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Autore: Mel_deluxe    10/06/2018    1 recensioni
La popolarità non è un’opinione: questo è ciò che credono gli studenti del liceo di Buckley, sperduto paesino nelle foreste del nord-Midwest, dove le regole e le relazioni sociali sono dettate da una rigida e rispettata “Catena della Popolarità”.
Linda Collins, affascinante reginetta del ballo nonché capo cheerleader in carica, si è sempre ritrovata ai primi posti della Catena senza particolari sforzi. Tutto però cambierà l’ultimo anno di liceo, quando Linda lascia il suo storico fidanzato Simon Coleman, il bello e conteso quarterback di football della scuola, che subito si rivolta contro di lei. Questo sarà l’inizio della fine.
Nel frattempo qualcuno sembra tramare nell’ombra per distruggere la Catena: strani avvenimenti iniziano ad accadere a Buckley, e un terribile, losco omicidio verrà commesso, proprio all’interno delle quattro mura scolastiche.
Linda e Simon, resosi conto che l’assassino sembra prendere di mira proprio loro due, si vedranno costretti a mettere da parte le loro rivalità e ad allearsi per risolvere questo intrigato mistero.
Chiunque sia il misterioso assassino, una cosa è certa: non apprezza affatto i ragazzi popolari.
Genere: Mistero, Parodia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 13
Stiamo ancora migliorando
 
"You're gonna be knowing
The loneliest kind of lonely,
It may be rough goin',
Just to do your thing's the hardest thing to do."

"Make you own kind of music", Cass Elliot 1969

 
 
 
Tutto era cambiato al liceo di Buckley.
Carey Davis se ne rendeva conto, camminando per il corridoio principale della scuola a testa bassa. La Catena era stata distrutta da quattro mesi e in quei quattro mesi Buckley si era trasformata così tanto che ormai non sembrava più nemmeno la stessa scuola.
Non c’era più alcuna differenza tra ragazzi popolari, tra cheerleader, atleti o sfigati. Erano tutti allo stesso livello ora. Tuttavia una classe dominante rimaneva ancora, quasi come quella scuola non potesse proprio farne a meno.
Era come se tutto fosse stato stravolto, pensava Carey. Coloro che un tempo si ritrovavano in cima alla Catena adesso non erano nessuno, mentre quelli che stavano ai piani più bassi ora erano venerati come le nuove divinità della scuola.
Da un giorno all’altro, senza più alcun vincolo che li legasse insieme, Carey si era resa conto che quelli che credeva fino ad allora suoi amici l’avevano abbandonata non appena la Catena era stata distrutta. Così era successo alla maggior parte degli altri ragazzi che conosceva.
La gran parte delle reclute aveva abbandonato la squadra di cheerleading per entrare nel gruppo di Taylor May e di Regan Weston, che ora condividevano il ben piacevole ruolo di essere diventate le nuove api regina della scuola.
Carey sospirava, mentre osservava il suo riflesso nel vetro della bacheca al centro del corridoio. La sua divisa blu e bianca era ancora fresca e pulita, eppure, si rese conto, non significava più nulla ormai. Si chiese se avrebbe dovuto lasciare le cheerleader anche lei e provare a fare amicizia con qualcun altro. Tuttavia non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere a Linda. Per quanto fosse una persona difficile e secondo molti insopportabile, Carey le voleva molto bene e considerando lo stato mentale in cui si trovava in quei giorni, se Carey l’avesse abbandonata proprio in questo momento così difficile l’avrebbe semplicemente distrutta.
Nemmeno Simon se la passava tanto bene. Aveva lasciato la squadra di football e la maggior parte dei suoi amici, come successo con Carey, gli aveva voltato le spalle. Era devastato.
Simon non usciva quasi mai dalle aule, dormiva poco, non lo vedeva mai a mensa, e se si presentava, non mangiava nulla. Più volte Carey l’aveva sorpreso nel bagno con una scatola di antidepressivi in mano.
