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Autore: kenjina    04/06/2018    2 recensioni
La situazione peggiorò quando trovarono un tavolo da biliardo libero e pronto solo per loro e, ovviamente, finì invischiato in un due contro due in coppia con la sua manager - almeno quella era una piccola fortuna in mezzo a tanta sfiga, si disse per farsi forza. Non avrebbe saputo di che morte morire, se avesse dovuto scegliere tra il Porcospino e la Scimmia; per non parlare della nuotatrice che, grazie a Buddha, non aveva mai giocato a biliardo e non sapeva neanche da che parte iniziare.
«Ehi, guarda che hai le palle piene tu, intesi?», gli fece Hanamichi, puntandogli la stecca contro.
Rukawa sollevò gli occhi al cielo. «Scimmia, non c'era bisogno di dirmelo. Che ho le palle piene di te lo sapevo da tempo».
(Tratto dal capitolo 17)
I ragazzi selvaggi son tornati, più selvaggi di prima... Ne vedremo delle belle!
Storia revisionata nell'Agosto 2016
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nobunaga Kiyota, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wild Boys'
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Capitolo 27

La vigilia della finale

 

 

 

 

 

«Sai, è proprio bello».

Ayako sollevò lo sguardo dalle schede che stava compilando. «Cosa?»

Hime Sakuragi osservò la neve che cadeva placida oltre le alte finestre della palestra, e sorrise. «Il fatto che noi siamo qui, al calduccio, mentre quegli esagitati si congelano le chiappe di fuori».

La prima manager scoppiò a ridere, seguita a ruota da un devastante “Oh oh oh” di Nonno Anzai.

«Ryota sta prendendo il ruolo da capitano un po’ troppo sul serio», notò Ayako, asciugandosi le lacrime.

Hime annuì. «Neppure il Gori sarebbe arrivato a tanto per una punizione. Sarebbe fiero di lui».

«Il ragazzo è un po’ masochista, però», fu il commento di Kiyo, che poggiò rumorosamente la propria sacca accanto alle loro, stanca e accaldata dalla doccia bollente che si era appena goduta dopo gli allenamenti in piscina – alla faccia dei cestisti. Salutò con un inchino l’allenatore e le ragazze, per poi accomodarsi accanto alla Sakuragi. «Insomma, il massimo sarebbe stato se lui fosse rimasto qui con voi, mentre gli altri crepavano di ipotermia».

«Detto tra noi, temo che creda possa fare davvero bene, una “corsetta” a meno dieci gradi. “Tonifica i muscoli e il cervello”, o così mi pare che abbia blaterato poco fa».

«Bah. Con quelle noccioline che si ritrovano in testa c’è ben poco da tonificare. Al massimo finiscono di rincoglionirsi», fu la scientifica e giusta conclusione di Yoehi. Tale deduzione fu sottolineata dal rientro dei bisonti, alcuni dei quali completamente ricoperti di neve dalla testa ai piedi. Un po’ troppa per essere il risultato di una leggera e romantica nevicata.

Hime saltò in piedi, trotterellando verso il fratello, che non sapeva se ridere o piangere per i geloni. «Perché ho paura di chiedere cosa sia successo?»

«No, no, chiedi pure!», sbraitò Mitsui, incacchiato come un toro. «Chiedi pure a quel cerebroleso di tuo fratello! Brutto deficiente! Ci prenderemo una polmonite a due giorni dalla finale!»

«Ohi! Perché non ve la prendete col Tappo? È stata sua l’idea di correre sotto la neve! Io ho solo ravvivato un po’ le cos– oh, andiamoooo!»

E scappò via verso gli spogliatoi, inseguito dal resto della squadra, Tappo in prima fila, e dalle risate di Nonno Anzai.

«È proprio senza speranze, quel Do’aho», biascicò Kaede che, tra tutti, sembrava quello meno colpito dal freddo.

«Ovvio, è un ghiacciolo», mormorò tra sé e sé Hime, facendo spallucce e ridacchiando alla sua stessa patetica battuta.

