preso il gigantesco hamburger alto quindici centimetri con insalata, pomodori, sottaceti e patatine fritte, accompagnato da un bicchiere di birra.
La ragazza aveva una faccia alquanto schifata.
-Come fai a mangiare questa roba?- domandò, prendendo in mano la forchetta, per poi cambiare idea e afferrare le bacchette.
-Per te questa è la prima uscita in libertà dopo due mesi di prigionia.- disse K, alzando il mostruoso panino e rigirandoselo tra le mani, cercando il punto migliore da addentare. -Per me è la prima uscita in libertà dopo sei anni e otto mesi. Volevo festeggiare.-
E finalmente affondò il primo morso. Passò qualche secondo a gustarsi lentamente il tanto agognato cibo spazzatura, per poi appoggiarlo nuovamente sul piatto, pulirsi le labbra dalla salsa, togliendosi gran parte del rossetto nero, e infine aggiunse: -E che ne so, magari potrebbe pure essere il mio ultimo pasto.-
L'espressione di Misa era sempre più inorridita. La guardava con gli occhi spalancati, la bocca semiaperta e le bacchette immobili tra le dita, con la fetta di pomodoro che stava precipitando nel piatto.
-Ora dimmi perché hai voluto che lasciassi il quartier generale insieme a te.-
     La ragazza deglutì, e poi appoggiò le bacchette.
-Speravo di riuscire a farti comprare qualcosa che ti rendesse più attraente. È anche per questo che ho voluto andare al salone di bellezza.-
Appoggiò poi i gomiti sul tavolo e intrecciò le mani sotto il mento.
-Volevo che tu seducessi Ryuzaki.- continuò, con un sorrisetto furbo sul volto di porcellana.
K non batté ciglio.
-A che scopo?-
-Beh, innanzitutto perché in questo modo magari si sarebbe deciso a togliere le manette a Light, e io avrei potuto finalmente stare con lui senza quel maniaco che ci segue.- rispose lei, mentre il suo tono si faceva progressivamente più stizzito.
Si fermò un momento e poi riprese a parlare, con voce più calma.
-E secondo, perché speravo che, se fossi riuscita nell'intento, magari avresti potuto convincerlo che io e Light siamo innocenti.-
K intanto aveva dato un altro bel morso al suo hamburger, e guardava fisso Misa mentre masticava lentamente.
-Premettendo il fatto che non cederei in alcun modo alle tue richieste o minacce.- disse, finendo di deglutire. -E te lo dico per stroncare sul nascere qualunque tua speranza di vedere realizzato il tuo piano. Ma, per curiosità...-
E appoggiò nuovamente l'hamburger sul piatto.
-Perché mai dovrei fare una cosa simile?-
Misa sorrise di nuovo, e rovistò nella borsetta alla ricerca del suo cellulare.
-Ovviamente mi sono preparata come potevo.- disse, aprendo la scocca e scorrendo rapidamente fino alla galleria delle immagini.
-Non è passato inosservato il fatto che io sia sparita dalle scene per due interi mesi, e spero non sarai così ingenua da pensare che sia disposta a perdonare Ryuzaki per quello che mi ha fatto passare.-
Smise di scorrere le foto e girò il telefono verso K. Sullo schermo c'era una sua foto, scattata una delle notti che aveva passato con lei all'hotel dopo la scarcerazione di Misa. Questa andò avanti e le mostrò altre foto prese di nascosto, le ultime delle quali erano state scattate quella stessa mattina.
-Se non farai quello che voglio, queste foto finiranno sui giornali, dirò che mi hai rapita per ordine di Ryuzaki e che mi hai tenuta in ostaggio per tutto questo tempo. Faranno indagini su di te, e magari salterà fuori il tuo vero nome, e Kira allora ti ucciderà.-
     K rimase qualche istante in silenzio, poi scoppiò a ridere di cuore.
Misa rimase interdetta, poi chiuse il cellulare e lo rimise in borsa.
K intanto aveva preso il tovagliolo, si era pulita il viso e le mani e ora si stava alzando in piedi per dare una pacca sulla spalla della ragazza.
-Ben fatto, Amane.- le disse con un sorriso. -Sono proprio contenta che sia tu l'indiziata. Davvero una bella mossa.-
Poi ritornò a sedersi e riprese in mano il suo hamburger.
-Anzi, ti dirò... invia subito quelle foto, dai!- la incitò, prima di dare un nuovo morso.
Il volto di Misa si rabbuiò.
