Titolo: I’m Still Comparing Your
Past to my Future
Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki
Bakugou
Pairing: IzukuxKastuki (BakuDeku)
Rating: Verde
Genere: Sentimentale, Introspettivo
Avviso: One-shot, Shonen-ai, Spoiler, Missing Moments, What if?
Note: Ambientato dopo il volume 13, in un momento non
precisato. Potrebbero esserci degli spoiler sparsi per chi segue la
programmazione dell’anime.
Ai tempi non vi aveva
prestato alcuna attenzione, sia per la giovane età sia perché tutto girava intorno
alla trepidazione di vedere manifestarsi il suo misterioso Quirk, insieme
all’adorazione straripante per All Might. E per Kacchan – in effetti, quello era un dettaglio
a cui avrebbe dovuto fare più attenzione. Ma il Quirk non si era mai
manifestato, i suoi sogni erano stati infranti ancora prima di rendesi conto di cosa volesse effettivamente dire e tutto
quello che non riguardava il poter diventare un Hero alla stregua del suo
beniamino non l’attirava in alcuna maniera.
Non che sarebbe
cambiato qualcosa. L’avrebbe affossato ancora di più e non avrebbe saputo se
con il tempo sarebbe mai stato in grado di rialzarsi come invece era riuscito a
fare dopo la scoperta della mancanza di qualsiasi unicità.
La sua vita fin
dall’inizio era stata ironica ad un passo dallo sfiorare il grottesco, finché
era arrivata a superarlo alla grande.
Grottesco, era quella la parola chiave che
poteva raccontare tutto il suo essere. Tutto ciò che era e sarebbe stato.
Ma agli albori della
sua decadenza non avrebbe mai creduto possibile che avrebbe perso Kacchan. Il
suo migliore amico dell’età infantile che per Izuku contava più di qualsiasi
altra cosa, accecato da quel bagliore insistente che l’avvolgeva tutto,
facendolo primeggiare su qualsiasi buon senso, quasi a nascondere quei difetti
prementi che invece erano sempre stati lì, a portata d’occhio, a richiamare
l’attenzione ed a metterlo in guardia. Ma era un bambino, una piccola creatura
minuscola che si esaltava davanti alla grandezza, alla potenzialità, riuscendo
a vedere ed ampliare quell’immaginazione sconfinata che collocava ognuno nel
posto più appropriato per le loro possibilità, per le loro capacità e Deku
aveva sempre saputo fin dove Kacchan sarebbe giunto, il podio a cui era destinato
e la magnificenza che avrebbe raggiunto, con il suo nome gridato dalla voce
della popolazione ad esaltarlo, accrescerlo e sconfinare lì dove nessuno
sarebbe più riuscito a raggiungerlo.
Con il tempo Izuku si
rese conto che l’averlo innalzato su un piedistallo fin dall’inizio,
acclamarlo, tessere le sue lodi e guardarlo con ammirazione, gli occhi
brillanti di stelle, era stata la peggior mossa che quel piccolo gruppo di
bambini, che non sapevano nulla sulle vicende del mondo, potessero fare.
Nessuno aveva mai fatto
abbassare la cresta a Katsuki, nessuno l’aveva sminuito o portato ad un livello
di tolleranza che non lo sviasse dal montarsi la testa, a dover corrispondere a
tutte le aspettative che le persone riponevano in lui, decretandolo come
vincitore assoluto di una vita dedita al successo. Alla magnificenza di un
grande Hero. Il più grande.
Era quello lo scopo di
Kacchan, essere il migliore. Battere perfino All Might, l’Hero che entrambi seguivano con ammirazione
esagerata.
Kacchan aveva sempre
eccelso in tutto e Midoriya non l’aveva mai visto fallire.
Ma la disgregazione
della loro amicizia poteva essere classificata come un fallimento? Dubitava che
Katsuki la vedesse in quel modo. Tutto ciò che vedeva colui che era stato il
suo migliore amico dagli albori era solo un insetto da schiacciare, per il
semplice fatto di essergli inferiore.
Ma fino ad un momento
specifico, fino a che non gli era stato gettato in faccia con una dolcezza e
una preoccupazione valida e senza orizzonti un’inadeguatezza che non era in
grado eguagliare, Kacchan gli permetteva ancora di stargli a fianco, di
adorarlo, pendere dalla sua bocca e dagli immensi poteri di cui era dotato.
Era finita in quello
stesso instante, l’attimo in cui tutto il suo corpo si era mosso per andarsi ad
accertare delle condizioni di Bakugou, camminare tra le acque del fiume e
tendergli la mano, con il pensiero corrente della possibilità che il biondo
avesse potuto aver sbattuto la testa.
Kacchan non gliel’aveva
mai perdonata, l’essere soccorso da un senza Quirk che non valeva niente, che
aveva l’ardire di essere migliore di lui senza alcuna capacità particolare, ma
Izuku non aveva alcuno ardine, non voleva niente, non voleva dimostrare
qualcosa di diverso da quello che era; voleva soltanto sapere se Kacchan stesse
bene, se avesse bisogno d’aiuto e se potesse rendersi utile, perché tutto
quello che importava era la perfetta salute dell’altro.
Aiutare Bakugou Katsuki
era diventato un tabù e tale sarebbe rimasto.
Era una storia che si
raccontava antecedentemente alla manifestazione del primo Quirk, una storia che
con i secoli si arricchiva di dettagli, come se modificasse insieme alla
popolazione che abitava il pianeta. Cambiando, crescendo, specializzandosi e in
armonia con la natura di ogni essere vivente che si distanziava sempre di più
dalle caratteristiche presenti sin dalla nascita dell’umanità.
Non capitava a tutti,
non valeva per ogni persona, non tutti erano realmente predestinati e con
l’entrata in scena del Quirk nell’uomo qualcosa era variata ancora.
Prima del Quirk, il
nome della fantomatica anima gemella raffigurava sulla pelle sotto forma di
inchiostro bianco, dal primissimo guaito di un neonato. Era segnato per sempre.
Lì, indelebile, sotto
gli occhi del mondo vi erano le lettere che l’avrebbero condannato per
l’eternità, in una ricerca continua di un’anima affine che lo corrispondesse;
una speranza che ad un certo punto, in una determinata ora del giorno, con il
calendario intransigente che andava avanti, si mostrasse il viso della persona
con cui tecnicamente si era destinati a stare. Presentarsi e scandire
chiaramente il proprio nome.
Era in quella goccia
del tempo che la magia avveniva, mostrandosi reciprocamente con sgomento i
rispettivi tatuaggi che Madre Natura aveva avuto in serbo per loro;
nell’impossibilità crescente che in realtà quella metà perfetta del proprio
essere non esistesse, in un miraggio sempre più distante ed inafferrabile.
Molti riuscivano a
trovarla, gli sfortunati vivevano una vita di compromessi e possibili veri
amori, nascondendo sotto il tappeto il nome che figurava sull’epidermide senza
che potesse essere cancellato.
Ma dopo l’avvento del
Quirk il tatuaggio si era adeguato. Non fioriva con un nascituro che veniva
preso in braccio dopo il parto da un genitore, sbocciava qualche mese dopo la
manifestazione del fantomatico Quirk. Ognuno aveva i suoi tempi, ma dai quattro
anni in su era possibile intravedere una grafia bianca con un nome e cognome
che troneggiava sulla pelle.
Il tatuaggio si era
talmente assuefatto all’Unicità con il trascorrere del tempo che chi non era in
possesso di quest’ultimo, gli era negata la possibilità di conoscere la persona
che gli era destinata.
Ma cosa accadeva se ad
un possessore del Quirk veniva mostrato il nome della sua controparte e se proprio
ella fosse sprovvista di quell’unicità che la contraddistingueva?
Non era certo, non era
scontato che soltanto perché un nome appariva ad una persona, allora era sicuro
che anche l’altra vi aveva inciso sotto strati d’epidermide il corrispettivo. Era
raro, era esilarante, ma accadeva anche quello, perché la vita era ricca di
scherzi. Un essere vivente poteva essere destinato all’altro, ma quello stesso
altro apparteneva ad una terza figura.
Non c’era nulla di
obbligato.
Con l’avanzare
dell’età, della crescita, della consapevolezza di cosa lo circondasse e
dell’insopportabile burlesca ironia grottesca dell’infamia che lo colpiva
spietatamente, Katsuki Bakugou non sapeva dove sbattere la testa. O se farla
esplodere direttamente.
