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Autore: fran79    07/06/2018    1 recensioni
E' la sera prima dell'intervento di Leo. Nello studio della dottoressa Lisandri, il telefono comincia a squillare...
Un attimo di luce nella notte più buia.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cris, Dottoressa Lisandri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. I personaggi appartengono alla Palomar Television & Film Production.



Il telefono sulla scrivania comincia a squillare, facendola sobbalzare. La stanza è buia, rischiarata soltanto dal monitor del computer e dal cono di luce della lampada da tavolo che piove sui pesanti tomi ammonticchiati e aperti. Non sa che ora sia, probabilmente è molto tardi. Poco fa ha sentito una mano posarsi sulla sua spalla e stringerla con gentilezza: si è voltata e si è vista davanti Andrea, entrato in silenzio e in silenzio rimasto ad ascoltarla mentre lei non sapeva fare altro che esternargli tutta la propria angoscia. Dovrebbero essere entrambi a casa da ore, eppure non le è parso strano trovarlo lì, esattamente come per tutto il giorno non ha sentito fame, né sete, né fatica: per lei il tempo ha smesso di esistere da quando, stamattina, è uscita dalla stanza di Leo.

«Se devo farlo non dobbiamo perdere tempo.»

Sono le ultime parole che gli ha detto, è stata l’ultima volta che lo ha guardato negli occhi. Lo ha salutato con un cenno del capo quasi formale, sentendo l’antica corazza di impassibilità e distacco tornare, per qualche momento, a cercare di tenere a bada il suo cuore in tumulto. Da allora non è più uscita dal suo studio, mentre i libri, le schermate e gli appunti le si affastellavano davanti, mentre sfogliava all’infinito una cartella clinica pesante come un macigno. Mentre, sempre più evidente, le si spalancava dinanzi l’enormità di ciò che la aspetta.

Ma adesso questo squillo improvviso e insistente la strappa al suo lavoro febbrile, e per la prima volta si rende davvero conto di quanto gli occhi le brucino e le lacrimino per la stanchezza. Chi può essere a quest’ora? Nessuno, a parte Andrea, sa che è ancora lì: se ci fosse un’emergenza la cercherebbero sul cellulare. La perplessità si mischia a una sottile inquietudine, mentre preme il tasto di risposta sul piccolo cordless.

«Pronto?»
«Dottoressa…?»

La riconosce immediatamente, questa voce, e per un attimo lo stupore le fa dimenticare la cervicale che protesta, gli occhiali appannati, il sonno che adesso cala inesorabile, tutto.

«Cris?!»
«Ero sicura che l’avrei trovata ancora lì…»
«È successo qualcosa, Cris? – La domanda le parte in automatico, un po’ per le circostanze insolite, un po’, anzi soprattutto, per l’impetuoso istinto materno che ormai è associato a qualsiasi cosa riguardi i “suoi” ragazzi e a cui da tempo si è arresa. – Dove sei?»
«Sono a casa… Non è successo niente… anzi, a dire il vero una cosa sì…»
«Stai bene?»
«Sì… sto benissimo…»

Ha la voce strana Cris, le trema un po’ e sembra che ansimi. Maria Pia Lisandri non esiterebbe a dare la colpa alla situazione del momento, se non fosse che il tono agitato di lei ricorda qualcosa di molto simile alla gioia. È un sentimento così stonato stasera, questo, che non riesce a evitare di suonare impaziente.

«Cris, mi vuoi dire che succede?»

La sente respirare profondamente.

«Ho sentito Leo, prima… A lui l’ho detto, ma… poi ho pensato che dovevo dirlo anche a lei…»
«Dirmi cosa
«Sono venuta a fare l’ecografia, oggi pomeriggio. È un maschio.»

Cris ha parlato tutto d’un fiato, come se non potesse più trattenersi. E la Lisandri sente di colpo la voce mancare, il respiro fermarsi, mentre un’emozione improvvisa e inspiegabile si diffonde in lei, come l’acqua di uno stagno che si allarga in cerchi concentrici nel punto in cui è stata infranta da un sasso.

Dov'è, o morte, la tua vittoria?

Le è sempre piaciuta questa frase. Non è mai stata particolarmente religiosa, non l’ha mai interpretata nel senso che le ha dato S. Paolo, quello della risurrezione, però le è sempre sembrata molto appropriata per la sua professione: un medico non è infallibile, ma ogni volta che ottiene una guarigione può dire di aver dato, anche se solo temporaneamente, uno schiaffo alla morte. Se la ripeteva spesso, un tempo: non per vanità, soltanto con la gioia di sapere di aver salvato una vita. Poi c’è stato Michele*, ed è stato come se la sua, di vita, si fosse fermata. Non ci ha pensato mai più, neanche quando, anni dopo, ha operato e salvato Rocco lasciandosi scavare dentro dalla fiducia innocente e gioiosa di quattro ragazzi con un braccialetto rosso al polso. Ma ora l’annuncio di Cris è un lampo che d’un tratto illumina e riporta prepotentemente in superficie una domanda rimasta sepolta in un angolo della sua anima. Una domanda che stasera, proprio stasera, si fa certezza.

Dov'è, o morte, la tua vittoria?

