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Autore: Antys    05/06/2018    3 recensioni
[Soulbond]
Kacchan alla fine era rimasto in attesa, con sguardo lontano e un dolore che Midoriya non sapeva da cosa fosse scaturito.
Cos’era esattamente che stava aspettando nell’agonia?
[…]
«Ha quell’espressione» disse con ovvietà Todoroki, l’impossibilità che il suo interlocutore non sapesse affatto a cosa si riferisse.
«Quale espressione?» ora si stava seriamente innervosendo. Non solo lo accusavano di qualcosa che non aveva fatto, disinteressandosi del nominato totalmente, ma tutti avevano il vizio di parlare esternando soltanto una parte del discorso, come se lui fosse un veggente ed avesse ogni risposta dell’intero creato. In più si parlava di quel bastardo a metà che spicciolava parole stanziate e contate perfettamente nemmeno gli costasse una profonda prova fisica.
«Mi struggo per Kacchan».
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: I’m Still Comparing Your Past to my Future

Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou

Pairing: IzukuxKastuki (BakuDeku)

Rating: Verde

Genere: Sentimentale, Introspettivo

Avviso: One-shot, Shonen-ai, Spoiler, Missing Moments, What if?

Note: Ambientato dopo il volume 13, in un momento non precisato. Potrebbero esserci degli spoiler sparsi per chi segue la programmazione dell’anime.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ai tempi non vi aveva prestato alcuna attenzione, sia per la giovane età sia perché tutto girava intorno alla trepidazione di vedere manifestarsi il suo misterioso Quirk, insieme all’adorazione straripante per All Might. E per Kacchan – in effetti, quello era un dettaglio a cui avrebbe dovuto fare più attenzione. Ma il Quirk non si era mai manifestato, i suoi sogni erano stati infranti ancora prima di rendesi conto di cosa volesse effettivamente dire e tutto quello che non riguardava il poter diventare un Hero alla stregua del suo beniamino non l’attirava in alcuna maniera.

Non che sarebbe cambiato qualcosa. L’avrebbe affossato ancora di più e non avrebbe saputo se con il tempo sarebbe mai stato in grado di rialzarsi come invece era riuscito a fare dopo la scoperta della mancanza di qualsiasi unicità.

La sua vita fin dall’inizio era stata ironica ad un passo dallo sfiorare il grottesco, finché era arrivata a superarlo alla grande.

Grottesco, era quella la parola chiave che poteva raccontare tutto il suo essere. Tutto ciò che era e sarebbe stato.

Ma agli albori della sua decadenza non avrebbe mai creduto possibile che avrebbe perso Kacchan. Il suo migliore amico dell’età infantile che per Izuku contava più di qualsiasi altra cosa, accecato da quel bagliore insistente che l’avvolgeva tutto, facendolo primeggiare su qualsiasi buon senso, quasi a nascondere quei difetti prementi che invece erano sempre stati lì, a portata d’occhio, a richiamare l’attenzione ed a metterlo in guardia. Ma era un bambino, una piccola creatura minuscola che si esaltava davanti alla grandezza, alla potenzialità, riuscendo a vedere ed ampliare quell’immaginazione sconfinata che collocava ognuno nel posto più appropriato per le loro possibilità, per le loro capacità e Deku aveva sempre saputo fin dove Kacchan sarebbe giunto, il podio a cui era destinato e la magnificenza che avrebbe raggiunto, con il suo nome gridato dalla voce della popolazione ad esaltarlo, accrescerlo e sconfinare lì dove nessuno sarebbe più riuscito a raggiungerlo.

Con il tempo Izuku si rese conto che l’averlo innalzato su un piedistallo fin dall’inizio, acclamarlo, tessere le sue lodi e guardarlo con ammirazione, gli occhi brillanti di stelle, era stata la peggior mossa che quel piccolo gruppo di bambini, che non sapevano nulla sulle vicende del mondo, potessero fare.

Nessuno aveva mai fatto abbassare la cresta a Katsuki, nessuno l’aveva sminuito o portato ad un livello di tolleranza che non lo sviasse dal montarsi la testa, a dover corrispondere a tutte le aspettative che le persone riponevano in lui, decretandolo come vincitore assoluto di una vita dedita al successo. Alla magnificenza di un grande Hero. Il più grande.

Era quello lo scopo di Kacchan, essere il migliore. Battere perfino All Might, l’Hero che entrambi seguivano con ammirazione esagerata.

Kacchan aveva sempre eccelso in tutto e Midoriya non l’aveva mai visto fallire.

Ma la disgregazione della loro amicizia poteva essere classificata come un fallimento? Dubitava che Katsuki la vedesse in quel modo. Tutto ciò che vedeva colui che era stato il suo migliore amico dagli albori era solo un insetto da schiacciare, per il semplice fatto di essergli inferiore.

Ma fino ad un momento specifico, fino a che non gli era stato gettato in faccia con una dolcezza e una preoccupazione valida e senza orizzonti un’inadeguatezza che non era in grado eguagliare, Kacchan gli permetteva ancora di stargli a fianco, di adorarlo, pendere dalla sua bocca e dagli immensi poteri di cui era dotato.

Era finita in quello stesso instante, l’attimo in cui tutto il suo corpo si era mosso per andarsi ad accertare delle condizioni di Bakugou, camminare tra le acque del fiume e tendergli la mano, con il pensiero corrente della possibilità che il biondo avesse potuto aver sbattuto la testa.

Kacchan non gliel’aveva mai perdonata, l’essere soccorso da un senza Quirk che non valeva niente, che aveva l’ardire di essere migliore di lui senza alcuna capacità particolare, ma Izuku non aveva alcuno ardine, non voleva niente, non voleva dimostrare qualcosa di diverso da quello che era; voleva soltanto sapere se Kacchan stesse bene, se avesse bisogno d’aiuto e se potesse rendersi utile, perché tutto quello che importava era la perfetta salute dell’altro.

Aiutare Bakugou Katsuki era diventato un tabù e tale sarebbe rimasto.

 

Era una storia che si raccontava antecedentemente alla manifestazione del primo Quirk, una storia che con i secoli si arricchiva di dettagli, come se modificasse insieme alla popolazione che abitava il pianeta. Cambiando, crescendo, specializzandosi e in armonia con la natura di ogni essere vivente che si distanziava sempre di più dalle caratteristiche presenti sin dalla nascita dell’umanità.

Non capitava a tutti, non valeva per ogni persona, non tutti erano realmente predestinati e con l’entrata in scena del Quirk nell’uomo qualcosa era variata ancora.

Prima del Quirk, il nome della fantomatica anima gemella raffigurava sulla pelle sotto forma di inchiostro bianco, dal primissimo guaito di un neonato. Era segnato per sempre.

Lì, indelebile, sotto gli occhi del mondo vi erano le lettere che l’avrebbero condannato per l’eternità, in una ricerca continua di un’anima affine che lo corrispondesse; una speranza che ad un certo punto, in una determinata ora del giorno, con il calendario intransigente che andava avanti, si mostrasse il viso della persona con cui tecnicamente si era destinati a stare. Presentarsi e scandire chiaramente il proprio nome.

Era in quella goccia del tempo che la magia avveniva, mostrandosi reciprocamente con sgomento i rispettivi tatuaggi che Madre Natura aveva avuto in serbo per loro; nell’impossibilità crescente che in realtà quella metà perfetta del proprio essere non esistesse, in un miraggio sempre più distante ed inafferrabile.

Molti riuscivano a trovarla, gli sfortunati vivevano una vita di compromessi e possibili veri amori, nascondendo sotto il tappeto il nome che figurava sull’epidermide senza che potesse essere cancellato.

Ma dopo l’avvento del Quirk il tatuaggio si era adeguato. Non fioriva con un nascituro che veniva preso in braccio dopo il parto da un genitore, sbocciava qualche mese dopo la manifestazione del fantomatico Quirk. Ognuno aveva i suoi tempi, ma dai quattro anni in su era possibile intravedere una grafia bianca con un nome e cognome che troneggiava sulla pelle.

Il tatuaggio si era talmente assuefatto all’Unicità con il trascorrere del tempo che chi non era in possesso di quest’ultimo, gli era negata la possibilità di conoscere la persona che gli era destinata.