Fare esplodere l’intero
pianeta blu.
Aveva quattro anni, tre
mesi esatti dalla scoperta del suo Quirk, e un bruciore improvviso prese a
bersagliarlo nella notte, scavando nella pelle, logorandola e sciogliendola. Si
svegliò con il cielo completamente oscuro, alzandosi dal letto con un panico
sinistro, toccando ogni parte del suo corpo e cercando di spegnere qualcosa che
in realtà non esisteva.
Nessun fuoco o fiamme,
nessuna scintilla che accidentalmente aveva innescato nella fase REM, nessuna
pelle che si liquefaceva o ferita di alcun genere. Non c’era niente. Nulla di
così preoccupante da spaventarlo.
Eppure sentiva ancora quel
calore sul corpo, quella traccia indelebile che non voleva andar via, ma che
piano piano scemava e si spegneva, quasi avesse attecchito e il proprio compito
fosse stato portato a compimento.
Sarebbe scomparso
com’era apparso e sarebbe stato solo un brutto vago ricordo di una dormita,
l’avrebbe archiviato in un sogno.
Un incubo.
Gli occhi cremisi
seguirono la fitta che ancora avvertiva, la piccola mano che si era andata a
posare esattamente lì dove proveniva il dolore, in un’accuratezza maldestra,
vago tentativo poco congegnato di arrestare un incendio. L’aveva spostata,
piano, quasi con il timore di scoprire la verità, con quel sesto senso che gli
intimava di tornare sotto le coperte e dimenticare l’accaduto, archiviandolo,
ma Katsuki era testardo alla sua stessa coscienza.
Le dita scivolarono
sull’interno coscia e una calligrafia spaventosamente familiare fece la sua
comparsa, mostrando sotto forma d’inchiostro candido ideogrammi che conoscenza
meglio di se stesso, campioni utilizzati per
l’apprendimento della sua lettura avanzata: Izuku Midoriya.
Il primo giorno da
liceale alla Yuei Izuku aveva sperato in cuor suo di
non trovarsi nuovamente faccia a faccia con Kacchan; non in quel percorso, non
quando improvvisamente gli era affiorato un Quirk e loro avevano vissuto tutta
la vita sapendo che non poteva essere realistico, che non esistesse quella
possibilità. Eppure, tutto ciò che Midoriya aveva sempre voluto era poter
camminare fianco a fianco con Bakugou, sconfiggere i malfattori e diventare i
migliori insieme, senza alcuna differenza. Sarebbero stati un duo vincente e
nulla avrebbe potuto sbaragliarli, ma quello era prima che tutto tra loro
andasse in malora e Katsuki diventasse il suo aguzzino – ma non aveva mai
smesso di sperare, non aveva mai smesso di credere in Kacchan.
Quando aveva varcato la
porta, la realtà gli si figurò davanti e non c’era alcuno scampo dal suo antico
amico d’infanzia. Kacchan era lì, esattamente dov’era sempre stato, a camminare
in direzioni opposte, benché rimanessero sempre ad orbitarsi intorno, quasi una
mano divina li volesse costantemente insieme.
Seppur sapesse quanto
Bakugou odiasse l’intera vicenda, quella mattina lo guardava in modo diverso,
come se si aspettasse qualcosa, una rivelazione di qualche tipo, ma il
possessore dell’One for All non sapeva dire
esattamente a cosa mirasse, a cosa fossero indirizzati i suoi pensieri. Per
quel che ne sapeva, per Kacchan era ancora un senza Quirk che era riuscito ad
entrare nel liceo più prestigioso del Giappone per divenire un Hero attraverso
un trucco, una macchinazione del suo brillante ingegno.
Quando aveva scoperto
che in realtà un Quirk esisteva davvero, aveva perso le staffe ed era quasi
impazzito, unico scopo quello di arrecargli più male possibile, di distruggerlo
e vendicarsi di avergli mentito. Izuku aveva provato nel limite del consentito
e del non svelarsi troppo, a rivelargli di non aver mai ommesso nulla, di
essere sempre lo stesso Deku e di essere semplicemente stato scelto da qualcosa
di più grande, ma no, mentirgli era stato fuori discussione fin dal primo
momento in cui avevano cominciato a giocare insieme.
Kacchan alla fine era
rimasto in attesa, con sguardo lontano e un dolore che Midoriya non sapeva da
cosa fosse scaturito.
Cos’era esattamente che
stava aspettando nell’agonia?
Nella confusione più
totale, nel cambiamento repentino del suo corpo, allo sforzo continuo a cui lo
assoggettava, continuando a rompersi ossa dopo ossa, sfibrare muscoli e
lacerare strati infiniti di epidermide, non si accorse mai di quel bruciore
devastante, improvviso ed inaspettato, che lo colse chissà in quale particolare
momento della giornata ed in un qualunque tipo di luogo, sul fianco sinistro,
nel lembo di pelle più vicino all’ascella, in un simulato nascondiglio ad occhi
indiscreti, perfino ai suoi stessi.
Non l’avrebbe mai
notato, in nessuna circostanza, e certamente non quando l’Unione dei Villain gli aveva portato via Kacchan, tenuto celato nel
loro covo malsano, con l’unico intento di farlo passare dalla loro parte.
Kacchan un villain. Per quanto chiunque lo incontrasse gli attribuisse
quell’aspetto così sbagliato ed erroneo, Katsuki era destinato a molte cose, ma
non a favoreggiare i malviventi che da sempre aveva voluto catturare e punire.
Kacchan si impegnava
con ogni fibra del suo essere a primeggiare per divenire un Hero, seppellendo i
suoi atteggiamenti mal interpretati.
Kacchan era una testa
calda, orgoglioso come pochi, diffidente all’inverosimile e contava soltanto
sulle proprie forze, ma mettere in pericolo qualcuno non gli apparteneva.
Sfogarsi su Izuku o usufruire di un linguaggio poco consono, annesso di piccole
esplosioni ed un’ira incontrollata, era soltanto un’altra storia. Un matrimonio
perfetto che rappresentava appieno il suo Quirk.
Quell’essere testardo
gliel’avevano sottratto da sotto le dita rotte, come ogni arto superiore, e il
successore di All Might
aveva fatto di tutto per riprenderselo. Per riportarlo indietro, ben sapendo
che non avrebbe avuto alcuna parola buona da parte sua e cedendo perfino il suo
ruolo di salvatore a qualcuno che Katsuki rispettava più di lui.
Sotto quella gran
confusione che erano stati i loro primi mesi alla Yuei,
salvataggi, attentati, rapimenti e continue ossa distrutte, Katsuki Bakugou non
era mai stato stupido, non aveva permesso che i pezzi gli sfuggissero da sotto
il naso, assimilando parole urlate per giustificarsi di Midoriya e frammenti
rubati origliando nelle situazioni più disperate. Nel suo acume e nella sua
attenzione da buon, se non perfetto, conoscitore di Izuku, aveva captato ciò
che lo angustiava, ciò che teneva segreto, ciò che l’aveva spezzato quando la
verità dell’aspetto e condizioni di All Might erano state mostrate al mondo intero con
vigliaccheria e cattiveria autentica.
Bakugou non aveva
dimenticato le prime parole di giustificazione di Deku – come non aveva mai
dimenticato nulla di loro – e il quadro si era fatto sempre più chiaro mano a mano che ogni frammento veniva collocato al posto
giusto, finché non si era imbattuto in personalità che sottraevano il Quirk e
potevano spostarlo da una persona all’altra, assommandone più di uno in un solo
corpo.
Aveva capito, aveva
compreso ciò che Midoriya aveva cercato di dirgli, il grande segreto che non
poteva essere divulgato, il dono prezioso che gli era stato offerto e che
doveva proteggere ed accrescere.
Ma soltanto perché
aveva unito i punti ed era entrato in possesso della verità della persona il
cui nome gli macchiava la pelle, non voleva certo dire che l’avrebbe accettata
e che non avrebbe chiesto chiarimenti, la motivazione che aveva portato il loro
grande eroe a scegliere quel sassolino senza speranza.
Era solo l’enorme
collera che infiammava in lui; Katsuki, a malincuore,
riconosceva il valore di Deku. L’aveva sempre fatto, ma tutto in lui portava a
schiacciarlo.
Accadde proprio in quel
frammento di tempo, in quella pace momentanea tra l’essere assegnati ai nuovi
dormitori della Yuei e lo scontro con Kacchan che
svelava il mistero del Quirk, con un lasciapassare silenzioso da parte di
quest’ultimo che stupì Izuku all’inverosimile.
