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Autore: The Blue Devil    09/06/2018    5 recensioni
Eccomi qua, ci son cascato pure io, in una noiosissima Candy/Terence con Albert nell'ombra... davvero?
Chi è il misterioso individuo che si aggira nei luoghi tanto cari alla nostra eroina? Qual è la sua missione? La sua VERA missione? Cosa o chi, alla fine di essa, sarà in grado di trattenerlo a Chicago? Quante domande, le risposte stanno all'interno...
Il titolo è un omaggio a tutti i ''se'' con cui si apre la storia.
dal 3° capitolo:
... Non ne ho parlato con lei, ma io sono sempre rimasto in contatto, in maniera discreta, con Terence. E non le ho neanche mai raccontato di averlo cacciato, quando lo trovai ubriaco da queste parti, anni fa. Vi chiedo di vegliare sempre su di lei, con discrezione, poiché la vedo felice, forse troppo, e non vorrei subisse un’altra delusione".
"Perché parlate così?", chiese, dubbiosa, Miss Pony.
"Non so, ho una strana sensazione, come se stesse per accadere qualcosa di molto spiacevole. E lo consiglio anche a voi: state attente e tenete gli occhi aperti".
"Così ci spaventate, Albert", osservò Suor Maria.
"Non era mia intenzione spaventarvi", asserì Albert, "Forse sono io che mi preoccupo per niente; sì, forse è così...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buona lettura
 
 
 
