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Autore: Vega_95    05/06/2018    3 recensioni
Marinette è scomparsa, nessuno sa più chi lei sia. Nessuno sa più chi sia Ladybug.
Tutti si sono dimenticati di lei, a eccezione di una sola persona.
Niente più Papillon, nessuna akuma, nessun super cattivo e supereroe disturbano la normale routine dei parigini e di Adrien che si ritrova a vivere una normalissima vita da studente, ma che non riesce proprio ad accettare, non senza di lei , non con la costante sensazione di aver perso qualcosa di vitale importanza e il peso di non aver mantenuto la sua promessa: di non aver protetto la sua Ladybug.
Dov'è Marinette? Cos'è successo a Ladybug?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Allora... siccome ho notato lo stato emotivo di qualcuno di voi e immagino l'effetto che vi farà questo capitolo... vi ho procurato qualche scorta di fazzoletti XD
Avviso i deboli di cuore: avrete a che fare con un'ansia continua, quindi... prendetevi tutto il tempo e la calma possibile XD

 prendetevi tutto il tempo e la calma possibile XD

 

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Capitolo 9
L'ultimo rintocco

Come era già accaduto in passato, quel dolce tentativo di abbracciarla, si tramutò in una rovinosa caduta che gli fece passare da parte a parte il corpo evanescente di Marinette e rotolare a terra.

«stai... bene? » si preoccupò Marinette.

Fisicamente stava bene, ma nei suoi occhi si era riacceso il terrore di non riuscire a salvare la ragazza che lo osservava con lo stesso sguardo spaventato.
Convinto di dover mettere la parola fine a quella storia, si accostò al parapetto del ponte guardando Marinette dritta negli occhi.

«hai ascoltato il mio messaggio? » volle sapere prima di tutto Adrien.
«non tutto. Quando l'ho trovato era già tardi e... e temevo che fossi già andato via» disse con rammarico, ricordando perfettamente la notte in cui l'aspettò e lei non si presentò, non come Ladybug almeno e fu la stessa notte a cui pensò Adrien, solo che lo fece con un sorriso divertito sulle labbra.
«ti ho aspettata una notte intera, cosa vuoi che sia qualche ora».

Ancora una volta quel ragazzo le ricordò il perché lo amava così tanto e di quanto fosse straordinario; la sua risata non potè fare altro che farla sorridere , pronta ad ascoltarlo molto attentamente.

«sono stato dal Maestro Fu, come mi hai chiesto e gli ho portato il libro» le riferì, andando poi a parlare di cose serie.
«mi dispiace, non deve essere stato facile, ma era importante» sospirò Marinette appoggiandosi con i gomiti alla pietra, proprio come lui, ma incapace di sostenere il suo sguardo, imbarazzata e spaventata.
«è vero e senza i nostri amici non ce l'avrei mai fatto. Anche se non si ricordano di te, oggi hanno dimostrato di volerti bene e hanno messo a punto un piano per salvarti» le raccontò, parlandole di come Chloé e Alya avessero stretto un'alleanza e coinvolto molti dei loro compagni di classe al solo scopo di aiutarlo a recuperare il libro, per poi arrivare a parlare del guardiano dei Miraculous: «gli ho spiegato cosa sta succedendo » proseguì iniziando a spiegare per filo e per segno tutto quello che era accaduto in quel pomeriggio, rendendo conscia anche Marinette della delicata situazione in cui si trovavano.
«quindi l'unico motivo per cui possiamo vederci e parlarci in questo momento, è... è perché questo ponte è...» mormorò stringendosi le braccia al petto, ancora sconvolta dal ricordo di quel giorno.
«esatto, perché è qui che abbiamo scoperto chi siamo davvero» le ricordò, notando l'ombra che calò sul suo sguardo al ricordo di quella sera.
«lo so. Qui le cose sono cambiate... credi che possa essere un luogo di confine abbastanza forte per noi? E che riesca riportarmi indietro? »
«per te non è importante il luogo in cui abbiamo scoperto chi siamo davvero? » si preoccupò, timoroso di aver sbagliato tutto, specialmente quando la vide esitare. «Marinette? »
«s-sì, lo è, ma... non lo so. Qui le cose sono cambiate, è vero, ma ...».

La verità era che anche se aveva capito di amare entrambi i lati di Adrien, quel posto le trasmetteva solo sentimenti negativi che non la facevano sentire a suo agio con se stessa, eppure lui era così entusiasta. A differenza sua, il biondino dagli occhi verdi era stato felice di vedere il vero volto della sua amata, era terrorizzata all'idea di dirglielo, di dargli quella delusione.

Quando sentì il pizzicore della trasformazione che si annullava, il suo primo pensiero andò all'immensa delusione che avrebbe avuto il compagno scoprendo che dietro l'eroica Ladybug si nascondeva solo Marinette, ma non poteva dirglielo.

«ok... cosa... cosa dobbiamo fare? » gli domandò, sforzandosi di cacciare il pessimismo, dandogli piena fiducia.
«superare il limite» mormorò Adrien facendosi molto serio e voltandosi completamente verso di lei posando le mani ai lati del suo viso muovendo il pollice su e giù come se potesse accarezzarle davvero la guancia.
Il cuore di Marinette iniziò a battere più forte, mentre una vampata di calore le colorò le guance, immaginò di sentire il tepore delle sue mani sulla pelle e quasi si sciolse sotto il suo sguardo lasciandosi trasportare dai rumori della città.