Uscire dalla doccia era
un’attiva ripetuta nelle sue abitudini, una necessità, come asciugarsi nel
grande accappatoio verde che si era portato dietro da casa, sfregando i capelli
corvini con un asciugamano, scompigliandoli più di quanto non lo fossero
solitamente. Proprio per quella ragione lo specchio del bagno era appannato
dalla condensa creata dall’incontro di due temperature opposte e Izuku spesso
lo lasciava così come lo trovava, senza preoccuparsi di crearsi uno spiraglio
in cui riflettersi, ma permettendo al trascorrere dei minuti e delle ore di
fare quel lavoro di pulizia.
Nella posizione
precaria in cui si trovava, uno spicchio di vetro riflettente si era
magicamente liberato da solo e con il continuo movimento delle braccia,
dall’alto verso il basso, scomponendo tutto l’accappatoio gigante, Izuku
credette di avere delle allucinazioni portate da quel vortice dinamico
ordinato.
Si freddò sul posto con
esitazione, una curiosità che sormontava tipica della sua voglia incessante di
conoscenza, squadrando lo specchio con un sopracciglio inarcato ed un enorme
punto di domanda che capeggiava sul viso.
Con la mano tracciò una
scia che cancellava passivamente il vapore acqueo saturato, lasciando impresso
le sue impronte e sporcando il vetro, cercando di inquadrare quello strano
bagliore bianco che capeggiava in direzione della congiunzione dell’ascella, ma
poco più in basso. Aguzzò gli occhi e li spalancò spaventato. Pietrificato sul
posto.
Con la stessa mano
bagnata inseguì quei segmenti e alzò terrorizzato il braccio, liberandolo
l’intera spalla dalla spugna verde che l’avvolgeva, smuovendo la pelle e
tirandola, tentato di portarla sotto il suo sguardo, dove poteva effettivamente
accertarsi di cosa fosse impresso a fuoco sul corpo.
I suoi occhi vedevano
sfocato, impossibilitati in quella pratica così contorta, eppure riusciva a
delimitare i tratti di quei ideogrammi giapponesi che si burlavano di lui. In
risposta in suo aiuto, o per misericordia, lo specchio riacquistò lentamente la
limpidezza che lo caratterizzava e, accompagnato da condensa più sottile e
gocce d’acqua, vi rifletté in tutto il suo splendore il nome che gli era stato
tatuato a sua insaputa da Madre Natura, riconoscendo con sgomento la
calligrafia imprevedibilmente curata di Katsuki Bakugou.
Aveva completamente
dimenticato le storie sulle anime gemelle che sua madre gli raccontava, insieme
all’inseguimento di un Quirk che non si era mai palesato, eppure né lei né suo
padre avevano mai ricevuto quella profezia d’inchiostro bianco sulla loro
epidermide.
Era sempre stata una
bella fiaba romantica alle orecchie di Midoriya, non essendo mai stato
testimone di quella prova che in un’ottima percentuale sul pianeta esisteva
davvero. Non gli aveva mai dato alcuno peso, zero interesse. Sua madre non
aveva più ripreso l’argomento dopo che gli era stata diagnosticata la sua
assenza di unicità.
Invece era lì il nome
della sua metà perfetta, assopito da un Quirk mai esistito e svegliato da uno
che gli era stato donato per continuare a rendere il mondo un posto migliore.
La prova indelebile,
incisa col fuoco e sangue di appartenere a Kacchan.
Probabilmente e
sicuramente bussare alla sua porta era un errore magistrale, fatale, eppure era
qualcosa che non poteva trattenersi dal fare.
Non sapeva nemmeno se
la sua titubanza fosse percepibile dall’abbattersi del suo pugno sulla lastra
di legno, di ciò che avrebbe trasmesso a Katsuki, invogliandolo o meno ad
aprire, benché non fosse proprio nelle sue corde. Ma la porta si aprì e
Midoriya poté vedere attraverso lo spiraglio il viso contrito del biondo, gli
occhi ramati che ardevano e quel fastidio imperterrito che provava nei confronti
di tutti, ma soprattutto nei suoi. In fondo non era cambiato nulla.
Bakugou non parlò, non
emise alcun fiato, si limitò alla sua occhiata giudicante e quella domanda
inespressa che trasudava da ogni poro innervosito: che diavolo vuoi?
Ebbe un istante di
incertezza, quell’abitudine che non l’abbandonava a chiamarlo per ritrarsi
indietro, per stare il più lontano possibile dalla persona che era diventato il
suo bullo privato e che combaciava perfettamente con quella che ammirava di
più. Era diventa la meta da raggiungere e da superare. «Posso entrare?».
L’espressione del suo
rivale divenne più arcigna, la chiara risposta negativa che voleva esternare
con tutto il suo essere, ma contrasse appena le spalle e si spostò dall’uscio,
a lasciargli interpretare il messaggio come più preferiva, mentre lui si
allontanava disinteressato.
Izuku apparì ancora una
volta sorpreso, imbambolato sull’ingresso aperto, ma le gambe si mossero da
sole, chiudendo la porta dietro di sé, ed avanzarono prima che il coraggio
sfumasse e la codardia prendesse il sopravvento. Ma una volta all’interno della
stanza in cui non era mai stato, che Katsuki non aveva mostrato a nessuno, quel
moto di interminabile vigliaccheria fremette ed improvvisamente si ritrovava
con la bocca secca e un’inspiegabile incapacità di respirare.
«Deku» nello spettrale
silenzio immotivato e sconosciuto al possessore del Quirk esplosivo, la sua
voce risplendette di fastidio e di una noia non indifferente che gli annunciava
che non voleva perdere tempo.
Midoriya si risvegliò
come se fosse stato buttato malamente giù dal letto, a tradimento, portando le
iridi di smeraldo su quelle di rubino, con un groppo terribile alla trachea che
non riusciva ad ingoiare. «Non me l’avresti mai detto?» domandò con un tono
incontrollatamente piccato, senza che avesse mai voluto essere così brusco o
fargli presente quanto fastidio gli avesse arrecato quella mancanza di un pezzo
fondamentale del loro puzzle che li avrebbe resi completi.
Per i primi cinque
secondi i tratti di Katsuki si contrassero sorpresi e colpiti da quel
temperamento ostile, innalzando un sopracciglio e fissandolo con l’espressione
di ritrovarsi di fronte ad un malato di mente. «Detto cosa?».
Detto cosa, già, non aveva alcuna idea di
come avrebbe dovuto esternare la sua scoperta, quella che gli gravava sul cuore
e che gli lacerava l’anima. Non aveva alcuna parola con cui chiamarla, non
sapeva come avrebbe dovuto proseguire, come riuscire a rimanere integro senza
che Kacchan lo distruggesse una volta per tutte. «Questo» disse con un’ovvietà
lampante nel tono, quasi contenesse tutte le risposte del mondo e il suo
interlocutore sapesse esattamente di cosa stessero parlando. L’erede di All Might si scostò la maglia
senza maniche, accuratezza e tempismo su cui non aveva minimamente rimuginato,
muovendosi solo d’istinto, alzando il braccio incriminato e mostrando il lembo
di pelle interessato.
Ma agli occhi di
Bakugou non c’era nulla di ovvio, di chiaro, di una realtà che era già stata
espressa in passato e di cui si tornava improvvisamente a parlare per
completare un discorso lasciato a metà. Lui non aveva alcuna avvisaglia di che
cosa esattamente dovessero parlare, cosa avrebbe dovuto dirgli, perché mai
avrebbe dovuto guardare un punto in particolare sul corpo di quello stupido
Deku. «Hai perso le poche rotelle che giravano, dannato nerd?».
«Kacchan» lo chiamò in
un rimprovero che lo portasse a muoversi nella sua direzione, quella mezza
supplica che non si era mai spenta nella sua voce adorante, ma Katsuki ghignò
spregevole, la supremazia che non poteva abbandonarlo nemmeno davanti tanta
insistenza che gli scivolava addosso senza che lo toccasse minimamente. «Per
favore, Kacchan».
Ah, le magiche parole che avrebbero
mosso un mondo giusto e corretto, quelle di una persona ben educata e pura
esattamente come si presentava ed effettivamente era quello scapezzato sfigato.
Le parole per cui si sarebbero espugnati e conquistati castelli, in attesa di
un dolce ed eterno pegno. Bakugou non aveva mai ceduto a quella richiesta, mai,
nemmeno una volta; nemmeno nel momento più disperato quando tutto era perduto.