In quei quattro mesi Carey aveva cercato di aiutarlo il più possibile, per quando Simon si tenesse a larga distanza da chiunque provasse a parlargli. Ma se quattro mesi prima la proposta di passare così tanto tempo con Simon Coleman le avrebbe mandato il cuore in subbuglio dalla gioia, ora come ora provava solo estrema pena per lui.
Andò a trovarlo alla fine della terza ora, mentre gli studenti uscivano per riunirsi e discutere di coloro che definivano “i nuovi popolari”.
Carey entrò nell’aula di arte con decisione, e gli ultimi ragazzi che si approcciavano ad uscire le diedero un’occhiataccia, stupiti che in quella scuola ci fosse ancora qualcuno che indossasse la divisa delle cheerleader.
«Simon».
Simon era seduto su un banco, con una scatola di plastica sulle gambe, mentre mangiava un panino al prosciutto nelle stesse modalità con cui lo avrebbe fatto un barbone. Indossava una felpa larga con il cappuccio tirato sulla testa, dei pantaloni sporchi e i lacci delle scarpe slacciati.
I suoi capelli biondi erano arruffati e sembravano quasi essersi sbiaditi di qualche tonalità. Carey notò che era dimagrito paurosamente, e le sue occhiaie intorno agli occhi lo rendevano ancora più inquietante.
Di certo non era più il divino Simon Coleman di una volta, ma Carey pensò che riusciva a conservare ancora un certo fascino.
«Oh, ciao Carey».
La salutò allegramente e Carey si avvicinò, sedendosi sul banco davanti a lui, e senza smettere di guardarlo in faccia. Lui continuava a mangiare il suo panino, senza alzare lo sguardo.
«Come stai?» domandò lei.
«Bene, tu?»
Carey sorrise tristemente.
«Simon, c’è una cosa che mi sento in dovere di dirti...»
«Ti ascolto».
«Sono preoccupata per te. Seriamente».
Simon alzò finalmente lo sguardo verso di lei e aggrottò le sopracciglia.
«E perché?» chiese, genuinamente confuso.
Carey si alzò in piedi e si avvicinò ancora di più a lui.
«Insomma... guardati!» gli disse, toccandogli le spalle. «Hai un aspetto orribile! Non mangi, non dormi, non esci mai dall’aula, nemmeno ai cambi dell’ora. E, per l’amor del cielo, chi diavolo è quello?»
Carey si rese conto solo in quel momento di un ragazzo seduto a qualche metro di distanza da loro due. Sedeva su un banco come Simon, quieto in fondo all’aula e li guardava interessati, mentre sulle ginocchia teneva un quaderno e con la mano una penna. Aveva i capelli corti e castani ed era basso e mingherlino, senza dubbio non doveva avere più di sedici anni.
Quando Carey fece la domanda, Simon si girò e fece un sorriso al ragazzo minuto in fondo all’aula, che ricambiò il sorriso.
«Ah, quello è Charlie!» disse Simon con entusiasmo. «L’ho conosciuto qualche mese fa mentre mangiava con un vassoio seduto sulla tazza del cesso. È forte, mi aiuta a fare i compiti di matematica. O meglio, fa i miei compiti di matematica in cambio di foto di donne nude. Ma è un tipo a posto, fidati. Mi piace passare il tempo con lui ogni tanto».
Charlie fece un cenno di saluto a Carey.
«Ehilà».
Carey ritornò a guardare Simon.
«Okay, Simon, che cosa ti è successo?» domandò con serietà. «Non vedi che cosa sei diventato? Quattro mesi fa eri il ragazzo più felice del mondo, eri bello, eri conteso, avevi tutto il mondo ai tuoi piedi. Ora vengo qua e ti ritrovo a... a mangiare panini vestito come un pusher e a passare del tempo con degli sfigati! Senza offesa, eh...»
Charlie, dal fondo dell’aula le fece un leggero sorriso.
«Tranquilla, ci sono abituato».
Carey riprese la sua conversazione con Simon, che subito intervenne:
«Carey... non ho ancora capito quale sia il problema».
«Il problema è che ti trovi chiaramente in una condizione tragica!»