Capitolo 2
Avvisaglie di un temporale
 
"Neal, sarebbe opportuno che tu posassi quel bicchiere; ti fa male bere così tanto".
"Cosa dici sorellina? Per me questo è un nettare prelibato", rispose il ragazzo, mandando giù un altro generoso sorso di whiskey, "Perché non ti versi da bere anche tu?".
La ragazza parve seccata quando rispose:
"Sei sempre il solito gentiluomo, vedo. Comunque lo sai che non bevo, non mi piace".
"Ah, già, lei non beve... a meno che non si tratti di un liquido dorato che fa le bollicine! Ma non mi starai mica diventando una santa?".
Queste parole, Neal le accompagnò con una risata sarcastica.
"Piantala di dire sciocchezze e parliamo di cose serie", lo redarguì la sorella, sempre più seccata.
"Appunto: sei andata a trovare la nostra comune amica? Hai dato un’occhiata al posto?".
Iriza si accomodò sul divanetto, accavallando le gambe, e, sistematasi la gonna, attaccò:
"Sì, ci sono stata ieri, nel pomeriggio, e devo dire che è proprio un bel posto quella collina, quasi mi dispiace...".
Il fratello la interruppe:
"Va’ avanti, non m’interessano queste sciocchezze".
"D’accordo. Le ho raccontato anche di Stear: avresti dovuto vedere la sua faccia, quasi ci rimaneva secca".
"Immagino", commentò Neal, ingurgitando altro whiskey, "E se fosse accaduto davvero, ci avrebbe risolto metà dei problemi", e rise di nuovo, prima di aggiungere:
"Però, che fesso il cugino; invece di restarsene qui, al sicuro, se n’è andato oltreoceano, a combattere una guerra che non ci appartiene, a difendere quei bastardi che ci considerano ancora come dei coloni... e quasi ci lasciava le penne".
"Ricordati che anche noi veniamo da lì", lo riprese Iriza.
"I nostri avi forse. Noi siamo nati qui, noi siamo Americani".
"Cambiando discorso, sei sempre convinto di volerlo fare?".
"Certo che sì; ti ricordo che l’idea originaria l’avete avuta tu e la mamma".
Iriza, dopo un attimo di silenzio:
"Eh, no! È diverso, erano altri tempi, e poi tutto partì da te. Non ricordi?".
"Mi ricordo sì, come potrei scordarlo? Mi brucia ancora. Non è che hai cambiato idea?".
"No, tranquillo, è solo che...".
"Allora, ho scelto bene?", la interruppe lui.
"Sì, sono sicura che farai centro", rispose la ragazza, mentre giocherellava coi propri boccoli.
Neal si alzò e ripose bottiglia e bicchiere, prima di chiudere il discorso:
"Beh, è giunto il momento di affilare le armi".
"Io invece ho da fare qualcosa di piacevole...", cinguettò Iriza.
Neal rise.
"Se ti riferisci a quella cosa, rimarrai delusa".
"Ah sì? Sta’ a vedere come me la lavoro", fu la sua risposta stizzita.
La ragazza uscì dalla camera del fratello, seguita da lui, e scese nell’atrio, dando una sbirciata nel salone, e, vista la madre, vi entrò e la bloccò; Neal rimase dietro la porta, sicuro di assistere al proprio trionfo.
"Oh, mamma, cercavo proprio te".
La signora Legan si arrestò e le chiese:
"Cercavi me? Dimmi piccola mia".
Iriza, timidamente, accennò:
"Riguardo a quella cosa dell’altro giorno...".
"Se ti stai riferendo ai guanti e al cappellino di Madame Bourges, niente da fare, la risposta è no!".
"Ma mamma", piagnucolò la ragazza, "Me l’avevi promesso...".
La signora fu irremovibile:
"No, Iriza, te l’ho già spiegato; in questo momento non possiamo lanciarci in spese folli; lo sai che tuo padre ha investito quasi tutto il nostro patrimonio in quel progetto dei resort. Se andrà in porto quell’affare, e non ho dubbi sul felice esito, potrai comprarti tutti i cappellini e i guanti che vorrai; magari tutta la boutique di Madame Bourges; ma ora, no".
"Ma io voglio quei guanti, fra un po’ non ci saranno più, potrebbero essere venduti o passare di moda, che è anche peggio... e il mio regalo di compleanno?", insistette la ragazza, sbattendo le ciglia.
La signora cominciava a infastidirsi:
"E i soldi che ti ho dato giorni fa? Non erano pochi", chiese, mentre il suo sguardo si dirigeva in basso, a guardare i piedi della figlia, per poi rispondersi da sola:
"Ah! Vedo che te lo sei già fatto da sola il regalo di compleanno".
"Belle vero? Sono all’ultima moda, che delizia...", si pavoneggiò Iriza, mostrandole le sue scarpe nuove di zecca, dal tacco leggero.
"Sì, davvero deliziose, non c’è che dire; ma questo risolve la questione. Adesso ho un mucchio di cose da fare, va’ a giocare e non mi infastidire più con questo discorso", tagliò corto Sarah Legan, prima di dirigersi verso le cucine.
Una sonora risata si fece sentire:
"Come te la sei lavorata bene, complimenti sorellina, è stato tutto molto divertente. Non dire che non ti avevo avvertita. E poi: va’ a giocare! Fantastico, brava mamma".
"Va’ via stupido! E smettila di ridere, maledizione!".
 