Ma lo era? Era tutto perduto? L’afflizione premente ed evidente che quasi
prendeva vita propria, un corpo tutto suo per mostrare quanto Deku si stesse
lacerando per rendere tangibile ciò che lo torturava.
Katsuki sbuffò
seccamente, eppure non poté impedirsi di avvicinarsi a Midoriya e vedere con i
propri occhi cosa lo premesse tanto.
Gli ideogrammi
verticali di inchiostro bianco si rifletterono sulle iridi infuocate e uno
scoppiettio invisibile scaturì dalle punte delle sue dita.
Izuku lo vide divenire
un blocco di marmo, l’incredulità nelle gemme rosse, insieme allo sconcerto ed
al turbamento, il mondo che improvvisamente gli cadeva addosso e quel dolore
che gli aveva visto per tutta la durata dei tre mesi precedenti. Un’attesa che
aveva aspettato trepidante e che beffardamente non voleva.
«Quindi?» fu tutto
quello che disse, non scomponendosi affatto, rimanendo limpido ed
imperturbabile, senza rabbia, senza scatti d’ira. Era pura indifferenza e
Midoriya non sapeva cosa preferisse tra le due reazioni. Probabilmente una che
esternasse qualcosa.
«Quindi? È tutto quello che hai da dire?» non poteva crederci, non
poteva accettarlo.
«Cosa dovrei dire?»
chiese di rimando con evidente disturbo, quella noia perenne che l’accompagnava
quando l’argomento non lo riguardava in alcuna maniera e si stancava perfino di
ascoltare poche parole. Ma l’inclinazione del suo viso cambiò, i tratti
mutarono più affilati e tutta l’attenzione fu catturata da quel bisogno che il
possessore dell’One for All aveva che esternasse
qualcosa in proposito, impossibilitato dal mollare la presa e continuare
imperterrito a mostrare quelle scritte sulla pelle vellutata. «Cosa ti sei
messo in quella testa bacata?» proferì maligno, il veleno che sgorgava a fiumi
e che serpeggiava nella sua colonna vertebrale. «Hai davvero supposto che tu
possa essere la mia anima gemella?».
Izuku si sentì male,
come mai si era sentito prima, un cuore che era già stato fatto a pezzi più
volte, risanato frammentato nel perdurare del tempo, riempito da
quell’opportunità che All Might
gli aveva concesso, per poi essere torturato ed abusato da tutte le avversità
che continuavano ad abbattersi su di lui, che non si limitavano ad un corpo che
veniva costantemente ridotti in pezzi. Alla fine, ciò che emergeva in quel
tornado senza alcuna intenzione di arrestarsi, era la certezza che Bakugou era
sempre l’artefice del suo malessere, perfino quando non ne aveva le intenzioni.
La presa sulla maglia a
canottiera si allentò, fino a lasciare andare il tessuto, con il braccio che si
abbassava incredulo e quel dolore sordo che sentiva sul petto. «Vuoi dire che
non vale anche per te?» era possibile? C’era qualcosa che lui non sapeva di
quella storia?
«Sempre così ingenuo,
stupido Deku» ghignò malvagio, il corpo che si avvicinava all’altro e la
distanza tra di loro che veniva assottigliata. Gli afferrò l’arto superiore
pieno di cicatrici senza ragione apparente e la presa per i sensi
destabilizzati di Izuku si fece bruciante, con la sensazione che Katsuki stesse
usando la sua unicità contro di lui come faceva un tempo per spezzarlo, ma non
vi era alcun fumo, alcuna scintilla che potesse suggerire ciò. Era soltanto
l’incontro spaventoso delle loro epidermidi che ardevano insieme. «Hai creduto
davvero di essere la mia metà?» alzò il braccio e lo portò alle labbra,
depositando al centro del polso interno un bacio di lava, esattamente dove
sentiva pulsare il battito cardiaco. «Puoi anche crederci, per quel che vale.
Puoi soccombere a quel pensiero che ti tormenta di appartenermi, in fondo
abbiamo sempre saputo quanto in verità tu mi appartenga a prescindere» lo tirò
dal legame che stava perdurando, buttandoselo quasi addosso, addentandogli
ferino l’apparato auricolare, incendiandogli il nervo acustico. «Non mi importa
affatto di te, ma se preferisci cullarti in questa bella fiaba delirante,
soccomberai per il dolore».
Katsuki lo piantò al
centro della stanza come uno stoccafisso, il respiro caldo che ancora si
abbatteva sull’orecchio e l’esitazione che l’aveva accompagnato da quando gli
aveva schioccato quel bacio ingannatore sulla pelle, divenendo quasi un
ulteriore marchio di quel legame voluto dal destino che li univa oltre
qualsiasi possibilità di scelta.
Eppure Bakugou aveva avuto
quella lungimiranza di abbandonarlo, di sentire la necessità di allontanarsi il
più possibile, uscendo e percorrendo miglia che lo portassero oltre qualsiasi
distanza dal proprio alloggio, lasciandovi dentro il suo disastroso
interlocutore e la piaga peggiore che potesse capitargli.
I giorni successivi non
furono migliori, perfino quel poco dialogo che consisteva in insulti ed urli,
sopportati con grande padronanza e pazienza da Midoriya, era quasi stato
debellato. Ad Izuku non rimaneva che fissare quella schiena che gli veniva
costantemente rivolta contro, in ogni aspetto della sua vita, seduto al suo
terzo banco davanti a Katsuki, contemplando il punto in cui gli aveva
depositato quel bacio con tutta l’intenzione di essere di dispetto, ma che
scivolava nell’adorazione e Deku l’aveva sentita tutta.
Era così ironico
ritrovarsi costantemente e ripetutamente nella sua linea d’aria, sempre a pochi
centimetri l’uno dall’altro, eppure gli veniva continuamente sbattuto in faccia
quanto fossero distanti galassie intere. Perché l’universo persisteva a farli
orbitare incessantemente intorno senza mai stancarsi e lasciarli incontrare
davvero?
Kacchan sentiva il suo
sguardo insistente su di sé? Era consapevole di quella mancata chiarificazione
tra di loro? Che il non sapere era peggiore di qualsiasi risposta avrebbe
potuto ottenere?
«Cosa gli hai fatto?»
se non era quello stupido di Deku a remargli contro, c’era
sicuramente qualcun altro a farlo in sua vece, quasi fosse una missione di cui
magicamente l’intera classe era stata investita.
Una volta non c’era
nessuno per Deku, una volta era lui a difendere gli indifesi e quelli che
Bakugou prendeva di mira, fino a diventare egli stesso la sua vittima numero
uno. «Di grazia, a chi ti riferisci?».
«Midoriya» proferì
pacatamente Todoroki, unica risposta possibile.
Non era nemmeno tanto
difficile in effetti. «Perché pensi che gli abbia fatto qualcosa?» ormai
tendeva soltanto ad ignorarlo, gli inveiva contro soltanto quando non gli
lasciava altra scelta. Per il resto era inesistente.
«Ha quell’espressione»
disse con ovvietà, l’impossibilità che il suo interlocutore non sapesse affatto
a cosa si riferisse.
«Quale espressione?»
ora si stava seriamente innervosendo. Non solo lo accusavano di qualcosa che
non aveva fatto, disinteressandosi del nominato totalmente, ma tutti avevano il
vizio di parlare esternando soltanto una parte del discorso, come se lui fosse
un veggente ed avesse ogni risposta dell’intero creato. In più si parlava di
quel bastardo a metà che spicciolava parole stanziate e contate perfettamente
nemmeno gli costasse una profonda prova fisica.
«Mi struggo per Kacchan» dichiarò con intenzione, una glacialità
onirica nel tono vocale, quasi avesse realmente proferito qualcosa di
ampiamente riconosciuto e che avesse veramente quel titolo.
Il possessore del Quirk
esplosivo lo guardò storto, sottolineando di essere stato insultato. «Ti
diverti a dare nomi alle cose?».
Shouto non si scompose
affatto, rimanendo imperturbato. «Mi limito solo ad ascoltare» che lasciava
intendere che a dare nomi perfino ai tratti che prendeva una persona in una
determinata circostanza non era il suo passatempo preferito, ma quello di
qualcun altro della classe. «Ma è difficile ignorarlo, salta subito all’occhio
quando si tratta di te».
