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Autore: cartacciabianca    05/07/2009    5 recensioni
[ SOSPESA ]
In una New York devastata dalla Guerra tra sani e portatori, sono emersi un gruppo di patriottici eroi. Uomini e donne sottoposti a crudeli esperimenti allo scopo di sopprimere definitivamente il Virus e ogni suo esponente. Sono gli Angeli, nati dalle ricerche fatte sul precedente campione Zeus e protettori della specie umana. La battaglia per il dominio sul pianeta volge al termine dopo due anni di scontri sulla frontiera della scienza e della tecnologia meccanica. Due anni di sangue e vittime innocenti capitate nelle mani dei predatori più spietati.
"Mi sentii puntare sulla schiena qualcosa di estremamente freddo, sottile e affilato più di un rasoio.
Ingoiai a fatica, trattenendo il fiato e sollevandomi sulle punte degli stivali. Dalla mia bocca schiusa venne solo un flebile sospiro quando Alex affondò la lama tra le mie scapole traversandomi orizzontalmente da un capo all’altro. Un fiume di sangue mi bagnò la divisa, raccogliendosi poi sul terreno impolverato tra i miei piedi. Quel rosso vivo e accecante mi finì anche negli occhi, mentre il dolore risucchiava nel suo vortice la sensibilità del mio corpo.
Inclinai la testa da un lato scoprendo una parte di collo, sul quale Mercer posò appena le labbra.
-Sai… ora capisco cosa ci trovava quel Turner di tanto interessante in te- mi sussurrò all’orecchio dopo aver risalito il mio profilo di piccoli baci, minuziosi come graffi. –Quando sanguini così sei davvero eccitante- rise."

[Alex Mercer x nuovo personaggio + altri nuovi personaggi]
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2° - Emily&William


«Per arrivare a quel triste giorno, ho dovuto ripercorrere alcuni nessi della mia mente, alcuni ricordi, alcune emozioni che speravo non avrei mai intrapreso nella mia vita.
Ho fatto cose… che voi neppure immaginate.
Ho conosciuto persone… che hanno tentato di uccidermi.
Ma ne ho conosciute altre… che mi hanno dato troppo del loro affetto, e di cui adesso ho perso completamente la fiducia.
L’epidemia era già cominciata quando ancora vivevo con i miei genitori a Manhattan, in uno dei quartieri intatti ai bombardamenti militari e immuni al virus.
Suonati gli allarmi, io e la mia famiglia ci siamo trasferiti altrove. Sono andata a vivere a Brooklin, col mio ragazzo, William, e ho trascorso lì i giorni del terrore che hanno segnato l’America con una profonda cicatrice.
E’ stato in un attimo, un giorno, un istante… in un secondo!
Mi sono distratta, per la prima volta ero certa che la mia e la vita di chi mi stava attorno sarebbe presto migliorata. E invece, quando pensavo che tutto si sarebbe aggiustato nel migliore dei modi, è cominciato l’inferno…»