Ma cosa accadeva se ad un possessore del Quirk veniva mostrato il nome della sua controparte e se proprio ella fosse sprovvista di quell’unicità che la contraddistingueva?

Non era certo, non era scontato che soltanto perché un nome appariva ad una persona, allora era sicuro che anche l’altra vi aveva inciso sotto strati d’epidermide il corrispettivo. Era raro, era esilarante, ma accadeva anche quello, perché la vita era ricca di scherzi. Un essere vivente poteva essere destinato all’altro, ma quello stesso altro apparteneva ad una terza figura.

Non c’era nulla di obbligato.

Con l’avanzare dell’età, della crescita, della consapevolezza di cosa lo circondasse e dell’insopportabile burlesca ironia grottesca dell’infamia che lo colpiva spietatamente, Katsuki Bakugou non sapeva dove sbattere la testa. O se farla esplodere direttamente.

Fare esplodere l’intero pianeta blu.

Aveva quattro anni, tre mesi esatti dalla scoperta del suo Quirk, e un bruciore improvviso prese a bersagliarlo nella notte, scavando nella pelle, logorandola e sciogliendola. Si svegliò con il cielo completamente oscuro, alzandosi dal letto con un panico sinistro, toccando ogni parte del suo corpo e cercando di spegnere qualcosa che in realtà non esisteva.

Nessun fuoco o fiamme, nessuna scintilla che accidentalmente aveva innescato nella fase REM, nessuna pelle che si liquefaceva o ferita di alcun genere. Non c’era niente. Nulla di così preoccupante da spaventarlo.

Eppure sentiva ancora quel calore sul corpo, quella traccia indelebile che non voleva andar via, ma che piano piano scemava e si spegneva, quasi avesse attecchito e il proprio compito fosse stato portato a compimento.

Sarebbe scomparso com’era apparso e sarebbe stato solo un brutto vago ricordo di una dormita, l’avrebbe archiviato in un sogno.

Un incubo.

Gli occhi cremisi seguirono la fitta che ancora avvertiva, la piccola mano che si era andata a posare esattamente lì dove proveniva il dolore, in un’accuratezza maldestra, vago tentativo poco congegnato di arrestare un incendio. L’aveva spostata, piano, quasi con il timore di scoprire la verità, con quel sesto senso che gli intimava di tornare sotto le coperte e dimenticare l’accaduto, archiviandolo, ma Katsuki era testardo alla sua stessa coscienza.

Le dita scivolarono sull’interno coscia e una calligrafia spaventosamente familiare fece la sua comparsa, mostrando sotto forma d’inchiostro candido ideogrammi che conoscenza meglio di se stesso, campioni utilizzati per l’apprendimento della sua lettura avanzata: Izuku Midoriya.

 

Il primo giorno da liceale alla Yuei Izuku aveva sperato in cuor suo di non trovarsi nuovamente faccia a faccia con Kacchan; non in quel percorso, non quando improvvisamente gli era affiorato un Quirk e loro avevano vissuto tutta la vita sapendo che non poteva essere realistico, che non esistesse quella possibilità. Eppure, tutto ciò che Midoriya aveva sempre voluto era poter camminare fianco a fianco con Bakugou, sconfiggere i malfattori e diventare i migliori insieme, senza alcuna differenza. Sarebbero stati un duo vincente e nulla avrebbe potuto sbaragliarli, ma quello era prima che tutto tra loro andasse in malora e Katsuki diventasse il suo aguzzino – ma non aveva mai smesso di sperare, non aveva mai smesso di credere in Kacchan.

Quando aveva varcato la porta, la realtà gli si figurò davanti e non c’era alcuno scampo dal suo antico amico d’infanzia. Kacchan era lì, esattamente dov’era sempre stato, a camminare in direzioni opposte, benché rimanessero sempre ad orbitarsi intorno, quasi una mano divina li volesse costantemente insieme.

Seppur sapesse quanto Bakugou odiasse l’intera vicenda, quella mattina lo guardava in modo diverso, come se si aspettasse qualcosa, una rivelazione di qualche tipo, ma il possessore dell’One for All non sapeva dire esattamente a cosa mirasse, a cosa fossero indirizzati i suoi pensieri. Per quel che ne sapeva, per Kacchan era ancora un senza Quirk che era riuscito ad entrare nel liceo più prestigioso del Giappone per divenire un Hero attraverso un trucco, una macchinazione del suo brillante ingegno.

Quando aveva scoperto che in realtà un Quirk esisteva davvero, aveva perso le staffe ed era quasi impazzito, unico scopo quello di arrecargli più male possibile, di distruggerlo e vendicarsi di avergli mentito. Izuku aveva provato nel limite del consentito e del non svelarsi troppo, a rivelargli di non aver mai ommesso nulla, di essere sempre lo stesso Deku e di essere semplicemente stato scelto da qualcosa di più grande, ma no, mentirgli era stato fuori discussione fin dal primo momento in cui avevano cominciato a giocare insieme.

Kacchan alla fine era rimasto in attesa, con sguardo lontano e un dolore che Midoriya non sapeva da cosa fosse scaturito.

Cos’era esattamente che stava aspettando nell’agonia?

 

Nella confusione più totale, nel cambiamento repentino del suo corpo, allo sforzo continuo a cui lo assoggettava, continuando a rompersi ossa dopo ossa, sfibrare muscoli e lacerare strati infiniti di epidermide, non si accorse mai di quel bruciore devastante, improvviso ed inaspettato, che lo colse chissà in quale particolare momento della giornata ed in un qualunque tipo di luogo, sul fianco sinistro, nel lembo di pelle più vicino all’ascella, in un simulato nascondiglio ad occhi indiscreti, perfino ai suoi stessi.

Non l’avrebbe mai notato, in nessuna circostanza, e certamente non quando l’Unione dei Villain gli aveva portato via Kacchan, tenuto celato nel loro covo malsano, con l’unico intento di farlo passare dalla loro parte.

Kacchan un villain. Per quanto chiunque lo incontrasse gli attribuisse quell’aspetto così sbagliato ed erroneo, Katsuki era destinato a molte cose, ma non a favoreggiare i malviventi che da sempre aveva voluto catturare e punire.

Kacchan si impegnava con ogni fibra del suo essere a primeggiare per divenire un Hero, seppellendo i suoi atteggiamenti mal interpretati.

Kacchan era una testa calda, orgoglioso come pochi, diffidente all’inverosimile e contava soltanto sulle proprie forze, ma mettere in pericolo qualcuno non gli apparteneva. Sfogarsi su Izuku o usufruire di un linguaggio poco consono, annesso di piccole esplosioni ed un’ira incontrollata, era soltanto un’altra storia. Un matrimonio perfetto che rappresentava appieno il suo Quirk.

Quell’essere testardo gliel’avevano sottratto da sotto le dita rotte, come ogni arto superiore, e il successore di All Might aveva fatto di tutto per riprenderselo. Per riportarlo indietro, ben sapendo che non avrebbe avuto alcuna parola buona da parte sua e cedendo perfino il suo ruolo di salvatore a qualcuno che Katsuki rispettava più di lui.

Sotto quella gran confusione che erano stati i loro primi mesi alla Yuei, salvataggi, attentati, rapimenti e continue ossa distrutte, Katsuki Bakugou non era mai stato stupido, non aveva permesso che i pezzi gli sfuggissero da sotto il naso, assimilando parole urlate per giustificarsi di Midoriya e frammenti rubati origliando nelle situazioni più disperate. Nel suo acume e nella sua attenzione da buon, se non perfetto, conoscitore di Izuku, aveva captato ciò che lo angustiava, ciò che teneva segreto, ciò che l’aveva spezzato quando la verità dell’aspetto e condizioni di All Might erano state mostrate al mondo intero con vigliaccheria e cattiveria autentica.

Bakugou non aveva dimenticato le prime parole di giustificazione di Deku – come non aveva mai dimenticato nulla di loro – e il quadro si era fatto sempre più chiaro mano a mano che ogni frammento veniva collocato al posto giusto, finché non si era imbattuto in personalità che sottraevano il Quirk e potevano spostarlo da una persona all’altra, assommandone più di uno in un solo corpo.

Aveva capito, aveva compreso ciò che Midoriya aveva cercato di dirgli, il grande segreto che non poteva essere divulgato, il dono prezioso che gli era stato offerto e che doveva proteggere ed accrescere.

