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Autore: Aesir    10/06/2018    0 recensioni
Dopo una settimana trascorsa a riportare in vita la sua irruenta amica, aveva un'alta soglia di sopportazione alle tragedie. Se fosse stata impotente, sarebbe stato un altro discorso, ma i suoi poteri le davano la possibilità di cancellarle con un colpo di spugna. Un piano prese forma nella sua mente: avrebbe comportato il totale annullamento di quella linea temporale, vincita del concorso compresa, ma Max non esitò un attimo. Dopotutto, sentiva che era più importante la consapevolezza di avercela fatta: aveva visto uno scorcio del suo possibile futuro, era in grado di vincere un concorso e diventare una fotografa famosa. Ci sarebbero state altre opportunità. Di Chloe, invece, ce n'era una sola. Focalizzò i propri ricordi su un momento in cui le era parso che il pannello con la sua foto fosse sgombro dai visitatori e alzò appena la mano lungo il fianco, cercando di non farsi notare.
Niente.

[Pricefield, di background]
Genere: Slice of life, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Max Caulfield
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Per quindici minuti di gloria

Ok, ci sei, Max. Non rovinare tutto.
La ragazza prese un respiro profondo e salì gli scalini della Zeitgeist Gallery.
Quando aveva consegnato la polaroid a Jefferson, era stato un gesto di sfida. Dirgli in faccia che forse uno solo di loro sarebbe andato a San Francisco non l'aveva ripagata dei momenti trascorsi nella Dark Room, ma tutto sommato poteva accontentarsi di sapere che in quella linea temporale Chloe sarebbe vissuta. Se in quella originaria – no, non era quella originaria, quella originaria era quella in cui Chloe moriva... urgh, che confusione! – David aveva scoperto del tutto autonomamente il bunker dei Prescott, ricevere una segnalazione aveva solo confermato i sospetti della guardia. Come previsto, Jefferson era finito in galera, accusato dell'omicidio di Rachel e della sevizia di altre ragazze.
Si sarebbe potuta risparmiare di consegnargli la foto? Probabilmente sì, ma a rivedere quel bastardo tenere la sua lezione come se niente fosse, con tutti gli accenni lasciati cadere che improvvisamente acquistavano un senso, l'odio che provava per lui era traboccato. Era un autentico miracolo che fosse riuscita a parlargli senza insultarlo davanti a tutti. Si era dovuta accontentare di sbattergli in faccia la polaroid, quando avrebbe voluto saltargli alla gola. E così, del tutto incidentalmente, si era ritrovata Everyday Hero e caricata su un aereo in compagnia del preside Wells.
Come poteva essere saltato in testa ad una ragazza timida come lei di partecipare ad un concorso del genere – e vincerlo, per di più? Una parte della sua mente avrebbe voluto che il pavimento si spalancasse e la inghiottisse, pur di sfuggire agli sguardi della gente e ai loro sussurri. Ecco, guardatela, quella è Max Caulfield, guarda come è giovane, due giorni fa ha salvato una sua compagna che si stava per suicidare, ho sentito che il suo professore è finito in prigione, in questo premio c'è qualcosa di poco chiaro. Aiuto. Ad impedirle di scappare via c'era una scintilla di orgoglio: andiamo, Max, sei sfuggita alle mani di uno psicopatico, cosa sarà mai partecipare ad una mostra? Facile a dirsi, ma l'ansia le annodava le viscere. Vorrei che Chloe fosse qui. Basterebbe la sua presenza a rassicurarmi. Ma così non era, quindi aveva messo su un sorriso che si augurava non sembrasse troppo artificioso ed aveva attraversato le porte a vetri.
Durante il tragitto in taxi dall'hotel alla galleria, il preside aveva sospeso per un attimo il suo atteggiamento gioviale e bonario per farle un 'discorso sul suo futuro': era stato molto serio, con tanto di “questa è la tua occasione di farti notare, Max, non sprecarla”, “ora sei un'adulta in mezzo ai tuoi pari”, “io ho cominciato dal dare ordini ai miei compagni di classe fino a trovarmi qui”, eccetera. La ragazza lo sapeva fin troppo bene: non era un caso che fosse infagottata in una camicia che la tirava fastidiosamente sotto le ascelle e coperta da una giacca che odorava ancora di negozio. Era già abbastanza agitata di suo, e il discorso di Wells – per quanto benintenzionato l'uomo potesse essere – non aveva fatto altro che renderla ancora più ansiosa.
'Sei una fotografa famosa, adesso, Max', pensò. Stronzate. Non ho fatto altro che scattare una stupida foto. Ho fatto cose ben più importanti negli ultimi giorni. Ma sapeva di non poter parlare di gran parte di quell'assurda settimana. E poi, chi le avrebbe creduto? Se non avesse vissuto in prima persona l'intera vicenda, sarebbe stata la prima a dubitare.
Il cellulare vibrò, e la ragazza trasalì. Il preside era stato molto chiaro: avrebbe fatto una pessima figura a mettersi a messaggiare in mezzo alla gente. Poteva trattenere i suoi istinti di teenager per un'oretta o due, no? Quella direttiva, Max l'aveva capita e deciso di seguirla. Doveva fare buona impressione, no? Sicuramente Wells ne sapeva più di lei a riguardo: a vederlo nel suo smoking, non si sarebbe proprio detto il patetico ubriaco che aveva sorpreso appena un paio di giorni prima seduto sui gradini della presidenza – momento estremamente imbarazzante, fortuna che era venuto in suo aiuto il potere di riavvolgere il tempo. Almeno il telefono era ancora in modalità vibrazione – l'aveva impostato così sull'aereo – quindi nessuno l'aveva sentito. Cercando di apparire disinvolta, allungò una mano nella borsa e lo spense.