Miss Pony entrò nella stanza in cui Candy stava ancora riposando e la trovò sveglia.
"Bambina mia, ci hai fatte preoccupare... ma che è successo ieri sera? Fortuna che c’era quel bel giovanotto, così gentile, che ti ha portata dentro...".
A quelle parole, Candy, che aveva passato una notte agitata e che aveva il terrore di riaddormentarsi, trasalì e ripensò all’accaduto, prima di raccontare tutto, compresa la notizia su Stear, all’anziana benefattrice. 
"Ciao Tarzan tutte-lentiggini".
Quella frase l’aveva pietrificata, togliendole il fiato per alcuni istanti. Poi, con la mente che pareva un frullatore, si era girata di scatto.
"Te...", il nome che voleva pronunciare e che aveva sognato di pronunciare, le era morto sulle labbra.
"Tarzan tutte-lentiggini: è così che ti chiamava, vero?", aveva chiesto il giovane che  aveva pronunciato quella frase.
"Non è Terence, che stupida sono... i capelli sono più scuri e gli occhi sono più chiari e poi dovevo capirlo dalla voce", aveva pensato la bionda, prima di riuscire a balbettare:
"C-chi sei? E c-come fai a...?".
"Prima che tu faccia un infarto... ah, scusa, mi permetto di darti del tu, visto che l’hai fatto con me... dicevo: sono un amico di Terence e ho una missione importante da portare a termine. Anzitutto: tu sei Candy della Collina di Pony, vero? Altrimenti conosciuta come Tarzan tutte-lentiggini?".
"S-sì", aveva farfugliato lei.
Il ragazzo, che aveva notato l’inquietudine dell’altra, aveva proseguito:
"Allora non mi sono sbagliato, sei proprio tu quella che cercavo. Il mio amico Terence mi ha mandato ad avvisarti che presto verrà a trovarti. Come saprai, in questi ultimi tempi, ha vissuto insieme a Susan Marlowe, ma quello che non sai è che lei, col suo aiuto, ha pienamente recuperato l’uso delle gambe e che presto tornerà a recitare; è stata dura riuscirci, ma, alla fine, ce l’ha fatta; e questi anni passati con Terence le hanno fatto capire che lui ama te e che sarebbe ingiusto tenervi separati. Ha deciso di lasciarlo libero: lo vuol sapere felice. Immagino che ti starai chiedendo come mai non ne sai niente e come mai i giornali non ne parlino... perché sicuramente ti sarai tenuta informata su di loro. Perché tu lo ami ancora vero? Almeno questo è quello che lui spera".
Candy non aveva mosso un muscolo, né parlato: pareva fosse stata trasportata su un altro mondo.
"Ebbene: Terence ha voluto tenere nascosta la notizia, perché Susan ha bisogno di serenità e tranquillità e non di essere assediata da turbe di giornalisti rompiscatole e avvoltoi. Perché, anche se non la ama, lui tiene molto a lei e ha imparato a conoscerla, così dolce e fragile; mi ha mandato da te perché non vuole nasconderti niente".
Ancora una volta, Candy aveva ascoltato tutto come inebetita, con il cuore in gola, senza riuscire a dire alcunché, ad emettere nessun suono. Allora lui aveva proseguito con una domanda:
"A proposito: chi era quella ragazza con cui parlavi questo pomeriggio? Vi ho viste da lontano".
Questa volta la ragazza era riuscita ad articolare una parvenza di risposta:
"Era un... un... s-serpente a s-sonagli...".
"Ah! Ho capito: Iriza Legan! Terence mi ha parlato anche di lei... peccato, sembrava così carina e gentile... allora ti saluto. Ma, tu stai male? Non ti vedo bene, sai?".
"N-no, non è niente, ora p-passa... c-ciao...".
Detto questo la bionda era crollata a terra, prontamente soccorsa dal ragazzo: troppe emozioni, troppe notizie strabilianti, tutte insieme, l’avevano annientata.
Con Candy in braccio, il misterioso "amico di Terence", si era presentato alla porta della "Casa di Pony".
 