-Cosa... cosa significa questo?- domandò, tirando di nuovo fuori il telefono.
-Dai, prova a mandare la mail, su.- ripeté K, tra un boccone e l'altro.
Misa fece come richiesto, continuando a guardare sospettosamente la donna. Eppure, al momento di premere il tasto per l'invio, cambiò idea, e sostituì l'indirizzo mail del suo ufficio stampa con uno dei propri.
K sorrise, mentre finiva di masticare, e dopo qualche secondo si ripulì le mani e tirò fuori dalla borsetta che Misa le aveva prestato un cellulare, il cui display stava lampeggiando. Senza nemmeno guardarlo lei stessa, lo mostrò a Misa, e aprì la mail appena ricevuta. Era quella scritta dalla ragazza, non c'erano dubbi.
-Come puoi vedere, qui ci sono anche tutte le mail che hai inviato a Light stamattina, ieri, l'altro ieri, eccetera.- disse K, scorrendo in basso la casella di posta.
-Vedi, Misa, tutte le mail inviate da quel cellulare, come anche dal tuo computer portatile, a qualsiasi numero o indirizzo, vengono intercettate da me e da Watari. Sta a noi poi decidere se inoltrarle ai legittimi destinatari.-
Misa si infuriò e sbatté i pugni sul tavolo.
-Questa è violazione della privacy!- esclamò.
-Shhh, bambina mia...- la zittì K, tornando indietro nella casella di posta per scrivere a sua volta una mail. -Ti è stato detto che saresti stata sotto sorveglianza ad ogni passo, e che tutte le tue telefonate e le tue mail sarebbero state controllate. Ci sono prove pesanti a tuo carico, e tu sei libera soltanto perché gli agenti del quartier generale sono troppo ottusi e coinvolti per vedere la verità che hanno proprio sotto il loro naso, chiara e lampante.-
     In quel momento, il telefono di Misa vibrò, e lei lesse sul display il nome della sua agenzia.
-Ovviamente ricevo anche tutte le tue mail in entrata.- riprese K, sorseggiando un po' di birra. -Non c'è nulla che tu possa fare per danneggiarmi, in questo momento.-
Misa le lanciò un'occhiataccia e poi, titubante, aprì la mail.
Lo schermo divenne nero. Misa sussultò, provò a pigiare tutti i tasti, a premere quello di accensione e spegnimento, ma nulla. Il telefono pareva inservibile.
-Ah, ma quella che hai ricevuto ora non era una vera mail dalla tua agenzia.- disse K, poggiando il boccale sul tavolo. -Era un virus. Che ha cancellato tutto ciò che c'era su quel telefono.-
Poi riprese in mano il cellulare che le aveva mostrato, e glielo sventolò davanti.
-Posso inviarti mail, messaggi e chiamate facendoti visualizzare il numero o l'indirizzo mail di Light, o delle tue colleghe, o dei tuoi truccatori, o di chi io voglia. Non potrai mai sapere se si tratta veramente di loro o meno. Ma per sicurezza, ho qualche virus o trojan pronto da mandarti, nel caso non potessi sequestrarti il telefono quando ne avessi bisogno.-
Lo rimise a posto, e riprese a mangiare, mentre Misa tentava in tutti i modi di far riaccendere il proprio cellulare, lanciandole insulti e molliche di pane.
-Sai, la tua idea di ricattarmi poteva essere buona, davvero...- riprese poi, prendendo una spessa patatina dal piatto con le dita bianche. -Ma purtroppo hai fatto due errori da principiante. Il primo, è che io non cedo alle minacce di morte, nemmeno quando mi puntano una pistola alla tempia. E il secondo... Ryuzaki non cambierebbe idea sulla vostra colpevolezza nemmeno di fronte alla più eccitante delle...-
E concluse la frase in modo talmente volgare che persino i loro vicini di tavolo si voltarono scandalizzati.
-Però ti invito a ritentare.- concluse, pulendosi di nuovo le mani sul tovagliolo per poi ripassare al gigantesco hamburger che continuava a troneggiare sul suo piatto.
     Così Misa si arrese, infilò il cellulare nella borsa e prese a mangiare, con lo sguardo fisso sul proprio piatto.
Rimasero così in silenzio, finché l'altro telefono di K, quello che utilizzava normalmente, non squillò. Ci lanciò una breve occhiata e vide che sul display era apparsa una Q maiuscola a carattere gotico. Si guardò intorno, guardò Misa e concluse che sarebbe stato più sicuro per entrambe se fosse rimasta al tavolo.