«Marinette, sei piombata nella sua mia vita cadendo letteralmente dal cielo» sorrise: «eri così maldestra e insicura all'inizio e poi hai tirato fuori quella grinta e quella forza che mi hanno fatto innamorare della ragazza con la maschera, rendendomi così cieco da non vedere che eri tu, sei sempre stata tu, per tutto il tempo» disse.
«Adrien, cosa...». Non capiva, perché le diceva quelle cose in quel momento, dovevano risolvere il problema causato dall'akuma, non raccontarsi la storia del loro incontro, per quanto romantico potesse essere. Non sapeva che era proprio ciò che Adrien stava facendo, non sapeva che quello era 'superare il limite', era un dettaglio che le aveva taciuto. Marinette era sempre stata una ragazza molto timida, specialmente per quanto riguardava le sue emozioni e costringerla a rivelarle in quel modo avrebbe reso nullo il loro tentativo, lui lo sapeva bene.

C'era, però , un altro modo per ascoltare il suo cuore ed era aprirgli il suo.

«ho conosciuto i due lati di te, la timida studentessa, dolce e generosa e l'incredibile eroina che salva Parigi ogni giorno. Sei stata mia amica, mia complice, la mia partner nella lotta e proprio su questo ponte, dove tutto ha avuto inizio, ti riporterò a casa. Te l'ho promesso e io mantengo sempre le mie promesse. Non mi sono mai arreso e ora che sei qui, nel luogo dove è iniziato tutto e io so...io sono certo ...»

Si bloccò. Era difficile, aveva così tante cose da dire, tutte riducibili a poche parole che aveva urlato di fronte al Maestro Fu, ma che in quel momento stentavano a uscire dalle sue labbra. La guardava e il suo unico desiderio era quello di urlarle quanto l'amasse, ma nel momento in cui ci provò si paralizzò.
Provò e riprovò ad arrivare al punto, ritrovandosi a ripartire da capo, finché Marinette non lo fermò. Ormai aveva capito cosa cercava di fare, ma era anche evidente che ancora non era pronto a dirlo.

«va bene così» sorrise sollevando le mani per posarle sulle sue, sforzandosi di immaginare le loro dita in contatto. «Adrien, quando ci siamo conosciuti mi hai fatto una pessima impressione, credevo fossi come Chloé, ma mi sbagliavo e da quando ti conosco non hai fatto altro che dimostrarmelo. Sei fantastico e... e mi dispiace di essere stata così cieca da non capire che Chat Noir eri tu, ma ora lo so e...»

Senza esitare o pensarci, Adrien la interruppe togliendole le mani dal viso e afferrandole il braccio, stringendolo saldamente, perfettamente cosciente di poterla toccare, tirandola verso di sé e cingendole la vita con l'altro, mentre le sfiorava la nuca con la mano sollevandole il viso avvicinandolo al suo, pronto a varcare quel limite che l'avrebbe riportata da lui per sempre.
Marinette non emise un fiato, mentre veniva fatta tacere da quello strattone ritrovandosi tra le sue braccia, solleticata in viso dal fiato caldo di Adrien che stava per baciarla, senza mai smettere di guardarla negli occhi.
Le aveva appena sfiorato il labbro superiore, quando, in un batter di ciglia, cadde in avanti trovando a fermarlo solo il parapetto del ponte.

«no...no! »

Era svanita di nuovo e quella volta tra le sue braccia, mentre stava per mostrarle quanto l'amava. Mancava solo un'ora alla mezzanotte e quella era la sua unica possibilità di salvarla. Aveva fallito, qualsiasi cosa di sbagliato avesse fatto, lei era perduta.

Non le aveva nemmeno detto che l'amava, era stato troppo codardo per farlo. Le aveva detto tante belle parole, ma non quelle giuste e ora che era finita e non l'avrebbe rivista mai più, non avrebbe più potuto farlo. Come un pugno nello stomaco, il dolore si propagò in ogni parte del suo corpo contraendo il viso in una smorfia, mentre la consapevolezza di aver fallito cominciò a consumarlo lentamente.

«No! no! Marinette! ». Urlò, battè i pugni sul parapetto, attirò l'attenzione e qualcuno si fermò persino per accertarsi che stesse bene, ma non gli importava. Aveva fatto tutto quello per lei e non era bastato.

***

Senza più nessuno a sostenerla, Marinette barcollò all'indietro trovando solo la balaustra del ponte a fermarla. Adrien era scomparso, o meglio lei era scomparsa sotto i suoi occhi ripiombando in quel mondo freddo e silenzioso.
Era colpa sua, solo sua e del suo scetticismo, se avesse creduto un po' più in lui, gli avesse dato retta, forse le cose si sarebbero risolte.
Come al solito aveva ascoltato solo se stessa e aveva mandato all'aria il tentativo di Adrien di salvarla.

«mi dispiace...» mormorò con il cuore a pezzi, lasciandosi cadere a terra, rannicchiata sul marciapiede di pietra, nascondendo la testa tra le braccia.

Se il Maestro Fu aveva ragione, le restava ancora un'ora, poi sarebbe svanita per sempre; probabilmente Adrien l'aveva già dimenticata.

Adrien. Ogni volta che pensava a lui, un dolce calore le scaldava il petto e colorava le gote. 
Sorrise un momento sollevando la testa per osservare il cielo grigio sopra di lei, immaginando tante piccole e luminose stelle, rimase in silenzio per molto tempo, finché non ritrovò la forza di parlare.