Ma soltanto perché aveva unito i punti ed era entrato in possesso della verità della persona il cui nome gli macchiava la pelle, non voleva certo dire che l’avrebbe accettata e che non avrebbe chiesto chiarimenti, la motivazione che aveva portato il loro grande eroe a scegliere quel sassolino senza speranza.

Era solo l’enorme collera che infiammava in lui; Katsuki, a malincuore, riconosceva il valore di Deku. L’aveva sempre fatto, ma tutto in lui portava a schiacciarlo.

Accadde proprio in quel frammento di tempo, in quella pace momentanea tra l’essere assegnati ai nuovi dormitori della Yuei e lo scontro con Kacchan che svelava il mistero del Quirk, con un lasciapassare silenzioso da parte di quest’ultimo che stupì Izuku all’inverosimile.

Uscire dalla doccia era un’attiva ripetuta nelle sue abitudini, una necessità, come asciugarsi nel grande accappatoio verde che si era portato dietro da casa, sfregando i capelli corvini con un asciugamano, scompigliandoli più di quanto non lo fossero solitamente. Proprio per quella ragione lo specchio del bagno era appannato dalla condensa creata dall’incontro di due temperature opposte e Izuku spesso lo lasciava così come lo trovava, senza preoccuparsi di crearsi uno spiraglio in cui riflettersi, ma permettendo al trascorrere dei minuti e delle ore di fare quel lavoro di pulizia. 

Nella posizione precaria in cui si trovava, uno spicchio di vetro riflettente si era magicamente liberato da solo e con il continuo movimento delle braccia, dall’alto verso il basso, scomponendo tutto l’accappatoio gigante, Izuku credette di avere delle allucinazioni portate da quel vortice dinamico ordinato.

Si freddò sul posto con esitazione, una curiosità che sormontava tipica della sua voglia incessante di conoscenza, squadrando lo specchio con un sopracciglio inarcato ed un enorme punto di domanda che capeggiava sul viso.

Con la mano tracciò una scia che cancellava passivamente il vapore acqueo saturato, lasciando impresso le sue impronte e sporcando il vetro, cercando di inquadrare quello strano bagliore bianco che capeggiava in direzione della congiunzione dell’ascella, ma poco più in basso. Aguzzò gli occhi e li spalancò spaventato. Pietrificato sul posto.

Con la stessa mano bagnata inseguì quei segmenti e alzò terrorizzato il braccio, liberandolo l’intera spalla dalla spugna verde che l’avvolgeva, smuovendo la pelle e tirandola, tentato di portarla sotto il suo sguardo, dove poteva effettivamente accertarsi di cosa fosse impresso a fuoco sul corpo.

I suoi occhi vedevano sfocato, impossibilitati in quella pratica così contorta, eppure riusciva a delimitare i tratti di quei ideogrammi giapponesi che si burlavano di lui. In risposta in suo aiuto, o per misericordia, lo specchio riacquistò lentamente la limpidezza che lo caratterizzava e, accompagnato da condensa più sottile e gocce d’acqua, vi rifletté in tutto il suo splendore il nome che gli era stato tatuato a sua insaputa da Madre Natura, riconoscendo con sgomento la calligrafia imprevedibilmente curata di Katsuki Bakugou.

Aveva completamente dimenticato le storie sulle anime gemelle che sua madre gli raccontava, insieme all’inseguimento di un Quirk che non si era mai palesato, eppure né lei né suo padre avevano mai ricevuto quella profezia d’inchiostro bianco sulla loro epidermide.

Era sempre stata una bella fiaba romantica alle orecchie di Midoriya, non essendo mai stato testimone di quella prova che in un’ottima percentuale sul pianeta esisteva davvero. Non gli aveva mai dato alcuno peso, zero interesse. Sua madre non aveva più ripreso l’argomento dopo che gli era stata diagnosticata la sua assenza di unicità.

Invece era lì il nome della sua metà perfetta, assopito da un Quirk mai esistito e svegliato da uno che gli era stato donato per continuare a rendere il mondo un posto migliore.

La prova indelebile, incisa col fuoco e sangue di appartenere a Kacchan.

 

Probabilmente e sicuramente bussare alla sua porta era un errore magistrale, fatale, eppure era qualcosa che non poteva trattenersi dal fare.

Non sapeva nemmeno se la sua titubanza fosse percepibile dall’abbattersi del suo pugno sulla lastra di legno, di ciò che avrebbe trasmesso a Katsuki, invogliandolo o meno ad aprire, benché non fosse proprio nelle sue corde. Ma la porta si aprì e Midoriya poté vedere attraverso lo spiraglio il viso contrito del biondo, gli occhi ramati che ardevano e quel fastidio imperterrito che provava nei confronti di tutti, ma soprattutto nei suoi. In fondo non era cambiato nulla.

Bakugou non parlò, non emise alcun fiato, si limitò alla sua occhiata giudicante e quella domanda inespressa che trasudava da ogni poro innervosito: che diavolo vuoi?

Ebbe un istante di incertezza, quell’abitudine che non l’abbandonava a chiamarlo per ritrarsi indietro, per stare il più lontano possibile dalla persona che era diventato il suo bullo privato e che combaciava perfettamente con quella che ammirava di più. Era diventa la meta da raggiungere e da superare. «Posso entrare?».

L’espressione del suo rivale divenne più arcigna, la chiara risposta negativa che voleva esternare con tutto il suo essere, ma contrasse appena le spalle e si spostò dall’uscio, a lasciargli interpretare il messaggio come più preferiva, mentre lui si allontanava disinteressato.

Izuku apparì ancora una volta sorpreso, imbambolato sull’ingresso aperto, ma le gambe si mossero da sole, chiudendo la porta dietro di sé, ed avanzarono prima che il coraggio sfumasse e la codardia prendesse il sopravvento. Ma una volta all’interno della stanza in cui non era mai stato, che Katsuki non aveva mostrato a nessuno, quel moto di interminabile vigliaccheria fremette ed improvvisamente si ritrovava con la bocca secca e un’inspiegabile incapacità di respirare.

«Deku» nello spettrale silenzio immotivato e sconosciuto al possessore del Quirk esplosivo, la sua voce risplendette di fastidio e di una noia non indifferente che gli annunciava che non voleva perdere tempo.

Midoriya si risvegliò come se fosse stato buttato malamente giù dal letto, a tradimento, portando le iridi di smeraldo su quelle di rubino, con un groppo terribile alla trachea che non riusciva ad ingoiare. «Non me l’avresti mai detto?» domandò con un tono incontrollatamente piccato, senza che avesse mai voluto essere così brusco o fargli presente quanto fastidio gli avesse arrecato quella mancanza di un pezzo fondamentale del loro puzzle che li avrebbe resi completi.

Per i primi cinque secondi i tratti di Katsuki si contrassero sorpresi e colpiti da quel temperamento ostile, innalzando un sopracciglio e fissandolo con l’espressione di ritrovarsi di fronte ad un malato di mente. «Detto cosa?».

Detto cosa, già, non aveva alcuna idea di come avrebbe dovuto esternare la sua scoperta, quella che gli gravava sul cuore e che gli lacerava l’anima. Non aveva alcuna parola con cui chiamarla, non sapeva come avrebbe dovuto proseguire, come riuscire a rimanere integro senza che Kacchan lo distruggesse una volta per tutte. «Questo» disse con un’ovvietà lampante nel tono, quasi contenesse tutte le risposte del mondo e il suo interlocutore sapesse esattamente di cosa stessero parlando. L’erede di All Might si scostò la maglia senza maniche, accuratezza e tempismo su cui non aveva minimamente rimuginato, muovendosi solo d’istinto, alzando il braccio incriminato e mostrando il lembo di pelle interessato.

Ma agli occhi di Bakugou non c’era nulla di ovvio, di chiaro, di una realtà che era già stata espressa in passato e di cui si tornava improvvisamente a parlare per completare un discorso lasciato a metà. Lui non aveva alcuna avvisaglia di che cosa esattamente dovessero parlare, cosa avrebbe dovuto dirgli, perché mai avrebbe dovuto guardare un punto in particolare sul corpo di quello stupido Deku. «Hai perso le poche rotelle che giravano, dannato nerd?».