-Non posso muovermi di qui.- disse in inglese, appena premuto il tasto di risposta.
-Lo so.- disse la voce camuffata di Q. -Sei all'interno dell'Hard Rock Café di Roppongi nella saletta privata. Vi tengo d'occhio dalle telecamere di sicurezza.-
-Siamo in pericolo?- domandò K. Q non chiamava mai, se non era estremamente necessario, e soprattutto non usciva mai allo scoperto se i suoi collaboratori si trovavano in compagnia di estranei.
-Ci sono tre persone sospette che girano intorno all'edificio.- rispose la voce distorta dall'altro capo del telefono. -Ho già avvertito Watari, deciderà lui se chiamare o meno la polizia.-
-Avrebbe potuto avvertirmi lui.- ribatté K, abbassando la voce e cercando di guardarsi intorno senza dare nell'occhio. -Perché mi stai chiamando, allora?-
-Perché Hayer ha inserito i CD con tutti i dati raccolti su di te e L nel suo computer, e il mio virus li ha cancellati. Immagino volesse vendere l'identità di L per guadagnarsi la fuga in un altro Paese. Ora suppongo che cercherà di recuperare le copie cartacee nella cassaforte a casa sua. Vuoi che provochi un corto circuito e faccia bruciare l'edificio?-
-Scordatelo.- rispose secca lei. -Attieniti al piano.-
     Il pomeriggio precedente, dopo che Light e L se n'erano andati, K aveva organizzato quell'operazione nei minimi dettagli: sapeva che gli uomini di Hayer pedinavano Watari dal giorno successivo alla sparatoria di due mesi prima, ed era sicura che l'avrebbero trovata non appena avessero scoperto che Misa Amane era di nuovo in giro per Tokyo. In realtà, puntava proprio a farli avvicinare e a prenderli per incastrare Hayer. Burton aveva già un mandato di perquisizione per casa sua, avrebbe raccolto tutte le prove, prelevato le carte dalla sua cassaforte e fatto sparire ogni riferimento all'identità di L prima che queste finissero in mano al procuratore. Nessuno al dipartimento avrebbe mai potuto immaginare che Hayer fosse a conoscenza di dettagli cruciali sull'identità di L, motivo per cui Burton avrebbe potuto bruciare i documenti in tutta tranquillità.
     Ciò che più importava, in quel momento, era tenere Misa al sicuro. K aveva tentato di farle da scudo umano per tutto il giorno, ma se in quel momento c'erano tre uomini fuori dal locale, non poteva permetterle di uscire.
Chiuse la chiamata con Q, e chiamò Mogi.
-Watari ti ha messo al corrente?- domandò, non appena l'uomo ebbe risposto.
-Sì. Mi trovo all'entrata del locale. Watari è nell'edificio di fronte ed è armato.-
-Bene.-
K lanciò un'occhiata a Misa, che la guardava piena di rancore mentre finiva di mangiare.
-Allora vieni qui e proteggi Amane.- continuò, rovistando nella borsetta alla ricerca della pistola. -Io esco.-
Chiuse la chiamata prima che Mogi potesse protestare e intimò a Misa di rimanere al suo posto. Si alzò in piedi, si risistemò gli occhiali sul naso e tentò di farsi strada tra le persone che affollavano il locale, con la mano destra che teneva stretta la pistola dentro la borsetta. Ad un certo punto si sentì tirare per il braccio, e vide Misa alle sue spalle, con la fronte aggrottata, che la tratteneva.
-Dove hai intenzione di andare, ora?-
K la prese, la trascinò a sé e la bloccò col braccio sinistro contro il proprio petto, e, mentre ruotava per la stanza tentando di non offrire il fianco della ragazza ad alcun potenziale criminale, le sussurrò all'orecchio: -È pericoloso. Resta insieme a Mogi.-
L'agente le raggiunse immediatamente e staccò Misa da quel bizzarro abbraccio.
-Non vi muovete di qui.- intimò loro, e poi imboccò la via per uscire.
     Il sole del pomeriggio la abbagliò, nonostante le lenti scure, ma cercò in ogni caso di guardarsi intorno, mentre pigiava col dito il tasto sulla ricetrasmittente che portava all'orecchio, per sentire le istruzioni di Watari.