«A proposito del ghiacciolo», sussurrò Ayako. «Come procedono i preparativi per la sorpresa?»

La rossa si sfregò le mani come l’invasata che era. «Oh, Aya-chan, sapessi. Sapessi! Ci ucciderà tutti. Prima era di una banalità paurosa, ma poi Hana ha avuto un’idea geniale e –».

«È ovvio! Sono un genio!», fu la rumorosa risposta di Hanamichi, che arrivò inspiegabilmente dall’oltretomba.

«Ma… come ha fatto a sentirci?»

«Beh, almeno sappiamo che è ancora vivo».

«Ahia, Mitchi! Mi fai la bua alla testa!»

Mito sospirò. «Lo è almeno per il momento».

«Hana!», gridò la sorella, precipitandosi verso gli spogliatoi. «Ti salvo io!»

«Tu stai fuori, maledetta pervertita!», gridò l’intera squadra, ormai già bella che inerme sotto l’acqua delle docce.

Hime tornò ridendo, più rossa dei suoi capelli. «Ooops».

«Come se ci fosse qualcosa di interessante da vedere», borbottò Takamiya, per niente geloso dei fisici scolpiti dai duri allenamenti.

I sospiri estasiati delle donne e i fazzoletti sporchi di sangue dal naso furono una risposta più che chiara.

«Ma domani andiamo a vedere la partita?», domandò Yoehi. Si pentì della domanda non appena terminò di formularla.

«Dobbiamo allenarci», fu la lapidaria risposta di Hime. «Non abbiamo tempo da perdere».

«Ma si tratta pur sempre di Shoyo-Kainan – e per il terzo posto», tentò Ayako. «Potrebbe essere istruttivo. E non credo che un allenamento sfiancante il giorno prima della finale sia salutare – sia fisicamente che mentalmente».

Hime si mordicchiò l’interno di una guancia, cercando di non sbottare. «Bene. Visto che avete già deciso, dovrò chiamare Reiko e chiederle di prestarmi una bandiera dello Shoyo – o qualcosa del genere. Farò un casino nero».

«Nah, non c’è bisogno di chiedere a lei», fece Yoehi, con serietà. «Dai uno sguardo al tuo armadio; sono sicuro che qualcosa di quel colore osceno sia già a tua portata. Quello sì che è un casino». Accettò di buon grado un pugno sul fianco, consapevole di esserselo più che meritato.

«Voi su chi puntate?», domandò Noma, tirando fuori un taccuino per prendere appunti sulle scommesse.

«Io punto una pistola sul numero dieci del Kainan», biascicò Hime, che richiuse una cartella con enfasi e balzò in piedi come una cavalletta. «Ci vediamo dopo, passo un attimo a controllare i preparativi della festa di fine anno – e la sorpresa per Ede», aggiunse in un sussurro divertito.

Ayako le fu accanto in un istante. «Vengo anch’io; sono proprio curiosa di sapere cosa diavolo abbiate architettato voi Sakuragi».

«Sana è lì?», domandò Yoehi, cercando di non farsi vedere troppo interessato. Fallì miseramente, ovvio.

«C’è anche la zia», ricordò Hime, con un sorriso malefico.

«Oook, credo che invece rimarrò qui ad aspettare Hanamichi – o quello che ne resterà. Dubito che sopravviva, oggi».

«Saggia scelta», ridacchiò la rossa, che trotterellò dall’amica tuttofare con Ayako al braccio. Sana, nel bel mezzo delle prove di una canzone, le salutò entrambe con un sorriso da orecchio a orecchio, ma dopo l’occhiata di rimprovero della zia tornò a concentrarsi sul suo lavoro.

«Oh, finalmente hanno stampato i primi volantini!», esclamò Hime. «Ne prendo un po’ per domani, così riempio le tasche al Ryonan e al pubblico».

«Tranquilla che di te le hanno già, le tasche piene».

Le due manager si scambiarono un’occhiata, prima di scoppiare a ridere. «Cielo, Ayako! Questa è persino peggio delle mie freddure!»

«Ho avuto una brava insegnante», le fece l’occhiolino l’altra, sorridendo malandrina.