Rimasta sola, Iriza si sentì avvampare di rabbia. Il pensiero e il ricordo di Neal che rideva di lei la fecero tremare. Doveva assolutamente scaricare la rabbia per non impazzire.
"Va’ a giocare? Va’ a giocare? Non sono mica una bambina maledizione!", urlò, fuori di sé.
Notò su un tavolino presso di lei un vaso da fiori vuoto e... lo scagliò, con tutta la forza di cui era capace, contro il muro che le stava di fronte: il vaso oltrepassò la spalliera del divano e si distrusse contro un quadro.
"Adesso basta però!", esclamò una voce che pareva provenire dal divano.
Iriza pensò ad uno spettro e ne rimase terrorizzata, sentendosi mancare. Un bel giovane emerse da dietro il divano, tranquillizzandola, per così dire, sul fatto che non vi fossero spettri in casa.
"Già mi son dovuto sorbire una querelle familiare che ha compromesso le mie orecchie, ma che essa arrivasse a compromettere anche la mia vita, non l’avrei immaginato".
Iriza tentò di ricomporsi: già si era vergognata con suo fratello e sua madre, ci mancava solo questo sconosciuto.
"Chi... chi siete e cosa ci fate in casa mia?".
"Ah, già, mi scuso per non essermi presentato: mi chiamo Harrison, Harrison McFly e voi siete la signorina... Iriza Legan, se non erro", si presentò, esibendosi in un inchino esagerato.
"Non mi avete detto che ci fate in casa mia, signor Harry non so cosa".
Il ragazzo, che si stava divertendo, puntualizzò:
"No, signorina Lisa, vi state sbagliando: ho detto che il mio nome è Harrison. Ma avete ragione, non vi ho avvertito che odio quel diminutivo".
"E il mio è Iriza, non Lisa, screanzato! Ditemi cosa fate qui e ricordatevi le buone maniere la prossima volta: avreste dovuto palesarvi prima, spione!", puntualizzò pure lei.
"Ah! Chiedo venia. Sulla vostra prima richiesta vi dico che sono venuto a trovare un amico, per discutere un certo affare; per quanto riguarda le buone maniere, perché avrei dovuto? Quando ho visto vostra madre, per non disturbarla o spaventarla, mi sono accoccolato dietro il divano e se voi non foste entrata per piagnucolare, tutto sarebbe filato liscio. Poi, sapete, a spiare ci si diverte, e io mi sono divertito".
"Voi non siete un gentiluomo", sibilò lei.
"Vi ho forse detto di esserlo?", ribatté lui, che poi aggiunse, osservando i due oggetti:
"Mi spiace per il quadro... mi piaceva; e anche il vaso m’è sembrato di pregio: occorrerà sostituirli".
"Non vi preoccupate, in questa casa vi sono abbastanza soldi per sostituire l’uno e l’altro".
"Beh, da quel che ho udito, o meglio spiato, prima, non mi pare", disse Harrison, quasi ridendo.
"Sfacciato!", sbottò lei, che però pensò: "Sfacciato, ma carino, molto carino...". Ma questo pensiero si affrettò a scacciarlo dalla sua mente.
"Ora mi dovete proprio scusare, ma devo andare. Non mi voglio approfittare oltre di voi".
Qull’"approfittare" e il modo in cui fu pronunciata quella parola, la fecero esplodere.
"Voi... come vi permettete?".
Iriza, avvicinandoglisi, alzò una mano per colpirlo, ma lui la bloccò, afferrandole il polso: la stretta di lui le risultò forte, ma gentile, al punto da non provocarle dolore, bensì... un brivido lungo la schiena.
"Cos’è questo freddo improvviso e perché mi pare che il cuore mi stia per scoppiare nel petto?", pensò la ragazza, stupendosi del fatto di non aver provato dolore.
Gli occhi azzurri di Harrison si piantarono nei suoi e le tolsero le forze, per un tempo che a lei sembrò un’eternità, finché lui non le mollò il polso.
"Ora scusatemi sul serio, se tolgo il disturbo senza inchinarmi", disse lui, prima di riprendersi il mantello dal divano e di uscire con passo svelto e sicuro, dal salone e dalla villa.
Iriza, toccandosi il polso e non notando lividi, s’accasciò sul divano, in preda all’agitazione e alla confusione.
"Che occhi… Harrison McFly; ma chi accidenti sei?".
 