-La polizia arriverà a momenti.- le disse il vecchio. -Portano caschi neri, uno è in moto, cercheranno di farlo sembrare un omicidio della Yakuza.-
K si guardava intorno alla ricerca dei tre uomini, mentre Watari le dava istruzioni su dove sistemarsi perché lui, dal palazzo di fronte, avesse la visuale più ampia e pulita per sparare in caso di necessità. C'erano molte, troppe persone che affollavano quel marciapiede. Così K iniziò a fingere di barcollare, avanzando verso il punto che Watari le aveva indicato con passo tremante ed insicuro, dondolando, per poi mettersi ad urlare in un inglese biascicato frasi sconnesse su “il mio signore Satana”. Certo, con una bottiglia di birra o di liquore avrebbe fatto più scena, avrebbe potuto rompere il vetro per terrorizzare ulteriormente i passanti, ma si sarebbe dovuta arrangiare diversamente. Si mise così a sbavare, allungando il collo verso le persone che la circondavano, urlando come un'invasata versi delle canzoni dei Cure.
Tutti intorno a lei si scansarono istintivamente, guardandola preoccupati, ma erano ancora troppo vicini. Alcuni, anzi, probabilmente si stavano avvicinando per farle un video. Per cui si piegò in due e finse dei conati di vomito, sperando che questo avrebbe allontanato definitivamente tutti i curiosi.
     Stava quasi funzionando, ma in quel momento sentì due suoni che fino a quel momento si era augurata di non sentire in successione: il rombo del motore di una moto e... le urla di Misa.
-Non mi puoi mollare così dopo tutto quello che mi hai fatto passare!- stava gridando la ragazza, sfuggendo da sotto il braccio di Mogi e correndo verso di lei. K vide con la coda dell'occhio l'uomo sulla moto nera alzare una pistola e puntargliela contro, e poi si girò verso Misa. Con uno slancio delle lunghe gambe, si gettò a volo d'angelo sulla ragazza, chiudendo le braccia attorno alla sua testa, e con un colpo di reni si girò di novanta gradi, tenendo forte Misa e atterrando malamente al suolo dando le spalle alla strada, ma con la ragazza riparata dietro dal suo corpo e davanti dal muro dell'Hard Rock Café.
Le urla delle persone fuori dal locale soffocarono l'esplosione del proiettile. Poi, un botto, rumore di freni, metallo contro asfalto, i passi di Mogi che intimava a tutti di rimanere indietro e si parava davanti alle due ragazze. K tentò di ignorare il dolore al braccio e alla coscia escoriatisi contro l'asfalto, e si voltò, nascondendo il volto di Misa nel suo petto. La ruota anteriore della moto era esplosa e il conducente era stato sbalzato in avanti, e ora Mogi lo teneva sotto tiro. Ma gli altri due uomini coi caschi neri si stavano avvicinando con le pistole puntate.
     K estrasse la pistola, mentre Misa cominciava a singhiozzare, cercando di puntare alla gamba di quello più vicino; tentò di calmare il respiro e di scacciare dalla mente gli occhi vitrei e pieni d'odio del trafficante d'armi che aveva ucciso per salvare L.
In lontananza si sentivano le sirene, e tutti i passanti stavano fuggendo in ogni direzione, cercando di rifugiarsi nei locali lungo la strada, quando, uno dopo l'altro, i tre uomini caddero a terra con un gemito.
-Li ho addormentati.- disse Watari alla ricetrasmittente.
K avrebbe voluto alzarsi, ma non poteva lasciare Misa scoperta, perciò intimò a Mogi di disarmarli ed immobilizzarli finché non fosse arrivata la polizia. La ragazza ormai singhiozzava in modo nervoso e scomposto, maledicendo K, L e tutti quanti avessero deciso di punto in bianco di rovinarle la vita.

     Quando Hayer ricevette la chiamata tanto attesa, nel tragitto in taxi dal quartier generale a casa sua, si sarebbe aspettato di udire la voce dei suoi uomini dall'altro capo della cornetta. Già pregustava il momento in cui gli avrebbero comunicato, con finto tono di sconforto, il fallimento della loro operazione. Li immaginava descrivere nei minimi particolari il loro tentativo di rapimento di Banks, che si era malauguratamente concluso con la morte della donna. Era già pronto a mostrarsi infuriato, urlare, minacciarli di prendere seri provvedimenti, per poi chiudere violentemente la chiamata e lasciarsi andare ad un sorriso soddisfatto, un sorriso che gli Hogson non avrebbero potuto percepire dalle registrazioni delle sue chiamate. Ma non fu quella di uno dei suoi soldati la voce che sentì non appena rispose alla chiamata; era William Hogson, il maggiore dei due fratelli.