L’espressione ilare sul viso della Sakuragi si spense poco dopo, quando un pensiero le schiaffeggiò la mente, inaspettato e apparentemente senza senso.

«Tutto bene?», domandò infatti la più anziana.

Hime si mordicchiò un labbro, prima di stringersi nelle spalle. «È che, tarda come sono, ho appena realizzato una cosa». Arrossì sotto lo sguardo perplesso dell’altra. «Sì, insomma… l’anno scolastico finisce tra qualche mese e poi… poi tu sarai al terzo anno, lascerai lo Shohoku come Akagi e Kogure-san perché dovrai preoccuparti dei test per l’università, e poi anche quell’anno scolastico terminerà in fretta come questo e lascerai la scuola. Tu, Ryo-chan, Hisashi… mi mancherete. Mi mancherai, Ayako».

La senpai, dopo qualche momento di smarrimento, scoppiò a ridere di sincero divertimento. «Ma sei impazzita? Manca ancora più di un anno! E non ho intenzione di mollare la squadra, l’anno prossimo. Concilierò le due cose - sono una donna, posso fare più cose contemporaneamente!». Poi le sorrise con affetto, stringendola in un forte abbraccio. «Anche tu mi mancherai, Rossa. Ma avremo il tempo e il modo di vederci, ne sono sicura. Adesso non pensiamoci – per caso hai il ciclo perenne? Questi cambi improvvisi d’umore non sono mica normali, eh».

Hime ridacchiò, ricambiando l’abbraccio. «C’è solo una cosa che non mi mancherà».

«Cosa?»

«Il tuo ventaglio».

Lo stesso che Ayako le tirò in testa subito dopo.

 

 

*

 

 

«Hicchan».

Hime, con la bocca piena di ramen e gli occhi fissi sul libro di storia, mugugnò qualcosa con tono interrogativo.

«Secondo te abbiamo qualche possibilità di farcela? Dopo domani, intendo».

Non c’era bisogno che lo specificasse; era ovvio a cosa si stesse riferendo.

«Non vedo perché no», replicò la sorella, dopo aver ingoiato. «Insomma, abbiamo battuto il Ryonan quando ancora nessuno praticamente ci conosceva e non avrebbe speso uno yen su di noi. Con questo non voglio dire che sarà facile e che dobbiamo stare tranquilli. Non lo sarà affatto, ma… sì, credo che potremmo farcela».

«Ma...», tentennò Hanamichi, rigirando una bacchetta tra le dita affusolate. «Questa volta non ci sarà il Gori a difendere il canestro… e quel Daichi Anami – dici che posso farcela?»

Hime sollevò gli occhi sul gemello e sorrise. «Hana, tu sei un ottimo centro. Il migliore che lo Shohoku abbia mai avuto dopo Akagi. Anzi, forse sei persino più bravo di lui, imprevedibile come sei», aggiunse, ridacchiando. «In tutta onestà, non so quanto quel ragazzotto sia dotato, ma se è tra i primi cinque della squadra un motivo ci sarà». Gli prese le mani tra lei sue e gliele strinse con affetto e forza. «Ma credimi quando ti dico che sono sicura troverai un modo per sorpassare la sua difesa e per creare un muro sotto il nostro canestro. Aki è un ottimo giocatore, lo sappiamo bene, e ora che è capitano le sue strategie saranno ancora più efficaci e provocatorie. Ma abbiamo tutte le carte in tavola per vincere, Hana. Ne sono sicura!»

Il faccino di Hanamichi si illuminò con uno splendido sorriso da ebete e l’abbracciò con forza – rischiando di incrinarle qualche costola.

«Domani mattina corsetta e poi allenamento al campetto, prima di scuola? Verranno anche Mitchi, il Tappo e i Gemelli Siamesi. E ci sarà anche il Volpino, immagino», aggiunse, impettito.

«Come se ti dispiacesse», lo provocò la sorella, scoppiando a ridere nel vedere l’espressione di puro oltraggio che assunse a quelle parole. «Comunque ci sto – basta che non ci sia il Puffo. Devo scaricare un po’ di adrenalina, prima della partita di domani sera e non voglio innervosirmi ulteriormente».