"Zia, sono contento che l’idea d’invitare Candy sia partita da te e ti confesso che altrimenti l’avrei invitata io".
"Su questo non ho dubbi William e ti confesso, dato che ho capito le tue inquietudini, che c’è stato un periodo in cui le ho voluto bene, ho creduto in lei, anche dopo quell’accusa di furto che, a quanto pare, era falsa. Poi, la morte di Anthony...".
Già, la morte di Anthony: Elroy, istigata dalla perfida Iriza, aveva addossato a Candy tutte le responsabilità di quel tragico evento e Albert, una volta preso il controllo della famiglia, aveva faticato molto a convincerla che si era trattato solo di una fatalità. Perché tra i motivi dell’odio di Elroy per Candy c’era anche quello.
Ora, la vecchia prozia aveva capito, più o meno, di essere stata ingiusta con l’ex-orfanella ed era stata informata di tutto quello che la ragazza aveva dovuto subire e dell’aiuto che le aveva prestato quando era stata male: e l’ultima botta l’aveva ricevuta quando, Sarah Legan, messa alle strette, era stata costretta a porgere pubbliche scuse a Candy, ammettendo che l’accusa di essere una ladra fosse nata solo in seguito ad un "increscioso equivoco"; salvo poi ritrattare parzialmente con Candy, in privato. Certo, Candy non era il modello di "signorina" che Elroy, donna all’antica, aveva in mente, ma era possibile apprezzarla ugualmente: bastava volerlo. In fondo, anche Anthony, nell’ultimo periodo della sua breve vita, e lo stesso William non erano stati un modello corrispondente alle sue idee. La strada era ancora lunga e difficile, ma almeno, adesso, la prozia aveva capito che Candy era una ragazza "pulita".
 
Camminando per strada, diretto alla locanda in cui aveva preso alloggio, Harrison si era immerso in profonde riflessioni. Un fresco venticello gli scompigliava i folti capelli neri donandogli quell’aspetto da "cattivo ragazzo" che tanto attrae le ragazze; gli occhi, di un azzurro intenso erano capaci di scavarti l’anima e il suo sorriso aveva un che di beffardo. Benché gli assomigliasse tanto, era più alto di Terence, più abbronzato e più muscoloso, tutte caratteristiche, soprattutto le ultime due, insolite per un gentiluomo; eppure sapeva muoversi con un’eleganza che pareva innata. Si reputava un buon osservatore e un discreto conoscitore dell’animo umano.
"È tutto come mi ha raccontato Terence: Candy m’è sembrata una ragazza dolcissima, ma combattiva, e il fatto che mi sia crollata davanti è dovuto al carico di emozioni e tensioni che ha accumulato in poche ore e al fatto di essere... veramente cotta del mio buon amico... su questo non si è sbagliato; le due benefattrici dell’orfanotrofio di Candy sono persone squisite e intelligenti; William, o Albert, come ama farsi chiamare dagli amici, è un personaggio equilibrato e riflessivo, che pare distratto e superficiale, ma è molto attento… in realtà è un po’ diverso da come lo ricorda Terence, impulsivo e sanguigno, ma ciò è dovuto forse alla maturità e alle responsabilità che si è accollato da quando ha preso ufficialmente il posto di capofamiglia; Stear non lo conosco ancora, ma già mi piace… chissà che tipo è il fratello; la signora Legan pensa solo ai soldi e al lusso e Neal, da quel poco che ho visto, non è da meno. Il personaggio più affascinante di quella famiglia è proprio Iriza: me la dipingono tutti come una serpe velenosa, e forse lo è, eppure c’è qualcosa che non quadra, non so... oggi l’ho provocata abbastanza, ma mi aspettavo una reazione più violenta e poi i suoi occhi... credo di aver fatto bene a decidere di fermarmi ancora un po’ qui a Chicago, anche perché ho alcuni affari da sistemare".
Harrison McFly ancora non sapeva che la permanenza in quella città gli avrebbe riservato, e non solo a lui, una serie di sorprese, che avrebbero messo a dura prova la sua amicizia con Terence.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CONSIDERAZIONI DELL’AUTORE:
 
Quali saranno queste sorprese? E come potranno intaccare un’amicizia che parrebbe essere inattaccabile?
 

The Blue Devil
 
 
 
Ringrazio tutti i lettori che vorranno imbarcarsi in quest’avventura, che neanch’io so dove ci porterà (se ci porterà da qualche parte)...
 
 
   
 
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