«non so se mi senti» mormorò: «ma volevo solo dirti che sono stata felice di conoscerti, prima come Chat Noir e poi come Adrien. Ho sempre voluto che tra noi ci fosse qualcosa in più di un'amicizia, ma anche se non è mai accaduto, i momenti che abbiamo passato insieme sono il mio tesoro più grande e ora che sto per sparire, sono l'unica cosa che mi resta di te. Mi sono innamorata di te fin dall'inizio, da quel giorno ti pioggia a scuola, in cui tu...» sospirò e chiuse gli occhi ricordandolo molto bene, sentendo ancora il picchiettare delle gocce sull'ombrello e l'odore della pioggia che aleggiava nell'aria, ma ancora di più, ricordò il tuffo al cuore che quello sguardo le aveva fatto provare nell'esatto momento in cui le porse la mano.

***

Appoggiato alla balaustra del ponte, seduto a terra con le braccia appoggiate alle ginocchia e con lo sguardo basso, Adrien tentò in ogni modo di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione, ma era difficile. 
L'aveva persa per sempre perché aveva varcato la soglia nel luogo sbagliato o nel momento sbagliato. Tratteneva l'aria per non scoppiare in singhiozzi. L'aveva tra le braccia e un attimo dopo era scomparsa. Perché quella freccia non aveva colpito lui? Perché si era messa in mezzo?

«vorrei che potessi sentirmi» sussurrò sollevando lo sguardo verso il cielo: «sei così testarda, la sei sempre stata. Non è facile ragionare con te, specialmente quando sei nervosa, ma è anche vero che sei la ragazza più geniale e meravigliosa che abbia mai conosciuto. Ho sempre cercato di conquistare Ladybug, anche dopo che mi avevi respinto, non sapevo di essere io l'ostacolo che ci divideva, altrimenti mi sarei tolto subito quella maschera. Ma forse è stato meglio così, non eravamo pronti. Marinette. Un nome, mille talenti. Sei unica, sei speciale e io sono stato troppo cieco per capire di essere innamorato di te. Dal giorno in cui io ti ho aperto il mio cuore, davanti a scuola... quel giorno di pioggia in cui mi hai fatto il regalo più bello che potessi desiderare: la tua amicizia...». Ricordò con nostalgia quel giorno di pioggia, il giorno in cui Marinette accettò la sua amicizia tradotta in quell'ombrello nero che le porse.

Qualcosa bloccò i pensieri di entrambi i ragazzi. 
Cercavano un luogo di confine, un confine importante dove tutto aveva avuto inizio. Una soglia in una soglia. Il luogo dove tutto aveva avuto davvero inizio. Dove Adrien aveva aperto il suo cuore a Marinette lottando per la sua amicizia e dove lei l'aveva lasciato entrare nella sua vita innamorandosi perdutamente di lui. Tutto era iniziato da lì, da quel giorno di pioggia all'uscita da scuola.

«LA SCUOLA! »

Gridarono all'unisono ed entrambi udirono un eco, la voce l'uno dell'altra. Sapevano cosa fare, dove andare, era il tempo che remava loro contro. Tre chilometri dividevano Pont Royal dalla scuola, non avrebbero mai fatto in tempo, mancavano solo trenta minuti a mezzanotte.

Eppure non si diedero per vinti.

C'era solo una cosa da fare: correre. Correre il più velocemente possibile prima che scoccasse la mezzanotte. Era la loro ultimissima occasione, l'ultima possibilità di ritrovarsi. Non se la sarebbero lasciata sfuggire.
Il problema era che più si avvicinava lo scadere del tempo, più avrebbero rischiato di perdere i loro ricordi.
Il ragazzo osservò per un momento i cofanetti dei miraculous, stringendo forte quello che gli apparteneva, ma non lo aprì, lo ripose in tasca con gli orecchini, pensando poi a lei.

«Marinette, Marinette. Lei si chiama Marinette, me lo ricordo! Marinette» si ripeté Adrien un momento prima di lanciarsi in quella folle corsa contro il tempo, urlando il suo nome a chiunque fosse intorno a lui e lo sentisse. Sembrava che chiamasse qualcuno che nessuno vedeva. Gridava il suo nome come un disco rotto, imboccando Rue de Rivoli e volando sull'asfalto con grandi falcate.

«Marinette! Il suo nome è Marinette! Marinette!»

***

Lo stesso fece lei, mentre prendeva a sua volta quella via, correndo il più velocemente possibile verso la scuola.

«Adrien, non me lo posso dimenticare, lui è Chat Noir! Chat Noir! Si chiama Chat Noir! Adrien è Chat Noir! Il suo nome è Adrien! » urlò lasciando riecheggiare la sua voce nelle strade deserte, lasciando scivolare un piede dopo l'altro sull'asfalto senza mai rallentare.

***

Adrien gridava il suo nome e pensava a lei, non poteva smettere di farlo, non ci riusciva. Lottava per lei, per salvarla, lei era il suo unico pensiero e avrebbe fatto qualsiasi cosa, superato ogni ostacolo per riaverla. Nulla poteva fermarlo. Le sue urla attirarono l'attenzione dei parigini, ma nessuno provò a farlo tacere o fermarlo, era come se loro sapessero o più semplicemente non fossero interessati e comunque non aveva importanza, non poteva dimenticarla.

Non ti arrendere, M'Lady sto venendo a prenderti, resisti! Non ti lascerò andare via, non perderò anche te. Io ti amo! Ti amo e non te l'ho mai detto! I suoi pensieri si mischiavano alle sue urla, tenevano viva la sua memoria, nonostante l'aria gli venisse a mancare sempre di più a ogni passo, a ogni grido. Ne abbiamo passate tante e da quando ti conosco sono cambiato, Tu mi hai cambiato, tutte quelle cose incredibili che abbiamo fatto insieme, quando tu mi eri accanto.