«Kacchan» lo chiamò in un rimprovero che lo portasse a muoversi nella sua direzione, quella mezza supplica che non si era mai spenta nella sua voce adorante, ma Katsuki ghignò spregevole, la supremazia che non poteva abbandonarlo nemmeno davanti tanta insistenza che gli scivolava addosso senza che lo toccasse minimamente. «Per favore, Kacchan».

Ah, le magiche parole che avrebbero mosso un mondo giusto e corretto, quelle di una persona ben educata e pura esattamente come si presentava ed effettivamente era quello scapezzato sfigato. Le parole per cui si sarebbero espugnati e conquistati castelli, in attesa di un dolce ed eterno pegno. Bakugou non aveva mai ceduto a quella richiesta, mai, nemmeno una volta; nemmeno nel momento più disperato quando tutto era perduto. Ma lo era? Era tutto perduto? L’afflizione premente ed evidente che quasi prendeva vita propria, un corpo tutto suo per mostrare quanto Deku si stesse lacerando per rendere tangibile ciò che lo torturava.

Katsuki sbuffò seccamente, eppure non poté impedirsi di avvicinarsi a Midoriya e vedere con i propri occhi cosa lo premesse tanto.

Gli ideogrammi verticali di inchiostro bianco si rifletterono sulle iridi infuocate e uno scoppiettio invisibile scaturì dalle punte delle sue dita.

Izuku lo vide divenire un blocco di marmo, l’incredulità nelle gemme rosse, insieme allo sconcerto ed al turbamento, il mondo che improvvisamente gli cadeva addosso e quel dolore che gli aveva visto per tutta la durata dei tre mesi precedenti. Un’attesa che aveva aspettato trepidante e che beffardamente non voleva.

«Quindi?» fu tutto quello che disse, non scomponendosi affatto, rimanendo limpido ed imperturbabile, senza rabbia, senza scatti d’ira. Era pura indifferenza e Midoriya non sapeva cosa preferisse tra le due reazioni. Probabilmente una che esternasse qualcosa.

«Quindi? È tutto quello che hai da dire?» non poteva crederci, non poteva accettarlo.

«Cosa dovrei dire?» chiese di rimando con evidente disturbo, quella noia perenne che l’accompagnava quando l’argomento non lo riguardava in alcuna maniera e si stancava perfino di ascoltare poche parole. Ma l’inclinazione del suo viso cambiò, i tratti mutarono più affilati e tutta l’attenzione fu catturata da quel bisogno che il possessore dell’One for All aveva che esternasse qualcosa in proposito, impossibilitato dal mollare la presa e continuare imperterrito a mostrare quelle scritte sulla pelle vellutata. «Cosa ti sei messo in quella testa bacata?» proferì maligno, il veleno che sgorgava a fiumi e che serpeggiava nella sua colonna vertebrale. «Hai davvero supposto che tu possa essere la mia anima gemella?».

Izuku si sentì male, come mai si era sentito prima, un cuore che era già stato fatto a pezzi più volte, risanato frammentato nel perdurare del tempo, riempito da quell’opportunità che All Might gli aveva concesso, per poi essere torturato ed abusato da tutte le avversità che continuavano ad abbattersi su di lui, che non si limitavano ad un corpo che veniva costantemente ridotti in pezzi. Alla fine, ciò che emergeva in quel tornado senza alcuna intenzione di arrestarsi, era la certezza che Bakugou era sempre l’artefice del suo malessere, perfino quando non ne aveva le intenzioni.

La presa sulla maglia a canottiera si allentò, fino a lasciare andare il tessuto, con il braccio che si abbassava incredulo e quel dolore sordo che sentiva sul petto. «Vuoi dire che non vale anche per te?» era possibile? C’era qualcosa che lui non sapeva di quella storia?

«Sempre così ingenuo, stupido Deku» ghignò malvagio, il corpo che si avvicinava all’altro e la distanza tra di loro che veniva assottigliata. Gli afferrò l’arto superiore pieno di cicatrici senza ragione apparente e la presa per i sensi destabilizzati di Izuku si fece bruciante, con la sensazione che Katsuki stesse usando la sua unicità contro di lui come faceva un tempo per spezzarlo, ma non vi era alcun fumo, alcuna scintilla che potesse suggerire ciò. Era soltanto l’incontro spaventoso delle loro epidermidi che ardevano insieme. «Hai creduto davvero di essere la mia metà?» alzò il braccio e lo portò alle labbra, depositando al centro del polso interno un bacio di lava, esattamente dove sentiva pulsare il battito cardiaco. «Puoi anche crederci, per quel che vale. Puoi soccombere a quel pensiero che ti tormenta di appartenermi, in fondo abbiamo sempre saputo quanto in verità tu mi appartenga a prescindere» lo tirò dal legame che stava perdurando, buttandoselo quasi addosso, addentandogli ferino l’apparato auricolare, incendiandogli il nervo acustico. «Non mi importa affatto di te, ma se preferisci cullarti in questa bella fiaba delirante, soccomberai per il dolore».

Katsuki lo piantò al centro della stanza come uno stoccafisso, il respiro caldo che ancora si abbatteva sull’orecchio e l’esitazione che l’aveva accompagnato da quando gli aveva schioccato quel bacio ingannatore sulla pelle, divenendo quasi un ulteriore marchio di quel legame voluto dal destino che li univa oltre qualsiasi possibilità di scelta.

Eppure Bakugou aveva avuto quella lungimiranza di abbandonarlo, di sentire la necessità di allontanarsi il più possibile, uscendo e percorrendo miglia che lo portassero oltre qualsiasi distanza dal proprio alloggio, lasciandovi dentro il suo disastroso interlocutore e la piaga peggiore che potesse capitargli. 

 

I giorni successivi non furono migliori, perfino quel poco dialogo che consisteva in insulti ed urli, sopportati con grande padronanza e pazienza da Midoriya, era quasi stato debellato. Ad Izuku non rimaneva che fissare quella schiena che gli veniva costantemente rivolta contro, in ogni aspetto della sua vita, seduto al suo terzo banco davanti a Katsuki, contemplando il punto in cui gli aveva depositato quel bacio con tutta l’intenzione di essere di dispetto, ma che scivolava nell’adorazione e Deku l’aveva sentita tutta.

Era così ironico ritrovarsi costantemente e ripetutamente nella sua linea d’aria, sempre a pochi centimetri l’uno dall’altro, eppure gli veniva continuamente sbattuto in faccia quanto fossero distanti galassie intere. Perché l’universo persisteva a farli orbitare incessantemente intorno senza mai stancarsi e lasciarli incontrare davvero?

Kacchan sentiva il suo sguardo insistente su di sé? Era consapevole di quella mancata chiarificazione tra di loro? Che il non sapere era peggiore di qualsiasi risposta avrebbe potuto ottenere?

«Cosa gli hai fatto?» se non era quello stupido di Deku a remargli contro, c’era sicuramente qualcun altro a farlo in sua vece, quasi fosse una missione di cui magicamente l’intera classe era stata investita.

Una volta non c’era nessuno per Deku, una volta era lui a difendere gli indifesi e quelli che Bakugou prendeva di mira, fino a diventare egli stesso la sua vittima numero uno. «Di grazia, a chi ti riferisci?».

«Midoriya» proferì pacatamente Todoroki, unica risposta possibile.

Non era nemmeno tanto difficile in effetti. «Perché pensi che gli abbia fatto qualcosa?» ormai tendeva soltanto ad ignorarlo, gli inveiva contro soltanto quando non gli lasciava altra scelta. Per il resto era inesistente.

«Ha quell’espressione» disse con ovvietà, l’impossibilità che il suo interlocutore non sapesse affatto a cosa si riferisse.

«Quale espressione?» ora si stava seriamente innervosendo. Non solo lo accusavano di qualcosa che non aveva fatto, disinteressandosi del nominato totalmente, ma tutti avevano il vizio di parlare esternando soltanto una parte del discorso, come se lui fosse un veggente ed avesse ogni risposta dell’intero creato. In più si parlava di quel bastardo a metà che spicciolava parole stanziate e contate perfettamente nemmeno gli costasse una profonda prova fisica.

«Mi struggo per Kacchan» dichiarò con intenzione, una glacialità onirica nel tono vocale, quasi avesse realmente proferito qualcosa di ampiamente riconosciuto e che avesse veramente quel titolo.

Il possessore del Quirk esplosivo lo guardò storto, sottolineando di essere stato insultato. «Ti diverti a dare nomi alle cose?».