Aveva davvero
un’espressione tipica che prendeva forma quando Izuku si dannava per lui, una
tale deformità facciale evidente che tutti lì dentro sapevano individuare e
classificare? «Non sono colpevole di nulla».
«Sarebbe la prima
volta» Todoroki non era convinto affatto, ma non aveva prove per trattenerlo e
farlo parlare. E sicuramente non avrebbe mai proferito una parola con lui.
Nessuno dei due fiatò e
nessuno dei due diede l’intenzione di voler andare via o che fosse prossimo a
farlo. Rimanevano semplicemente affacciati alla balaustra in uno degli angoli
poco frequentati dell’edificio scolastico, dov’era facile trovare solitudine e
non essere disturbati, ma a quanto pareva qualcuno era in grado di trovarlo.
Anche Midoriya sapeva dove rintracciarlo? «Hai ricevuto il tuo tatuaggio?» non
c’era una vera motivazione che aveva portato il biondo a chiederlo, era stato
naturale, quasi essenziale; un tarlo nella sua testa che non voleva saperne di
andare via.
«Il tatuaggio?» domandò
di rimando Todoroki, fissando una parte non bene identificata delle sue braccia
appoggiate sul metallo. «Il nome, intendi? No» le rigirò quasi ad averne la
certezza, con il piccolo sentore che forse gli fosse sfuggito ad un certo punto
della sua vita. «Non sono nemmeno convinto che lo riceverò» come avrebbe potuto
se era nato in una casa senza alcuna manifestazione d’amore di un qualche
genere.
Katsuki non ribatté e
l’argomento sembrò morire lì.
«Oh» proferì Shouto
improvvisamente, un bagliore illuminato che colpì i suoi occhi eterocromatici.
«È questo che è successo? Midoriya ha ottenuto il suo tatuaggio e quel nome è
il tuo?».
Katsuki sbiancò in un
battito di ciglia e Todoroki non si perse quel cambiamento in tutto il suo
assetto. «Quindi è così» decretò senza alcuna esitazione.
Bakugou ancora una
volta non ribatté, che fosse per non ammetterlo o perché ci fosse qualche altra
ragione non comprensibile non era dato saperlo. «Cos’ha fatto? L’ha visto ed è
subito corso da te per confrontarvi?».
«È fatto così» dovette
ammettere il biondo in una simulazione di essere stato messo sotto torchio.
«Non sa tenersi nulla per sé».
«Si sta davvero
struggendo per te» lo accusò di rimando, il tono che prendeva consistenza e
quella certezza di aver smascherato l’ingannatore. «Il suo prezioso Kacchan
l’ha rifiutato».
«Piantala, bastardo a
metà» lo freddò in un’esclamazione infastidita ed arrabbiata, i gangheri che
volevano avere la meglio e quella calma apparente ed innaturale che desiderava
essere cancellata.
«Vuoi negarlo?» inveii
con fermezza Todoroki, fissandolo dritto nelle iridi ramate, tenendogli testa.
Katsuki digrignò i
denti e l’esplosione in avviamento nelle sue dita era palpabile. «Non sai
niente».
«E il tuo di
tatuaggio?» Bakugou era pronto ad andare via e lasciarsi tutto quello alle
spalle, come se non fosse mai esistito, rinnegando qualsiasi risoluzione per un
problema che non riconosceva. Che non voleva riconoscere. Ma Todoroki non era
disposto ad arrendersi così facilmente. «Ora ti dirò cosa penso» ma a Katsuki
non importava affatto delle sue riflessioni, non gli importava di nulla e
nessuno a parte se stesso. «Tu hai già ottenuto il tuo
tatuaggio, sicuramente molto prima di lui, e quel tatuaggio porta il nome di
Midoriya» non aveva delle prove che attestassero la sua credenza, ma avendo
imparato ad osservarli, a vederli relazionare, rifiutare, sbattere contro muri
per allontanarsi, perfino Bakugou aveva germogliato un’espressione che
connotava in quello stupido Deku mi
distrugge e c’erano illimitati modi e scenari in cui ci sarebbe riuscito
concretamente.
Il fumo fuoriuscì dalle
orecchie del possessore dell’unicità dell’esplosione, facendo presumere
l’arrivo di uno dei suoi letali attacchi d’ira, ma i suoi lineamenti beffardi
ed affilati presero il sopravvento. «È un peccato che il suo nome non sia il
tuo, questo non vuol dire che tu non possa prendertelo».
Stava giocando sporco
ed era irrispettoso. «Me lo cederesti?» ma anche Todoroki sapeva essere
scorretto.
Il biondo esitò per una
frazione di secondo che agli occhi glaciali di Shouto fu fatale. «Trovi davvero
così terribile che il tuo nome sia il suo, Bakugou?».
Katsuki lo fissò con un
astio tangibile che quasi lo spodestò, uno sguardo talmente omicida da lasciare
il segno, ma tutto quello che fece fu allontanarsi e tornare sui suoi passi, in
una direzione completamente opposta a dove si trovavano.
Todoroki era sicuro che
si sarebbe scatenato distruggendo tutto quello che gli capitava a tiro, lontano
da occhi indiscreti. «Midoriya è la persona migliore che potrebbe capitare
nella vita di qualcuno».
Sì, concordò Katsuki, ma era lui a
non esserlo.
«Kacchan» lo richiamò
dal mondo dei dormienti con quell’inclinazione leggera e sempre attenta, che
aveva la precisa missione di non disturbarlo troppo, ma di essere delicato.
Lui e la delicatezza,
per Katsuki erano due universi paralleli che non si toccavano mai, non c’era
nulla di delicato nel suo essere che portasse qualcuno ad avere quel tipo di
accuratezza, o qualsiasi altra, nella sua direzione, eppure per Izuku appariva
naturale. «Che diavolo vuoi, Deku?».
Si ridestò dalla
panchina in cui era andato a nascondersi, evitando impiastri e seccature di
ogni genere, lasciandosi cullare dalla temperatura estiva che ancora impregnava
l’aria, permettendogli d’apprezzare la natura incontrastata. «Hai saltato il
pranzo» dichiarò Midoriya con trasparenza, sedendosi sul bordo della seduta di
metallo, lì dov’erano distese scompostamente le gambe dell’interlocutore.
Katsuki lo vide il
pacchetto che il corvino teneva tra le mani con attenzione, avvolto con
maestria e pronto per essere offerto. Lo fece ribollire. «Dannazione, patetico
nerd, puoi smettere per cinque minuti di comportarti come una mogliettina
apprensiva?».
Izuku lo guardò per un
eterno secondo nel suo silenzio più micidiale. «Dovrei smetterla di
preoccuparmi per te?».
Eccola là, la sua
sincerità candida che non poteva essere abbattuta per quanto ci si provasse.
Katsuki vi aveva messo davvero tanto impegno per annientarla, ma non era valso
a niente. «Te l’ho già detto in passato, più volte».
Eppure, per quanto si
impegnasse tanto a remargli contro, quel benedetto pranzo a sacco che era stato
preparato al volo per lui, vagliando nella mensa in cerca di qualcosa di
pratico, lo accettò e lo prese tra le mani, spacchettando l’imballaggio
improvvisato. Erano panini imbottiti e dentro vi erano esclusivamente gli
ingredienti che al biondo più piacevano. Era proprio una perfetta mogliettina
diligente. «Sprechi tante energie, Kacchan, saltare i pasti non è
consigliabile».
Katsuki strappò un
morso con violenza, masticando a bocca aperta volutamente per dargli fastidio.
«Non ti stanchi mai di darmi addosso?».
Midoriya abbassò il
capo, sfuggendo ai suoi occhi attenti, incupendosi velocemente. «Mi dispiace».
«Dannazione, Deku, non
devi scusarti» non c’era nulla che lo mandasse fuori di testa come quella
sottomissione immotivata. «Non sei un tappetino su cui strisciare le scarpe
logore. Non devi prostrarti» con quella furia l’attirò a sé afferrandolo per
l’avambraccio più vicino, scuotendolo con rimprovero.
Le gemme di smeraldo si
incastrarono alle sue e tutto prese una connotazione differente, più seria,
piena di sottintesi e parole non dette. «Prostrarmi? Non sarebbe l’ideale per
te? Continueresti ad essermi superiore».
Midoriya aveva uno
strano modo di mettere in evidenza le cose, di affrontarlo e fronteggiarlo e
Katsuki doveva ancora scendere a patti con quella realtà. «Non è quello che
voglio».