«ti riporterò a casa Marinette! Io ti salverò! » strillò ancora scavalcando con un balzo le barriere che limitavano la zona pedonale.
«è lei è sempre stata lei! Era Marinette! Il suo nome è Marinette! »

Ti ho amata ancora prima di sapere chi fossi davvero e ora che lo so ti amo ancora di più. Questo destino crudele non mi terrà lontano da te. Non lascerò che il mondo mi ostacoli, ci metterò anima e corpo e continuerò a lottare usando solo il mio amore per te. Anche se siamo divisi, anche se non ci dovessimo incontrare mai più, io lotterò. Non mi arrenderò, non lo accetterò mai...io ti riporterò indietro a qualsiasi costo!

Non avrebbe mai permesso a nessuna forza del male di cancellarla ancora dalla sua memoria e, facendo affidamento su questa determinazione, urlò a gran voce al cielo notturno, ancora una volta: «lei si chiama Marinette! »

La sua voce riverberò tra i palazzi. I rumori della città erano passati in secondo piano lasciando spazio solo ai suoi ansimi, al rumore della suole delle scarpe che sbattevano sull'asfalto, alle sue urla. Ignorava i clacson delle auto che inchiodavano al suo passaggio per non investirlo, non guardava dove andava, aveva in mente solo la sua meta, là dove lei lo stava aspettando.
Il suo corpo cominciava già a dare i primi segni di cedimento, sudava incessantemente, mentre i capelli si appiccicavano alla fronte. Li scostò con il dorso della mano togliendosi quelle gocce dalle ciglia che gli annebbiavano la vista. La sua corsa ebbe una brevissima interruzione che lo costrinse a fermarsi nel momento in cui un tram gli sfrecciò davanti facendolo scivolare a terra, ma balzò subito in piedi aggirandolo al suo passaggio e prendendo profonde boccate d'aria che gli mandavano a fuoco il petto scosso dagli ansimi. Non poteva fermarsi a pensare al dolore e al suo cuore che sembrava gli stesse per esplodere nel petto, doveva correre, correre, correre. Non poteva fermarsi.

«MARINETTE! »

***

C'era solo il nome del ragazzo a risuonare per la città, unito ai suoi passi e agli ansimi della sua corsa folle. Quella volta non si sarebbe arresa, avrebbe lottato fino all'ultimo momento, per lui. Gridava così tanto che la gola bruciava, le sue corde vocali andavano a fuoco e la sua voce era diventato un suono gracido e sordo, ma non per quello urlò meno.

Sono una ragazza normale e avevo una vita normale. Poi sei arrivato tu e tutto è cambiato, mi hai dato forza, mi hai aperto il tuo cuore. E io cos'ho fatto? Ti ho respinto, mi sono nascosta. Eppure ti amavo, anche quando non sapevo chi fossi davvero, ti amavo, perché eri tu. Pensava. Lo pensava e ripensava. Al perché lo amasse, cosa amava di lui, come si erano conosciuti. Non poteva dimenticarlo. Sei sempre stato al mio fianco e mi hai dato la forza per non arrendermi mai. Hai creato tu Ladybug, è grazie a te se sono diventata più forte... non mi arrenderò, te lo prometto!

«non mi arrenderò! Adrien! Te lo prometto Adrien! Non ti dimenticherò Adrien!»

Devo dirtelo, tu devi saperlo. Ora ho capito, ora lo so. Ti prego Adrien, non dimenticarmi, io sto arrivando!

Correva e urlava, mentre sentiva la saliva raccogliersi in bocca. L'affanno le aveva colorato il viso di rosso accentuando le sue lentiggini, seccandole le labbra e il sudore scivolava dalle sue tempie lungo il collo, lungo le clavicole disperdendosi nella camicetta. Con la manica si tolse il sudore dalla faccia, le lacrime e i capelli appiccicati. Non aveva più forza nelle gambe e stava barcollando, ma correva ugualmente. Non pensò minimamente di rallentare, nemmeno quando si ritrovò a dover aggirare lo spartitraffico e scivolò in curva, restò in piedi spingendosi con la mano posata a terra. Sentì l'asfalto sul ginocchio nudo, perché le calze erano ormai scese all'altezza delle caviglie.
Non aveva più fiato, il petto bruciava, come se avesse ingoiato braci ardenti, non sentiva più i piedi, ormai doloranti e vedeva a malapena dove correva, guidata solo dal suo cuore; doveva arrivare prima dello scoccare della mezzanotte o non l'avrebbe rivisto mai più. Gridava il suo nome con la voce soffocata dal respiro affannato, un nome che riecheggiava in quella Parigi deserta e spenta. Voleva rivederlo, toccarlo almeno un'ultima volta, non aveva certezze, ma solo una forte speranza, un desiderio così forte da darle la forza di correre anche con le gambe indolenzite. Doveva vederlo ancora, specchiarsi nei suoi occhi almeno un'ultima volta per dirgli quando lo amava e se mai avessero fallito di nuovo, dirgli addio nel modo giusto.

***

Adrien correva, da solo, come un bambino smarrito nella città avvolta dall'oscurità. Doveva ricordarla, non poteva scordare il suo nome proprio in quel momento. Era troppo importante per dimenticarla. Non se lo sarebbe mai perdonato. Mancava poco alla scuola. Mancava poco allo scadere del tempo.

