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No man is an island
"'Cause
love's such an old-fashioned word
And love dares you to care
for
The people on the edge of the night
And love dares you to
change our way of
Caring about ourselves"
[Under Pressure – David Bowie/Queen]
25 Giugno, Helicarrier
Un
anno e mezzo prima era sceso da un aereo militare con passo stentato,
un braccio al collo e senza le solite lenti scure a celare gli occhi
gonfi e le escoriazioni sul volto, oltre alle ombre cupe che lo
avrebbero insidiato ancora a lungo. Quel giorno il sole era a picco,
il cielo terso, non spirava un alito di vento e tutto sembrava
quasi sospeso sull'asfalto infuocato e grigio, come un miraggio
rimasto ancorato per sbaglio al suo posto.
Ricordava quel momento
con chiarezza cristallina, perché allora era finalmente
riuscito a
ignorare il senso d'oppressione che per tre mesi gli aveva
occluso il petto martoriato. Si era concentrato unicamente
sul paio di occhi azzurri e lucidi che lo scrutavano dall'altro capo
dalla pista d'atterraggio, incorniciati da ciocche ramate, e sul
sussulto che aveva scosso il suo petto a
metà tra
il cuore e il reattore
nell'incrociarli. Ricordava anche di aver temuto follemente
che una delle maledette schegge avesse deciso di stroncarlo
lì,
proprio quando era riuscito a tornare a tutto ciò che gli
era
mancato.
Invece si era trovato
davanti a quegli occhi limpidi, avvolto dalla sensazione più
piacevole che avesse provato dopo quei mesi di prigionia, e aveva
pensato che, dopotutto, poteva davvero ricominciare a vivere. E aveva
scelto di farlo nel migliore dei modi possibili.
Quegli stessi occhi,
velati però di tristezza e incredulità, avevano
accolto il
risveglio peggiore della sua vita, anche più di quello in
Afghanistan: inerme su un letto d'ospedale, a
pezzi, con il terrore che gli aveva avvolto le membra rimaste
dissipato dalla semplice, lieve stretta di una mano fidata. C'era
stato di
nuovo quel sussulto vicino al reattore e poi più nulla. Solo
un
vuoto freddo che si era radicato nel suo petto. Si era rifugiato in
quell'apatia, perché allora sentire qualunque
cosa avrebbe
voluto dire sprofondare nel pozzo buio che aveva intravisto davanti a
lui, senza accorgersi che era già dentro di sé.
Si era aggrappato
a quella mano come se fosse l'unica cosa che potesse trattenerlo dal
cadere, e l'aveva sostenuto davvero, anche quando lui era stato
deciso a mollare la presa.
Era caduto. Si era
rialzato a stento, ferito, ed era caduto di nuovo. Lei l'aveva
afferrato
ogni volta. Ancora, e ancora, e ancora, sempre più in basso,
ogni
volta più a pezzi e più confuso, più
determinato a lasciarsi cadere.
Finché quegli occhi non
si erano riempiti di delusione e rammarico e la mano si era
tesa
un'ultima volta. E lui l'aveva sfiorata volendola stringere con tutto
se stesso, per poi ritrarsi, consapevole che anche tutto se stesso
non sarebbe mai stato abbastanza; consapevole che era troppo
rotto
per essere abbastanza, per meritarsi qualcosa, per tener testa a
quell'azzurro limpido col
suo nocciola torbido e mutilato. Si era lasciato cadere
in fondo al pozzo, nel fango, assieme ai pezzi del suo guscio ormai
infranto e a quelli che già erano caduti laggiù
da anni senza che
se ne fosse neanche reso conto.
Rialzarsi non gli era
mai sembrato così difficile come quando aveva visto l'uscita
solo
come una capocchia di spillo lontana sopra la sua testa. Ma in
qualche modo era riuscito a raccattare i pezzi più
importanti e a
risalire verso essa, un passo alla volta, con un guscio più
fragile,
ma anche più leggero. Voleva credere di essere
arrivato quasi in cima. In realtà sapeva di non essere
neanche a
metà strada e di poter cadere di nuovo da un momento
all'altro,
nonostante le
altre mani alleate che si erano tese verso di lui e che aveva
finalmente
deciso di accettare.
Adesso il medesimo,
inatteso sussulto di un anno e mezzo prima gli fece mancare un
battito nell'incrociare di nuovo i suoi occhi, questa volta
illuminati da una viva sorpresa, subito sostituita da una freddezza
estranea e dolorosa.
Il suo primo istinto fu
di ritrarsi. In alternativa, di poter scomparire o rimpicciolire a
comando per sfuggire a quello sguardo un tempo
salvifico e adesso insostenibile, lontano dai quegli occhi cerulei e
da quelle labbra che non era riuscito ad accettare e che
probabilmente non avrebbe mai davvero meritato. Avrebbe voluto fuggire
di
nuovo, ma qualcosa dentro di lui si ribellò con violenza a
quell'idea, anche se adesso avrebbe potuto farlo, grazie alle sue gambe
appena
riconquistate.
Invece rimase piantato al suo posto, ravvivò nuovamente
il sorriso di una risata trattenuta troppo a lungo prima che svanisse
del tutto dal suo volto, e si rifiutò di cedere ancora una
volta alla
sua stessa vigliaccheria:
«Non ho mai creduto al
caso, ma sto cominciando a cambiare idea,»
commentò, con un'alzata
di sopracciglia e il tono più disinvolto che gli
riuscì, nonostante
il peso che gli premeva nel petto fosse tangibile e cercasse di
arrestare quelle parole spigliate. «Salve, signorina
Potts,»
aggiunse con garbo.
Pepper rimase
comprensibilmente spiazzata, ma ebbe abbastanza prontezza da
rispondere quasi all'istante con la medesima cordialità,
cosa di cui
d'altra parte non aveva affatto dubitato:
«Buongiorno, Signor
Stark. Sono sorpresa di vederla qui.»
«Oh, non è l'unica,»
replicò lui, bloccando col bastone le porte dell'ascensore
che
avevano iniziato a richiudersi e svicolando dentro con un passo un
po' ondeggiante.
Notò con chiarezza la
donna che si irrigidiva stringendo la sua cartella di documenti come
uno scudo e fu tentato di schizzar via di lì all'istante,
rendendosi
conto del suo disagio, ma ormai il danno era fatto.
«Noi
stavamo giusto
andando in laboratorio,» aggiunse, trattenendo ancora le
porte e
scoccando un'occhiata eloquente a Bruce e Steve, che sembravano
essersi tramutati in statue di sale.
Ignorarono palesemente
il suo non tanto velato invito a salire a loro volta, per stemperare
quella situazione decisamente disagevole. O imbarazzante.
"Catastrofica,"
concluse tra sé, nel realizzare che probabilmente stava per
imbarcarsi da solo nei due minuti in ascensore
più lunghi
della sua vita.
«Tu
intanto vai...»
lo incitò Bruce, riprendendosi e indietreggiando di un
passo.
«Quanto
a noi, credo che sia meglio andare a controllare che stanno
combinando là dentro, con Thor e tutto... Capitano?»
«Buona
idea, Dottore,»
concordò l'altro, stranamente docile e accodandosi
all'istante, con
tanti saluti al famigerato coraggio del Vendicatore a stelle e
strisce che prendeva a pugni i nazisti.
"Figurarsi."
Tony
stentò un sorrisetto gelido che prometteva ripercussioni molto
dolorose su entrambi, non appena fosse stato in grado di rimettersi
l'armatura.
«Stronzi,»
commentò a mezza voce, ma abbastanza forte da arrivare
alle
loro orecchie, poco prima che le porte si sigillassero
in modo definitivo.
Era
dell'idea che probabilmente una cripta sarebbe stata molto meno tetra
e inospitale di quei tre metri quadri d'ascensore. Scoccò
un'occhiata al pannello dei pulsanti e notò che anche Pepper
era
diretta al piano dei laboratori, dieci livelli più su.
"Grandioso. Oggi il caso mi ha preso in simpatia."
Non
aveva ancora avuto la forza di guardarla volontariamente e lei teneva
lo sguardo fisso sulle porte come se volesse indurle ad aprirsi con la
forza del
pensiero. Iniziò a pensare che quello non fosse esattamente
il modo
migliore per riallacciare i rapporti, ma evidentemente tre mesi di
recupero psicofisico non erano stati sufficienti a
ridimensionare la sua avventatezza. Iniziava
a sentirsi soffocare, lì dentro. Giurò a se
stesso che il prossimo
progetto che avrebbe presentato per migliorare l'Helicarrier sarebbe
stato per degli ascensori supersonici...