Hanamichi si rabbuiò. «Hicchan, non sei obbligata a venire, se non ti va».

«Qualcuno mi disse di affrontare i problemi senza evitarli. Verrò, Hana. Non ho nulla da rimproverarmi e, credimi, dopo quello che ho visto in piscina e la scenata dell’altro giorno in ospedale –». Si tappò la bocca con entrambe le mani quando si accorse di aver parlato troppo.

Le orecchie del numero dieci si fecero a parabola. «Quale scenata? È venuto in ospedale? Ma io lo ammazzo sul serio quel deficiente! Avresti dovuto dirmelo! Era già nel reparto giusto, l’avrei pestato per bene e ricoverato nel giro di dieci minuti!»

Hime scosse il capo. «Va tutto bene, Hana-chan. Ormai è finita sul serio e non ho assolutamente voglia di stare lontano dai miei amici per causa sua. Verrò e farò il tifo per quel bel ragazzo di Mr. Fujima».

Il cestista quasi si strozzò con la zuppa. «Bel ragazzo?! Quel damerino?»

«Hana, non mi aspetto che tu capisca l’eleganza di Mr. Fujima».

«Elega–», il centro parve davvero perplesso, mentre si grattava la capa rossa. «Bah! Io non vi capirò mai. Come quelle che dicono che il Volpino è uno strafigo».

«Il Volpino è uno strafigo, Hanamichi».

Il ragazzo scostò il piatto, disgustato. «Basta, mi è passata la fame».

«Hana, hai già ripulito il piatto. Non fare finta di non avere più appetito!»

«Sì, beh… però un altro giro di ramen avrei voluto farmelo».

«La quarta porzione, vorrai dire».

«Ho bisogno di energie, Hicchan! Devo crescere! Ho una finale da vincere!»

La madre, che era intenta a mettersi le scarpe all’ingresso prima di recarsi in ospedale per il suo turno, gridò: «Non riuscirai neppure ad alzarti dalla panchina, col culone che ti ritroverai se continui a sfondarti di cibo! Ti useranno come palla! Lasciane un po’ per me, disgraziato!»

Hanamichi parve oltraggiato. «Ma mamma! Non si tratta così il tuo bambino!»

«Maiale, vorrai dire! Diventerai grasso come il Signor Anzai!»

«Questo è maltrattamento! Sai che dovrai pagarmi le sedute dallo psicologo?!»

Le donne di casa scoppiarono nella fragorosa Risata Sakuragi, quando una voce bassa e inaspettata giunse dalla finestra.

«L’ho sempre detto che devi vederne uno bravo, Do’aho».

 

 

*

 

 

Il giorno dopo la squadra dello Shohoku non fu la sola ad andare alla partita per il terzo posto. Come aveva previsto Hime, il Ryonan al completo era già ai propri posti e Akira, sorridente e splendente come solo un Sendoh poteva essere, aveva riservato una decina di posti accanto ai loro. Molti, tra il pubblico, iniziarono a bisbigliare alla volta delle due squadre che, proprio il giorno dopo, avrebbero dovuto giocarsi una finale infuocata e che invece chiacchieravano e scherzavano come se niente fosse.

«Hime, luce dei miei occhi!», esclamò il capitano del Ryonan con le mani al cuore. «Vieni dal tuo amato! Anche tu, Kaede! C’è un posto libero qui davanti a me!»

Con mezzo Shohoku schiantato dalle risate nel vedere il missile terra-aria che la Volpe aveva appena lanciato al Porcospino, e l’allenatore Taoka che sbraitava contro il suo capitano affinché non si mettesse a fare il demente e si concentrasse sul gioco, ognuno prese i propri posti, con il casino tipico dell’arrivo dei Diavoli Rossi.

«Allora, chi scommette sullo Shoyo?»

«Io scommetto che la Nobu-Scimmia sbaglierà almeno tre o quattro tiri liberi – come sempre».

«Abbiamo patatine a sufficienza?»