«Marinette, aspettami. Sto arrivando! »

Raccolse le sue ultime forze e accelerò. Concentrato su quell'unico e pungente pensiero che si tramutava in parole roche, ormai quasi sibilate dopo averle urlate per un tempo interminabile, continuò a correre senza mai rallentare. Parigi era piombata in un rispettoso silenzio, nuvole nere stavano oscurando le stelle che ricoprivano la capitale francese immersa in un dolce sonno disturbato solo da quelle parole, quelle grida che servivano a imprimere a fuoco nella sua mente quel nome, un nome che mai e poi mai avrebbe dovuto dimenticare. Continuava a buttarsi in mezzo alla strada senza mai guardare, costringendo le poche vetture che circolava a inchiodare e schivarlo, mentre sfrecciava davanti a loro come un fulmine bianco. Il cuore sarebbe potuto scoppiargli nel petto da un momento all'altro e i polmoni prendere fuoco per colpa di quella folle corsa, non si spiegava come facessero le sue gambe a muoversi ancora, i muscoli bruciavano a ogni falcata e gocce di sudore rigavano il suo viso arrossato. Lei era lì, nel luogo in cui tutto aveva avuto inizio. Era la sua unica speranza di riabbracciarla, di stringerla di nuovo.

Non aveva più voce, eppure continuava a gridare il suo nome con forza.

«il suo nome...!» gridarono all'unisono nella loro folle corsa contro il tempo, pronti a urlare quel nome a cui si aggrappavano con forza per resistere all'oblio che si era impossessato di tutta la città.

Un lampo luminoso offuscò la vista di Adrien, il cui corpo si pietrificò nel momento esatto in cui la mente concepì cos'era quel suono che spezzò il suo grido.

***

Un solo ostacolo la separava da Adrien, quella scalinata che scendeva fino al Parc des Vosges, la scuola era lì, la vedeva. Scesa quella scala, avrebbe raggiunto la sua meta, ma qualcosa andò storto. Il piede scivolò sul gradino. 
Nello stesso istante in cui pensò che stava cadendo, si ritrovò già le scale davanti agli occhi. Sbatté la faccia, il suo corpo rotolò giù, senza che lei avesse il minimo controllo di quello che le stava accadendo. Avvertì il dolore spandersi in ogni centimetri del suo corpo, come se gli spigoli dei gradini la stessero infilzando. Ancora cadeva quando prese coscienza che molto probabilmente non l'avrebbe mai raggiunto e non avrebbe mai più rivisto il ragazzo di cui aveva gridato a squarciagola il nome. Il mondo girava troppo vorticosamente davanti ai suoi occhi, così forte che perse i sensi.

Il suo corpo gridava dolore e le lacrime si facevano largo tra le ciglia nere, scivolando sulla pietra fredda.

«...non sono mai andato a scuola prima, non ho mai avuto amici. Tutto questo...è una novità». Disse in un giorno di pioggia quel ragazzo.
«... senza di te quella ragazza non sarebbe viva e senza di noi non ce la faranno mai e glielo dimostreremo, fidati di me».
«sei fantastica Marinette»

C'era una voce nella sua testa, la voce di un ragazzo che le aveva scaldato il cuore decine e decine di volte, dolce e gentile e coraggioso, i capelli color limone e gli occhi di un intenso verde mela. Fredda come la pietra su cui era distesa, la verità si fece largo nella sua mente costringendola a spalancare gli occhi, mentre un'onda di vertigini la pervase. Provava male ovunque, la camicetta strappata, i capelli sciolti che le coprivano il viso ammaccato e lividi su tutto il corpo.

...chi...chi...è quel ragazzo? . Iniziò a domandarsi, mentre lentamente prendeva coscienza del suo vuoto di memoria. ...è importante. Un ragazzo che non devo dimenticare. Un ragazzo che non dovevo dimenticare...perché?

«il suo nome...qual è il suo nome?! ». Urlò avvicinandosi le ginocchia al petto, disperata, lasciandosi sopraffare dallo sconforto e dalla triste consapevolezza che non sarebbe mai arrivata a quella scuola, il suo corpo non reagiva, era paralizzata dal dolore e le ferite di quella caduta si unirono alle conseguenze di quella folle corsa.

«CHI SEI?! »

***

C'era rumore intorno a lui, un brusio continuo, suoni indistinti.

L'ultima cosa che ricordava era un fascio di luce, mentre un suono acuto gli trapanava le orecchie. Aprì gli occhi a fatica, le palpebre erano così pesanti e appiccicate tra loro che il primo tentativo fu nullo, ma al secondo il cielo notturno di Parigi si aprì sotto i suoi occhi. 
C'erano delle ombre oscure attorno a lui che lo osservavano con interesse. La testa faceva male, incredibilmente male, non sentiva nulla se non un sibilo che poco a poco svanì lasciando spazio a pensieri agghiaccianti che non riuscì a scacciare

Cosa mi è successo? Cominciò a domandarsi iniziando a riconoscere in quelle ombre delle persone e nella fastidiosa luce accanto a lui, i fari di un autobus di linea notturno. Cosa ci faccio qui? Sono qui per lei, per salvarla! Dovevo riportarla da me.... Continuò a parlare con se stesso, ancora incapace di muovere la bocca, paralizzata come il resto del suo corpo, intorpidito e dolorante. Chi è lei? Chi sei?

Era sparito, il suo nome era svanito dalla sua mente, di lei gli restavano solo quei sentimenti dolci e caldi. I contorni della parola che desiderava così tanto pronunciare si erano sfumati rendendola impronunciabile, la sua mente era paralizzata e incidere ancora il suo nome nella memoria sembrò essere diventato impossibile.

«io... non ricordo il suo nome! ». gridò, così sconvolto da quel fatto, da trovare la forza di parlare. Voleva alzarsi e continuare a lottare, ma non riusciva a muoversi, non poteva e la donna che gli stava accanto provò a tenerlo giù, a calmarlo.