«Beh, non è quello che penso io! Ascolta...». Simon mise via il suo panino nella scatola di plastica. Poi scese dal banco e riprese a parlare a Carey, con tono dolce e pacato. «Non mi interessa di tutto quello che ora può considerarsi “passato”, va bene? Non mi importa della Catena, non mi importa della popolarità o della squadra di football. Sto bene così come sono, te lo giuro».
«Ma-»
«Lo so che può sembrare strano, ma fidati di me! Mi piace stare da solo, mi piace passare del tempo con Charlie... Tu non devi assolutamente preoccuparti per me! Sto bene, te lo posso giurare!»
«No, Simon, non stai bene, è evidente!» Carey iniziò ad alzare la voce. «Ti stai solo autoconvincendo di questo perché vuoi credere che vada tutto bene! Perché non riesci ad ammettere a te stesso di aver bisogno di aiuto!»
Simon cambiò espressione di colpo. Divenne improvvisamente serio e guardò Carey con sdegno. Anche il suo tono cambiò profondamente e si fece molto più irritato:
«Solo perché avevi una cotta per me non significa che tu abbia il diritto di atteggiarti da paladina dei bisognosi, Carey, dicendomi cose che, francamente, non hai alcun diritto di sapere su di me».
Carey lo guardò in silenzio per qualche secondo. Poi abbassò la voce e, guardandolo negli occhi, gli disse, con franchezza:
«Non mi prenderei mai una cotta per il fallito che sei diventato ora».
Se ne andò senza dire altro. Simon rimase con una profonda amarezza in bocca. Sentì Charlie ridere da dietro le sue spalle.
«Però!» disse l’amico, che ancora rideva. «Che ragazza!»
 
 
Linda Collins camminava in mezzo al corridoio e nessuno la degnava di uno sguardo. Indossava la maglietta del pigiama, una tuta grigia stretta. I suoi capelli erano sciolti, sporchi, spettinati e il suo viso non era truccato. Si trascinava dietro lo zaino per terra e i suo sguardo era vuoto, fisso davanti a sé.
Non appena Carey Davis la vide avanzare in quello stato, non fece a meno di correre verso di lei per cercare di farla ragionare.
«Lin, ehi, Lin...»
Linda alzò lo sguardo e parve notarla solo nel momento in cui Carey la toccò.
«Che vuoi?» chiese con tono assente.
Se Simon era stato provato dalla morte della Catena, Linda era completamente impazzita. Non si truccava e non si curava da quattro mesi e, per quanto Linda avesse ancora un viso e un corpo perfetto, la sua bellezza non era più sconvolgente ed eterea come lo era stata mesi prima. Malgrado fosse ancora tecnicamente la capo cheerleader, non si presentava agli allenamenti da due mesi.
«Lin, perché non andiamo un attimo in bagno, eh?» provò a suggerire Carey. «Così possiamo discutere in silenzio su-»
«Perché? Cos’altro c’è da dire?» rispose brusca Linda, agitando le braccia all’aria. «La mia vita ormai è finita tanto, non ho più nulla in questo mondo».
«Suvvia, non è di certo così tragica la-»
«Non sono nessuno, Carey! Senza la mia Catena non sono più nessuno!» iniziò a lamentarsi Linda indicandosi disperatamente. «Sono come Niki Luada senza macchina, come Aretha Franklin senza voce. Sono come Roosvelt senza la carica di presidente, non sono nulla! Come se non bastasse, ora tutti mi odiano perché credono che abbia ucciso la Ragazza Nuova! Come diavolo faccio a vivere in un mondo dove tutti mi ritengono una psicopatica assassina?»
Carey le mise le mani sulle spalle e provò a farla ragionare:
«Lin, non è cambiato nulla! La Catena non era l’unico motivo perché tu eri così popolare!».
«Ah no? Quali erano gli altri allora?» le chiese Linda, con aria di sfida.
“La gente aveva paura di te perché hai quasi ucciso una persona, perché hai fatto suicidare il tuo ex ragazzo, perché sei bellissima e stavi con il ragazzo più invidiato della scuola. Ma soprattutto per le prime due”.