Inciampando su un gradino, il ragazzo biondo perse la presa sullo scatolone, e il suo interno si rovesciò sul chiaro parquet del salotto.
-Dannazione!- sbraitò lui chinandosi a raccogliere i libri e vari fogli che erano sparpagliati a terra disordinatamente.
-Willy, cosa…- mi affacciai dalla cucina e lo vidi. –Cosa hai combinato?!- sbottai andandogli incontro.
-Scusa, Emy, ma… sono scivolato, io…- balbettò guardandosi intorno dispiaciuto, gesticolando confusamente.
-Willy, guardami- dissi piegandomi alla sua altezza.
Il ragazzo si volse affranto verso di me, riponendo lentamente un tomo nello scatolone. –Ti guardo, ti guardo…- mormorò.
Gli poggiai una mano sulla guancia. –Qui siamo al sicuro, non pensarci. Il virus non uscirà dall’isola finché non saranno i nostri soldati a permetterlo-.
-Lo so, piccola, ma…-.
-Allora niente ma!- gli sorrisi afferrandolo per i polsi e tirandolo in piedi. –Smettila di stare con la testa in mezzo ai siero positivi, smettila di immaginarteli la notte, smettila, smettila…- gli sussurrai all’orecchio abbracciandolo. –Fallo per me- aggiunsi soave.
Le sue braccia si strinsero attorno ai miei fianchi. –Va bene, ci proverò- mi carezzò la schiena.
-Forza, dammi una mano- ridacchiai cominciando a raccogliere i libri dal pavimento e impilandoli nello scatolone.
Era un ragazzo così dolce, e la sua premura nei miei confronti non arrivava ai livelli di nessun altro. Avevo trovato in lui tutto ciò che potevo desiderare, e altrettanto William sembrava vedere in me. Ci eravamo conosciuti all’Università e da allora non ci separammo mai. All’inizio come amici, e poi come qualcosa di più. Eppure, lui così timido, così riservato, così attaccato al suo mondo e ai suoi corsi di medicina avanzata era finito per tralasciare l’aspetto fisico del nostro rapporto. Quindi mi ritrovavo ancora vergine all’età di 22 anni. Non la consideravo una vergogna, anzi.
Allo stesso modo di come sapevo restargli accanto quando mi rifiutava, lui si mostrava altrettanto fedele.
Si era offerto di ospitarmi in casa sua perché i miei nonni avevano davvero un buco che bastava a mala pena a loro e ai miei genitori. Altrettanto grande era la tana che il mio ragazzo si era offerto di condividere con me, ma non potevo comunque lamentarmi. Dal mio vecchio appartamento avevo portato giusto l’indispensabile e quello scatolone che Willy aveva rovesciato a terra poco prima, e che ora ci apprestavamo a risistemare insieme.
Ad un tratto sfoderai un gioioso sorriso e incontrai i suoi occhi azzurri di svista. Ricambiò la mia allegria con quel trasporto che immaginavo, colorandosi appena le guance.
Stava arrossendo, perché le situazioni imbarazzanti e stupide quando capitavano a lui non gli piacevano proprio.
-Non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza- dissi spezzando quel silenzio.
Il mio ragazzo prese in braccio lo scatolone e si alzò in piedi. –Stai scherzando, vero? Non dovrai mai ringraziarmi, mai- ridacchiò lui andando verso la stanza in fondo al corridoio.
Lo seguii a ruota e lo vidi poggiare la scatola sulla piccola scrivania presente nel locale, che doveva trattarsi della sua camera da letto.
Era piuttosto sobria come stanza: una piazza e mezza addossata alla parete, un’ampia finestra sotto la scrivania, qualche armadio a muro e l’ingresso di un bagno abbastanza grande che si ricollegava attraverso una seconda porta anche al corridoio. Sullo stesso piano dell’appartamento c’era l’angolo cucina, davvero un buco, e il salotto, ampio e con delle ariose vetrate che davano sulla stradina di quartiere. Era una giornata soleggiata, e dalle finestre entrava parecchia luce che illuminava tutto il pianoro.
Il secondo livello invece era ciò che rimaneva: la soffitta, che però, da quanto sapevo, il mio Willy utilizzava come studio.
-Ah, bene- sorrisi. –Pensavo che sarei finita a dormire nella soffitta- commentai sedendomi sul letto.
-Ecco, sì… infatti- esitò lui incrociando le braccia al petto. –Spero che non… che non ti dispiaccia se dormiamo nello stesso letto-.
-Ah!- alzai gli occhi al cielo. –Perché dovrebbe dispiacermi, sentiamo?- sghignazzai alzandomi e avvicinandomi a lui. –Te la fai ancora sotto?- lo derisi.
Il ragazzo mi lanciò una di quelle occhiate cagnesche che… lo rendevano molto sexy. –No- sbottò solamente.
-E allora che problema c’è?…- gli sussurrai a fior di labbra.
Percepii le sue mani poggiarsi sui miei fianchi ma indugiare oltre quel punto; nel frattempo mi allungai ulteriormente verso di lui, stavo quasi per baciarlo quando…
Il campanello di casa ci fece sobbalzare entrambi.
-S-s-scusa- balbettò William scostandosi bruscamente da me ed io, sbuffando, mi lanciai a sedere sul letto, rimbalzando sul materasso.
Sentii la porta aprirsi e una voce familiare che diceva:
-William, tesoro! La mia Emily è qui?- domandò spigliata Susan varcando l’ingresso senza che nessuno glielo avesse chiesto.