Lei è importante... io devo trovarla, non la posso dimenticare. Continuò a pensare a quello che la sua mente stava cancellando, mentre il cielo di Parigi diventava una massa sfocata ai suoi occhi coperti da grosse lacrime. Le sue certezze crollarono rapidamente, come un castello di sabbia e ogni speranza venne spazzata via.

«chi sei...? » mormorò con la voce strozzata dal dolore alla testa e dalla gola secca. Un senso di solitudine fece capolino sotto quella sabbia di ricordi spazzati via, un dolore che andava ben oltre quello fisico, un vuoto che stava scavando nel suo petto distruggendo ogni speranza di ritrovare la ragazza di cui stava dimenticando ogni cosa, il nome, il viso, il perché l'amasse così tanto.

E poi accadde. Qualcosa di assolutamente incredibile e inatteso che lo fece sussultare e voltare verso il cellulare che nell'impatto era volato fuori dalla sua tasca cadendo sull'asfalto e mandando in pezzi lo schermo. Il sistema però, funzionava ancora e senza che nessuno l'avesse toccato, il messaggio in segreteria, quello che non aveva ancora ascoltato, si avviò da solo.
La sentì, la sua voce provenire da quel cellulare ormai in pezzi, la sua dolce voce che parlava a lui.

«la verità...» 

Cominciò timidamente la ragazza che la sera precedente l'aveva ingannato per svanire in silenzio, lasciandogli quel messaggio come addio.

«la verità è che sono una stupida». 
La sentiva, la voce che amava e che provò ad avvicinare, ma fermò la mano, timoroso che toccando il telefono sarebbe svanita. 

«mi sono innamorata di te in un giorno di pioggia e da allora ti ho messo su un piedistallo. La mattina eri il mio primo pensiero, non vedevo l'ora di arrivare a scuola per vederti. Ho sempre escogitato piani troppo contorti per passare del tempo con te, perché avevo troppa paura per chiederti semplicemente di uscire, balbettavo, dicevo cose stupide e concludevo i miei tentativi di parlarti in... niente. Perché ho avuto mille occasioni e le ho sprecate tutte» gli confessò. 
La sentiva parlare, faceva tesoro di ogni parola, ma sentiva anche un tremore nella sua voce, più parlava e più si spezzava. «eri il mio pensiero fisso. Ti vedevo così perfetto.... Solo ora mi rendo conto di non aver mai capito nulla, ero innamorata di un'idea, di un ragazzo che non esiste. Ora lo so, tu non sei perfetto Adrien, tu sei l'eccentrico gatto nero che mi ha resa ciò che sono, che mi ha dato coraggio. È grazie a te se non mi sono mai arresa, sei sempre stato al mio fianco, mi hai dato forza quando non ne avevo e la fiducia in me stessa. Eri con me quando sbagliavo e mi hai aiutata a rimediare e...» si fermò, la sentì prendere un respiro profondo: «è incredibile... l'ultima volta che ho provato a lasciarti un messaggio sulla segreteria ho combinato un disastro, come sempre... ed è meglio che tu non sappia altro e ora eccomi qui a sproloquiare a.... ho così tante cose da dirti e così poco tempo...». 
Le scappò un singhiozzo, mentre parlava ricordando ad Adrien le loro mille avventure insieme. La ascoltava con il respiro bloccato in gola, tremava e ancora non aveva raggiunto il punto critico. 
«sei il ragazzo più incredibile che io abbia mai conosciuto... e... oh non ci credo che sto per dirtelo in questo modo, ma....Ti amo Adrien, per tutto quello che sei, per chi sei davvero, per il ragazzo seduto nel banco di fronte al mio, per la maschera che mi ha dato la forza di diventare chi sono. Ti amo nel tuo essere, perché sei meraviglioso e io... io avrei voluto trovare il coraggio di dirtelo guardandoti negli occhi» singhiozzò, scossa dal pianto che la travolse improvvisamente:« magari balbettando un po', dicendo cose strane prima di arrivare a confessartelo...ma non ho tempo, non c'è più tempo... vorrei chiederti ancora di non dimenticarmi, ma è impossibile... sappi solo che... che ti amo Gattino»

Un silenzio agghiacciante calò su quella strada. Tutti avevano udito lo straziante e dolcissimo addio di quella ragazza e, più di tutti, Adrien ne rimase pietrificato. Respirare divenne ancora più difficile e i fremiti del suo corpo aumentarono. Stava per urlare, voleva farlo disperatamente, chiuse con forza gli occhi inondati di lacrime, pronto a farlo, ma poi qualcosa di umido e freddo bagnò il suo viso, una goccia a cui ne seguì un'altra e un'altra ancora. Un tuono annunciò l'arrivo di un temporale che cominciò a scaricarsi sulla città. Fu come se il cielo piangesse per lui e con lui. Eppure, man mano che le gocce bagnavano il suo corpo, una sensazione nuova crebbe, era come se ogni goccia contenesse un frammento della sua memoria, una memoria che gli scivolava addosso e che accese una fiamma nella sua mente.

«...lo farà, mi fido di lui» gli disse quel giorno, inconsapevole che lui fosse proprio al suo fianco.
«prometto a ognuno di voi che se qualcuno dovesse farvi del male, Ladybug e Chat Noir faranno tutto ciò che è in loro potere per aiutarvi! » disse sotto gli occhi di una Parigi estasiata dal suo coraggio, sotto i suoi occhi.
«siamo una bella squadra». «un'ottima squadra...»
«sei molto più di un complice per me, Chat Noir...»