-Colonnello Hayer.- esordì, con la sua voce melliflua. -Ci è giunta la notizia che i suoi uomini sono attualmente sotto la custodia della polizia giapponese per aver aperto il fuoco contro dei civili.-
Hayer si sentì ghiacciare il sangue nelle vene. Strabuzzò gli occhi e irrigidì il collo, mentre contraeva la mascella, in preda al panico. Si voltò di scatto, come se la catastrofe che stava per abbattersi su di lui fosse effettivamente un'entità visibile alle sue spalle, che inseguiva il suo taxi. Hogson non aveva detto “ucciso”, aveva detto “aperto il fuoco”.
Aprì e chiuse la grossa mano libera, e poi domandò: -Ci sono stati morti o feriti?-
-Solo una gran confusione.- rispose il maggiore degli Hogson. -Però, Colonnello, questa non è la prima volta che i suoi uomini disobbediscono apertamente ai suoi ordini. La sua autorità è compromessa fino a questo punto?-
     Hayer sperava che gli lasciassero tempo almeno fino alla mattina seguente. C'era già più di un compratore interessato alle informazioni che aveva da vendere, e i documenti falsi e il biglietto aereo erano già pronti e al sicuro nella sua valigetta. I suoi uomini avevano fallito. Aveva sperato che, con la morte di Banks, si creasse abbastanza trambusto perché per un po' si dimenticassero di lui, lasciandolo libero di agire.
E invece era andato tutto storto.
Ancora una volta.
     Il taxi stava già rallentando per accostare sul vialetto di casa sua, quando Hayer li vide.
-Colonnello, ma mi sta ascoltando?- domandò la voce di Hogson, infastidita.
Hayer continuò a tenere premuto il telefono contro il proprio orecchio, mentre la paura di poco prima si trasformava in rabbia. Chiuse la mano a pugno, trasse un lungo respiro e squadrò con la dovuta calma le tre volanti della polizia che sostavano nel vialetto di casa sua, coi lampeggianti accesi, mentre il suo taxi rallentava e si spostava lentamente verso destra. C'erano dieci agenti più il commissario.
Il taxi si fermò al cenno di uno di quelli in divisa, mentre il commissario si avviava a passo deciso verso il finestrino dal quale Hayer osservava la scena. Era alto, ben piantato, portava un completo grigio leggero e aveva le maniche tirate su fino ai gomiti; era sulla quarantina, ma aveva il viso ancora giovane e pulito, e capelli castani mossi appena da una leggera brezza. Gli piantò in faccia uno sguardo gelido e tagliente coi suoi occhi azzurrissimi e gli intimò di aprire la portiera, esibendo il suo distintivo.
-Commissario Roger Burton.- esordì, rimettendo a posto il distintivo nella tasca interna della giacca grigia ed estraendo al suo posto un mandato di cattura e uno di perquisizione.
-Lei è sospettato di aver ordito un sequestro ai danni della vita di Kendra Burton, fino ad ora creduta morta suicida.-
     Hayer non accennava a voler aprire la portiera. Ci avevano messo meno del previsto, questo stava pensando, mentre chiudeva con un gesto secco il proprio telefono cellulare e allungava la mano verso la valigetta, dove teneva la pistola. Si maledisse per averla chiusa a chiave lì dentro e non averla infilata nei pantaloni.
Era solo questione di tempo, dopotutto.
Burton custodiva le prove a suo carico da almeno sette anni. Sapeva che sarebbe finita in quel modo, se non fosse riuscito ad ucciderli tutti prima. Eppure, ora che il commissario Burton gli stava di fronte, ripetendogli di aprire la porta, a malapena in grado di controllare la furia che sicuramente lo stava scuotendo dal profondo (glielo poteva leggere in quegli occhi color ghiaccio dalle pupille strettissime, dalle vene pulsanti sul suo collo teso e dal leggero tremore delle sue mani), e Hayer non riusciva ancora a reagire, sentendosi come sospeso tra due realtà, quella in cui stava per essere arrestato e quella in cui usciva sempre vincitore da ogni scontro.
Non poteva finire così. Questo pensava.
     Intanto si erano avvicinati altri due agenti con un paio di manette, aprirono la portiera e gli strapparono di mano la valigetta e il telefono, intimandogli di uscire dall'abitacolo.
Vedere quelle mani estranee avvicinarsi a lui senza un minimo di deferenza fu la spinta che permise ad Hayer di scuotersi dall'apatia in cui era caduto alla vista del commissario Burton. Cominciò ad urlare e a dimenarsi, spingendo via gli agenti, chiudendosi nel taxi ed intimando al tassista di ripartire, mentre premeva la chiusura di sicurezza sulle due portiere posteriori.