In effetti non era cambiato nulla.
Carey non disse niente, ma cercò di cambiare discorso.
«Senti, Linda, ora andiamo in bagno a sistemarti» disse con tono gentile, mentre la prendeva per un braccio. «Una volta che ti sarai rinfrescata e rimessa la tua divisa, fidati che sarà tutto migliore. Le ragazze sentono la tua mancanza… Tu sei ancora il nostro capo, la nostra Numero Uno… Non vogliamo perderti proprio ora.»
Vide che Linda stava sbuffando, ma almeno non protestava, perciò Carey iniziò a trascinarla via. Intanto si mordeva un labbro, mentre cercava con tutte le forze di non pensare che forse ora il mondo stava veramente meglio senza Linda Collins.
 
 
Un’ora dopo Linda era pronta. Carey le aveva sistemato i capelli nella sua solita coda alta, le aveva truccato il viso e fatto indossare la divisa delle cheerleader, che le stava ancora d’incanto. Tuttavia il viso crucciato e annoiato di Linda lasciava intendere che non aveva nessuna voglia di essere lì.
Le sette cheerleader rimaste in squadra stavano in linea davanti a loro, senza dire una parola. Erano rimaste solo loro: le ragazze della vecchia squadra più quattro nuove reclute. Tutte le altre reclute, quando avevano capito che la Catena non avrebbe più portato loro fama e gloria, e soprattutto non avrebbe più garantito loro un ragazzo bello e popolare, non avevano più visto motivi per rimanere lì ed erano uscite dalla squadra per diventare amiche di Regan Weston e Taylor May, cosa che di certo avrebbe solo giovato.
Linda sapeva benissimo di tutto ciò e forse anche per questo motivo che preferiva non presentarsi più agli allenamenti.
Carey notò con rammarico che Linda rimaneva anocra immobile, con le braccia conserte, e osservava le altre cheerleader con fare assente. Decise quindi che avrebbe parlato per lei. Fece un passo avanti e, con un sorriso smagliante si rivolse alle ragazze:
«Allora, ora che Linda è tornata, possiamo darle il benvenuto e riprendere la solita routine!». Poi si girò verso Linda, con un finto, smagliante sorriso. «Linda, vuoi iniziare a fare un discorso alle ragazze?».
«Che stronzata! Tutto questo è una stronzata!».
Era stata Janissa a parlare. Tutte rivolsero lo sguardo a lei.
Da quando la Catena era stata distrutta Janissa era rimasta nelle cheerleader, per qualche assurdo motivo che nessuno comprendeva, dato che il suo rancore verso Linda era aumentato a dismisura negli ultimi tempi.
Janissa si staccò dal gruppo e si avvicinò sempre di più a Linda e Carey.
«Linda non si presenta agli allenamenti da due mesi. Chi ha detto che può ancora essere la nostra capo cheerleader? Chi ha detto che può ancora essere nella squadra?»
Carey iniziò ad agitarsi, mentre notò che Linda rimaneva ferma e impassibile, senza mutare lo sguardo. La capo-cheerleader non aprì bocca, così Carey si affrettò a rispondere a Janissa:
«Jany, non possiamo cacciare, da un giorno all’altro, Linda dalla squadra, lo sai» disse con il tono più gentile che riuscì a fare. «Sai che le nostre regole non permettono che una compagna venga-»
«Sul serio? Stiamo ancora a parlare di regole qui?» Janissa alzò la voce così tanto da stupire tutti i presenti. Tuttavia Linda rimaneva comunque impassibile. «Tutta la scuola si è evoluta, ma qui, in questo mondo rimasto all’antichità si parla ancora di regole?!»
Tutte le cheerleader si guardarono in silenzio. Carey stava per ribattere, ma Janissa la interrupe, riprendendo a parlare:
«Questa squadra fa schifo, e io mi sono stancata di tutte voi!» ammise la ragazza, guardando le sue compagne con rabbia. «Soprattutto mi sono stancata di te, Carey. Dopo tutto quello che ci ha fatto, tu passi ancora il tuo tempo a fare la tirapiedi di questa specie di demone disumano».