«La
trovo meglio.»
Tony
trasalì e dovette convincersi di aver davvero sentito
quelle
parole, perché era abbastanza convinto che il suo cervello
gli
stesse giocando brutti scherzi, ma una fugace occhiata laterale lo
convinse di non esserselo immaginato, visto che adesso Pepper stava
guardando senza ombra di dubbio nella sua direzione. Di sottecchi e
con circospezione, ma stava almeno riconoscendo la sua presenza.
«Dice?»
mormorò, a voce più bassa di quanto avesse
voluto,
quasi stesse parlando
con un timido animale selvatico pronto a dileguarsi al primo gesto
troppo brusco. «Anch'io. Nel senso, trovo meglio
entrambi
anche se non è
difficile che lei mi trovi meglio rispetto a...»
s'interruppe. «Mh, lasciamo perdere.»
Portò una mano sul
reattore, ticchettandovi un paio di volte le dita nel suo solito
gesto automatico, ma smise all'istante nel notare la reazione tesa
della donna, che sembrò scansarsi appena da lui.
All'improvviso
desiderò solo avere qualcosa per coprire la luce azzurrina
che gli
brillava in mezzo al petto, vistosa contro la stoffa scura.
Tirò
su nervosamente col naso: con quella falsa partenza, era sicuro che
potesse scordarsi qualsiasi possibilità di intavolare una
discussione civile con lei. Senza contare che l'aveva irritata e
forse turbata, visto che le stava imponendo la sua presenza e la
stava forzando a parlare con lui, presumibilmente l'ultima persona
sulla Terra con cui volesse avere a che fare. Si
sentì riempire di una frustrazione tale da renderlo
assolutamente
insofferente alle quattro pareti metalliche in cui era rinchiuso.
Adocchiò il display dell'ascensore, notando che mancavano
solo tre
piani: la sua finestra d'opportunità stava per chiudersi.
«Time-out,»
proruppe infine, costringendosi con ogni fibra del suo essere a
voltarsi del tutto verso di lei. «Posso
ricominciare?»
Pepper
non lo degnò di uno sguardo, adesso di nuovo concentrata in
un punto
davanti a sé, apparentemente sorda alle sue parole.
«Ok,
proviamo un altro approccio: le va un caffè?»
«Signor
Stark, lei è assolutamente...»
«...
impaziente di uscire di qui, esatto,» rettificò
all'istante lui, e premette più volte il
pulsante del piano, come se così potesse far accelerare quel
mezzo
infernale.
Lei
non replicò e lasciò a metà il suo
commento, ma Tony si accorse
che lo stava di nuovo osservando con la coda dell'occhio e colse un
lieve sospiro da parte sua, immaginò di esasperazione.
Accolse
l'apertura delle porte come fossero i cancelli del Paradiso.
Varcò in
un solo passo claudicante la soglia, ansioso di chiudere se stesso in
laboratorio
e il resto del mondo fuori anche solo per qualche ora. Doveva darsi da
fare con
la Mark IV; avrebbe potuto cominciare a buttar giù il
prototipo lì
per poi...
«Va
bene.»
Tony
si arrestò così bruscamente su una gamba sola che
per poco non perse l'equilibrio. Si voltò di scatto verso di
lei, bilanciandosi col bastone appena in
tempo per non cadere.
«Cosa?»
Pepper
uscì dall'ascensore quasi sovrappensiero, avvicinandosi
appena a
lui.
«Il
caffè. Va bene.»
Tony
boccheggiò per qualche istante, con la netta impressione che
il suo
cuore stesse per implodere, non sapeva dire se di gioia o paura.
«L'ha
detto davvero o sto delirando?» chiese conferma, fissandola
incredulo.
Lei
ricambiò con gli stessi occhi inespressivi che gli aveva
riservato
poco prima, ma stavolta erano accesi da un'aguzza punta di
rimprovero.
«Non
mi faccia cambiare idea.»
«Caffè,
ricevuto. Offro io.»
***
Macchiato,
due cucchiaini di zucchero e bollente da far male. In vita sua aveva
portato a Pepper forse tre caffè, contro il probabile
migliaio che
gli aveva portato lei, ma non dovette neanche chiederle come lo
volesse, tanto quell'informazione gli era rimasta impressa.
La
zona relax dell'Helicarrier era fortunatamente deserta e
sperò
rimanesse tale, contando anche sul buonsenso di qualunque incauto
avesse avuto la malaugurata idea di concedersi una pausa in quel
momento così delicato. Aveva
praticamente costretto Pepper a sedersi a uno dei tavolini metallici,
insistendo per lasciar fare a lui, con una battutina molto poco
felice sul fatto che ora
sapeva destreggiarsi in una cucina senza
devastarla. In
verità avrebbe solo voluto sedersi anche lui per far
riposare il
moncherino, ma si costrinse a resistere. Si puntellò con le
mani sul
bancone, serrando l'occhio nel tentativo di smorzare il dolore alla
piaga. Aveva un tubetto di analgesici in tasca, ma preferiva svenire
per il dolore piuttosto che prenderli davanti a lei. La
benda nell'altra tasca rappresentava una tentazione ben
più
concreta alla quale s'impose a fatica di resistere. La ferita
all'occhio si
stava finalmente cicatrizzando, anche se la cosa non migliorava poi
molto il suo aspetto generale, e ormai l'aveva visto a volto
scoperto. Si tastò cautamente lo sfregio, come se
così potesse
renderlo meno visibile, ripetendosi che non era certo quello il suo
problema più grave al momento.
Il
bip della macchinetta del caffè lo
riscosse prima che potesse
indugiare
ulteriormente su quelle considerazioni. Posò sul
piano-cucina il
caffè di Pepper, passando al suo; esitò sui
tasti, per poi
selezionare con rassegnazione il decaffeinato. Non aveva davvero
bisogno di avere i nervi ancor più a fior di pelle. Stava
temporeggiando per dare una parvenza di ordine ai suoi pensieri, ma
la cosa non stava dando i suoi frutti, anzi, così si
rassegnò a doversi
sedere letteralmente a tavolino per intraprendere una discussione al
confronto della quale sentiva che avrebbe rimpianto le amene
chiacchierate coi suoi aguzzini dei Dieci Anelli, waterboarding
incluso.
Fece
per prendere le tazze, e solo allora si rese conto che in quel momento
difettava di una mano, essendo una impegnata dal bastone. Avrebbe
potuto metterselo sottobraccio e prendere così entrambe le
tazze, ma dubitava che sarebbe riuscito a coprire quella breve distanza
senza far traboccare le tazze o rovinare a terra. E comunque, chiedere alla sua protesi di non
sbriciolare qualcosa di fragile sarebbe stato decisamente azzardato.
"Cominciamo
bene..."
Prima
che potesse farsi venire in mente un qualche commento sagace per
camuffare la sua evidente difficoltà, si trovò
Pepper accanto: era
tanto preso ad arrovellarsi su come risolvere quella questione
così
banale che neanche l'aveva sentita avvicinarsi. La donna prese senza
una parola entrambe le tazze, tornando poi verso il tavolo e
sedendosi come se non si fosse mai alzata, col suo caffè
fumante
stretto tra le mani a coppa. Tony
rimase impalato sul posto per qualche secondo, sentendosi vagamente
umiliato
per il fatto che anche in quella situazione così sensibile
avesse
dovuto ricordargli di non essere autosufficiente. Scacciò
quella
sensazione e si risolse a interpretare il gesto come una semplice
gentilezza, senza per questo confidare abbastanza nella sua voce per
riuscire a pronunciare un "grazie" senza balbettare o
suonare sarcastico.
Sedette
a sua volta di fronte a lei, rivolgendole una breve occhiata prima di
prendere a fissare il caffè di fronte a lui. Ne bevve un
sorso,
ustionandosi e chiedendosi cosa sarebbe successo ora; anche
lei nascose
brevemente il volto dietro la tazza, prolungando il silenzio e
confermando l'impressione che nessuno dei due avesse la minima idea
di cosa fare.
Forse non era l'unico ad essere stato avventato,
concluse con una punta di sollievo.
«Ok,
come ci si comporta in queste situazioni? Ho perso un po' la
mano,»
ammise infine con malcelata frustrazione, in un debole tentativo di
rompere il ghiaccio.