«Hanamichi, porca zozza! Quella era la mia merenda!»

«La tua merenda? È metà pizza! E sono le quasi le sei di sera!»

«Non mi sembri molto scioccato, dato che ti sei appena ingoiato una fetta».

«Ecchecavolo, Mitsui! Togli i piedi dalla mia sedia!»

«Tappo, non essere geloso delle mie gambe lunghe! È che non so dove metterle!»

«Saprei io dove ficcartele–»

«Ma insomma!»

Sotto gli occhi terrorizzati di tutti gli spettatori – persino Taoka, per un terribile istante, temette per la sua incolumità – Ayako sfoderò la sua arma di distruzione di massa e la calma tornò a regnare.

Non durò molto.

Gli insulti alla volta della Nobu-Scimmia, non appena le squadre vennero chiamate in campo, si sprecarono. Questo, che non aveva il coraggio di voltarsi verso quel casino nel timore di incontrare un certo paio di occhi castani, si limitò ad alzare il dito medio. Gli insulti non si placarono affatto, il che non lo aiutò certo a trovare la concentrazione di cui aveva bisogno.

Hime osservò di sbieco il buon Jin battergli una mano sulla spalla e bisbigliargli qualcosa che avrebbe dovuto risollevargli il morale; non parve riuscirci, ma notò che Kiyota annuiva di tanto in tanto. Un groppo in gola le fece tornare il malumore: avrebbe potuto essere lei a tirargli su il morale per la tristezza di aver perso in semifinale e a dargli la forza giusta per aggrapparsi almeno al gradino più basso del podio. Invece no. Aveva deciso di comportarsi da bambino col moccio al naso e quello era il risultato.

«Brutto deficiente», borbottò, attirando l’attenzione di Akira.

«Uhm?»

Hime scosse il capo, regalandogli un sorriso. «Reiko non viene?»

Il Porcospino si batté la mano sulla fronte. «Mer– Ho dimenticato di andare a prenderla alla stazione».

«Tranquillo, non mi avresti trovata», fece una voce alle loro spalle. La studentessa dello Shoyo arrivò in quel momento, trafelata e infreddolita. «Sono arrivata in ritardo e ho perso il treno».

Akira strabuzzò gli occhi, prima di esclamare: «Alla grande!»

I cugini scoppiarono a ridere, come normale che fosse; Rukawa, che fingeva di sonnecchiare ma che in realtà aveva udito tutto – compreso il terribile arrivo della piattola – si passò una mano sul viso, rassegnato.

«Ehilà, campione!»

Kaede buttò un’occhiata oltre la ringhiera e misurò l’altezza che lo separava dal pavimento più in basso. Se si fosse buttato magari avrebbe scampato quel supplizio.

«Ti spiace se mi siedo qui?»

O magari avrebbe potuto lanciare lei. Aveva una finale da giocare, il giorno dopo. «Sì, molto».

«Grazie, sei gentilissimo!»

Hime si tappò la bocca con entrambe le mani pur di non ridere nelle orecchie del suo migliore amico – sospettava non avrebbe gradito; Reiko, d’altra parte, si voltò per strizzarle un occhiolino di divertimento.

«Sarà una lunga partita», commentò Akira, con un sorriso malandrino sulle belle labbra, mentre allungava il braccio alla volta delle spalle di Hime con fare innocente. «Già. Una lunghissima partita. Vero, Ede?»

«Ehi, Porcospino! Giù le zampacce da mia sorella!»

A quel grido d’allarme, Nobunaga si voltò di scatto verso le tribune, e quel familiare senso di gelosia che lo pervadeva ogni volta che quel pavone di Sendoh civettava con la sua Hicchan, tornò più forte di prima. Stava per sbraitargli contro, se non fosse stato per la sirena che decretava la fine del riscaldamento pre-partita e che lo riportò con i piedi per terra.

Le squadre si riunirono attorno ai rispettivi allenatori per gli ultimi consigli e tattiche, e il pubblico sembrò farsi più euforico che mai.