«Cos’è che vuoi,
Kacchan?» domandò con intensità e significati multipli, la stessa intensità con
cui non smetteva di guardarlo, dando la sensazione che fosse in attesa di
qualcosa. Ma quel qualcosa Bakugou non poteva darglielo.
Le dita bronzee scesero
dall’avambraccio al polso che soltanto cinque giorni prima gli aveva baciato,
con l’irrefrenabile impulso di poggiarvi le labbra e schioccarne uno nuovo.
Cos’era accaduto? Cos’era cambiato in quel frangente di tempo enormemente corto
da portarlo ad abbassare la guardia così tanto, dopo aver lottato per anni per
non cedere e prendersi quello che desiderava; che era lì a portata di mano,
così facile ed estremo che non avrebbe incontrato alcuno ostacolo? Gli ostacoli
li aveva creati lui coscienziosamente.
Le iridi ramate per un
gioco malsano caddero sul punto sotto l’ascella coperta in cui sapeva
esattamente cosa vi ci celasse; l’aveva visto soltanto per qualche secondo, ma
l’aveva marchiato a fuoco sulle retine.
«Mi dirai mai del tuo
tatuaggio?» chiede Izuku di punto in bianco, seguendo
un filo dei pensieri muto e noto soltanto ai due presenti, individuando la
direzione presa dal suo sguardo perforante. Bruciava esattamente come se glielo
stessero incidendo tra le fiamme in quello stesso istante.
«Non ho mai detto di
averlo» Midoriya era incredibile quanto fosse testardo, esattamente come lo era
lui. Dio, erano la coppia perfetta.
«Giusto» proferì
flebile il successore di All Might,
scostando il capo e perdendo tutta l’attenzione per il suo antico amico.
Le dita di Katsuki non
avevano abbandonato per un solo attimo il polso di Midoriya, il pollice
rimaneva esattamente al centro del punto interno, lì dove poteva sentire
sottopelle il battito cardiaco pacato e fluido com’era Izuku stesso, con una
forza inimmaginabile che lo contraddistingueva e lo faceva emergere in mezzo
alla moltitudine delle genti.
Prese ad accarezzarlo
lievemente con il polpastrello senza minimamente rendersene conto. «Il
tatuaggio non è una condanna, non è qualcosa che non può essere contrastata o
rifiutata. È come una linea guida, sei libero di scegliere chi vuoi, di
innamorarti di qualsiasi persona tu ritenda adatta» a volte rimanere con
l’anima gemella designata era la condanna.
«E se a me andasse bene
così?» chiese retoricamente il corvino, riportando gli occhi boscosi in quelli
cremisi. «Se io accettassi totalmente ciò che il destino ha avuto in serbo per
me? Se io accettassi senza riguardi il tatuaggio che porta quel nome
specifico?» le falangi ricche di cicatrici scivolarono sotto l’incredibile ed
inaspettata presa delicata di Katsuki, intrecciando largamente e priva di
qualsiasi pressione le dita alle sue. Era un incastrò talmente precario ed
instabile che sarebbe bastato un battito di ciglia per sgretolarlo
perennemente. «Kacchan, lo sai, no? L’hai detto tu stesso, a prescindere da
tutto, ti appartengo. È sempre stato così».
Le pupille nere si
dilatarono nel rosso oro e l’imprevedibilità degli eventi lo scossero come mai
era accaduto. Fissò attonito la trama tra le loro mani talmente evanescente da
spaventarlo e guidato dal suo sadismo autolesionistico si abbassò
sull’intreccio, depositando lo schiocco delle labbra sulle falangi che lo
bramavano ed attendevano. «L’ho detto, eh?» era talmente ubriaco di Izuku
Midoriya da ucciderlo.
Il possessore dell’One
for All fu così attonito e scottato da tremare
vistosamente, ma tentò di rimanere saldo e non sciogliersi come neve al sole.
«Non sono stupido, Kacchan».
Bakugou gli depositò un
nuovo bacio su quel fantomatico polso interno che desiderava, imprimendosi
sulla bocca il movimento dell’organo cardiaco che aveva preso a battere più
velocemente ed incessantemente, ghignando appena malevole, lambendogli
l’epidermide con la punta del naso, inebriandosi dell’odore dolce e burrascoso
del ragazzo davanti a sé. «No, non lo sei» benché non vi era stata alcuna
conferma e si rifiutasse di rivelarlo, Midoriya aveva dedotto in una buona
percentuale cosa celasse il possibile inchiostro bianco indelebile protetto da
Katsuki.
Fu per quello che
Kacchan probabilmente lo acchiappò, attirandolo a sé con insospettabile
leggerezza, catturandogli la bocca nella sua, rimandando e cancellando
qualsiasi chiarimento dovessero affrontare.
Se non lasciò cadere
sul terreno sabbioso il panino toccato accidentalmente da suoi denti che al
momento si nutrivano delle labbra dell’altro, fu soltanto per una forma di
rispetto per la cura che Deku aveva dimostrato nei suoi riguardi, in barba a
qualsiasi sua avversione e manifestazione di rifiuto.
Gli sciocchi perpetui
delle labbra riecheggiavano tra le pareti della camera da letto del ragazzo
dalla testa calda, accompagnate dai risolini e mormorii di Izuku, la
venerazione che Katsuki stava dedicando a quel particolare lembo di pelle,
baciando ogni ideogramma verticale che cantava il suo nome.
«Kacchan» esattamente come
lo cantava Midoriya.
Erano sdraiati sul
letto, Izuku lo sovrastava dall’alto, coprendo l’intero corpo del biondo, ma
era evidente chi avesse la supremazia sull’altro.
Bakugou lo fissò dalla
posizione svantaggiosa, ma di comando in cui si trovava, scombussolandolo. «Ti
stai lamentando?».
«No» certo che no, ma
Katsuki amava infierire in ogni momento, in un continuo scacco matto. «Sto solo
notando che ti piace».
«Sei proprio un
ingenuo, Deku» lo fulminò il vecchio amico d’infanzia, quella rabbia unito a rimprovero
che in nessun caso spariva via. «Hai mai pensato che mi stia approfittando di
te?».
«Approfittando di me?»
gli fece eco il possessore dell’One for All confuso,
depistato completamente dalle insinuazioni dell’altro.
«Sì» confermò l’altro,
depositando un nuovo bacio al limite del petto di Midoriya, schioccandone uno
successivo al centro, al confine con la maglia che ancora lo rivestiva, e
saltando direttamente sul collo, addentandogli il pomo d’Adamo e leccandolo con
lussuria. «Ti sei praticamente concesso senza riserve».
Izuku ridacchiò
deliziato alle attenzioni di Katsuki ed egli lo osservò attento, incontrando
quel sorriso magico che illuminava tutti i dintorni circostanti. «Non ti ho
insegnato a guardarti dai brutti ceffi, stupido Deku?».
«Ah, è questo che hai
fatto?» lo punzecchiò il corvino seguendo il suo gioco di botta e risposta, con
tono impudente e pieno di impliciti.
«Precisamente» ringhiò
a denti stretti, catturando un nuovo lembo di pelle tra essi e tirando con
dispetto, circondandogli i fianchi con forza e possessività pericolosa. «Posso
fare di te ciò che voglio e non mi fermeresti» la voce divenne cavernosa,
viscerale e zeppa di intenti sporchi.
«Vuoi approfittarti di
me, Kacchan?» domandò Izuku con la purezza e la dolcezza che lo caratterizzavano,
quelle che dedicava a tutti, ma soprattutto a lui, cancellando tutto il marcio
che li accerchiava e rendendo il mondo un posto migliore con la sola sua
presenza.
Approfittarsi di lui,
che idea sciocca; Kacchan stava soltanto contemplando e venerando quella
calligrafia bianca eterna che portava il suo nome, imprimendosela sotto le
labbra e decantandola con i baci. L’aveva soltanto liberato di una manica per
potercisi dedicare totalmente senza strati di stoffa che gli arrecassero
disturbo, ma non aveva osato toccare una parte di pelle diversa da quella a cui
si era interessato.
Katsuki sbuffò
contrariato contro il collo, stufo di dover trovare il modo di non perdere. Lui
non perdeva mai. «Forse».
Izuku gli sorrise
calorosamente, catturandogli la bocca in un bacio pieno di contentezza e
abbracciandogli subito dopo la testa, riportando tutto alle postazioni
iniziali. Bakugou non si oppose.