Quattro mesi prima se Linda Collins si fosse sentita chiamare “demone disumano” da qualcuno come Janissa, di certo non gliel’avrebbe fatta passare liscia. E di certo era ciò che le presenti si aspettavano, ma con sorpresa, Linda non reagì minimamente. Si limitò a guardare Janissa, senza far trasparire alcuna emozione.
Carey spostò lo sguardo da Linda a Janissa lentamente.
«Janissa, dai, non dire così. Sto solo cercando di…»
«Io me ne vado» la interruppe Janissa. «Restare nelle cheerleader non ha più senso. Non siamo più popolari e la gente ci guarda con disprezzo perché credono che c’entriamo con l’omicidio della Ragazza Nuova. Io mollo. Chi è con me?»
Immediatamente quasi tutte le giovani reclute fecero un passo avanti verso Janissa.
Carey le guardò implorante, ma quando anche Chloe, che era stata con loro fin dall’inizio, avanzò timidamente verso Janissa, Carey non volle crederci.
«Chloe?» disse, con un sussurro.
«Io… mi dispiace» rispose Chloe, ricambiando lo sguardo, quasi straziata. «Non voglio più sentirmi una nullità… è una sensazione orribile!»
Così si raggrupparono e iniziarono ad andarsene insieme. Nella palestra rimasero solo Carey e Stephanie che guardarono stupite le loro compagne abbandonarle, più quella recluta che Linda chiamava “Perm”, che per qualche strano motivo preferiva rimanere. Linda rimaneva ancora immobile, e non diceva nulla.
Solo quando il gruppo che si era appena scisso era in procinto di uscire dalla porta, si udì una forte risata. Tutti si voltarono e, con grande stupore, si accorsero che proveniva proprio da Linda. Janissa, completamente presa alla sprovvista, scavalcò il suo gruppo per avanzare e osservarla meglio.
«Ah, Janissa, lo sapevo…» iniziò a dire Linda, mentre ancora ridacchiava. «Lo sapevo… sei come Jack!».
Janissa non capì.
«Cosa cazzo stai dicendo?»
«Jack, come nel Signore delle Mosche» continuò Linda, con un ghigno impresso sul volto. «Tu vuoi andare contro Ralph, contro le regole e la giustizia, e crearti un tuo culto con gente che ti venera, fatto di disordine e di caos, di violenza e di voglia di sangue, non è forse così?».
«Tu sei completamente pazza…»
«Oh, ma io l’ho capito, Janissa, ho capito tutto quanto». Linda continuava a guardarla con uno strano sguardo, inquietante e crudele. «E presto tutti si accorgeranno che sei tu il vero Male. Perché è quello che sei. Non vuoi andartene perché non vuoi più essere una nullità, vuoi andartene perché vuoi andare contro di me. Mi odi ancora perché Bethany voleva che fossi tu la nuova capo cheerleader. Dovevi essere la sua erede e invece ti sei ritrova me tra i piedi!».
Janissa non disse altro. Si voltò, ignorandola, ma sotto sotto sentiva di essere stata colpita nel profondo.
Così tutto il gruppo uscì e la palestra rimase vuota, buia e silenziosa.
Nessuna delle ragazze presenti aveva parole per spiegare quello che era appena successo. Si guardarono in silenzio, poi Carey fu la prima a prendere parola.
«Linda io-».
Ma non la lasciò parlare. Linda si girò di scatto e, senza dire nulla, uscì dalla palestra con passo pesante.
 
All’aria aperta si sentiva meglio.
Linda corse su e giù per le tribune, senza sapere esattamente cosa fare. Quando lo ebbe fatto per cinque volte, andò verso la transenna e decise di appoggiarsi lì.
Davanti a lei una ventina di ragazzi si allenavano a football, urlando e scambiandosi la palla velocemente. Si stiracchiò le braccia e fece un profondo respiro; non sapeva più come andare avanti.
Alzò lo sguardo al cielo e vide il tetto della scuola, che si elevava per quindici metri da terra.