D’altra parte Hanamichi, preso dall’ennesimo attacco di fame nervosa, indicò il numero sei dello Shoyo con il pacchetto di popcorn quasi vuoto. «Certo che quel Kazushi Hasegawa ti somiglia proprio, eh Sendoh?»

Akira buttò un’occhiata verso la panchina e si massaggiò il mento con fare pensoso. «Tu dici?»

«Beh, avete lo stesso taglio di capelli».

Hiroaki “Signor Simpatia” Koshino, seduto all’altro fianco del suo capitano, sbottò: «Sakuragi, non è che se ti tingi i capelli di nero e fai crescere la frangetta puoi dire di somigliare a Rukawa».

Prima che il centro dello Shohoku s’inalberasse sbraitando che nel caso sarebbe stato Rukawa a tingersi i capelli di rosso per avvicinarsi alla sua maestosa bellezza e non il contrario, Ayako agitò il suo ventaglio con fare minaccioso; quello le sorrise da orecchio a orecchio, porgendole una bustina di patatine alla paprika nel patetico tentativo di calmarla.

Fu del tutto inutile. A lei nemmeno piaceva la paprika, lo informò dopo avergli lasciato un bel bernoccolo in testa.

«La vera domanda è: chi ha copiato chi?», chiese Hime, sinceramente interessata all’argomento.

«Bah, è come chiedersi se sia nato prima il gorilla o Akagi», fece notare Mitsui con una scrollata di spalle sconsolata, mentre Ryota al suo fianco annuiva in accordo.

«E poi sembra sempre incacchiato», aggiunse Koshino.

«Dunque, somiglia più a te che ad Aki», concluse la Sakuragi.

Il Porcospino scoppiò a ridere, passandosi cautamente una mano sulla punta dei capelli per controllare che fossero ancora ben ritti sulla testa, mentre il tappo del Ryonan le gracchiava contro che lui non era mai perennemente incacchiato.

Appunto.

L’attenzione fu riportata in campo non appena Hanagata e Takasago si sistemarono per la palla a due e il gioco iniziò.

Il primo possesso fu dello Shoyo, che fece subito viaggiare la palla di mano in mano, veloce e agile. Tentò di realizzare il primo canestro con una tripla di Hasegawa, ma Kiyota saltò come una cavalletta e deviò la traiettoria prima che il pallone iniziasse la sua parabola discendente. Maki afferrò il rimbalzo e il contropiede partì come un fulmine verso Muto.

Hime strinse i pugni sul bordo della poltroncina in plastica quando vide Nobunaga scattare insieme a Jin verso il canestro avversario. La difesa dello Shoyo li raggiunse e quando Kiyota tentò una delle sue schiacciate, decise di lasciar scivolare la palla alle sue spalle verso il cecchino del Kainan. I movimenti di Jin furono fluidi come se stesse facendo la cosa più semplice del mondo e portò i primi tre punti alla squadra giallo-viola.

Un boato di esultanza esplose nel palazzetto, ma le grida di disappunto e i buuu che si sollevarono tra i Diavoli Rossi sorpassarono facilmente quel gran baccano. Hime saltò in piedi, battendo due bottiglie l’una contro l’altra e sfoggiando una maglietta comparsa dal nulla – piccolo regalo di Reiko Azamui che glielo aveva passato pochi minuti prima. Una grande scritta bianca su sfondo verde gridava Forza Shoyo! e per poco Kiyota, quando la vide dal basso del campo, non svenne dalla rabbia. Era la maglia ufficiale della squadra di nuoto, ma questo lui non lo sapeva e non doveva saperlo, ghignò la seconda manager dello Shohoku mentre inneggiava alla maestosità di Mr. Fujima.

«Hai proprio voglia di farlo morire», commentò ridacchiando Akira, gustandosi l’espressione afflitta e sconcertata della scimmietta del Kainan.

Hime gridò più forte in tutta risposta.

Fu un match surreale, per certi versi. Molti, tra il pubblico, si chiesero come fosse possibile che quella non fosse la finale, data la bravura e la fierezza delle squadre in campo.