Il pover'uomo che lo aveva condotto sino a lì si voltò col terrore negli occhi, ma non accennò a voler rimettere in moto l'auto, per cui Hayer si sporse verso di lui, con l'intenzione di afferrarlo per il collo.
Dalla portiera anteriore destra entrò un altro agente che tentò di fermarlo, Ma Hayer lo colpì in volto con un forte pugno, facendolo indietreggiare; poi si sporse in avanti per chiudere anche quella portiera con la sicura, ma nel farlo mollò la presa sul povero tassista, che venne fatto scendere e allontanare dall'auto.
Rimaneva quindi soltanto la porta anteriore sinistra da chiudere, e, nella confusione, né il tassiste né l'agente che l'aveva fatto uscire avevano preso le chiavi.
Poteva farcela.
     Sfortunatamente il poliziotto più muscoloso di quella squadra di smidollati aveva fatto cenno agli uomini accorsi per cercare di tirare fuori Hayer di stare indietro, e si infilò nell'abitacolo afferrando il colonnello per un braccio. Questi puntò i piedi e si gettò con tutto il proprio peso all'indietro, mentre con la mano libera cercava di afferrare un qualsiasi oggetto pesante. Non ne trovò, ma riuscì a trascinare per intero l'agente grande e grosso all'interno del taxi, alzò il braccio libero, tese l'indice e il medio e caricò il colpo diretto agli occhi del suo assalitore.
Le urla strazianti dell'uomo che rimbombavano nel piccolo spazio chiuso quasi gli ferirono i timpani, e già sentiva gli agenti intorno a sé che si preparavano a sfondare i finestrini, mentre, davanti a lui, stavano cercando di far uscire il loro collega ferito; ma ormai sentiva di avere il controllo della situazione, per cui allungò la mano verso la fondina del poliziotto che giaceva urlante in mezzo ai sedili, con le mani chiuse sul viso, e gli prese la pistola.
     Tuttavia, era stato di nuovo troppo ottimista. Ad un segnale di Burton, tutti gli agenti avevano circondato l'auto, accovacciandosi per non farsi colpire attraverso i finestrini. Aveva spalancato la portiera del conducente e stava alzando ed abbassando la chiusura di sicurezza per far scattare tutte le porte contemporaneamente. Hayer gli puntò contro la pistola, pronto a premere il grilletto, cercando di ignorare le urla del poliziotto sotto di sé.
Ma quel bastardo si alzò di scatto, fulminandolo con uno sguardo iniettato di sangue, afferrò la canna della pistola e la deviò verso il tettuccio dell'auto con una mano, mentre con l'altra faceva scendere un potente pugno sul suo polso, facendogli perdere la presa sulla pistola. Era accaduto tutto in una frazione di secondo, e Hayer non era riuscito a reagire. Il poliziotto gettò l'arma fuori dalla porta aperta di fianco a lui, Burton urlò “Via libera!” ed entrambe le portiere posteriori si aprirono. Hayer tentò invano di togliersi di dosso le mani di quegli agenti che tentavano di trascinarlo fuori dall'auto, ma alla fine si decise a cedere.
Una volta uscito, si guardò intorno, in cerca di una via di fuga, ma i poliziotti erano in troppi, in due lo tenevano sotto tiro con la pistola, mentre uno aiutava l'energumeno ferito agli occhi, un altro teneva al sicuro il tassista, quello che si era beccato il pugno in faccia si tamponava il naso sanguinante mentre tentava di aprire la valigetta che gli avevano sottratto, e uno stava tenendo lontani vicini e passanti che erano accorsi ad assistere alla scena.
Lo stavano tenendo in due per le braccia, ma lui continuava a dimenarsi, cercando di portarsi in una posizione agevole per colpirli ai testicoli. Se dovevano prenderlo, lui avrebbe combattuto fino alla fine, per il suo onore e la sua medaglia, per il suo grado e per tutto ciò che aveva dato al suo Paese.
     Eppure Burton si stava avvicinando, con fare apparentemente calmo e controllato. Hayer si sforzò al massimo per sfuggire alla stretta dei due poliziotti, e riuscì infine a liberarsi, colpendo entrambi alla bocca dello stomaco, per poi gettarsi contro Burton. Ma il commissario si mosse con gesti rapidi e precisi, gli afferrò il braccio e usò lo stesso slancio col quale Hayer gli si stava buttando addosso per farlo girare su se stesso, e infine fargli sbattere violentemente la testa contro il taxi.