A
quelle ultime parole lo sguardo della donna si spostò di
riflesso
sulla sua protesi; Tony realizzò solo allora l'ironia della
sua
affermazione.
«Giuro
che è stato involontario,» puntualizzò,
alzando un indice della
mano in questione. «Neanch'io faccio battute così
scontate.»
«Un
intero tribunale potrebbe smentirla,» replicò lei,
inclinando
appena il capo e scrutandolo pungente.
Un
fugace sorriso brillò sul volto di Tony, per poi svanire in
un'espressione più composta. C'era un accenno di tensione
in meno da parte di entrambi.
«Com'è
la vita sull'Olandese Volante?» le chiese con disinvoltura,
concentrando però l'attenzione sul simbolo dello SHIELD
stampato
sulla tazza.
«Monotona
e impegnata, ma non posso lamentarmi. È un lavoro come un
altro.»
«Pensavo
odiasse cercare altri lavori,» commentò lui, per
poi serrare la
bocca chiedendosi se avesse osato troppo.
Pepper
prese un piccolo sorso di caffè, lasciandosi tempo per
rispondere, e
Tony ne approfittò per scandagliare rapidamente il suo volto
alla
ricerca di qualche traccia di fastidio. Lo trovò rilassato
nella sua
serietà. Molto più rilassato
di quanto ricordasse, e bello
come sempre, rilevò tra sé. Forse era la sua
mente che si divertiva
a trarlo in inganno, ma gli sembrava di contare più
lentiggini sulle
sue guance. O forse era lei ad avere un colorito più sano e
roseo.
«È
vero,» rispose infine senza sbilanciarsi, e Tony si chiese se
dovesse cogliere una vena accusatoria nelle sue parole.
"Nel
dubbio, me lo merito."
«Lei
come sta?» gli chiese poi, con una chiara titubanza che
s'impegnò inutilmente a
mascherare.
«Oh,
mi sono dato da fare, come ha visto,» sollevò il
bastone da
passeggio e lo posò sul tavolo accanto per sbarazzarsi
dell'ingombro. «Anche se
mi immagino già
le caricature in stile Zio Paperone,» alzò
appena l'occhio al cielo, realizzando per la prima volta che in
futuro la satira avrebbe avuto molto materiale da
cui
attingere per metterlo in ridicolo, «ma
anch'io non posso lamentarmi,» concluse con un'alzata di
spalle.
«Sono
contenta di vedere che sta bene,» disse lei, in modo fin
troppo
distaccato e formale.
Tony
compresse le labbra, chiedendosi se quello fosse un mero commento di
circostanza, ma il modo in cui lo guardava tradiva un accenno di
calore in fondo ai suoi specchi cerulei. Bastò quello a
convincerlo
della sua sincerità e si rimproverò per averne
dubitato.
«Lo
sono anch'io,» replicò semplicemente, riportando
l'occhio alle
proprie mani asimmetriche senza frenare il sorriso che gli
increspò
un angolo della bocca.
Il
naturale silenzio che seguì quelle parole li avvolse come
una bolla
serena. Per un attimo, Tony poté fingere che tra loro non
fosse
accaduto nulla, e volle credere che anche lei si stesse aggrappando a
quello stesso pensiero.
«Di
cosa voleva parlare?»
La domanda di Pepper parve piombare tra
loro
con una pesantezza impensata per delle parole tanto innocue, rompendo
l'illusione di essere immersi in una chiacchierata come tante.
"Di
un paio di miliardi di cose spiacevoli, nulla di che."
Tony
impose al proprio cervello di filtrare il più possibile il
suo
istintivo sarcasmo, onde evitare disastri. Prese
a rigirarsi la tazza tra le mani, non sapendo in verità da
dove
cominciare. Erano entrambi consapevoli di dove sarebbe andata a
finire prima o poi quella discussione, ma si rendevano anche conto di
non potervi arrivare direttamente.
«Delle
nostre "esistenze complicate", suppongo,» si decise a
rispondere infine, rialzando per pochi istanti lo sguardo.
Lei
strinse le labbra, esitante.
«Direi
che sarebbe meglio partire dalla sua,
prima di parlare delle nostre,»
replicò infine con lentezza, soppesando ogni parola.
«Andata,»
concordò subito lui, pensando che dopotutto aveva ragione ed
era
decisamente lui l'addendo più problematico di
quell'operazione.
Battè
un paio di volte il fondo della tazza sul tavolino, come a spronarsi
a parlare.
«Partiamo
da qualcosa di semplice,» sospirò poi, mettendosi
a braccia
conserte sul tavolo. «Quando mi ha chiamato per farmi gli
auguri non
l'ho ignorata. Non ho davvero
sentito il telefono: ero più o meno in letargo dopo una...
uh,
sessione extra di fisioterapia particolarmente intensa,»
spiegò in
modo vago, scrutando la reazione della donna, che rimase forse
sorpresa dal modo frivolo in cui aveva deciso di iniziare la
discussione.
«Cosa
le fa pensare che l'avessi chiamata per farle gli auguri?»
indagò senza scomporsi.
«Non
si è mai dimenticata in quasi dieci anni. È
un'ipotesi più che valida,» la
fissò con impertinente sicurezza, mordendosi le labbra per
evitare a
un sorrisetto di sfuggirgli, ma lo vide affiorare quasi di rimando
negli occhi brillanti di Pepper.
«Non
mi ero dimenticata,» confermò, con voce
più morbida.
«È
meglio che non le abbia risposto. Non meritavo quegli auguri, non da
lei,» disse lui di slancio, per poi ammutolire a sguardo
basso.
Si
era appena gettato a capofitto nella parte oscura di quella
discussione in cui temevano entrambi di addentrarsi, come se stessero
camminando sugli argini di un fiume in piena pronto a straripare.
«Forse
no,» ammise lei, sfuggendo il suo sguardo con improvviso
nervosismo,
il volto nuovamente adombrato.
«Perché
mi ha chiamato, allora?»
«Era
riuscito a rialzarsi da solo. Ho pensato che forse voleva dire
qualcosa.»
«E
lo pensa ancora?»
Pepper
passò un dito sul bordo della tazza con fare assente,
provocando un lieve stridio sulla ceramica umida.
«So
che qualche mese fa non saremmo stati qui a parlarne e forse neanche
avremmo voluto.»
«A
parlare di cosa, poi?» mormorò lui, con un lieve
sbuffo spazientito.
«Non ha risposto alla domanda,» le fece notare.
«Penso
che sia cambiato qualcosa. O almeno lo
spero,»
si corresse.
«Non
ho più istinti suicidi, se è questo a cui vuole
arrivare,» replicò
lui in tono piatto, ostentando una noncuranza che non sentiva.
Pepper
si irrigidì, e sapeva che nella sua testa stava rivivendo il
momento
in cui l'aveva trovato in fin di vita. Si sentì crudele a
rivangare
quei ricordi in modo così brusco, ma era anche stanco di
girare
attorno alla questione come se fosse una mina pronta ad esplodere.
«Ha
la più pallida idea di cosa...» esordì
lei con calma forzata e il
tono gelido in cui aveva imparato a riconoscere il preludio alla
tempesta.
«No,»
la interruppe subito, intuendo il seguito e correndo ai ripari.
«Non
posso neanche immaginare cosa abbia passato. E non era mia
intenzione...»
«Non
era "sua intenzione"?» Pepper a questo punto lo
freddò
con un'unica occhiata che parve trapassarlo come una freccia
ghiacciata. «Cosa credeva che sarebbe successo?»
Tony incassò la testa tra le spalle a quelle parole
improvvisamente sferzanti e comprese di
non avere argomentazioni abbastanza solide per controbattere.
«Quello
che fortunatamente non è
successo,» rispose
senza pensare, sentendosi
incapace di far fronte a una rabbia che non si era ancora abituato a
vedere in lei, e che probabilmente non avrebbe neanche mai visto, se
solo avesse compiuto scelte diverse.
Nel
frattempo iniziava ad avvertire un senso di vuoto schiudersi al
centro del petto, sotto il reattore, ed era improvvisamente a corto
di fiato come se qualcuno gli stesse stringendo la gola in una presa
ferrea.
«È
stato un gesto stupido, e avventato,» ammise a fatica, per
non
lasciar scivolare la discussione nel silenzio e per distrarsi dalle
sensazioni spiacevoli che gli stava inviando il suo corpo.