A un minuto dalla fine del primo tempo, infatti, il punteggio era ancora fermo 23-24, bassissimo per quegli standard. Le difese di entrambe le squadre erano così serrate che neppure gli attacchi più potenti riuscivano a sorpassarle. Nessuno stava cercando di conservare energie, perché quello era l’ultimo atto e avrebbero dovuto dare il massimo.

Poco più avanti Reiko Azamui lanciò un’occhiata al Volpino accanto, apparentemente sonnecchiante e con la bolla al naso. «Vedo che ti stai divertendo un mondo».

Non ricevette risposta e decise di rischiare ancora una volta la vita azzardandosi a punzecchiarlo con un dito. «Ma è morto?»

«Magari», biascicò Hanamichi con la bocca piena delle patatine di Takamiya. «Avremmo una possibilità di vincere, domani!»

«Continua a ripetertelo», fu la glaciale risposta di Kaede, mentre si grattava gli occhi assonnati. Poi si voltò verso la nuotatrice dello Shoyo, che lo stava ancora punzecchiando. «Devi continuare per molto?»

Reiko annuì. «È per motivi scientifici. Sto constatando la flessibilità dei tuoi muscoli», dichiarò con un’incredibile faccia da poker, mentre ora gli palpeggiava il braccio senza ritegno alcuno.

In quel momento accadde qualcosa di terribile.

Una vera e propria catastrofe.

Un evento così raro che fu facilmente confuso con un cattivo presagio.

Rukawa arrossì.

L’Apocalisse non era mai stata così vicina, aveva iniziato a gridare Hanamichi, mentre con una mano faceva risuonare un campanaccio comparso dal nulla e sbandierava un cartello di avvertimento.

Ebbene sì. Rukawa arrossì come un ragazzino qualsiasi, per niente abituato a certe libertà nei suoi confronti – neppure Hime, nella sua infinita follia, si era mai azzardata a toccarlo così. E se anche lo avesse fatto, lei era tutta un’altra storia. Non era Reiko Azamui, la cugina dell’odiato Porcospino, piattola detestabile e portatrice sana di un sorriso tremendamente, irrimediabilmente fastidioso.

E bello.

Oh merda, fu tutto ciò che la sua mente assonnata riuscì a formulare. Ebbe la prontezza di riflessi di scacciare quella mano dal braccio con un gesto brusco, sollevandosi il cappuccio in testa e calandoselo sulla fronte, nella speranza di sparire.

Era sonnacchioso e non ragionava, ecco tutto.

Inutile dire che le risate iniziarono pochi secondi dopo e non cessarono neppure con il fischio dell’arbitro che decretava la fine del primo tempo.

«Ehi, Sakuragi! Hime-san! Tutto bene?»

I gemelli, con i lacrimoni agli occhi, si voltarono alla volta di Arimi Kiyota, che li salutava con la mano libera dalla stampella, mentre si allontanava per qualche minuto dai genitori per raggiungerli e scambiare due chiacchiere.

Purtroppo per lei dovette attendere a lungo prima che quei due si riprendessero dall’isteria.

Reiko fu l’unica che, incredibile ma vero, riuscì a mantenere un aspetto decoroso. «Temo sia colpa mia», fece con drammaticità.

«Oh».

«Scu-scusaci, Ari-chan», fecero in coro i gemelli Sakuragi.

«È appena passata la cometa Halley», fece Ayako, come se spiegasse l’accaduto.

«La cometaché?», domandò Hanamichi, le risate dimenticate, sinceramente perplesso.

«Lascia stare, va’».

«Come stai, Arimi?», domandò Hime, sforzandosi di sorridere a quel viso troppo simile a quello del fratello maggiore.

«Non bene come voi, a quanto pare!», ridacchiò lei, riferendosi allo sciame di divertimento che inspiegabilmente aveva contagiato tutti. «Partita interessante, vero?»

«Sarebbe più interessante se la Nobu-Scimmia perdesse».

La Kiyota accusò il colpo con un sorriso. «Stavo andando a prendere qualcosa da mangiare alle macchinette».