Shouto non si scompose affatto, rimanendo imperturbato. «Mi limito solo ad ascoltare» che lasciava intendere che a dare nomi perfino ai tratti che prendeva una persona in una determinata circostanza non era il suo passatempo preferito, ma quello di qualcun altro della classe. «Ma è difficile ignorarlo, salta subito all’occhio quando si tratta di te».

Aveva davvero un’espressione tipica che prendeva forma quando Izuku si dannava per lui, una tale deformità facciale evidente che tutti lì dentro sapevano individuare e classificare? «Non sono colpevole di nulla».

«Sarebbe la prima volta» Todoroki non era convinto affatto, ma non aveva prove per trattenerlo e farlo parlare. E sicuramente non avrebbe mai proferito una parola con lui.

Nessuno dei due fiatò e nessuno dei due diede l’intenzione di voler andare via o che fosse prossimo a farlo. Rimanevano semplicemente affacciati alla balaustra in uno degli angoli poco frequentati dell’edificio scolastico, dov’era facile trovare solitudine e non essere disturbati, ma a quanto pareva qualcuno era in grado di trovarlo. Anche Midoriya sapeva dove rintracciarlo? «Hai ricevuto il tuo tatuaggio?» non c’era una vera motivazione che aveva portato il biondo a chiederlo, era stato naturale, quasi essenziale; un tarlo nella sua testa che non voleva saperne di andare via.

«Il tatuaggio?» domandò di rimando Todoroki, fissando una parte non bene identificata delle sue braccia appoggiate sul metallo. «Il nome, intendi? No» le rigirò quasi ad averne la certezza, con il piccolo sentore che forse gli fosse sfuggito ad un certo punto della sua vita. «Non sono nemmeno convinto che lo riceverò» come avrebbe potuto se era nato in una casa senza alcuna manifestazione d’amore di un qualche genere.

Katsuki non ribatté e l’argomento sembrò morire lì.

«Oh» proferì Shouto improvvisamente, un bagliore illuminato che colpì i suoi occhi eterocromatici. «È questo che è successo? Midoriya ha ottenuto il suo tatuaggio e quel nome è il tuo?».

Katsuki sbiancò in un battito di ciglia e Todoroki non si perse quel cambiamento in tutto il suo assetto. «Quindi è così» decretò senza alcuna esitazione.

Bakugou ancora una volta non ribatté, che fosse per non ammetterlo o perché ci fosse qualche altra ragione non comprensibile non era dato saperlo. «Cos’ha fatto? L’ha visto ed è subito corso da te per confrontarvi?».

«È fatto così» dovette ammettere il biondo in una simulazione di essere stato messo sotto torchio. «Non sa tenersi nulla per sé».

«Si sta davvero struggendo per te» lo accusò di rimando, il tono che prendeva consistenza e quella certezza di aver smascherato l’ingannatore. «Il suo prezioso Kacchan l’ha rifiutato».

«Piantala, bastardo a metà» lo freddò in un’esclamazione infastidita ed arrabbiata, i gangheri che volevano avere la meglio e quella calma apparente ed innaturale che desiderava essere cancellata.

«Vuoi negarlo?» inveii con fermezza Todoroki, fissandolo dritto nelle iridi ramate, tenendogli testa.

Katsuki digrignò i denti e l’esplosione in avviamento nelle sue dita era palpabile. «Non sai niente».

«E il tuo di tatuaggio?» Bakugou era pronto ad andare via e lasciarsi tutto quello alle spalle, come se non fosse mai esistito, rinnegando qualsiasi risoluzione per un problema che non riconosceva. Che non voleva riconoscere. Ma Todoroki non era disposto ad arrendersi così facilmente. «Ora ti dirò cosa penso» ma a Katsuki non importava affatto delle sue riflessioni, non gli importava di nulla e nessuno a parte se stesso. «Tu hai già ottenuto il tuo tatuaggio, sicuramente molto prima di lui, e quel tatuaggio porta il nome di Midoriya» non aveva delle prove che attestassero la sua credenza, ma avendo imparato ad osservarli, a vederli relazionare, rifiutare, sbattere contro muri per allontanarsi, perfino Bakugou aveva germogliato un’espressione che connotava in quello stupido Deku mi distrugge e c’erano illimitati modi e scenari in cui ci sarebbe riuscito concretamente.

Il fumo fuoriuscì dalle orecchie del possessore dell’unicità dell’esplosione, facendo presumere l’arrivo di uno dei suoi letali attacchi d’ira, ma i suoi lineamenti beffardi ed affilati presero il sopravvento. «È un peccato che il suo nome non sia il tuo, questo non vuol dire che tu non possa prendertelo».

Stava giocando sporco ed era irrispettoso. «Me lo cederesti?» ma anche Todoroki sapeva essere scorretto.

Il biondo esitò per una frazione di secondo che agli occhi glaciali di Shouto fu fatale. «Trovi davvero così terribile che il tuo nome sia il suo, Bakugou?».

Katsuki lo fissò con un astio tangibile che quasi lo spodestò, uno sguardo talmente omicida da lasciare il segno, ma tutto quello che fece fu allontanarsi e tornare sui suoi passi, in una direzione completamente opposta a dove si trovavano.

Todoroki era sicuro che si sarebbe scatenato distruggendo tutto quello che gli capitava a tiro, lontano da occhi indiscreti. «Midoriya è la persona migliore che potrebbe capitare nella vita di qualcuno».

, concordò Katsuki, ma era lui a non esserlo.

 

«Kacchan» lo richiamò dal mondo dei dormienti con quell’inclinazione leggera e sempre attenta, che aveva la precisa missione di non disturbarlo troppo, ma di essere delicato.

Lui e la delicatezza, per Katsuki erano due universi paralleli che non si toccavano mai, non c’era nulla di delicato nel suo essere che portasse qualcuno ad avere quel tipo di accuratezza, o qualsiasi altra, nella sua direzione, eppure per Izuku appariva naturale. «Che diavolo vuoi, Deku?».

Si ridestò dalla panchina in cui era andato a nascondersi, evitando impiastri e seccature di ogni genere, lasciandosi cullare dalla temperatura estiva che ancora impregnava l’aria, permettendogli d’apprezzare la natura incontrastata. «Hai saltato il pranzo» dichiarò Midoriya con trasparenza, sedendosi sul bordo della seduta di metallo, lì dov’erano distese scompostamente le gambe dell’interlocutore.

Katsuki lo vide il pacchetto che il corvino teneva tra le mani con attenzione, avvolto con maestria e pronto per essere offerto. Lo fece ribollire. «Dannazione, patetico nerd, puoi smettere per cinque minuti di comportarti come una mogliettina apprensiva?».

Izuku lo guardò per un eterno secondo nel suo silenzio più micidiale. «Dovrei smetterla di preoccuparmi per te?».

Eccola là, la sua sincerità candida che non poteva essere abbattuta per quanto ci si provasse. Katsuki vi aveva messo davvero tanto impegno per annientarla, ma non era valso a niente. «Te l’ho già detto in passato, più volte».

Eppure, per quanto si impegnasse tanto a remargli contro, quel benedetto pranzo a sacco che era stato preparato al volo per lui, vagliando nella mensa in cerca di qualcosa di pratico, lo accettò e lo prese tra le mani, spacchettando l’imballaggio improvvisato. Erano panini imbottiti e dentro vi erano esclusivamente gli ingredienti che al biondo più piacevano. Era proprio una perfetta mogliettina diligente. «Sprechi tante energie, Kacchan, saltare i pasti non è consigliabile».

Katsuki strappò un morso con violenza, masticando a bocca aperta volutamente per dargli fastidio. «Non ti stanchi mai di darmi addosso?».

Midoriya abbassò il capo, sfuggendo ai suoi occhi attenti, incupendosi velocemente. «Mi dispiace».

«Dannazione, Deku, non devi scusarti» non c’era nulla che lo mandasse fuori di testa come quella sottomissione immotivata. «Non sei un tappetino su cui strisciare le scarpe logore. Non devi prostrarti» con quella furia l’attirò a sé afferrandolo per l’avambraccio più vicino, scuotendolo con rimprovero.