«Oh,
davvero?» la donna inarcò appena un sopracciglio.
«Credevo fosse un
altro dei suoi colpi di genio per "risolvere la situazione".»
Pepper
non faceva spesso uso del sarcasmo gratuito – Tony compensava
ampiamente per entrambi – ma nei rari momenti in cui vi
ricorreva
risultava sempre tagliente come un bisturi. Anche in quel caso, il
colpo andò a segno con precisione chirurgica.
«Non
ero esattamente lucido, in quel momento,» replicò
a denti stretti,
sentendosi ferito da quella stilettata sferrata apparentemente senza
alcun rimorso.
«L'avevo
intuito dalla sua performance assolutamente sobria
davanti
alla stampa, da qualche parete crollata e dallo stato pietoso in cui
l'ho ritrovata.» Pepper non si fece intenerire,
apparentemente
decisa a non lasciargli l'ultima parola. «O dal
fatto che non
si sia
minimamente preoccupato delle conseguenze del suo gesto per gli
altri.»
A quel punto la sua voce fu
attraversata da un lieve
tremito, che sembrò riverberare di rimando nelle ossa di
Tony. Questi
si limitò a chinare il capo senza rispondere. Aveva
accettato di
venire rimproverato nel momento in cui le aveva chiesto di parlare,
ma era comunque doloroso sentirle pronunciare quelle parole
traboccanti di delusione e risentimento verso di lui.
«Quando... quando
l'ho trovata
avevo appena deciso che valeva ancora la pena starle accanto, nonostante tutto,» la sua voce
traballò e fu costretta a fare una pausa. «Ha
idea di quanto mi sia spaventata?» lo
incalzò poi, fremente.
Tony
scosse appena la testa storcendo la bocca in una piega amareggiata,
continuando a tacere.
«E
nonostante tutto mi ha salvato la vita,» mormorò
infine, scrollando
le spalle ancora incredulo. «Lo so che a questo punto non
vale
nulla,
ma... grazie.»
Nel dirlo riuscì a fissarla per la
prima volta negli
occhi senza esitare. Lei
non rispose, ma dal suo sguardo Tony capì che stava
soffrendo anche
solo nel ricordare quei momenti. Lui di quegli attimi terrificanti
ricordava solo la consapevolezza che ci fosse lei ad aspettarlo, al
di là del muro d'acqua oltre il quale era scivolato. Era
riemerso
anche grazie a lei, al suono distante della sua voce, ma questo non
poteva dirglielo senza che lo prendesse per pazzo, se già
non lo
pensava.
«Lo
rifarei. Ma non avrei mai voluto trovarmi nella condizione
di
farlo e non posso perdonarla per avermi
obbligata.» La voce
di Pepper era tesa come una corda di violino e virò quasi
sullo
stridulo. «Non riesco ancora a capire come è
potuto
succedere,»
aggiunse in fretta, come se temesse che quelle parole si ritraessero
prima di poterle pronunciare.
Lui
sbuffò piano, sempre più irrequieto e in cuor suo
impaurito dalla
piega che stava prendendo la discussione.
«Non
è importante,» affermò sbrigativo, con
un gesto secco della mano.
«Lo
è per me,»
lo contraddisse lei, stavolta in tono
più gentile.
Tony
si rifiutò di incontrare i suoi occhi, anche se poteva
percepirli
mentre lo scrutavano a fondo, quasi intimandogli di alzare il
proprio.
«Ho
fatto una stronzata. Non c'è nient'altro da dire,»
ripeté,
sentendo il suo respiro che accelerava senza motivo e l'urgenza quasi
fisica di chiudere quell'argomento adesso.
«Sto
cercando di capire,
Tony. Non
mi chiuda di nuovo fuori,» lo riprese lei, con una durezza
quasi
rassegnata.
Lui
soppresse la risposta acida che gli era salita alle labbra,
l'ennesimo tentativo di fuga a cui cercava di indurlo la sua mente,
cogliendo solo con un po' di ritardo l'importanza di ciò che
gli
aveva appena detto. Quand'era
stata l'ultima volta che qualcuno aveva cercato di capirlo, invece di
limitarsi a rimproverarlo? Nessuno gli aveva mai neanche chiesto come
si fosse sentito. Aveva solo ricevuto parole di biasimo, delusione e
stizza che sentiva di meritare, ma che suonavano comunque vuote e
impersonali alle sue orecchie.
Sospirò
profondamente e trovò il coraggio di guardarla.
Incrociò per appena
un secondo i suoi occhi, ma di nuovo non riuscì a
sostenerli. Tornò
a fissarsi le mani, sentendosi più vulnerabile che mai nel
realizzare che, oltre la cortina di severità e delusione che
li
offuscava, brillava ancora quella luce limpida che l'aveva sempre
spinto a fidarsi di lei oltre i limiti di quanto avrebbe ritenuto
ragionevole. Probabilmente c'era sempre stata, anche quando lui non
aveva voluto vederla. E c'era adesso, in un momento in cui avrebbe
avuto tutto il diritto di negargli qualsiasi aiuto e
comprensione.
Serrò la mascella, improvvisamente frustrato. Come
faceva a spiegarle tutto quando non riusciva a spiegarselo lui stesso?
Esitò
ancora, scandagliando la massa intricata dei suoi pensieri alla
ricerca di un punto di partenza.
«Mi
sentivo in un vicolo cieco. E mi ero convinto che quella fosse la
soluzione più semplice per tutti,»
confessò infine, appena udibile,
scuotendo la testa con rammarico.
"Soprattutto
per me," si trovò a pensare con vergogna.
«Tony,
ho passato–... abbiamo passato mesi a
preoccuparci solo
per lei e a cercare di aiutarla in ogni modo possibile,» gli
fece
notare incredula, ma anche avvilita da ciò che aveva appena
detto.
Lui
non rispose, ma contrasse le mani attorno alla tazza: era consapevole
di quanto fossero illogiche le riflessioni che si erano affollate
nella sua testa in quel momento così buio. Quando cercava di
ricordare con esattezza cosa avesse pensato incontrava solo una
spessa, impenetrabile lastra nera che gli spaccava in due la testa
oscurando qualsiasi razionalità. Una crepa si
delineò sullo smalto
della tazza e rilassò di colpo la mano meccanica,
attraversata da un
lieve tremito che la fece tintinnare contro il manico.
«Non
riuscivo più a pensare,» esalò con un
filo di voce.
Il
senso di asfissia si faceva sempre più intenso e dovette
lottare per
trarre i respiri successivi, mentre sentiva il cuore che iniziava a
battere in doppio tempo. Ebbe l'improvvisa percezione di ogni singola
scheggia infissa nel petto che sembrava lottare per farsi strada
attraverso le sue carni.
«Non
avrei mai voluto obbligarla a... credevo che ci sarebbe voluto meno
per...» adesso gli sembrava che i suoi pensieri avessero
preso a
spezzarsi a metà e a ricongiungersi tra loro senza un ordine
logico.
«Quando ho tolto il...» tentò di nuovo,
ma gli si bloccò il fiato
in gola.
Non
riuscva più a parlare e il suo intero corpo sembrava
compresso in
una morsa metallica, come quando stava annegando nel sogno, o
nell'allucinazione, o in quel limbo a un passo dalla morte
che–
Si
coprì di scatto la bocca con la mano, obbligandosi a
respirare dal
naso e cercando di frenare la forte nausea e i brividi che
lo squassavano da capo a piedi. Si voltò di lato,
chinato in
avanti, e fece un rapido cenno di diniego in risposta allo sguardo
ora colmo di apprensione e inquietudine di Pepper, che era
già
scattata in piedi bloccandosi poi sul posto, un plmo puntato sul tavolo.
Non
riuscì a evitare di stringere convulsamente il reattore,
come se
così potesse impedirgli di lasciare il suo posto. Trasse
subito
conforto dal ronzio sommesso che si propagava lungo il braccio
meccanico e chiuse l'occhio, domando i capogiri.
«Tony...?»
«Sto
bene.»
La sua voce trapelò ovattata dal suo palmo,
poco convincente
e innaturalmente acuta. Allentò
appena la presa sul reattore, ma il suo cuore continuava a
sbatacchiare contro le costole come un uccellino impazzito che tenti
di uscire da una gabbia troppo piccola.