-È inutile che ti agiti, bastardo.- gli sussurrò rabbiosamente all'orecchio, con un sorriso inquietante sulle labbra. -Abbiamo i cellulari dei tre assaltatori e i tabulati telefonici, tanto per cominciare. E tu non sai quanti anni sono che aspetto questo momento.-
Gli torse forte i polsi, facendolo urlare di dolore, mentre lo ammanettava.
-Sono stato un tuo bersaglio per quasi sette anni, e ti farò pentire di ogni singolo secondo che hai rubato a me e a tutti gli altri.-

     K e Misa tornarono al quartier generale che era già sera.
Light costrinse L con le minacce ad andare all'ingresso ad accoglierle, rinfacciandogli il fatto che fosse soltanto colpa sua se avevano corso un rischio così grande.
Quando si aprirono le porte scorrevoli, Misa si gettò al collo di Light, piangendo, accompagnata da Mogi, che teneva tutte le loro borse.
-Misa, stai bene?- domandò il ragazzo, abbracciandola. -Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe stato troppo pericoloso farti uscire non travestita.-
Erano stati tutti trattenuti dalla polizia giapponese per essere interrogati, e L aveva parlato col capo della polizia per cercare di insabbiare la cosa. Gli aveva rivelato che si trattava di un episodio collegato a quello della sparatoria di due mesi prima, e che vedeva coinvolta una donna che rappresentava una testimone chiave di un caso molto complesso, e solo dopo infinite trattative era riuscito a convincerlo a rilasciare una falsa dichiarazione ai media: quegli uomini avevano come bersaglio Misa Amane da tempo, probabilmente volevano rapirla per conto di qualche ricco pervertito, motivo per cui nei due mesi precedenti la ragazza si era ritirata dalle scene.
L'alternativa sarebbe stata rivelare che Misa era un testimone chiave nel caso Kira, il che avrebbe creato non pochi disagi alla polizia durante le imminenti riprese del film che vedeva Misa come protagonista. Questo piano aveva inoltre il vantaggio di far innalzare il livello di sicurezza dei set su cui Misa avrebbe lavorato, sopperendo in questo modo alla mancanza di personale di sorveglianza della squadra di L. E tutto questo piano era stato preparato da K in un pomeriggio. Quella ragazza sapeva davvero volgere tutto a suo favore.
Il detective stette ad ascoltare in silenzio tutti gli insulti che gli agenti, Light e Misa gli rivolgevano contro, attendendo pazientemente sulla porta.
E finalmente arrivarono.
     Watari reggeva la sua valigetta coi fucili, mentre K era dietro di lui, e saltellava con la parrucca nera in mano. Era ancora truccata, ma teneva i capelli bianchi raccolti in due trecce olandesi, la gonna di pizzo si era lacerata e penzolava da un lato, mentre le calze erano tutte bucate. Aveva il braccio e la gamba sinistra pieni di escoriazioni, le spalle rosse di insolazione, il volto illuminato di una gioia incontenibile.
-Ce l'abbiamo fatta!- urlava. -L'abbiamo preso!-
-Nathalie!- esclamò Matsuda, correndole incontro. -Tutto bene? Ti sei fatta tanto male?-
-Non sono mai stata meglio in vita mia!- rispose lei, abbracciando di slancio l'agente, mentre gli scompigliava i capelli.
Matsuda arrossì violentemente e tentò di balbettare una richiesta di spiegazioni.
-Suppongo voglia dire che è riuscita a far arrestare l'uomo che l'ha tenuta prigioniera per più di sei anni e mezzo.- intervenne L, che osservava la scena a debita distanza, con le mani in tasca.
Ma K non lo stava a sentire, e saltellava sul posto con le lunghe gambe bianche e ferite, sciogliendosi le trecce aderenti alla testa, lasciando che i suoi lunghi capelli bianchi e, ora, setosi e lucenti le ricadessero sulle spalle arrossate in morbide onde ordinate. Saltò al collo di Watari, stringendolo forte, guardandolo negli occhi con sguardo follemente felice e pieno di gratitudine, e poi abbracciò anche gli altri agenti.
Infine lo raggiunse, col sorriso più dolce che il giovane riuscisse a ricordare, con le braccia aperte, e la pelle che sicuramente odorava di crema solare; quell'odore allo stesso tempo dolce e fresco che gli era mancato sentirsi addosso ogni mattina, in quegli anni.