«Susan McSoil, detta Susy SeSiAccollaSeiFregata. Castana, di capelli, di occhi e di pelle. La mia compagna delle elementari che mi sono ritrovata ai corsi di genetica all’ultimo anno di Università. Ora mia migliore amica, Susan non fa altro che riempire la mia rubrica di messaggini di prevenzione alle catastrofi che sta portando il virus nella nostra città. Ora non voglio mica essere razzista, anzi… compatisco molto quella ragazza, che da quando ha saputo che suo padre, unico sopravvissuto ad un disastroso incidente aereo tra i due genitori, era stato contaminato dal virus, si era attaccata a me e al mio ragazzo senza darci mai tregua. Speravo che dopo la fuga in casa di William non riuscisse a trovarmi, ma a quanto pare…».

-Sì, è di là- balbettò William indicando la stanza nella quale mi trovavo.
-Uh!- gioì Susan. –Nella camera da letto? Roba sconcia senza il mio permesso?- ridacchiò, e il suono dei tacchetti delle sue ballerine risuonò nel corridoio.
Quando comparve sull’ingresso della stanza, scattai subito in piedi e cercai di darmi un contegno. Sembrava davvero che io e Willy avessimo trescato fino ad allora, bastava guardare i miei capelli.
-Susy!- corsi ad abbracciarla. –Mi hai trovata…- brontolai, e il puzzo del suo profumino chanel mi offuscò la vista. Esatto, la vista, non l’olfatto. Era così pesante quel profumo che cominciarono a lacrimarmi gli occhi.
-Alle sette, questa sera, People Pub. Niente buca!- disse soltanto, e poi lasciò l’appartamento.
Così com’era venuta, se n’era andata.
Ed io e William eravamo immobili come stoccafissi che ci guardavamo complici. Scoppiammo a ridere subito dopo che la porta si fu chiusa alle spalle di Susan.
-People Pub?- domandai incredula. –Ma in quel posto c’è sempre il pienone! Bisogna prenotare un mese prima per trovare un buco…-.
William si strinse nelle spalle cacciandosi le mani nelle tasche dei jeans. –Sai com’è fatta Susan- sorrise di sottecchi.
-Sì- risi con lui. –Però mi stupisce che anche con l’epidemia che miete milioni di vittime quel locale sia aperto…- sospirai andando a guardare nello scatolone sulla scrivania.
Il ragazzo mi si avvicinò con pochi passi. –Magari fanno dei riti di commemorazione. Potrebbe essere divertente, e fallo anche per lei… insomma-.
-Lo so- lo anticipai. –Suo padre, lui è stato contagiato e chissà se è ancora vivo in quel bordello a Manhattan…- mormorai affranta.
-Adesso sei tu quella che si deprime- commentò lui cingendomi le spalle con un abbraccio.
Mi appoggiai completamente al suo petto. –Non sono depressa, vorrei solo trovare un modo per… reagire, combattere, capisci?-.
-Forse qualcuno- inarcò un sopracciglio –ha ascoltato questa tua voglia di vendetta e potrebbe interessarsi a te come macchina da guerra!- mi derise.
-Zeus…- sospirai.
-Già il fatto che tu conosca certe informazioni riservate non è un bene- mi rimproverò.
-Mio padre ha a che fare con l’esercito da sempre, cosa posso farci?- sbottai voltandomi e trovandomi con il viso poco distante dal suo.
-Tuo padre lavora nell’aeronautica, non nei servizi segreti, non dare la colpa a lui. Sei tu che ficchi il naso troppo oltre!- mi punzecchiò con un dito.
-Andremo al People, ma non voglio sentirti mugolare alle mie spalle se una bella ragazza ti fa la corte e tu vuoi andartene per paura di lasciarla in cinta!-.
-Ma in quel caso…-.
-Niente ma!- risi isterica. –Ti farebbe bene un po’ di sano sesso, guardati! Sei teso come uno stecco!- sbraitai uscendo dalla stanza e avviandomi con passo serrato verso il salotto.
-E tu sei troppo nervosa!- ribatté lui.
-No! Sono tranquillissima!- nel mio tono di voce c’era poco e niente che certificasse uno stato d’animo “sereno”.
   
 
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