Le gemme di smeraldo si incastrarono alle sue e tutto prese una connotazione differente, più seria, piena di sottintesi e parole non dette. «Prostrarmi? Non sarebbe l’ideale per te? Continueresti ad essermi superiore».

Midoriya aveva uno strano modo di mettere in evidenza le cose, di affrontarlo e fronteggiarlo e Katsuki doveva ancora scendere a patti con quella realtà. «Non è quello che voglio».

«Cos’è che vuoi, Kacchan?» domandò con intensità e significati multipli, la stessa intensità con cui non smetteva di guardarlo, dando la sensazione che fosse in attesa di qualcosa. Ma quel qualcosa Bakugou non poteva darglielo.

Le dita bronzee scesero dall’avambraccio al polso che soltanto cinque giorni prima gli aveva baciato, con l’irrefrenabile impulso di poggiarvi le labbra e schioccarne uno nuovo. Cos’era accaduto? Cos’era cambiato in quel frangente di tempo enormemente corto da portarlo ad abbassare la guardia così tanto, dopo aver lottato per anni per non cedere e prendersi quello che desiderava; che era lì a portata di mano, così facile ed estremo che non avrebbe incontrato alcuno ostacolo? Gli ostacoli li aveva creati lui coscienziosamente.

Le iridi ramate per un gioco malsano caddero sul punto sotto l’ascella coperta in cui sapeva esattamente cosa vi ci celasse; l’aveva visto soltanto per qualche secondo, ma l’aveva marchiato a fuoco sulle retine.

«Mi dirai mai del tuo tatuaggio?» chiede Izuku di punto in bianco, seguendo un filo dei pensieri muto e noto soltanto ai due presenti, individuando la direzione presa dal suo sguardo perforante. Bruciava esattamente come se glielo stessero incidendo tra le fiamme in quello stesso istante.

«Non ho mai detto di averlo» Midoriya era incredibile quanto fosse testardo, esattamente come lo era lui. Dio, erano la coppia perfetta.

«Giusto» proferì flebile il successore di All Might, scostando il capo e perdendo tutta l’attenzione per il suo antico amico.

Le dita di Katsuki non avevano abbandonato per un solo attimo il polso di Midoriya, il pollice rimaneva esattamente al centro del punto interno, lì dove poteva sentire sottopelle il battito cardiaco pacato e fluido com’era Izuku stesso, con una forza inimmaginabile che lo contraddistingueva e lo faceva emergere in mezzo alla moltitudine delle genti.

Prese ad accarezzarlo lievemente con il polpastrello senza minimamente rendersene conto. «Il tatuaggio non è una condanna, non è qualcosa che non può essere contrastata o rifiutata. È come una linea guida, sei libero di scegliere chi vuoi, di innamorarti di qualsiasi persona tu ritenda adatta» a volte rimanere con l’anima gemella designata era la condanna.

«E se a me andasse bene così?» chiese retoricamente il corvino, riportando gli occhi boscosi in quelli cremisi. «Se io accettassi totalmente ciò che il destino ha avuto in serbo per me? Se io accettassi senza riguardi il tatuaggio che porta quel nome specifico?» le falangi ricche di cicatrici scivolarono sotto l’incredibile ed inaspettata presa delicata di Katsuki, intrecciando largamente e priva di qualsiasi pressione le dita alle sue. Era un incastrò talmente precario ed instabile che sarebbe bastato un battito di ciglia per sgretolarlo perennemente. «Kacchan, lo sai, no? L’hai detto tu stesso, a prescindere da tutto, ti appartengo. È sempre stato così».

Le pupille nere si dilatarono nel rosso oro e l’imprevedibilità degli eventi lo scossero come mai era accaduto. Fissò attonito la trama tra le loro mani talmente evanescente da spaventarlo e guidato dal suo sadismo autolesionistico si abbassò sull’intreccio, depositando lo schiocco delle labbra sulle falangi che lo bramavano ed attendevano. «L’ho detto, eh?» era talmente ubriaco di Izuku Midoriya da ucciderlo.

Il possessore dell’One for All fu così attonito e scottato da tremare vistosamente, ma tentò di rimanere saldo e non sciogliersi come neve al sole. «Non sono stupido, Kacchan».

Bakugou gli depositò un nuovo bacio su quel fantomatico polso interno che desiderava, imprimendosi sulla bocca il movimento dell’organo cardiaco che aveva preso a battere più velocemente ed incessantemente, ghignando appena malevole, lambendogli l’epidermide con la punta del naso, inebriandosi dell’odore dolce e burrascoso del ragazzo davanti a sé. «No, non lo sei» benché non vi era stata alcuna conferma e si rifiutasse di rivelarlo, Midoriya aveva dedotto in una buona percentuale cosa celasse il possibile inchiostro bianco indelebile protetto da Katsuki.

Fu per quello che Kacchan probabilmente lo acchiappò, attirandolo a sé con insospettabile leggerezza, catturandogli la bocca nella sua, rimandando e cancellando qualsiasi chiarimento dovessero affrontare.

Se non lasciò cadere sul terreno sabbioso il panino toccato accidentalmente da suoi denti che al momento si nutrivano delle labbra dell’altro, fu soltanto per una forma di rispetto per la cura che Deku aveva dimostrato nei suoi riguardi, in barba a qualsiasi sua avversione e manifestazione di rifiuto.

 

Gli sciocchi perpetui delle labbra riecheggiavano tra le pareti della camera da letto del ragazzo dalla testa calda, accompagnate dai risolini e mormorii di Izuku, la venerazione che Katsuki stava dedicando a quel particolare lembo di pelle, baciando ogni ideogramma verticale che cantava il suo nome.

«Kacchan» esattamente come lo cantava Midoriya.

Erano sdraiati sul letto, Izuku lo sovrastava dall’alto, coprendo l’intero corpo del biondo, ma era evidente chi avesse la supremazia sull’altro.

Bakugou lo fissò dalla posizione svantaggiosa, ma di comando in cui si trovava, scombussolandolo. «Ti stai lamentando?».

«No» certo che no, ma Katsuki amava infierire in ogni momento, in un continuo scacco matto. «Sto solo notando che ti piace».

«Sei proprio un ingenuo, Deku» lo fulminò il vecchio amico d’infanzia, quella rabbia unito a rimprovero che in nessun caso spariva via. «Hai mai pensato che mi stia approfittando di te?».

«Approfittando di me?» gli fece eco il possessore dell’One for All confuso, depistato completamente dalle insinuazioni dell’altro.

«Sì» confermò l’altro, depositando un nuovo bacio al limite del petto di Midoriya, schioccandone uno successivo al centro, al confine con la maglia che ancora lo rivestiva, e saltando direttamente sul collo, addentandogli il pomo d’Adamo e leccandolo con lussuria. «Ti sei praticamente concesso senza riserve».

Izuku ridacchiò deliziato alle attenzioni di Katsuki ed egli lo osservò attento, incontrando quel sorriso magico che illuminava tutti i dintorni circostanti. «Non ti ho insegnato a guardarti dai brutti ceffi, stupido Deku?».

«Ah, è questo che hai fatto?» lo punzecchiò il corvino seguendo il suo gioco di botta e risposta, con tono impudente e pieno di impliciti.

«Precisamente» ringhiò a denti stretti, catturando un nuovo lembo di pelle tra essi e tirando con dispetto, circondandogli i fianchi con forza e possessività pericolosa. «Posso fare di te ciò che voglio e non mi fermeresti» la voce divenne cavernosa, viscerale e zeppa di intenti sporchi.

«Vuoi approfittarti di me, Kacchan?» domandò Izuku con la purezza e la dolcezza che lo caratterizzavano, quelle che dedicava a tutti, ma soprattutto a lui, cancellando tutto il marcio che li accerchiava e rendendo il mondo un posto migliore con la sola sua presenza.

Approfittarsi di lui, che idea sciocca; Kacchan stava soltanto contemplando e venerando quella calligrafia bianca eterna che portava il suo nome, imprimendosela sotto le labbra e decantandola con i baci. L’aveva soltanto liberato di una manica per potercisi dedicare totalmente senza strati di stoffa che gli arrecassero disturbo, ma non aveva osato toccare una parte di pelle diversa da quella a cui si era interessato.

Katsuki sbuffò contrariato contro il collo, stufo di dover trovare il modo di non perdere. Lui non perdeva mai. «Forse».