-Sei pregata di non invadere il mio spazio personale.- le disse, indietreggiando.
Aveva rischiato di farla morire. E tutto per fugare ogni dubbio su un qualsiasi tipo di legame tra loro. Ma lei ora lo stava stringendo a sé, con quella pelle profumata che scottava, con le braccia e le spalle che tremavano.
-Concedimelo.- gli sussurrò all'orecchio, con voce rotta dall'emozione. -La mia famiglia... avrà giustizia...-
L era rimasto immobile al suo posto, con le mani in tasca. Si voltò leggermente verso gli agenti ancora scossi dall'esuberanza di K ed esclamò: -Qualcuno me la toglie di dosso?-
     -Quanto sei antipatico ultimamente, Ryuzaki.- rise Light, tastando delicatamente la spalla di K e aprendo poi le braccia. L vide per un istante il sorriso sulle labbra della giovane spegnersi, e strinse forte i pugni nascosti nelle tasche.
No.
Questo non lo doveva fare.
Lui era l'assassino di Bjarne.
Con quale diritto ora voleva prendere tra le braccia la donna che aveva privato di Bjarne, la persona più importante della sua vita?
-Come ti sei ridotta così?- domandò Light, dopo averla liberata dalla stretta.
-Tentavo di proteggere Misa da una pallottola.- rispose candidamente K. -A quanto pare, prendermi pallottole al posto di gente che non mi sopporta è diventata la mia specialità.-
Poi si voltò verso gli altri e domandò a gran voce: -A chi altri di voi sto antipatica? Aizawa? Bene, Aizawa, la prossima pallottola me la prenderò al posto tuo.-
Tutti scoppiarono a ridere.
Eppure non era giusto. Quello doveva essere probabilmente il momento più felice nella vita di K, un momento che avrebbe dovuto passare assieme alle persone davvero meritevoli del suo abbraccio. E invece lei era lì, assieme all'assassino di suo fratello, lontana dal padre che non considerava tale, ma a cui voleva bene, lontana dalla famiglia di Bjarne, divisa per sempre da quel fratello che aveva sempre significato tutto per lei... e anche così lontana dallo stesso L. Si trovavano nella stessa stanza, ma non potevano essere più lontani.
-Grazie...- disse ad un tratto Misa, avvicinandosi a K con lo sguardo basso. -Per avermi salvata, intendo.-
Lei le diede una pacca sulla spalla.
-Sei un testimone chiave, Misa Misa, non potevo rischiare che ti torcessero anche solo un capello!- rise.
     L guardò K continuare a sorridere, anche se in quel momento il pensiero di Bjarne e di chi glielo aveva portato via le avrebbe probabilmente fatto salire le lacrime agli occhi, se solo fosse stata libera di piangere.
E L si ritrovò a pensare che era un bene che Light lo avesse preso a pugni in faccia, poiché in quel modo nessuno avrebbe fatto caso ai suoi occhi rossi e gonfi che si facevano sempre più lucidi, mentre guardava quella ragazza bellissima ed indomabile che festeggiava la propria vittoria. Giustizia sarebbe stata fatta. Una giustizia vera, conquistata con le proprie lacrime, col proprio sudore, col proprio sangue. Letteralmente. Giustizia per coloro che avevano sofferto, e per coloro che non c'erano più.
L non ricordava il momento in cui aveva smesso di perseguire la Giustizia per il bene delle persone, e aveva invece cominciato a farlo per nutrire il proprio ego.
Forse, in fondo in fondo, nemmeno lui meritava l'abbraccio di K.

Note

     Siamo quasi al termine della Parte II. Originariamente la mia fanfiction era lunga 117 pagine Word ed era divisa in tre parti, ora siamo già a 207 pagine e le parti diventeranno quattro. Mi rendo conto che stia diventando lunghissimo e pesante, perciò mi scuso con coloro siano riusciti a resistere fino a qui, ma ci sono tantissime cose che vorrei raccontare e temi che vorrei approfondire.
    Dal momento che è cominciata la sessione estiva all'università, è possibile che non riesca ad aggiornare ogni lunedì, anche perché mi ritrovo ad un punto in cui devo effettivamente scrivere interi capitoli da zero (quello che avete appena letto è uno di questi). Il prossimo, in ogni caso, sarà intitolato "Dei Delitti e delle Pene" (esatto, l'opera di Cesare Beccaria). Spero di poterlo scrivere e revisionare entro lunedì prossimo!
     Un saluto e un sentito grazie a chi mi sta leggendo!
   
 
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