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Autore: Dunettas    06/06/2018    0 recensioni
...Quei due sono la sua vita. La sua serenità. E lui sta bene così. Lo crede. Ne è convinto. Vuole convincersene. Poi suona l'ora della ricreazione e un lieve profumo di muschio gli sfiora le narici... (dal testo)
(spin-off di "se posso, lo voglio". Serie di shot collegate in ordine temporale).
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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O forse, nel caso, la terza.




Era stato un inverno freddo, si, freddo e spigoloso, e ne aveva fatte di cazzate in quell'inverno lì. Aveva fatto il debole e aveva messo chi amava in grande difficoltà. Ora sta meglio, ma il peso della colpa non manca di gravarlo ogni tanto. Di punzecchiarlo con le sue verità. Incrocia le braccia sul petto e chiude gli occhi. Sono le quattro di mattina. Ha venti minuti per dormire poi dovrà essere nuovamente sveglio e assolutamente presente a sé stesso, questo sempre ammesso che non si presenti un'emergenza. Marco ama il suo lavoro e ci rimetterebbe anche la salute per farlo come si deve. Ma in quel momento si sente demoralizzato e stanco. In lontananza le sirene dell'ambulanza si fanno sempre più vicine e lui sospira. Eccolo il dovere che chiama. Si solleva dal piccolo letto a castello che si incastra con un altro paio di suoi simili in una stanzetta grande a malapena per respirare. Spinge la porta e la luce lo coglie vivissima, tanto che deve coprirsi la vista con il braccio destro, facendosi penzolare davanti agli occhi il braccialetto che gli avevano dato quand'era nata Ginevra, quell'angioletto con lo sguardo vispo e l'indimenticabile sorriso di Nicola. Sono passati due anni, ma lui ancora non l'ha tolto. Gli ricorda uno dei momenti più belli della sua vita e Dio solo sa quanto ne abbia bisogno. 
Si avvicina all'ambulanza e chiede brevemente ai paramedici cosa sia successo. Gli parlano di un incidente, uno di quelli che portano tanto lavoro e tante delusioni. La barella scivola giù dalla pedana e gli sfila sotto gli occhi. In quel momento tutto intorno a lui si blocca e gli sembra di vivere ogni istante a rallentatore. C'è sangue, tanto sangue, e in mezzo a questo... Matteo. Il suo viso è perfettamente intatto, proprio come due anni e mezzo prima, quando l'aveva scosso in un paco rifiuto, nel vano tentativo di farlo ragionare. I suoi occhi pieni di dolore e incomprensione è l'ultima cosa che ricorda di lui. Adesso sono chiusi e Matteo così pallido. 
   “Che è successo?” pigola ancora, correndo insieme alla barella, le mani appoggiate ai lati di quel corpo inerme. 
   “Grave emorragia” fa un'infermiera vicino a lui. 
Marco quasi ruggisce. 
   “Questo lo vedo” sibila e l'altra sgrana appena gli occhi. 
   “Lo hanno tirato fuori dalla macchina, devono essere stati dei pezzi della carrozzeria...” dice poi più titubante. Marco scuote la testa, non gli serve sapere quella roba. 
   “In sala operatoria. Ora” fiata e socchiude gli occhi, la mano ben ferma sul suo polso e quel battito, lento, lieve, reso. 
Dura tre ore ma alla fine ce la fanno. Marco sfila i guanti e esce da quella stanza come se non potesse resistere un istante di più. Si barrica nella stanzetta e piange tutte le sue lacrime. Stringe tra le dita il braccialetto sottile e lo accarezza come se potesse in qualche modo tirare fuori un genio e cancellare quella giornata. 
Prende il telefono e scrive un messaggio veloce a Giulietta. 
Dimmi qualcosa di bello” 
Se ne sta a fissare il cellulare fino a che non riceve la risposta. Il suo volto si apre in un sorriso umido di lacrime quando gli compare davanti agli occhi il viso di Ginevra, tutta imbrattata di pappa, che scopre i dentini e lo saluta con le mani tese verso lo schermo. 
Ed è con quella serenità nel cuore che esce dalla stanza e si dirige a grandi passi verso la camera 221. Schiude la porta e si avvicina al letto. Matteo sembra sereno in quel momento, come se stesse semplicemente dormendo e non avesse ottocento tubi che gli escono da tutte le parti. Paco e riflessivo come è sempre stato, ma con il cuore di un leone e la lealtà di un cavaliere. Marco si siede sulla poltroncina e azzarda ad allungare la mano verso la sua, è appena tiepida. Lo hanno imbottito di sangue, ne aveva perso una quantità smisurata, ma ora il suo battito è regolare ed anche il suo respiro. Non si era azzardato a richiamarlo quando aveva deciso di lasciarsi alle spalle le sue paure e di vivere sé stesso nel modo giusto, quello più sincero, quando era finalmente venuto a patti con il fatto che non c'è rimedio ad una semplice realtà, bisogna accettarla ed amarla così com'è. Come la vita infondo, no? E potrà sembrare banale, ma lui ci aveva messo un'eternità a capirlo. 
Ha finito il turno Marco, eppure non si muove, china appena la testa e l'appoggia sul letto accanto a quella mano e a quel battito cadenzato e regolare, cullato da quella piacevole sensazione di sicurezza si addormenta. 
Quando schiude gli occhi è mattina, si solleva di scatto e capisce subito che quella non è casa sua, né la stanzetta. Sussulta quando incrocia l'intenso sguardo blu della persona distesa lì accanto. Matteo è sveglio, ma non parla, ha ancora un casino di tubi attaccati addosso. Prima ancora della vergogna, Marco sente il bisogno, medico e meno, di sapere come lui stia. Si mette in piedi e dà uno sguardo ai macchinari. È tutto apposto, allora si avvicina e fa la domanda di rito, così come sa essere giusto da tanto tempo ormai. 
   “Come si sente?” ma non riesce a non far tremare la sua voce d'emozione. E un po' arrossisce, ritraendosi appena, per evitare di essere troppo ovvio. 
Matteo sorride ed anche se quel gesto sembra provocargli un certo dolore è comunque meraviglioso. La sua voce esce roca, ma il suo suono è dolcissimo. 
   “Mai stato meglio”. 
Marco sente le lacrime pizzicargli gli occhi, così annuisce e si dilegua con un rapido:

  “Vado a chiamare il collega” che non aveva né capo né coda, poi si appoggia al muro poco fuori dalla porta e ride. Ride come un deficiente. Perché forse anche per gli idioti patentati come lui esiste la seconda occasione. O forse, nel caso, la terza.

   
 
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