Izuku gli sorrise calorosamente, catturandogli la bocca in un bacio pieno di contentezza e abbracciandogli subito dopo la testa, riportando tutto alle postazioni iniziali. Bakugou non si oppose.

Nella situazione precaria in cui si trovavano le dita di Katsuki tornarono a lambire il tatuaggio, ricalcando ideogramma per ideogramma, quasi assorbendoli sul polpastrello dell’indice. «Kacchan?» era talmente sovrappensiero che richiamò l’attenzione di Izuku, preoccupandolo oltre modo.

«Kacchan, Kacchan» gli fece eco il possessore del Quirk dell’esplosione, senza alcuna inclinazione particolare né derisione di qualche genere, c’era qualcosa di più particolare e rumoroso, una nota di avversione verso se stesso. «Non hai mai smesso di chiamarmi così».

«Non dovrei?» la preoccupazione aumentò, ma rivolta verso altro, verso quel grumolo di lettere morbide. «Non ti piace?».

«Piacermi?» Katsuki soppesò la richiesta genuina e allarmata di Izuku, continuando ad accarezzare il nome impresso sulla sua pelle. «Non ho mai avuto problemi con quello, puoi chiamarmi come preferisci».

Midoriya lo scrutò con interesse, inclinando leggermente il capo e cambiando prospettiva. «Ma?».

«È così dolce, pulito, carino» Katsuki a quel punto sorrise ilare, con una punta di divertimento burlesco verso la sua stessa persona. «Non mi descrive affatto, ma lo dici sempre con affetto e familiarità» la mano liberta si inabissò tra i capelli corvini, trattenendo le ciocche tra le falangi e puntando gli occhi cremisi in quelli di giada. «Forse mi piace troppo».

I tratti di Midoriya si ammorbidirono e le labbra si curvarono verso l’alto, nel più spettacolare dei sorrisi. «Oh, Kacchan, hai il cuore tenero».

«Vuoi morire?» domandò retoricamente, afferrandolo malamente e il fuoco che minacciava tempesta. «Non istigarmi a farti esplodere la testa» ma Izuku rideva di autentico divertimento, incapace di fermarsi e accresciuto dalle reazioni esagerate di Bakugou che lasciavano precipitare gli eventi.

Katsuki lo piantò sul letto ormai mezzo sfatto, ribaltando le posizioni e trovandoselo totalmente alla sua mercé, le risate ricche di Izuku continuarono finché non recepì lo sguardo bruciante del padrone della camera. Il silenzio impregnò la camera e Midoriya non sapeva come avrebbe dovuto agire.

«Non hai la minima idea da quanto stessi aspettando» dichiarò Bakugou in un tuono, devastando quello sprazzo di spensieratezza che li aveva avvolti.

Izuku si sentì morire, non sapeva nemmeno per quale ragione, ma la cadenza straziante della voce di Katsuki, il dolore che gli aveva visto negli occhi per anni erano tutti lì e convogliavano nella sua direzione. «Questo?» sbiascicò con difetto, la secchezza nella bocca e una mano che andava a coprire la scritta bianca.

Le dita di Bakugou andarono a sfiorare le sue, lambendo con accuratezza il tatuaggio e regalandogli un bacio esattamente a metà tra i due nomi, toccando la fine di uno e l’inizio dell’altro. «Questo».

«Kacchan» non lo stava chiamando, gli stava dicendo parlami, con quella comprensione disumana e fuori dal comune che gli arrovellava lo stomaco.

«È apparso tre mesi dopo il Quirk, nel cuore della notte» lo informò con fermezza, una sorta di distanza che lo estraniasse, non rendendolo il vero protagonista dell’evento.

Nella pesantezza della camera privata di qualsiasi suono creata da quella rivelazione, il cuore di Izuku si fermò e l’anidride carbonica graffiò per uscire e scambiarsi con l’ossigeno. Gli occhi si sgranarono incontrollati e l’incredulità crebbe. «Cosa? Avevi… avevi quattro anni» davvero, davvero poteva accadere così presto? Segnare un bambino che doveva già affrontare la scoperta della sua unicità e imparare a controllarla, con l’ulteriore peso di essere già condannato ad essere legato perennemente con una persona. «Qual è il nome?».

Katsuki sorrise con quell’impertinente curva diabolica e di chi si stesse prendendo gioco di lui, aspettandosi esattamente quella reazione goffa ed incerta. «Non lo indovini?».

Non era una domanda sciocca o stupida chiederglielo, non gli aveva dato alcuna sicurezza in proposito; al contrario era stavo vago e ci aveva giocato su, non volendo scoprire le sue carte. Non volendo scoprire la propria persona. Era sicuro che Bakugou l’avrebbe fatto dannare per anni senza mai rivelarglielo. «Kacchan» lamentò lacerato, gli occhi annacquati e il cuore che si stringeva su se stesso. «Hai sempre… per tutto questo tempo» singhiozzò senza controllo, le lacrime che gli irrigavano il viso e una mano che andava a tappare la bocca, per soffocare quel piagnisteo che non gli dava tregua. «Perché?» ma conosceva quella risposta, il suo tormento, l’orgoglio da tenere alto e tutto quello che Bakugou considerava un affronto. «Per tutto questo tempo hai pensato che non avresti mai saputo se fosse un fato condiviso, se ti avrei mai ricambiato, se fossimo davvero destinati ad essere noi e nessun altro».

Izuku piangeva sempre, continuamente, per qualsiasi cosa. Era il suo modo di sfogarsi, di far trapelare come si sentisse, da quello Katsuki aveva saputo in ogni occasione cosa vi fosse in lui, cosa lo angustiasse e lo divorasse; l’ultimo pezzo per svelare la verità sul Quirk apparso magicamente gli era stato fornito da quello. «Ho pensato fosse un brutto scherzo dell’universo, legarmi a qualcuno che non avrebbe mai ricevuto in nessuna circostanza il suo segno».

Il successore di All Might gemette soffocato, ispirando rumorosamente dal naso. «Eri certo di appartenermi, ma non avevi idea a chi appartenessi io».

«Sono sempre stato possessivo» ironizzò il ragazzo dall’unicità dell’esplosione, asciugandogli le lacrime con accuratezza.

«Ma…» ispirò nuovamente il corvino dal setto nasale, assaporando il contatto caldo dell’altro e la devota attenzione che gli stava dedicando. «Hai detto che in fondo siamo liberi».

«Predico bene, razzolo male» sminuì come se niente fosse, quel sarcasmo un po’ brusco e poco compreso. «Era un affronto dopotutto; in qualche modo mi avevi battuto, avevi la supremazia su di me, un marchio di cui non potevo sbarazzarmi. Una grandiosità come me legato ad un insetto come te» Izuku lo guardò offeso, benché le lacrime non smettessero di proseguire per il loro corso e Katsuki con le labbra inarcate all’insù gli depositò un soffio di bacio sull’avambraccio interno. «Dovevo separarti da me. All’inizio volevo soltanto mettere più distanza fra di noi, finché non saresti sparito, ma eri troppo insistente, sempre in mezzo ai piedi, a piangere, a blaterale e difendere gli indifesi quando era tu il più indifeso. Alla fine volevo soltanto darti il tormento e distruggerti».

Un silenzio agghiacciante cadde su di loro e le labbra di Izuku si socchiusero, insieme al prosciugamento delle scie d’acqua salata di cui rimanevano tracce fantasma. «Non devi accettarlo, Deku. Non voglio che l’accetti».

«Vuoi vietarmi di sceglierti?» domandò in tutta risposta, la scintilla combattiva che si accendeva nei suoi occhi di smeraldo.

Dio, quant’era testardo. «Ti chiedo di essere ragionevole. Voglio che tu sia ragionevole» che era praticamente come perdere fiato.

«Perché?» la domanda era sincera, autentica, bisognosa di conoscere la risposta.

Glielo stava chiedendo sul serio? Non era abbastanza intelligente da arrivarci da solo? «Ti ho fatto del male. Tanto male e parte delle tue cicatrici te le ho procurate io» erano piccole, quasi insignificanti e bianche, esattamente come il colore dell’inchiostro dei loro tatuaggi gemelli. «Continuerò a farti del male».

«Kacchan» lo richiamò a sé, prendendogli il viso tra le mani e obbligandolo a tenere lo sguardo fisso su di lui. «Per chi mi hai preso? Pensi che una volta che non abbia lasciato perdere in passato, possa farlo adesso? Non mi sono mai arreso con te, come puoi pensare che ceda proprio arrivati a quanto punto?».