«Non...»
deglutì a fatica. «Non pensavo che parlarne mi
trasformasse in un
adolescente con gli ormoni in subbuglio,» riuscì
ad articolare con
ironia forzata dopo un altro paio di respiri profondi, non riuscendo
a scacciare del tutto la persistente sensazione dell'acqua salata che
gli riempiva a poco a poco i polmoni.
Lei
lo osservò per qualche secondo, valutando le sue condizioni
con aria
guardinga, rimettendosi a sedere con lentezza.
«Credo
che questa reazione sia un bene,» giudicò infine
con fin troppa
calma, ma le occhiate che continuava a scoccargli lasciavano
trapelare chiaramente lo spavento che le aveva provocato.
Tony
annuì scosso, capendo quello che intendeva: sarebbe stato
molto
peggio parlarne come se fosse stata una cosa da nulla.
Un'intensa
fitta al moncherino del braccio lo colpì senza preavviso e
represse
un'imprecazione, che comunque non sfuggì a Pepper. Anche la
gamba
gli stava dolendo in modo sempre più
intollerabile. Lo stress gli
scatenava sempre quelle crisi: sapeva che tra poco la situazione
sarebbe degenerata, e non era in grado di gestire contemporaneamente
la sua psiche e
il suo corpo imbizzarriti.
Emise un sospiro
rassegnato nel tirar fuori dalla tasca il tubetto di antidolorifici,
che aprì sotto al tavolo per celarlo alla vista di Pepper;
lo
schiocco del tappo che si apriva risuonò comunque in modo
inequivocabile. Si affrettò a cacciarsi in bocca la pasticca
e a
mandarla giù con un sorso di caffè, incrociando
fugacemente lo
sguardo attento di Pepper nel processo.
«Sono
antidolorifici, non psicofarmaci,» ci tenne a chiarificare,
riponendo il tubetto e sentendo il dolore che scemava all'istante e
prematuramente per
l'effetto placebo.
"Magari
mi servirebbero," si trovò a pensare, poco divertito.
Lei
scosse appena la testa, come a significare che non era una
precisazione necessaria. Tony
riprese una postura composta, ignorando il gelo innaturale che ancora
sentiva sulla pelle, il lieve senso di vertigine e il fastidioso
retrogusto di bile in bocca che neanche il caffè riusciva a
dissipare.
Rimasero in
silenzio per quella che a lui parve un'eternità, anche se
probabilmente fu meno di un minuto.
«Devo
riuscire a parlarne,» mormorò poi frustrato,
fissando la superficie
lucida del tavolino.
Intravide
il proprio riflesso sfigurato e strinse il pugno metallico.
«Non
deve forzarsi adesso, abbiamo...»
«Voglio
riuscirci,» s'incaponì con voce ancora turbata.
Puntò l'indice
sul tavolo contro la sua immagine distorta, come sfidandosi a fissare
quel concetto:
«Sono sopravvissuto a una bomba, ai terroristi, a un
reattore nel petto, all'incidente e a due operazioni; fare una
chiacchierata sul mio... sul
mio suicidio,»
si obbligò a
scandire quasi in un singulto, «non sarà peggio di
aver vissuto
tutto ciò, e non ho intenzione di tirarmi indietro solo
perché mi
ritrovo col subconscio di un tredicenne confuso,» concluse
con
intensità crescente.
Annaspò
per un attimo, a corto di fiato.
«E
voglio parlarne con lei,» asserì infine, rialzando
lo sguardo.
Vide
con chiarezza lo stupore che si disegnò sul volto della
donna a
quelle parole, come se non si aspettasse tutta quella veemenza da
parte sua. In verità non se l'aspettava neanche lui, ma
iniziava a
provare una viva avversione per la sua incapacità di
controllare le
proprie debolezze. Rimettersi in piedi e "ripararsi" voleva
dire affrontare anche quelle. Non si sarebbe fatto sviare di nuovo
dalla sua rotta, non ora che l'aveva finalmente ritrovata e che si
sentiva di nuovo al timone, invece che alla deriva e in
balìa delle
correnti.
Pepper
rimase in silenzio e si poggiò allo schienale, scrutandolo.
«La
sua testardaggine non è cambiata,»
osservò infine in tono neutro,
ma i suoi occhi gli sembrarono meno freddi, come se constatare quel
fatto la rassicurasse.
«Non
posso cambiare del tutto, altrimenti non potrei più
chiamarmi Tony
Stark. Poi sarebbe un casino dal punto di vista legale e ho
già
abbastanza problemi in quel settore.»
Alzò le
spalle con ovvietà e
riprese un tono spigliato, sollevato nel vedere l'espressione
più
conciliante della donna.
«Quindi
sta davvero cercando di cambiare.»
Tony
rifletté brevemente su quella che, più che una
domanda, sembrava una
constatazione speranzosa. Incrociò le braccia sul petto
coprendo il
reattore, quasi a farsi da scudo contro tutto ciò che poteva
ferirlo
ancora.
«Prima... prima
ero furioso. Avrei voluto distruggere tutto, anche me stesso.
Ovviamente non era la soluzione giusta, ma non ci voleva un genio
come me a capirlo,» aggiunse in un blando tentativo di
alleggerire i
toni.
«Direi
di no,» commentò solamente Pepper con fare colmo
di sottintesi, al
che Tony sospirò appena, sentendosi di nuovo al banco dei
testimoni
mentre tentava di giustificarsi senza essere messo all'angolo.
Non
c'erano vie di fuga, stavolta.
«Adesso
sto cercando altri tipi di soluzione meno... irruenti.»
«E
crede che stia funzionando?»
«L'ha
detto anche lei che va meglio, no?»
Gli sfuggì un
sorrisetto, suo
malgrado soddisfatto nel notare di aver colto nel segno: lei in
apparenza rimase
assolutamente impassibile, ma fu tradita dalla luce più
morbida che
le illuminò gli occhi.
«Il
mondo non è disposto a cambiare per me,»
dichiarò infine.
«Il
che è estremamente scortese, considerando tutto
ciò che ho fatto
per lui. Ma non
ho molta scelta,» concluse poi, accigliandosi e rendendosi
conto di
aver appena mancato il nòcciolo della questione.
Gli vennero in mente i
discorsi di Bruce a quel proposito, colmi di biasimo e conditi da
metafore di ceneri e rinascite un po' troppo poetiche in bocca a un
tizio in grado di diventare un gigante verde radioattivo. Allora
affermare di
voler morire era stata più un'esternazione di impotenza
dettata
dall'alcol che un vero e proprio desiderio. Guardare indietro e
vedere quella versione di se stesso prostrata, furente e
assolutamente sorda a qualsiasi offerta d'aiuto lo riempiva di
vergogna.
Il suo stesso suicidio
era stato qualcosa di talmente impulsivo da farlo rabbrividire. Per
settimane aveva avuto il terrore di ripetere quel gesto in modo
inconsapevole, ripiombando nel blackout mentale che aveva
soppresso il suo raziocinio. Tutt'ora si svegliava spesso nel cuore
della notte convinto di essersi strappato il reattore nel sonno, con
le ultime parole di Yinsen che gli rimbombavano in testa, adirate e
colme di delusione.
E fino a qualche tempo
prima non sarebbe stato in grado di rispondere alle domande di Bruce.
All'epoca non si sentiva in grado di tornare ad essere se stesso,
figurarsi Iron Man o anche solo una versione migliore di ciò
che era
stato. Adesso era riuscito a
riprendere una presa salda su ciò in cui credeva ed era di
nuovo in
piedi, con tutti i suoi difetti e le sue imperfezioni che gli
ricordavano di non poter mollare neanche per un istante, se non
voleva cadere di nuovo. A quel punto non era del
tutto sicuro di poter cambiare del tutto se stesso, né di
volerlo:
sarebbe
stato come sostituire il suo guscio con un altro, senza preoccuparsi
di capire quali fossero le falle del precedente, né
volersene
davvero sbarazzare.
E lui detestava non
capire qualcosa, che fosse il motore di un'auto bizzosa o la sua
psiche in subbuglio.
Bevve un sorso di caffè,
a mascherare il volto teso per lo sforzo di venire a capo dei suoi
pensieri. Il calore della bevanda dissipò un poco il gelo
concentrato in un unico blocco compatto al centro del suo corpo.
Percepiva ancora un lieve tremito nelle mani, ma l'ondata di panico
che l'aveva avvolto poco prima sembrava essersi ritirata, anche se ne
avvertiva un imminente ritorno più burrascoso, come il
momento di
secca prima dello tsunami.