***

«...Non so ancora come, ma riuscirò a prendere quel libro a mio padre e ti riporterò indietro, preparati perché avremo molte cose da dirci! » era la voce di quel ragazzo registrata in segreteria quella mattina. 
Il messaggio era partito da solo quando il cellulare le era uscito dalla borsa durante la sua caduta. Marinette ci aveva messo un po' a rendersi conto di chi stesse parlando e quando lo fece fu un tuffo al cuore, non ricordava il suo nome, ma la sua voce era così familiare, anche con quel tono di rabbia e preoccupazione per lei.
«ti aspetterò sul Pont Royal e lì mi dirai la verità, perché avrò trovato il modo di farti tornare , mi dirai ciò che credevi di poter liquidare con uno stupido messaggio in segreteria e poi mi starai a sentire, perché non sei l'unica che ha cose importanti da dire! Ti aspetterò lì, perché anche io ho una verità per te». 
A quella rivelazione seguì un lungo silenzio che tenne Marinette con il fiato sospeso e quando lo sentì parlare di nuovo la sua voce era tornata dolce e calma, come la ricordava: «non puoi arrenderti, Marinette io non posso perdere anche te. Prima di incontrarti io non ero nulla, ero solo il figlio di un famoso stilista, una faccia su dei cartelloni pubblicitari e poi... poi sei arrivata tu, sei caduta dal cielo come un dono. Un dono meraviglioso che mi è restato accanto e che nei momenti più duri mi ha dato forza. A volte dimentico chi sei, ma sono brevi momenti, non potrei mai dimenticarti perché tutto ciò che è successo è stato nulla in confronto a quello che potrà esserci. Mi sono innamorato di te fin dal primo momento in cui ti ho vista, il tuo coraggio e la tua forza mi hanno stregato. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, sei la mia Insettina, ma sei anche la mia Marinette e ovunque tu sia e per quanto difficile possa sembrarti, io arriverò, ti verrò a prendere. Questa volta sarò io a salvare te e non mi arrenderò finché non sarai di nuovo tra le mie braccia, perché...» si fermò. 
Gli occhi gonfi e lucidi della ragazza distesa a terra che stava ascoltando si lasciarono scappare altre due grosse lacrime, mischiandosi alle altre che le avevano già rigato il viso ammaccato e rosso, sussultò quando udì il fragore di un colpo sul metallo provenire da quel messaggio; sentì il suo respiro farsi più pesante e poi di nuovo la sua voce, più calda, ancora più amorevole. «perché ti amo». Trattenne il respiro, non emise un fiato, mentre la voce di quel ragazzo continuava a parlare, ad aprire il suo cuore incondizionatamente: « Marinette io ti amo come non ho mai amato nessuno e sinceramente spero di avere la forza di dirtelo guardandoti negli occhi, prima che tu possa ascoltare questo messaggio. Ho sempre mascherato la mia debolezza comportandomi da irresponsabile e mettendoti così tante volte nei guai che a pensarci me ne vergogno immensamente. Ho sempre voluto essere un eroe ai tuoi occhi e ora sto rischiando di perderti. Ti prego non mollare, non arrenderti...»

Il messaggio finì così, lo spazio in segreteria doveva essere finito, ma fu sufficiente a Marinette per scoppiare in un pianto sordo e disperato. Non riusciva a respirare, non poteva, non voleva. Quelle parole, quella dichiarazione, quei sentimenti... erano gli stessi che provava lei. 
Le lacrime erano diventate un fiume incontrollabile e scuotevano il suo corpo dolorante di fremiti, spasmi di quei singhiozzi che non volevano arrestarsi. 
E poi arrivò. Un'onda di calore si diffuse per tutto il suo corpo, un pensiero si era fatto strada nella sua mente, un pensiero potente che la spinse a lottare contro il dolore infondendo abbastanza forza ai suoi arti per sorreggersi e rialzarsi; all'inizio barcollò, il ginocchio cedette, ma ci riprovò e quella volta restò in piedi. Strinse forte il telefono ammaccato che tornò nella sua borsa e voltò lo sguardo verso la scuola.

Don!

Il primo rintocco della mezzanotte aveva suonato.

***

Non poteva finire così, le aveva promesso che l'avrebbe riportata indietro, pazienza se gli sfuggiva il nome della ragazza sotto alla maschera di Ladybug, l'avrebbe trovata ugualmente. 
Contrariamente a ciò che tutti i presenti gli consigliavano di fare, Adrien si fece forza sollevandosi sulle braccia per poi puntare i piedi a terra e rimettersi in piedi. Forti vertigini lo fecero barcollare e per un momento, il suo mondo si oscurò ancora, ma si riprese, si fece forza e si pulì il viso dalle lacrime e dai capelli bagnati dalla pioggia che gli si erano incollati al viso.

La scuola era lì e l'avrebbe raggiunta prima dell'ultimo rintocco della mezzanotte.

Don!

Il dolore che i loro corpi provavano era indescrivibile, ma il desiderio di ritrovarsi lo era di più e fu grazie a quei sentimenti così forti e potenti se le loro gambe si mossero abbastanza in fretta da accorciare la distanza che li separava da quell'edificio al cui ingresso tutto aveva avuto inizio.

Don!

Aveva appena suonato il sesto rintocco quando Marinette salì l'ultimo gradino ritrovandosi di fronte al grande portone del collegio François-Dupont.

Avrebbe voluto tanto chiamarlo, gridare il suo nome, ma non lo ricordava, per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare il suo nome.