Chissà se avrebbe fatto così tanto male. Si ricordò del tonfo della Ragazza Nuova, quando era caduta dalla tromba delle scale. Poi ricordò il volto sconvolto di Bethany Mayers, e del momento in cui l’aveva vista ruzzolare giù per due piani, che le erano sembrati infiniti.
Se l’avesse fatto, sarebbe stata una fine giusta per lei, questo era certo.
Tentò di arrampicarsi leggermente sulla transenna e a guardare il mondo da lì, leggermente più in alto del solito. Aprì le braccia, come per fare delle prove, ma non sentì nulla. Non sentiva nulla.
Poi percependo lo sguardo di qualcuno su di lei, decide di rilassarsi e di ritornare giù.
Girò la testa verso destra e vide, con sua sorpresa, Simon Coleman, vestito in modo ridicolo, con una felpa larga e il cappuccio tirato sulla testa, che la fissava intensamente, con i suoi occhi celesti contornati da occhiaie.
«Beh… chi si rivede» disse lui abbozzando un sorriso.
Linda si voltò verso di lui e si avvicinò.
«Simon». Era stupita nel vederlo in quel modo. Non si vedevano da quattro mesi. «Ma cosa diavolo ti è successo?»
«Potrei dire la stessa cosa di te» rispose lui, andando a sedersi su uno dei sedili delle tribune. «Cos’era quella? Una prova generale?».
Linda gli lanciò uno sguardo di ghiaccio e andò lentamente a sedersi accanto a lui. Chissà per quale motivo i loro destini erano sempre così collegati tra di loro.
«Come diavolo si fa a vivere tutto questo?» domandò senza pensarci.
«Ci sono abituato» rispose lui, facendo un leggero sorriso. «D’altronde questa era la mia vita prima di incontrare te. Ma non avevo mai provato come ci sentisse ad essere considerato un assassino da tutti…».
Linda sospirò.
«Che situazione di merda…» commentò con un sussurro.
«Già».
Linda e Simon rimasero in silenzio per un attimo. Poi la ragazza si girò verso di lui e lo guardò attentamente. Vide il modo terribile in cui era ridotto e si ritrovò a provare un certo senso di colpa verso di lui, qualcosa che non aveva mai provato per nessun altro… di certo doveva essere per via della situazione. Così si girò e prese un lungo respiro.
«Devo chiederti scusa» disse, guardando davanti a sé.
«E per cosa?»
«Per averti fatto diventare come me., per averti portato in cima per poi farti ritrovare di nuovo al più basso scalino. Una gloria durata a malapena due anni. Non deve essere una bella sensazione».
«No, infatti…». Simon abbassò lo sguardo. Sorrise. «Sai, non hai idea di quanto io abbia aspettato che tu me lo dicessi».
«Forse è l’unica cosa che mi rimane da fare, chiedere scusa a tutti» ammise Linda con un sospiro. «Ho fatto così tante scelte sbagliate e ho rovinato la vita a così tante persone. Odiavo tutti e così ho creato una regola che ponesse me in cima e tutti gli altri sotto di me. Così nessuno avrebbe più potuto ferirmi, ma nel frattempo ho ferito tutte le persone che amavo. E così facendo non mi è rimasto più nessuno di loro…».
«Beh, io sono ancora qui».
Si girò verso Simon, ma si accorse che non la stava guardando.
«Sì, mi chiedo anche io perché di tutte le persone di questo mondo, io sono sempre, in ogni situazione di merda che mi ritrovo, insieme a te» disse Linda, con voce sprezzante. Poi capì che non voleva insultare Simon e cambiò immediatamente tono. «Forse è per questo che ti ritengo l’unica persona in grado di capirmi».
«Sì, lo penso anche io».
Simon si alzò improvvisamente e Linda lo fissò stupita. Il ragazzo le lanciò un ultimo sguardo.
«Di certo il nostro rapporto è tutt’altro che perfetto, ma trovo che stiamo ancora migliorando…».
Iniziò ad andarsene e Linda lo seguì con lo sguardo.