«In realtà non è
questo il punto. Non si tratta di cambiare e basta, non... Me l'ha
detto anche Banner, non avrebbe senso...» s'interruppe,
confuso, e si lasciò cadere di peso col gomito puntato sul
tavolo a sorreggergli il mento, scuotendo appena la testa.
Sospirò, frustrato e incapace di esprimere chiaramente tutto
ciò che gli stava scorrendo in testa. Si passò
una mano sul viso quasi ciò potesse
ripristinare un'espressione neutra e resettare anche le sue sinapsi
al momento scoordinate. Pepper non si intromise nel discorso e si
limitò a rimanere in silenzio, scrutandolo attenta.
Capì che gli stava
lasciando tempo. Tempo per riordinare i pensieri, per parlare, per
spiegarsi, per tirar fuori tutto quello che aveva compresso e tenuto
a bada per mesi.
Da quanto aspettava quel
momento? Da quanto lo aspettava lei?
Si sentì in dovere di
sfruttarlo al meglio: il minimo che potesse fare era essere sincero,
in tutto e per tutto. Gli balenò davanti l'immagine del
reticolo di
palladio che si dipanava sul suo petto e il suo volto
s'incupì.
"Quasi
tutto..."
Si rigirò nervosamente
la tazza tra le mani, guardando con aria assente il liquido che
sciabordava al suo interno in onde scure e concentriche.
«Quando stavo per
morire ho costruito Iron Man per salvarmi,»
esordì, lasciando
semplicemente fluire le parole che arrivavano alla sua bocca, come
poco prima coi Vendicatori. «Ha funzionato.»
Alzò le spalle per
chiudere l'argomento, percependo il vivo disagio da parte di Pepper
nell'affrontarlo.
«Adesso però...»
scosse la testa, sentendo nuovamente un vuoto al petto e presagendo
l'ondata di panico che si avvicinava pericolosamente.
Si maledisse per la
propria debolezza, ma non poté far altro che posare una mano
sul
reattore per ritrovare la calma, anche se notò come Pepper
si
accigliò a quel gesto. Si concentrò sulle lievi
vibrazioni che si
trasmettevano al suo palmo e contò fino a dieci –
si contava
sempre fino a dieci, no?
Sembrò funzionare,
perché l'ondata si ritrasse prima di abbattersi su di lui,
tornando
verso l'orizzonte. Schiuse le labbra e si sforzò di lasciar
trapelare le successive parole senza esitare.
«Sono stato io
a voler
morire,» esalò sfuggendo lo sguardo di Pepper.
«Stupidamente,»
aggiunse come se non fosse già abbastanza ovvio.
Non ebbe bisogno di
guardarla per vedere la delusione e il dolore riaccendersi nei suoi
occhi.
«Vorrei davvero spiegarle tutto, ma non lo capisco neanch'io.
Si... si è rotto qualcosa. E non capisco
come,» sbottò
frustrato, come sempre quando qualcosa gli sfuggiva.
Riuscì a scostare la
mano dal reattore, sebbene con sforzo, e si obbligò a
poggiare
entrambi i palmi sul tavolo.
«Adesso non posso
costruire un altro Iron Man.» Fece un
debole sorriso a schernire la sua stessa affermazione. «L'ho
già detto alla squadra,
prima: sono io Iron Man. Se non funziono, il resto
va a
rotoli.»
Fece una breve pausa,
umettandosi le labbra.
«Devo
ripartire dalle basi. Da... da qui.» Fece un gesto vago verso
se
stesso.
«Ho perso molto tempo e molte cose. E ne ho rotte
altrettante.»
Rialzò lo sguardo su
Pepper con involontaria intensità, costringendosi a non
distoglierlo,
e lei lo sostenne.
«Devo prima capire.
È come un progetto,» affermò d'impeto,
aggrottando le sopracciglia
con fare concentrato. «Puoi avere le idee più
geniali di questo
mondo, ma se non sai organizzarle e capire come renderle concrete
rimarranno per sempre solo idee. Non devo cambiare, devo solo...
ecco, devo riprogettarmi,»
stabilì trionfante, e
un guizzo vivace passò nell'iride
nocciola illuminando il suo volto. «Adesso so per certo che
almeno
le basi sono giuste, e non ho più intenzione di dubitarne. E
dopotutto sono un ingegnere, progettare cose è il mio
lavoro,»
concluse, dando voce a quell'intuizione improvvisa con un sorriso
esitante ma spontaneo.
Pepper abbassò lo
sguardo, come colpita da ciò che aveva detto, e
sperò solo che
fosse in modo positivo. Aveva semplicemente espresso ciò che
pensava, per quanto ingarbugliato, nonostante nel corso delle sue
notti insonni si fosse preparato discorsi molto più completi
ed
elaborati in previsione di quel momento. Non si pentiva di
ciò
che aveva detto.
«Non me l'aspettavo,»
commentò infine Pepper, rialzando gli occhi chiari.
Tony si accigliò,
circospetto.
«Lei è la seconda
persona che mi dice questa cosa, oggi. Capitan Fierezza l'ha battuta
sul tempo,» commentò con brio un po' forzato per
tastare il terreno.
«Cosa
non si aspettava?» aggiunse, non ottenendo
reazione da parte
sua.
«Tutto... questo. Il fatto
di riuscire finalmente a parlare come... come avremmo dovuto fare da
tempo,» si bloccò, forse non del tutto padrona di
ciò che stava
dicendo.
Aveva preso
involontariamente a gesticolare; Tony si trattenne dal sorridere nel
riconoscere quel segno di nervosismo per cui l'aveva presa in giro
innumerevoli volte in passato.
«E anche di vedere che
non sta facendo finta che... che "vada tutto bene come al
solito",»
aggiunse, citandolo.
Tony annuì appena,
mordendosi il labbro con lieve nervosismo nel ripensare a quanto si
era sentito scoraggiato quando aveva pronunciato quelle parole.
«E cosa si era
aspettata, allora?» le domandò poi, suo malgrado
incuriosito e allo
stesso tempo timoroso della risposta.
«Non lo so... una fiera
del sarcasmo, o qualcosa del genere,» rispose, quasi
distrattamente.
«Ammetto che
trattenermi è difficile, ma se le è mancato
così tanto rimedio
subito.»
Stavolta lasciò che il suo solito ghigno
sfacciato gli
emergesse sul volto e si sporse verso di lei inclinando la testa di
lato con fare
impertinente. Lei non rispose e chinò
il capo a fissare la tazza vuota, celando gli occhi dietro la
frangetta, ma Tony captò un accenno di sorriso sulle sue
labbra e si
sentì come se avesse conquistato per primo la vetta di una
qualche
montagna inaccessibile. Il suo entusiasmo scemò
un poco nel notare che Pepper non sembrava avere intenzione di
rialzare lo sguardo, e che aveva appena preso a tormentarsi le mani. Il
che non era mai un
buon segno.
«Questo è il punto in
cui lei dovrebbe dirmi cosa ne pensa di me, o cosa ha intenzione di
fare sapendo ciò che le ho appena detto,»
cercò di spronarla con
leggerezza, sentendosi in cuor suo di nuovo irrequieto per quel lungo
silenzio e lasciando quindi il freno della sua parlantina:
«Può dirmi qualuque
cosa, ormai me ne hanno dette di tutti i colori... ma sono contento
che abbia finito il suo caffè: non avrei sopportato che mi
macchiasse anche questa maglietta, soprattutto perché mi
sembrava
che piacesse molto anche a lei,» continuò in tono
forzatamente
vivace, accennando alla sua storica T-shirt dei Black Sabbath.
A quel punto lei rialzò
cautamente la testa e Tony realizzò con sconcerto che i suoi
occhi erano lucidi e sul punto di traboccare. Si sentì un
insensibile per
aver scherzato a quel modo su un episodio che, a pensarci bene, non
era stato bello né divertente, anche senza considerare le
docce di
caffè.
"Forse mi servono
davvero quelle lezioni di savoir-faire da K..." gli
balenò in testa.
«Pepper?» pronunciò
allarmato il suo nome come se potesse racchiudere ogni possibile
domanda, inclusa quella che non conosceva e che poteva fargli
ottenere una spiegazione a quel repentino cambio di atteggiamento.
«Sono un'ipocrita,»
proruppe lei, scuotendo appena la testa.
«Cos– perché mai?»
Tony si agitò sulla sedia, spiazzato.