Quella sicurezza che le aveva dato la forza di arrivare fin lì svanì tutto d'un tratto lasciando tornare la paura a sopraffarla. 
Paura. 
Una paura folle di fronte alla consapevolezza disarmante di non ricordare chi fosse il ragazzo di cui stava cercando incessantemente il nome. 
Crollò improvvisamente in ginocchio, come se le sue articolazioni si fossero rotte silenziosamente. L'aria le uscì a stento dalla bocca diventando un suono flebile

«chi sei? » si domandò stringendosi le braccia al petto, sopraffatta da quelle lacrime che aveva ricacciato indietro, sicura che una volta giunta alla meta tutto sarebbe andato per il meglio.

Don!

***

Quelle campane stavano segnando inesorabilmente lo scadere del tempo. Al penultimo gradino della scala che l'avrebbe condotto al portone della scuola, Adrien inciampò sul pavimento bagnato e cadde rovinosamente sul pianerottolo d'ingresso .

Come poteva sapere se lei era lì se non ricordava il suo nome? Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare il nome della ragazza che stava cercando disperatamente. Quell'impotenza, arrivato ormai così vicino alla meta, era la cosa più dolorosa di tutte, molto di più dell'incidente, del petto in fiamme o delle gambe intorpidite.

«perché? » sibilò colpendo con violenza il gradino con un pugno.

Allora lo vide, il filo rosso adornato di perline rosa e bianche legato al suo polso con la piastrina verde su cui era inciso un fiore. Lei gli aveva regalato quel portafortuna molto tempo fa. Lei. La ragazza sotto alla maschera di Ladybug. La fantastica, la meravigliosa... come poteva non ricordarsi il suo nome.

«il tuo nome... il tuo nome è...»

Don!

«il suo nome! »

***

Il flebile suono di un campanello richiamò l'attenzione di Marinette sul braccialetto annodato al suo polso, quel nastrino rosso adornato di perline azzurre e gialle e con una campanella all'estremità.

Un campanello che le riportò alla mente un suono molto familiare, quello di un sonaglio, un buffo sonaglio rotondo che lui portava al collo. Vide il suo viso, i suoi bellissimi occhi verdi fissi su di lei mentre le sorrideva.

«tu... tu sei...» mormorò all'immagine dell'eroe biondo nella sua testa. «io so chi sei...»

Don!

L'ultimo rintocco stava per suonare. La fine di tutto.

Cuori palpitanti che battevano così forte da coprire qualsiasi suono circostante, lacrime tanto grandi da oscurare la vista e un solo unico e intenso pensiero che si tramutò in un urlo disperato che andò a coprire quell'ultimo, mortale rintocco.

«MARINETTE!!!»

«ADRIEN!!! »

Il mondo intero si fermò. Si gelò attorno a loro.

Non un alito di vento, né una goccia di pioggia si mossero, mentre le porte che separavano i dei due mondi si aprirono in una folgorante luce bianca. Un luminoso strappo tra due realtà parallele, così vicine e anche così lontane.

Ansimante e terrorizzata da quello che stava succedendo, Marinette allungò la mano verso quella luce immergendovi le dita, assaporandone il piacevole tepore.

La luce era intensa e accecante, ma Adrien non distolse lo sguardo neanche per un secondo e quando vide quella mano oltrepassare la soglia, allungò il braccio e balzò in piedi afferrandola senza esitazione tirandola verso di sé per poi stringerla tra le braccia così forte da toglierle il respiro, con tanta irruenza da farla indietreggiare e perdere una scarpa fino a sbattere contro il muro della scuola.

Per quanto sorpresa di essere strattonata in quel modo, Marinette non esitò un attimo a stringersi ad Adrien aggrappandosi con forza alla sua camicia gridando e piangendo, con il viso premuto contro la sua spalla. Del tutto terrorizzata all'idea di essere stata sul punto di perderlo, esattamente come lui, incapace di trattenere i singhiozzi, affondando il viso nell'incavo del suo collo, bagnandole la camicetta con le sue lacrime.

Urlarono e piansero quanto più potevano, sfogando il terrore che li aveva pervasi per tutto il tempo e gioendo per essersi ritrovati.

«Marinette... Marinette! » la chiamò più e più volte, doveva essere sicuro che quello fosse il suo nome, che lei fosse lì e più gridava il suo nome, più la stringeva, più la certezza si faceva spazio in lui. Era terrorizzato dall'idea che qualcuno potesse strapparla ancora dalle sue braccia.

«Adrien! Sei Adrien! » rispondeva lei stringendo ancora più forte le mani sulla sua schiena.

Era tornata. Lui l'aveva salvata.
Più forte di due parole, più evidente di un bacio, per varcare la soglia che per lungo tempo li aveva tenuti separati, fu necessario dare se stessi, tutta la loro anima per riuscire in quell'impresa impossibile che aveva riportato Marinette a casa all'ultimo secondo, tra le braccia del suo Adrien.

 

 

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A chi è scappata la lacrimuccia alzi la mano!

Dai che ce l'hanno fatta!!! Festeggiamo!
Scusate se il capitolo è stato lungo, ma.... non volevo allungare le vostre e le loro sofferenze, oltre.

Questo è in ASSOLUTO il mio capitolo preferito, ci tengo tantissimo e vi confesso di aver avuto le palpitazioni mentre lo scrivevo (e io non mi emoziono tanto facilmente, sappiatelo) 
Spero che vi abbia suscitato almeno un quarto della tenerezza che ho provato e provo tutt'ora quando lo leggo.

Ora vi lascio riprendervi XD
Vi ho messo l'immagine di copertina perchè, fondamentalmente, sono una BRUTTA persona XD

A presto!

Vega

 

   
 
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