Nella situazione
precaria in cui si trovavano le dita di Katsuki tornarono a lambire il tatuaggio,
ricalcando ideogramma per ideogramma, quasi assorbendoli sul polpastrello
dell’indice. «Kacchan?» era talmente sovrappensiero che richiamò l’attenzione
di Izuku, preoccupandolo oltre modo.
«Kacchan, Kacchan» gli
fece eco il possessore del Quirk dell’esplosione, senza alcuna inclinazione
particolare né derisione di qualche genere, c’era qualcosa di più particolare e
rumoroso, una nota di avversione verso se stesso. «Non
hai mai smesso di chiamarmi così».
«Non dovrei?» la
preoccupazione aumentò, ma rivolta verso altro, verso quel grumolo di lettere
morbide. «Non ti piace?».
«Piacermi?» Katsuki
soppesò la richiesta genuina e allarmata di Izuku, continuando ad accarezzare
il nome impresso sulla sua pelle. «Non ho mai avuto problemi con quello, puoi
chiamarmi come preferisci».
Midoriya lo scrutò con
interesse, inclinando leggermente il capo e cambiando prospettiva. «Ma?».
«È così dolce, pulito, carino» Katsuki a quel punto sorrise
ilare, con una punta di divertimento burlesco verso la sua stessa persona. «Non
mi descrive affatto, ma lo dici sempre con affetto e familiarità» la mano
liberta si inabissò tra i capelli corvini, trattenendo le ciocche tra le
falangi e puntando gli occhi cremisi in quelli di giada. «Forse mi piace
troppo».
I tratti di Midoriya si
ammorbidirono e le labbra si curvarono verso l’alto, nel più spettacolare dei
sorrisi. «Oh, Kacchan, hai il cuore tenero».
«Vuoi morire?» domandò
retoricamente, afferrandolo malamente e il fuoco che minacciava tempesta. «Non
istigarmi a farti esplodere la testa» ma Izuku rideva di autentico
divertimento, incapace di fermarsi e accresciuto dalle reazioni esagerate di
Bakugou che lasciavano precipitare gli eventi.
Katsuki lo piantò sul
letto ormai mezzo sfatto, ribaltando le posizioni e trovandoselo totalmente alla
sua mercé, le risate ricche di Izuku continuarono finché non recepì lo sguardo
bruciante del padrone della camera. Il silenzio impregnò la camera e Midoriya
non sapeva come avrebbe dovuto agire.
«Non hai la minima idea
da quanto stessi aspettando» dichiarò Bakugou in un tuono, devastando quello
sprazzo di spensieratezza che li aveva avvolti.
Izuku si sentì morire,
non sapeva nemmeno per quale ragione, ma la cadenza straziante della voce di
Katsuki, il dolore che gli aveva visto negli occhi per anni erano tutti lì e
convogliavano nella sua direzione. «Questo?» sbiascicò con difetto, la
secchezza nella bocca e una mano che andava a coprire la scritta bianca.
Le dita di Bakugou
andarono a sfiorare le sue, lambendo con accuratezza il tatuaggio e regalandogli
un bacio esattamente a metà tra i due nomi, toccando la fine di uno e l’inizio
dell’altro. «Questo».
«Kacchan» non lo stava
chiamando, gli stava dicendo parlami,
con quella comprensione disumana e fuori dal comune che gli arrovellava lo
stomaco.
«È apparso tre mesi
dopo il Quirk, nel cuore della notte» lo informò con fermezza, una sorta di
distanza che lo estraniasse, non rendendolo il vero protagonista dell’evento.
Nella pesantezza della
camera privata di qualsiasi suono creata da quella rivelazione, il cuore di
Izuku si fermò e l’anidride carbonica graffiò per uscire e scambiarsi con
l’ossigeno. Gli occhi si sgranarono incontrollati e l’incredulità crebbe.
«Cosa? Avevi… avevi quattro anni» davvero, davvero poteva accadere così presto?
Segnare un bambino che doveva già affrontare la scoperta della sua unicità e
imparare a controllarla, con l’ulteriore peso di essere già condannato ad
essere legato perennemente con una persona. «Qual è il nome?».
Katsuki sorrise con
quell’impertinente curva diabolica e di chi si stesse prendendo gioco di lui,
aspettandosi esattamente quella reazione goffa ed incerta. «Non lo indovini?».
Non era una domanda
sciocca o stupida chiederglielo, non gli aveva dato alcuna sicurezza in
proposito; al contrario era stavo vago e ci aveva giocato su, non volendo
scoprire le sue carte. Non volendo scoprire la propria persona. Era sicuro che
Bakugou l’avrebbe fatto dannare per anni senza mai rivelarglielo. «Kacchan»
lamentò lacerato, gli occhi annacquati e il cuore che si stringeva su se stesso. «Hai sempre… per tutto questo tempo» singhiozzò
senza controllo, le lacrime che gli irrigavano il viso e una mano che andava a
tappare la bocca, per soffocare quel piagnisteo che non gli dava tregua.
«Perché?» ma conosceva quella risposta, il suo tormento, l’orgoglio da tenere
alto e tutto quello che Bakugou considerava un affronto. «Per tutto questo
tempo hai pensato che non avresti mai saputo se fosse un fato condiviso, se ti
avrei mai ricambiato, se fossimo davvero destinati ad essere noi e nessun altro».
Izuku piangeva sempre,
continuamente, per qualsiasi cosa. Era il suo modo di sfogarsi, di far
trapelare come si sentisse, da quello Katsuki aveva saputo in ogni occasione
cosa vi fosse in lui, cosa lo angustiasse e lo divorasse; l’ultimo pezzo per svelare
la verità sul Quirk apparso magicamente gli era stato fornito da quello. «Ho
pensato fosse un brutto scherzo dell’universo, legarmi a qualcuno che non
avrebbe mai ricevuto in nessuna circostanza il suo segno».
Il successore di All Might gemette soffocato,
ispirando rumorosamente dal naso. «Eri certo di appartenermi, ma non avevi idea
a chi appartenessi io».
«Sono sempre stato
possessivo» ironizzò il ragazzo dall’unicità dell’esplosione, asciugandogli le
lacrime con accuratezza.
«Ma…» ispirò nuovamente
il corvino dal setto nasale, assaporando il contatto caldo dell’altro e la
devota attenzione che gli stava dedicando. «Hai detto che in fondo siamo
liberi».
«Predico bene, razzolo
male» sminuì come se niente fosse, quel sarcasmo un po’ brusco e poco compreso.
«Era un affronto dopotutto; in qualche modo mi avevi battuto, avevi la
supremazia su di me, un marchio di cui non potevo sbarazzarmi. Una grandiosità
come me legato ad un insetto come te» Izuku lo guardò offeso, benché le lacrime
non smettessero di proseguire per il loro corso e Katsuki con le labbra
inarcate all’insù gli depositò un soffio di bacio sull’avambraccio interno.
«Dovevo separarti da me. All’inizio volevo soltanto mettere più distanza fra di
noi, finché non saresti sparito, ma eri troppo insistente, sempre in mezzo ai
piedi, a piangere, a blaterale e difendere gli indifesi quando era tu il più
indifeso. Alla fine volevo soltanto darti il tormento
e distruggerti».
Un silenzio
agghiacciante cadde su di loro e le labbra di Izuku si socchiusero, insieme al
prosciugamento delle scie d’acqua salata di cui rimanevano tracce fantasma.
«Non devi accettarlo, Deku. Non voglio che l’accetti».
«Vuoi vietarmi di
sceglierti?» domandò in tutta risposta, la scintilla combattiva che si
accendeva nei suoi occhi di smeraldo.
Dio, quant’era testardo. «Ti chiedo di
essere ragionevole. Voglio che tu sia ragionevole» che era praticamente come
perdere fiato.
«Perché?» la domanda
era sincera, autentica, bisognosa di conoscere la risposta.
Glielo stava chiedendo sul
serio? Non era abbastanza intelligente da arrivarci da solo? «Ti ho fatto del
male. Tanto male e parte delle tue cicatrici te le ho procurate io» erano
piccole, quasi insignificanti e bianche, esattamente come il colore
dell’inchiostro dei loro tatuaggi gemelli. «Continuerò a farti del male».
«Kacchan» lo richiamò a
sé, prendendogli il viso tra le mani e obbligandolo a tenere lo sguardo fisso
su di lui. «Per chi mi hai preso? Pensi che una volta che non abbia lasciato
perdere in passato, possa farlo adesso? Non mi sono mai arreso con te, come
puoi pensare che ceda proprio arrivati a quanto punto?».