«Perché l'ho accusata per tutto questo tempo di
non voler parlare, mentre io
facevo esattamente la stessa cosa. E l'ho rimproverata per la sua
sfiducia, quando invece...»
respirò a fondo, «...
adesso lei sta parlando di tutto e io
non riesco neanche a...» si interruppe, facendo un evidente
sforzo
per ricacciare indietro le lacrime.
Tony cercò in ogni modo
di non dare troppo a vedere il suo spaesamento per quell'improvviso
rovescio della situazione: avrebbe dovuto essere lui quello a
scusarsi e autoaccusarsi per... per tutto, in
effetti.
E adesso lei era sul
punto di piangere?
Lei, Virginia Pepper
Potts, era la sua donna di ferro, che non aveva bisogno di un'armatura
per
esserlo e che avrebbe sempre creduto assolutamente incrollabile e del
tutto immune al pianto, se non l'avesse vista in lacrime coi suoi
occhi al suo risveglio dall'incidente. Fu pervaso da un senso
d'angoscia crescente al pensiero che qualunque cosa la stesse
spingendo al suo limite, doveva avere una gravità almeno
pari
a
quell'episodio.
"Oddio, che cavolo
faccio, adesso?"
I suoi pensieri
tornarono repentinamente a qualche mese prima, quando avevano avuto
una discussione molto poco piacevole riguardo a psicologi e fiducia,
terminata con una brocca schiantata contro il muro. Non uno dei suoi
momenti più alti, in effetti, ma ringraziò i suoi
neuroni disorientati per aver ripescato provvidenzialmente l'episodio.
«Ero sincero quando le
dissi che poteva parlare con me,» si offrì
impacciato, senza
riuscire a nascondere un po' di rammarico per il fatto che all'epoca
non avesse voluto confidarsi.
Pepper non rispose, ma
il suo sguardo non lasciava spazio a fraintendimenti riguardo al
fatto che qualcosa la turbasse da tempo, nel profondo. In
realtà lui
ne aveva sempre avuto una vaga percezione, fin dall'incidente, ma
era stato talmente assorbito dai suoi problemi da estraniarsi da tutto
il
resto. Anche quando si era chiesto cosa pensasse o provasse Pepper, era
sempre in relazione al suo comportamento con lui.
"Dopotutto, sono
un egoista," si rammentò con amarezza.
«L'offerta vale
ancora,» insisté in tono più morbido, e
poteva leggere sul volto
di Pepper quanto volesse accettarla.
La donna si asciugò
rapidamente gli occhi, nonostante non una sola lacrima fosse sfuggita
alle sue ciglia, e giunse le mani di fronte a sé come
raccogliendo
le forze.
«Non è questo il
momento più adatto per parlarne,»
stabilì con fermezza.
«Il momento più adatto
sarebbe stato sei mesi fa, ma non sono la persona più adatta
a farle
la ramanzina per aver procrastinato,» la rimbeccò
Tony, e lei ebbe
un lieve sussulto, facendogli capire di aver colto nel segno.
La vide esitare e
barricarsi di nuovo dietro la sua compostezza, ma notò il
lieve
tremito del suo volto e seppe che quella facciata non avrebbe
resistito a lungo.
«Tony, ho premuto io
quel pulsante,» disse infine, tutto d'un fiato.
«Quale?»
Le
sopracciglia dell'uomo si aggrottarono appena mentre tentava di
raccapezzarsi.
«Quando era sul tetto,
con Stane.»
«Sì, me l'ha detto,»
replicò lui con lentezza, con un brutto presentimento.
«L'ho
premuto troppo tardi. Probabilmente non se lo ricorda, ma me l'ha
chiesto più volte e... e io ho esitato.»
Si interruppe, trattenendo le lacrime che le erano nuovamente salite
agli occhi. «E se non mi fossi trovata in pericolo... se solo
fossi
riuscita a scappare, lei non sarebbe dovuto intervenire e...»
s'interruppe di nuovo, a corto di fiato.
Tony si sentì
improvvisamente la bocca secca, capendo infine quello che gli stava
dicendo.
«No,»
riuscì a dire soltanto, alzando la mano come a frenare
quelle
affermazioni. «No, no,
Pep, non provare neanche a...»
Si prese la radice del naso
tra le dita, senza credere a ciò che stava sentendo.
Respirò a fondo,
sentendosi improvvisamente furioso con se stesso.
«È stata colpa mia,»
proruppe lei, e sentire la sua voce rotta fu peggio di qualunque
sofferenza fisica che avesse affrontato in quei mesi.
«No, Pepper,» ripeté con
veemenza. «Stavi agendo su mio ordine, ti
ho messa io
in quella situazione e non avevamo idea di chi fosse davvero
Stane,»
si adoperò per imporre tutta la fermezza possibile alle sue
parole,
vedendo che Pepper non ne sembrava assolutamente convinta. «E
ti ho
chiesto io di sovraccaricare il reattore: sapevo
quello che
sarebbe successo e...»
«Non potevi
saperlo,» proruppe lei,
facendolo ammutolire.
Non riuscì a trovare
una risposta adeguata, nella consapevolezza che, no, non aveva
minimamente immaginato le conseguenze della sua richiesta, ma si
odiò
ferocemente per averla costretta a compiere una decisione simile,
obbligandola a vivere con quell'immeritato senso di colpa.
«Se
non l'avessi premuto...»
Lui si riscosse,
contenendo a stento la rabbia ribollente verso se stesso.
«Sarei morto,» completò
con forza.
Si arrischiò a
sfiorarle il polso con la punta delle dita, celando a stento il suo
stupore quando lei si aggrappò alla sua mano quasi con foga.
Rimase
per qualche istante senza parole, sentendo la sua mano sottile
stringerlo con forza inaspettata.
«Finora mi hai salvato
la vita per ben tre volte. E non sto neanche a contare tutte quelle
in cui mi hai impedito di fare qualcosa di stupido prima di tutto
questo casino. Non hai nulla da rimproverarti.»
Pepper tacque un poco,
nel tentativo di ricomporsi.
«Per tutto questo tempo
ho avuto paura che tu mi chiedessi qualcosa al riguardo,»
riprese
poi, con voce umida di lacrime trattenute. «E allo stesso
tempo avrei voluto dirti tutto, ma non era... non era
mai il
momento giusto,» concluse con una traccia di rammarico.
«Anche
prima ti avrei risposto nello stesso modo. Io non ti ho mai
ritenuta responsabile di nulla. Il colpevole è solo
Stane,» la
rassicurò lui, senza riuscire a nascondere il rancore verso
il suo ex-socio,
sempre pronto a riemergere. «Semmai sono io ad averti messa
in
pericolo. Più volte,» aggiunse, abbassando lo
sguardo sul braccio
che le aveva ferito tempo prima senza volerlo, colpito come allora da
un bruciante rimorso.
Pepper continuò a
tenere lo sguardo puntato sulle loro mani, in silenzio, ma
tirò le
labbra in un'espressione poco convinta.
«Non
voglio che pensi queste cose.»
Tony parlò piano,
quasi cullandola
con quelle parole mentre le accarezzava appena le dita col pollice.
«Non riesco a non
pensarci,» confessò lei.
«Lo so.» Tony si
limitò a sorridere mestamente. «Ormai me ne
intendo
di pensieri
insensati.»
Le strinse appena la mano e fu contento di essere
riuscito a incurvare appena le sue labbra verso l'alto.
«E ha anche qualche
consiglio per ignorarli?» gli chiese con voce flebile,
riprendendo
le distanze almeno con le parole.
«Ascoltare gli altri è
un inizio,» mormorò lui, abbassando di nuovo lo
sguardo con
colpevolezza. «Quindi mi
ascolti quando le dico che non è
colpa sua.»
«Non può dirlo con
certezza, ha un'amnesia e...»
«Io
so
che non è colpa sua,» ribadì lui,
irremovibile. «Senza di lei... non
sarei qui,» aggiunse senza avere il coraggio di spiegare
davvero
tutto ciò che racchiudeva quell'affermazione.
Era stata la sua voce a
richiamarlo dalle viscere di una grotta buia, era grazie a lei che
aveva avuto un cuore di riserva a salvargli la vita, era seguendo la
sua eco che era riemerso dall'abisso delle proprie paure.
Continuò semplicemente
a stringerle la mano in una presa gentile, incapace di comunicarle
tutto ciò in altro modo. Lei non si ritrasse al contatto,
che
sembrava colmare il silenzio tra loro.