«Ci si vede in giro, Lin».
Simon scomparve dietro alla porta della palestra, così misticamente come era apparso.
Linda rimase in silenzio, con le urla distanti dei giocatori come unico sottofondo, a ripensare a quello che era appena successo.
Come era finita a diventare la persona che era in quel momento? Quale assurda concatenazione di eventi l’aveva portata fin lì? Di certo non era una debole, ma non lo stava dimostrando.
Già, perché non lo stava dimostrando? Cosa l’aveva trattenuta per tutto quel tempo?
Si voltò verso la porta da dove Simon era uscito.
Non sapeva perché non se ne fosse mai resa conto fino a quel punto, ma era Simon che aveva dato inizio a tutto quanto.  Alla Catena, al suo passaggio da cheerleader ad ape regina della scuola. Aveva sempre creduto di essere stata lei a cambiarlo, ma forse invece era il contrario. D’altronde, tutto quello che Linda aveva fatto fino ad allora, era sempre stato solo e solamente per lui. Tutto ciò che l’aveva portata fino a quel punto, era stato fatto tutto per lui.
Mi chiedo anche io perché di tutte le persone di questo mondo, io sono sempre, in ogni situazione di merda che mi ritrovo, insieme a te.
Erano entrati in quella situazione insieme, e di certo ne sarebbero usciti insieme. Ma non poteva farcela da sola, aveva bisogno di lui. Ora capiva.
Era lui, dopotutto, che la rendeva così. Era lui che la trasformava nella versione preferita di sé stessa: nella versione che non si faceva mai abbattere da nulla. Linda Collins, la ragazza di ferro, esisteva solo per merito suo.
Si alzò in piedi, più decisa che mai ed entrò dentro la palestra, che ormai era vuota. Uscì dallo spogliatoio, si addentrò nei corridoi, e vide la sua ridicola felpa larga vagare in mezzo alla massa di studenti.
«Simon!»
Lui si girò e quando la vide avvicinarsi a passo svelto, la guardò confuso.
Quando furono faccia a faccia, Linda iniziò a parlare. Il suo tono deciso era tornato, il suo sguardo dirompente, la sua parlantina scaltra, oh, si sentiva più forte che mai!
«Stammi bene a sentire: io e te non resteremo in questa situazione ancora lungo» iniziò a dirgli. «Noi due, da domani, risolveremo questo omicidio, scopriremo che cosa è successo davvero alla Ragazza Nuova, ristabiliremo la Catena una volta per tutte, e chiuderemo questo anno di nuovo in cima. Io e te siamo le persone più intelligenti, più belle e più sveglie di tutta Buckley. E so che la polizia non farà nulla per questo caso, perché è già stato chiuso come “incidente, potenziale suicidio”. Non ci tocca che indagare di nostra mano».
Simon la guardava, ma non diceva nulla. Linda continuò con il suo discorso, ancora più decisa:
«Non posso lavorare da sola. Per quanto odio ammetterlo, ho bisogno di te. Solo con te posso ritornare la Linda di una volta. Te lo sto chiedendo, quindi, in ginocchio».
Simon fece un largo sorriso.
«D’accordo, Lin, ma ad una condizione» disse, sentendosi anche lui ritornato quello di una volta. «Che quando la Catena sarà ristabilita e noi due avremmo riconquistato le nostre corone, il re e la reginetta saranno entrambi al primo posto della classifica».
Linda non ci pensò due volte prima di parlare.
«Va bene. Dopotutto sentivo la mancanza di un vero rivale».
Si guardarono e si sorrisero. Sì, erano tornati quelli di una volta.
«Oh, Linda, sarò un rivale così terribile per te che ti farò rimpiangere di aver acconsentito a tutto questo».
«Non aspettavo altro, wonder boy».
«A domani, Linda».
«A domani, Simon».
Si girarono da parti opposte e ripresero la loro giornata per cammini separati.





Scusate il ritardo causa esame di maturità incoming (AAAAAAAAAAAAAAA). Spero di farcela per il prossimo mese e pregate per me.

  
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