Leo vive. Leo vivrà. Comunque vada.

«Mi spiace averla disturbata. – Per qualche attimo, all’altro capo del filo è giunto solo il silenzio, e Cris ora ha ripreso a parlare un po’ incerta, esitante, come se temesse di aver sbagliato a chiamare. – Lei stasera ha… ha altro per la testa, ma io… gliel’ho voluto dire perché lei è stata la prima a capire… la prima a sapere. Era giusto. Lei è stata la prima persona adulta a essere felice per me… per noi. A non dirmi che era una pazzia. E poi queste sono cose che in genere si dicono a… – si interrompe un istante, quasi si vergognasse di ciò che sta per dire – sì, insomma… a una mamma… ma la mia non…»

«Grazie, Cris. – La Lisandri non aspetta la fine della frase. Una sconfinata tenerezza si è impadronita di lei. Davanti ai suoi occhi il monitor del computer non è che una macchia di luce sfocata. Non si accorge nemmeno di sussurrare, di non riuscire quasi ad articolare le parole: sa solo che vorrebbe averla davanti per stringerla fortissimo. – Grazie. Mi hai fatto un regalo bellissimo.»
«Grazie a lei. Per… per tutto.»

La voce ora incrinata dal pianto di Cris esprime in un istante la tempesta di sentimenti che la sta squassando. Felice per la vita che è sbocciata in lei, ancora fiduciosa di poterla crescere con il ragazzo che ama, ma insieme consapevole che già domani potrebbe dover dire addio al padre di suo figlio.

«Cris. – Il tono della Lisandri si fa improvvisamente urgente, concitato. Al diavolo l’ansia, la tentazione di tirarsi indietro, la sensazione spaventosa di non avere alcuna possibilità di farcela: anche se è impossibile, anche se servirebbe un miracolo, Cris deve sapere che niente, niente, le impedirà di provare con tutte le sue forze a salvare Leo. – Cris, ti prometto…»

Ma si blocca. Non riesce a dirle, quelle parole. Non che ci abbia mai neanche provato, a dire il vero: aveva giurato a se stessa che non le avrebbe mai più proferite. Ma ora che d’impeto, dopo anni, le sono venute alle labbra, l’immagine ancora nitidissima del viso stravolto di un’altra giovane madre gliele fa istantaneamente morire in gola. Anche se oggi è una persona diversa, anche se Michele ha smesso di essere un fantasma per diventare una memoria intrisa di malinconia e di commozione, la promessa mancata a Elena è una ferita che dubita riuscirà mai a rimarginarsi del tutto.

«No. Non serve. – Questa risposta la spiazza, così come la voce di Cris che nel giro di pochi attimi è tornata calma, ferma, sicura. – Non c’è bisogno che mi prometta niente. Lo so.»
«Che cosa, Cris?»
«Che ce la metterà tutta – replica lei, con semplicità. Ora si sente che sta sorridendo. – Me lo ha già detto, si ricorda? Farò tutto quello che sarà possibile. Non è che non ho paura, ma sono tranquilla. Lei ci vuole bene.»

Non risponde subito, la Lisandri: le parole non vengono, e, se anche le avesse, le mancherebbe la voce per pronunciarle. Come spiegare a questa ragazza coraggiosa e dolcissima che una telefonata di nemmeno cinque minuti è bastata a farle fare definitivamente pace con se stessa, la sua maternità soffocata, il suo rimorso più grande e lo sgomento per ciò che la attende?

«È vero – riesce soltanto a mormorare. – Grazie, Cris. Perdonami se non so dirti altro. – E dopo un attimo di silenzio, quel tanto che basta a inghiottire il nodo che le chiude la gola, aggiunge: – Va’ a riposare adesso, Cris. Il tuo bimbo ha bisogno di te… e ne avrà tanto anche Leo, domani.»
«Sì – risponde lei, serena. – Vada anche lei. È tardi.»
«Buonanotte, Cris.»
«Buonanotte, dottoressa.»

Maria Pia Lisandri chiude la chiamata e posa il telefono sulla scrivania. Togliendo gli occhiali, sente le guance bagnate: le lacrime sono scese senza che se ne accorgesse. Le asciuga controvoglia, solo perché deve uscire e non va bene farsi vedere così, ma ha sempre pensato che, quando sono di gioia, vadano lasciate scorrere. Soprattutto se, come queste, lavano via il dolore e la paura.

Chiude i libri e la cartella clinica di Leo, toglie il camice e lo appoggia sulla sedia, spegne il computer e la lampada. Mentre esce dallo studio, affacciandosi su un corridoio deserto, si accorge di sorridere.

Dov'è, o morte, la tua vittoria?

Non è finita, anzi, non è nemmeno cominciata, e sa perfettamente che domattina torneranno intatti l’angoscia, lo smarrimento, il terrore di doversi arrendere; ma intanto, in questa notte così buia, si è accesa una piccola luce.



La frase che dà il titolo alla storia è tratta dalla prima Lettera di S. Paolo ai Corinzi, cap. 15, versetto 55.
* Per capire i riferimenti a Michele, è necessario leggere questa storia.
Grazie a chi leggerà e vorrà lasciare un pensiero.
   
 
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