A quel punto allungò appena
l'altra mano, esitante, per poi posarla su quella meccanica di Tony
rimasta inerte lì accanto. Lui trasalì appena, e
nonostante non potesse percepirlo poté giurare di sentire le
sue
dita esili poggiarsi delicatamente sulle nocche fredde e metalliche.
Abbassò lo sguardo, tirando le labbra nel tentativo di
mantenere il
suo volto impassibile mentre veniva attraversato da una valanga di
emozioni contrastanti che rischiavano di straripare da un momento
all'altro.
Quella era la mano che
l'aveva ferita, che aveva distrutto così tante cose e legami
da
averne perso il conto. Aveva voluto vederla come un simbolo di
vittoria, ma era anche un memento di quanto fosse imperfetto. E lei
adesso stava accettando quell'imperfezione.
Aprì e chiuse la bocca
un paio di volte, ma ancora una volta non riuscì a trovare
parole che esprimessero
l'immenso calore che gli stava trasmettendo con quel contatto, anche se
dovette domare l'istinto di ritrarsi. Si
trovò a fissarla con
sguardo liquido e appannato, sperando solo che capisse quanto
significasse per lui quel semplice gesto, quel contatto nuovo che non
sapeva come gestire e che stava rischiando di sopraffarlo.
«So che non è colpa
sua, perché mi fido di lei,» mormorò
all'improvviso, stupendosi
della fermezza della sua voce, totalmente in contrasto col
caleidoscopio di pensieri che si agitava alla rinfusa nella sua mente.
«Mi sono sempre fidato,»
aggiunse, e stavolta il suo tono
era di scuse.
«Anch'io mi fidavo.
Vorrei poter fare lo stesso ora,» rispose lei distogliendo lo
sguardo, ma non si ritrasse e anzi, strinse con più forza le
sue
mani, entrambe.
Tony si aspettava un
commento simile, ma fu comunque un duro colpo. D'altronde, le aveva
mentito troppo a lungo per aspettarsi un perdono immediato. E in
realtà le stava ancora mentendo, si rammentò con
un fugace, doloroso pensiero
alla sua intossicazione.
«Tornerà a fidarsi
come prima. Glielo prometto,» si sforzò di
sfoggiare il suo solito
sogghigno spavaldo, ma era incrinato e si spense ben preso lasciando
posto a un'espressione mesta e incerta.
Pepper sorrise per lui,
un sorriso sottile ma sicuro di sé che lo scaldò
nel profondo. Si
era dimenticato delle fossette che si formavano sulle sue guance e di
come socchiudesse appena gli occhi in quel gesto così
naturale che
gli era mancato più di quanto si fosse reso conto.
«Non deve sempre fare
tutto da solo.»
«Da solo potrei anche
farcela,» ribatté lui con un pizzico di studiata
arroganza. «Ma in
due è più semplice,» ammise poi con la
sua solita aria furbetta.
Rimase brevemente in
silenzio con lo sguardo fisso sul tavolino, frastornato da
ciò che
stava succedendo e sconcertato dal fatto che, per una volta, a
confonderlo fossero tutte emozioni positive. Tornò a
guardarla e si
trovò ad affondare in quell'azzurro ravvivato da una traccia
del
calore che ricordava; lei ricambiò riflettendo il suo stesso
sguardo, quello di qualcuno che ha finalmente ritrovato qualcosa di
caro dopo tanto tempo. Nessuno dei due sembrava
intenzionato a rompere quell'esile vincolo tra le loro mani.
«Qualche tempo fa mi ha
detto che avevo chiesto "scusa" troppo tardi per essere
preso sul serio,» esordì lui dopo un po',
catturando di nuovo la
sua attenzione.
Era sicuro che
ricordasse in che occasione gliel'aveva detto, e una parte di
sé
sperava che ricordasse anche tutto ciò che le aveva detto
lui,
temendolo allo stesso tempo. Realizzò che poteva comunque
intuirlo
facilmente dal modo in cui la stava guardando: per lei non era mai
stato difficile intuire i suoi pensieri.
«Adesso sono fuori
tempo massimo. Perciò lascerò semplicemente
parlare i fatti. Vorrei
che fosse lei a decidere quando
e se le
avrò davvero
chiesto
scusa.»
Pepper schiuse appena le
labbra, presa in contropiede e in cerca di una replica adeguata, per
poi optare per un silenzio interrotto da un lieve cenno del capo, a
significare che accettava quell'idea.
«E quando vorrà, la
mia porta è sempre aperta,» aggiunse lui con lieve
titubanza, e lei
parve improvvisamente in difficoltà.
«Dovrà pur controllare i miei, uh...
progressi ogni tanto, no? Lo sa che sono un lavativo,» si
difese ironico, voltando appena la testa con fare nervoso, echiedendosi
se
si fosse spinto troppo oltre.
«Ogni tanto,» replicò
lei, con riserbo.
Tony si rabbuiò appena,
ma almeno non era un "no".
«Dica la verità,
almeno la villa le è mancata,» insinuò
poi per trarsi s'impaccio,
e seppe di aver fatto centro dal modo in cui lei abbassò
imbarazzata
gli occhi.
«Un
po',» ammise cautamente. «Vorrei solo lasciarle i
suoi spazi,»
aggiunse a mo' di spiegazione.
Tony rifletté
brevemente sulla cosa, poi le strinse appena la mano con quella sana,
come a
rafforzare ciò che stava per dire:
«I
miei spazi sono vuoti, e persino io non riesco a riempirli da solo. E
non ho nessuno se non lei.»
Fece la stessa, buffa faccia che
aveva
fatto molto tempo prima, quando le aveva detto per la prima volta
quelle esatte parole, con un brillio vivace negli occhi e un sorriso
sghembo. Come allora, Pepper
sentì accendersi quella che pareva una flebile fiammella nel
suo
petto, tiepida e rassicurante.
Si rendeva conto che in
realtà non avevano ancora risolto nulla: tutto
ciò che li opprimeva
si era semplicemente allontanato un po' dalle loro teste e continuava
a incombere minaccioso come una nube temporalesca, tenuta a bada solo
dalla volontà di entrambi di rimanere nell'occhio del
ciclone, in
quella tregua che erano riusciti a conquistarsi dopo un'attesa
così
lunga.
Adesso però avevano finalmente il tempo per lavorare insieme
e arrivare a
firmare una pace definitiva e duratura.
Ricambiò la stretta
delle sue mani con delicata fermezza.
Quello poteva essere il
primo passo.
Note Dell'Autrice:
Oh-oh-oh, guardate chi è arrivato in anticipo? Esatto, il fluff! (e pure l'aggiornamento, perché grazie ai graditissimi scioperi dei docenti ho avuto una pausa anticipata
Ok, questo capitolo è un mattone dialogato, la fine sprizza melenso ovunque, l'ho riscritto trentasette volte e se non l'avessi pubblicato adesso avrei continuato a rimaneggiarlo peggiorandolo esponenzialmente.
Le uniche novità sono che 1) SI' sono arrivati i mirabolanti attacchi di panico di Tony, anche se in forma
Ringrazio immensamente _Atlas_, 50shadesofLOTS e Emyclarinet che hanno recensito lo scorso capitolo e Sherlock_Watson, lettrice storica di Phoenix che è tornata del tutto inaspettatamente e sta recuperando gli aggiornamenti *-* grazie del commento, è stata una sorpresa bellissima <3
Per il capitolo successivo me la prenderò con un po' più di calma, perché sto finendo quelli pronti e tutto sommato i prossimi 3 sono delle bombe a idrogeno per quantità di contenuti, quindi ve li lascerò digerire più a lungo.
Arrivata a questo punto mi sento di annunciare che, salvo modifiche drastiche, mancano esattamente 10 capitoli alla conclusione *stappa già lo spumante*, quindi posso pronosticare con relativa certezza che entro settembre, al più presto, o dicembre, al più tardi, a Phoenix verrà apposta la meritata parola "fine".
Detto ciò, mi eclisso sperando che il capitolo vi sia piaciuto e ringraziando chiunque passerà da queste parti, leggerà e deciderà di lasciare un commento, una recensione o uno sberleffo :P
Nasvidenje,
-Light-
P.S. @Atlas, ora sai cosa non volevo spoilerarti nell'ultima risposta riguardo ai giudizi e alla comprensione nei confronti di Tony, e sai anche che ti ho mentito sul fluff :P
P.P.S. Godetevi 'sta Under Pressure in sottofondo, come
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