«Non è questione di cedere, ma non puoi dimenticare quello che ho fatto, che continuo a farti e che sicuramente andrà avanti. Non può andarti bene, dannazione» diavolo, non andava bene nemmeno a lui, si infuriava da solo e avrebbe voluto prendersi a pugni.

«Non ho mai detto che mi vada bene» puntualizzò Izuku con fermezza, guardandolo giudicante, come se davvero si aspettasse una tale mancanza di forza da parte sua. «Ma le cose facili non piacciono a nessuno. Stai parlando di me, Kacchan; c’è qualcosa di facile nella mia vita?».

Facile. Aveva vissuto tutta la sua vita insultato, deriso e preso di mira da tipi irascibili e privi di disciplina come lui; Katsuki era stato il suo più fedele aguzzino e l’aveva sminuito nei modi più deplorevoli, ridendogli in faccia e sentendosi in alto più di lui che non valeva niente.

Aveva vissuto piangendo per un sogno che non avrebbe mai potuto realizzare, privato in partenza del dono che l’avrebbe condotto verso quella strada, tentando in tutti i modi di rafforzare qualsiasi tipo di Quirk gli sarebbe toccato.

Aveva vissuto con l’incredibilità che un giorno sarebbe stato scelto da All Might in persona e gli avrebbe ceduto la sua unicità; da quel momento Izuku si era ritrovato come un pesce fuor d’acqua, davanti l’inesperienza di saper gestire un Quirk che tutti gli altri aveva iniziato a padroneggiare fin dalla tenera età.

Si era rotto pezzo dopo pezzo, aveva perso e vinto, aveva pianto e urlato ed era stato smascherato da Bakugou in persona che aveva giurato di annientarlo.

Izuku era solo all’inizio del suo apprendistato e per la via che l’avrebbe portato a divenire un Hero, combattendo per imparare a sfruttare un’unicità che non gli apparteneva, ma che avrebbe reso sua. «No».

Midoriya sorrise solare e inclinò la testa con tenero divertimento. «Allora come potresti essere tu quel tassello?».

Giocava sporco la pulce. «Adesso è diverso».

«Perché?» chiese retoricamente, facendo risuonare la risposta nella domanda stessa. «Perché siamo rivali, ambiamo allo stesso titolo e ci facciamo la guerra?».

«Soprattutto» convenne il possessore del Quirk dell’esplosione.

«Non possiamo essere amanti e rivali?» propose promettente Midoriya, trovando il cavillo.

«Amanti e rivali?» domandò dubbioso e sprezzante il biondo, non vedendoci nulla di buono.

Izuku lo guardò bonario, dedicandogli quell’occhiata che gli suggeriva che ne sapesse più di lui, quasi compatendolo soltanto per indispettirlo. «Voglio battermi con te, tenerti testa e superarti, ma voglio raggiungere quel traguardo insieme a te, a condividere lo stesso titolo. Voglio camminare al tuo fianco e amarti».

«Vuoi amarmi?» domandò di rimando, penetrandolo con gli occhi infuocati. «Comincia da adesso».

Izuku lo guardò sbalordito, non credendo minimamente di aver fatto centro con il suo discorso, ma non captò l’agguato che Katsuki gli riservò, sopraffacendolo e impossessandosi della sua bocca, esplorandogli senza indugi la cavità orale. «Non mi batterai mai, stupido Deku».

Midoriya ridette scomposto, aggrappandosi forte al ragazzo esplosivo e immergendo le dita tra le ciocche dorate. Da lì fu un attimo la lotta per la supremazia.

«Ehy, Kacchan, dov’è il tuo tatuaggio?» domandò tra una morsa e l’altra, monopolizzando il letto sempre più scomposto ed indifferente al padrone della camera.

Katsuki gli addentò il labbro inferiore con forza dispettosa, leccandoglielo subito dopo come a lenire, ma fondamentalmente per provocarlo. «Non lo saprai mai».

«Kacchan!» si indispettì lamentoso, venendo messo a tacere dalla bocca spavalda dell’altro che aveva tutta l’intenzione di distrarlo.

Non sarebbe stato davvero un mai, un giorno Izuku l’avrebbe visto, ma soltanto quando si sarebbero messi a nudo metaforicamente e letteralmente. Quando Katsuki avrebbe combattuto contro l’imbarazzo di lasciarsi vedere così vulnerabile, mostrando una parte della sua intimità più nascosta e Midoriya avrebbe incontrato i segni bianchi sull’interno coscia sinistra, orizzontali e non verticali, con dimostranza di volersi nascondere fino alla fine.

Avrebbe baciato in un battito d’ala di farfalla il suo nome inciso sulla pelle di Kacchan, esattamente come aveva fatto lui tempo addietro e l’avrebbe venerato con lo stesso sentimento, finché successivamente si sarebbe scostato per lasciarsi amare e fondersi in un solo essere con il ragazzo che non aveva mai voluto togliersi dalla testa, malgrado tutte le avversità.

 

La battaglia era terminata soltanto da una decina di minuti, i soccorritori serpeggiavano qua e là a salvare il salvabile e la stampa li chiamava a gran voce, esigendo la loro presenza, ma avevano bisogno di prendersi degli attimi per respirare di nuovo.

«Stupido Deku, ti struggi per me?» era stato uno scontro difficile e prolungato, pieno di insidie e inganni, piccole trappole disseminate ovunque andassero, a intralciarli ed a fargli perdere tempo prezioso.

Midoriya aveva perso Bakugou di vista nel momento in cui si era spinto troppo in là, lasciandolo indietro e proseguendo da solo nella tipicità della sua testardaggine orgogliosa, l’arroganza di primeggiare e avere un vantaggio su di lui. Per tutta la durata della separazione era stato in apprensione, cercando gli scoppi e le fiamme delle sue esplosioni che gli suggerissero dove si fosse andato a cacciare e se stesse bene; in tutto quello aveva dovuto tener testa al suo avversario e batterlo, senza perdere di vista i civili e aiutandoli nei momenti propizi.

Ad un certo punto la sua croce personale si era ripresentata senza nemmeno un graffio, ma con il nemico nel sacco e il suo sorriso da sbruffone vittorioso; soltanto a quel punto Izuku si era permesso di tornare a respirare. «Sempre».

Tra la polvere di fuliggine e le nuvole di fumo che popolavano il campo di battaglia, Katsuki se lo tirò contro, immergendo le dita svestite dal guanto macchiato tra i capelli corvini e aggrovigliati, liberi da quel ridicolo cappuccio con le orecchie da coniglio. Lo baciò senza preoccuparsi delle fotocamere e dei flash che catturavano tutto tranne che loro due, tirando le ciocche e Midoriya stesso, mentre quest’ultimo lo imitava ed inoltrava le falangi nude tra i fili del colore del grano, rispondendo con lo stesso ardore e prepotenza.

Sull’interno dell’anulare sinistro di entrambi presenziavano scritte nere ed affini, indelebili ed eterne. Rispettivamente Deku per l’uomo dal temperamento vulcanico e Kacchan per colui che teneva in vita il ricordo di All Might nella storia del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono ancora sorpresa di trovarmi da queste parti e ancora di più con una soulbond. Era un’idea che ho sempre pensato di usare e credevo sarebbe accaduto con tutt’altri personaggi ed invece eccola qui, con chi meno mi sarei aspettata.

Ho scritto questa fic ben prima che uscisse il quattordicesimo volume del manga in Italia (quindi sì, seguo l’edizione italiana) ed essendo nemica degli spoiler non ho mai indagato oltre. Non ho idea se qualche aspetto sarebbe stato diverso se scritti successivi alla lettura del fantomatico quattordicesimo volume, ho fatto del mio meglio per sopperire alla mancanza.

È una storia non betata, se non da me stessa e in realtà un altro di paio d’occhi servirebbero sempre, ma da un po’ di tempo ne sono sprovvista. Chiedo venia per sviste ed errori.

Ringrazio chiunque passerà di qui, chi le dedicherà un po’ del suo tempo, chi lascerà qualche parola per esprimere il proprio parere e chi si limiterà a leggerla semplicemente.

Alla prossima,

Antys

 

   
 
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