Una volta dentro, tutto si dissolse in un caleidoscopio di immagini confuse. Pareti bianche sui mattoni rossicci. Fotografie appese a pannelli. Gente che le stringeva la mano. Flash che la abbagliavano. Parole dette e dimenticate nel giro di un istante. Era decisamente troppo per lei. Si costrinse a battere le palpebre e concentrarsi sull'uomo che le stava davanti. Danny Lee. Berkley People's Herald. Max a malapena si ricordava il suo nome. Ci stava davvero parlando? Le aveva rivolto una domanda? La ragazza si guardò a destra e sinistra, confusa. Wells era impegnato a demolire il buffet e non le sarebbe stato di nessun aiuto.
“Scusi, potrebbe... ripetere?”, mormorò, imbarazzata.
Il giornalista sorrise: “Certo. Non sei abituata a tutta questa visibilità, non è così? Ti ho chiesto se saresti disposta a rilasciare un'intervista. Ecco, tieni il mio biglietto da visita.”
Max lo prese cautamente, come temendo che potesse andare a fuoco da un momento all'altro. Wow, un'intervista. E poi che altro?
Si ricordò per tempo di balbettare un assenso in modo da congedare il giornalista, che la lasciò per andare a parlare con un altro vincitore. La ragazza lanciò un'altra occhiata in giro: un uomo in divisa da portiere stava porgendo un telefono al preside, che aveva momentaneamente sospeso l'assalto alle cibarie. È il caso che mi sbrighi, se voglio che resti qualcosa anche per me, pensò Max, e si diresse verso il buffet in tempo per vedere Wells riconsegnare il telefono al portiere. Sembravano tremargli le mani. La giovane impallidì e, pur senza aver udito una parola, seppe: era successo qualcosa. L'intuizione si trasformò in agghiacciante certezza quando il preside la notò e accorse verso di lei: “Max... è accaduta una terribile disgrazia. Arcadia Bay è stata investita da un tornado. È apparso all'improvviso, nessuno l'aveva previsto...”
Merda, il tornado! La ragazza si sarebbe voluta prendere a sberle. Era stata così impegnata a riflettere su come smascherare Jefferson che il problema principale le era totalmente passato di mente. Razza di idiota! Dimenticarsi un tornado! Come si fa a dimenticarsi un tornado?!
Dentro di sé, però, la ragazza non era del tutto sconvolta. Dopo una settimana trascorsa a riportare in vita la sua irruenta amica, aveva un'alta soglia di sopportazione alle tragedie. Se fosse stata impotente, sarebbe stato un altro discorso, ma i suoi poteri le davano la possibilità di cancellarle con un colpo di spugna. Un piano prese forma nella sua mente: avrebbe comportato il totale annullamento di quella linea temporale, vincita del concorso compresa, ma Max non esitò un attimo. Dopotutto, sentiva che era più importante la consapevolezza di avercela fatta: aveva visto uno scorcio del suo possibile futuro, era in grado di vincere un concorso e diventare una fotografa famosa. Ci sarebbero state altre opportunità. Di Chloe, invece, ce n'era una sola.
Focalizzò i propri ricordi su un momento in cui le era parso che il pannello con la sua foto fosse sgombro dai visitatori e alzò appena la mano lungo il fianco, cercando di non farsi notare. Niente.
Un rivolo di sudore gelido le corse lungo la schiena: no, impossibile. Sollevò un altra volta la mano, questa volta ben dritta davanti a sé, aspettandosi di sentire il familiare risucchio del tempo che veniva riavvolto. E invece non accadde nulla.
Max si sentì come se qualcuno le avesse versato una mestolata di piombo giù per la gola e fino alle viscere. Si allontanò dal preside, le cui consolazioni farneticanti aveva smesso di ascoltare da un pezzo, spinse via la folla con un'energia che non si sarebbe aspettata di avere nel suo corpo minuto e si piazzò davanti alla foto. Doveva apparire come una completa pazza, ma non importava: doveva sapere. Supplicò di vedere l'immagine sfocarsi, di sentire i familiari suoni di un altro tempo uscire dai margini del pannello. Niente. I suoi poteri erano venuti con il tornado e con il tornado se n'erano andati. Lontana da Arcadia Bay, la necessità di monitorare la situazione dimenticata, il tempo le era scivolato via come sabbia fra le dita, fino a lasciare un unico futuro possibile. Aveva sacrificato la sua città e la ragazza che amava per quindici minuti di gloria. Max non sentì le mani che la afferravano, le grida di farle spazio. Prima ancora di toccar terra era svenuta.

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*apre la porta e infila la testa dentro* Salve a tutti! Primo tentativo di scrivere qualcosa sul mio adorato Life is Strange. Come probabilmente avrete letto, è ambientato durante una delle tante linee temporali di Polarized. Ai fini della trama (ovviamente, prima del finale) ho dovuto applicare qualche cambiamento, ma nulla di rilevante (non credo cambi moltissimo se il dialogo con il preside s'è svolto in taxi o nell'atrio della Zeitgeist Gallery.
Un saluto e grazie a tutti coloro che leggeranno!

   
 
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