«Non è questione di
cedere, ma non puoi dimenticare quello che ho fatto, che continuo a farti e che
sicuramente andrà avanti. Non può andarti bene, dannazione» diavolo, non andava bene nemmeno a lui,
si infuriava da solo e avrebbe voluto prendersi a pugni.
«Non ho mai detto che
mi vada bene» puntualizzò Izuku con fermezza, guardandolo giudicante, come se
davvero si aspettasse una tale mancanza di forza da parte sua. «Ma le cose
facili non piacciono a nessuno. Stai parlando di me, Kacchan; c’è qualcosa di
facile nella mia vita?».
Facile. Aveva vissuto tutta la sua vita
insultato, deriso e preso di mira da tipi irascibili e privi di disciplina come
lui; Katsuki era stato il suo più fedele aguzzino e l’aveva sminuito nei modi
più deplorevoli, ridendogli in faccia e sentendosi in alto più di lui che non
valeva niente.
Aveva vissuto piangendo
per un sogno che non avrebbe mai potuto realizzare, privato in partenza del dono
che l’avrebbe condotto verso quella strada, tentando in tutti i modi di
rafforzare qualsiasi tipo di Quirk gli sarebbe toccato.
Aveva vissuto con
l’incredibilità che un giorno sarebbe stato scelto da All
Might in persona e gli avrebbe ceduto la sua unicità;
da quel momento Izuku si era ritrovato come un pesce fuor d’acqua, davanti
l’inesperienza di saper gestire un Quirk che tutti gli altri aveva iniziato a
padroneggiare fin dalla tenera età.
Si era rotto pezzo dopo
pezzo, aveva perso e vinto, aveva pianto e urlato ed era stato smascherato da
Bakugou in persona che aveva giurato di annientarlo.
Izuku era solo
all’inizio del suo apprendistato e per la via che l’avrebbe portato a divenire
un Hero, combattendo per imparare a sfruttare un’unicità che non gli
apparteneva, ma che avrebbe reso sua. «No».
Midoriya sorrise solare
e inclinò la testa con tenero divertimento. «Allora come potresti essere tu
quel tassello?».
Giocava sporco la
pulce. «Adesso è diverso».
«Perché?» chiese
retoricamente, facendo risuonare la risposta nella domanda stessa. «Perché
siamo rivali, ambiamo allo stesso titolo e ci facciamo la guerra?».
«Soprattutto» convenne
il possessore del Quirk dell’esplosione.
«Non possiamo essere
amanti e rivali?» propose promettente Midoriya, trovando il cavillo.
«Amanti e rivali?»
domandò dubbioso e sprezzante il biondo, non vedendoci nulla di buono.
Izuku lo guardò
bonario, dedicandogli quell’occhiata che gli suggeriva che ne sapesse più di
lui, quasi compatendolo soltanto per indispettirlo. «Voglio battermi con te,
tenerti testa e superarti, ma voglio raggiungere quel traguardo insieme a te, a
condividere lo stesso titolo. Voglio camminare al tuo fianco e amarti».
«Vuoi amarmi?» domandò
di rimando, penetrandolo con gli occhi infuocati. «Comincia da adesso».
Izuku lo guardò
sbalordito, non credendo minimamente di aver fatto centro con il suo discorso,
ma non captò l’agguato che Katsuki gli riservò, sopraffacendolo e
impossessandosi della sua bocca, esplorandogli senza indugi la cavità orale.
«Non mi batterai mai, stupido Deku».
Midoriya ridette
scomposto, aggrappandosi forte al ragazzo esplosivo e immergendo le dita tra le
ciocche dorate. Da lì fu un attimo la lotta per la supremazia.
«Ehy,
Kacchan, dov’è il tuo tatuaggio?» domandò tra una morsa e l’altra,
monopolizzando il letto sempre più scomposto ed indifferente al padrone della
camera.
Katsuki gli addentò il
labbro inferiore con forza dispettosa, leccandoglielo subito dopo come a
lenire, ma fondamentalmente per provocarlo. «Non lo saprai mai».
«Kacchan!» si
indispettì lamentoso, venendo messo a tacere dalla bocca spavalda dell’altro
che aveva tutta l’intenzione di distrarlo.
Non sarebbe stato
davvero un mai, un giorno Izuku l’avrebbe visto, ma soltanto quando si
sarebbero messi a nudo metaforicamente e letteralmente. Quando Katsuki avrebbe
combattuto contro l’imbarazzo di lasciarsi vedere così vulnerabile, mostrando
una parte della sua intimità più nascosta e Midoriya avrebbe incontrato i segni
bianchi sull’interno coscia sinistra, orizzontali e
non verticali, con dimostranza di volersi nascondere fino alla fine.
Avrebbe baciato in un
battito d’ala di farfalla il suo nome inciso sulla pelle di Kacchan,
esattamente come aveva fatto lui tempo addietro e l’avrebbe venerato con lo
stesso sentimento, finché successivamente si sarebbe scostato per lasciarsi
amare e fondersi in un solo essere con il ragazzo che non aveva mai voluto
togliersi dalla testa, malgrado tutte le avversità.
La battaglia era
terminata soltanto da una decina di minuti, i soccorritori serpeggiavano qua e
là a salvare il salvabile e la stampa li chiamava a gran voce, esigendo la loro
presenza, ma avevano bisogno di prendersi degli attimi per respirare di nuovo.
«Stupido Deku, ti
struggi per me?» era stato uno scontro difficile e prolungato, pieno di insidie
e inganni, piccole trappole disseminate ovunque andassero, a intralciarli ed a
fargli perdere tempo prezioso.
Midoriya aveva perso
Bakugou di vista nel momento in cui si era spinto troppo in là, lasciandolo
indietro e proseguendo da solo nella tipicità della sua testardaggine
orgogliosa, l’arroganza di primeggiare e avere un vantaggio su di lui. Per
tutta la durata della separazione era stato in apprensione, cercando gli scoppi
e le fiamme delle sue esplosioni che gli suggerissero dove si fosse andato a
cacciare e se stesse bene; in tutto quello aveva dovuto tener testa al suo
avversario e batterlo, senza perdere di vista i civili e aiutandoli nei momenti
propizi.
Ad un certo punto la
sua croce personale si era ripresentata senza nemmeno un graffio, ma con il
nemico nel sacco e il suo sorriso da sbruffone vittorioso; soltanto a quel
punto Izuku si era permesso di tornare a respirare. «Sempre».
Tra la polvere di
fuliggine e le nuvole di fumo che popolavano il campo di battaglia, Katsuki se
lo tirò contro, immergendo le dita svestite dal guanto macchiato tra i capelli
corvini e aggrovigliati, liberi da quel ridicolo cappuccio con le orecchie da
coniglio. Lo baciò senza preoccuparsi delle fotocamere e dei flash che
catturavano tutto tranne che loro due, tirando le ciocche e Midoriya stesso,
mentre quest’ultimo lo imitava ed inoltrava le falangi nude tra i fili del
colore del grano, rispondendo con lo stesso ardore e prepotenza.
Sull’interno dell’anulare
sinistro di entrambi presenziavano scritte nere ed affini, indelebili ed
eterne. Rispettivamente Deku per
l’uomo dal temperamento vulcanico e Kacchan
per colui che teneva in vita il ricordo di All Might nella storia del mondo.
Sono
ancora sorpresa di trovarmi da queste parti e ancora di più con una soulbond. Era un’idea che ho sempre pensato di usare e
credevo sarebbe accaduto con tutt’altri personaggi ed invece eccola qui, con
chi meno mi sarei aspettata.
Ho
scritto questa fic ben prima che uscisse il
quattordicesimo volume del manga in Italia (quindi sì, seguo l’edizione
italiana) ed essendo nemica degli spoiler non ho mai indagato oltre. Non ho
idea se qualche aspetto sarebbe stato diverso se scritti successivi alla
lettura del fantomatico quattordicesimo volume, ho fatto del mio meglio per
sopperire alla mancanza.
È
una storia non betata, se non da me stessa e in
realtà un altro di paio d’occhi servirebbero sempre, ma da un po’ di tempo ne
sono sprovvista. Chiedo venia per sviste ed errori.
Ringrazio
chiunque passerà di qui, chi le dedicherà un po’ del suo tempo, chi lascerà
qualche parola per esprimere il proprio parere e chi si limiterà a leggerla
semplicemente.
Alla
prossima,
Antys