«Ti accompagno io, Ari-chan!», si offrì Hanamichi, che voltò lo sguardo verso la panchina del Kainan e salutò con un sorriso beffardo il fratello della ragazzina, fumante come una teiera.

«Ecco, magari ricomprami la merenda che ti sei sbaffato con i miei soldi, maledetto scroccone!», sbraitò Takamiya, lanciandogli contro una bottiglietta vuota.

Hime balzò in piedi, sistemandosi la pinza tra i capelli rossi. «Vengo anche io, ho fame!»

«No no no, tu no!», esclamarono in coro Hanamichi e Arimi, che sbiancarono.

«Co-come no? Perché?»

«Perché–», iniziò il fratello, allungando un po’ troppo la e finale.

«Perché non è il caso andare tutti insieme. Dimmi cosa posso portarti, Hime-san, così facciamo prima!»

Arimi Kiyota era una pessima bugiarda, quello era ovvio. E Hanamichi, che annuiva in tutta fretta, era pure peggio.

«Mi state nascondendo qualcosa?»

«Chi, noi? No, no!»

I due Gemelli Siamesi allungarono il collo verso i due. «Che fate, parlate in coro come noi, ora? Vogliamo i diritti!»

Hime incrociò le braccia al petto. «Hanamichi Sakuragi».

«O-ho», mormorò Hisashi, nascondendosi dietro al Tappo. «Si sta incacchiando».

«Mitsui, temo tu abbia sbagliato riparo, allora», fu il mesto commento di Ayako, alludendo alla mole per niente ingombrante del suo fidanzato – che scoppiò in lacrime per l’affronto.

«Hicchan, ti posso spiegare», iniziò il Rossino, camminando all’indietro verso gli ingressi degli spalti e alzando le braccia verso la sorella, nel vano tentativo di contenerla. «Io non ero nemmeno d’accordo! È colpa sua!»

Arimi sbarrò gli occhi e fece per alzare una stampella, minacciando di rompergli la capa rossa. «Traditore!»

Hime sbuffò. «Avanti, qual’era il piano?»

I due si scambiarono un’occhiata colpevole.

«Avremmo dovuto metterlo a punto, se solo non ti fossi impicciata», la rimproverò Hanamichi.

«Vogliamo solo rivedervi felici», ammise la più piccola, abbassando lo sguardo sul pavimento.

«Sì, beh, anche se vorrei comunque spaccargli il muso», proseguì il numero 10 dello Shohoku, per niente contento all’idea di rivedere la sua adorata sorellina tra le braccia della Nobu-Scimmia.

La seconda manager abbozzò un sorriso. «È un gesto molto dolce, davvero. Ma non voglio che vi intromettiate. Io ho fatto la mia parte e non ha funzionato; spetterebbe a lui fare la sua, ma è troppo –»

«Stupido?»

«– stavo per dire orgoglioso, ma forse hai ragione tu, Hana», ridacchiò infine Hime. «Grazie lo stesso, ragazzi».

Incredibilmente entrambi tirarono un sospiro di sollievo. «Meno male!»

«Meno male?», ripeté la Sakuragi.

Arimi si passò una mano tra i capelli neri e disordinati, ridacchiando e arrossendo. «Beh sì! Come piano faceva acqua da tutte le parti».

«Solo la tua, di parte, Ari-chan. La mia era ovviamente geniale! Ahahaha!»

 

 

Continua...

 

Note. So che vi devo delle scuse, ma il lavoro si è fatto incessante - fine settimana compresi - e, tra la ricerca di una casa, un trasloco infinito e l’assenza di wi-fi , non ho avuto tempo di nulla - neanche per i miei Ragazzi Selvaggi.

Io, per rassicurarvi, continuerò a ripeterlo fino allo sfinimento: questa storia vedrà una fine. Promesso. Spero solo abbiate la pazienza di seguirmi, così come io persevero anche quando scrivere risulta difficile e a volte impossibile. :)

E sì, so che vi state chiedendo come finirà tra Shoyo e Kainan, ma lo scoprirete nella prossima puntata. :P

Vi adoro e grazie.

La vostra Marta

 

 

 

   
 
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