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Autore: ___MoonLight    12/06/2018    4 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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No man is an island




"'Cause love's such an old-fashioned word
And love dares you to care for
The people on the edge of the night
And love dares you to change our way of
Caring about ourselves"

[Under Pressure – David Bowie/Queen]




25 Giugno, Helicarrier

Un anno e mezzo prima era sceso da un aereo militare con passo stentato, un braccio al collo e senza le solite lenti scure a celare gli occhi gonfi e le escoriazioni sul volto, oltre alle ombre cupe che lo avrebbero insidiato ancora a lungo. Quel giorno il sole era a picco, il cielo terso, non spirava un alito di vento e tutto sembrava quasi sospeso sull'asfalto infuocato e grigio, come un miraggio rimasto ancorato per sbaglio al suo posto.
Ricordava quel momento con chiarezza cristallina, perché allora era finalmente riuscito a ignorare il senso d'oppressione che per tre mesi gli aveva occluso il petto martoriato. Si era concentrato unicamente sul paio di occhi azzurri e lucidi che lo scrutavano dall'altro capo dalla pista d'atterraggio, incorniciati da ciocche ramate, e sul sussulto che aveva scosso il suo petto
a metà tra il cuore e il reattore nell'incrociarli. Ricordava anche di aver temuto follemente che una delle maledette schegge avesse deciso di stroncarlo lì, proprio quando era riuscito a tornare a tutto ciò che gli era mancato.
Invece si era trovato davanti a quegli occhi limpidi, avvolto dalla sensazione più piacevole che avesse provato dopo quei mesi di prigionia, e aveva pensato che, dopotutto, poteva davvero ricominciare a vivere. E aveva scelto di farlo nel migliore dei modi possibili.
Quegli stessi occhi, velati però di tristezza e incredulità, avevano accolto il risveglio peggiore della sua vita, anche più di quello in Afghanistan: inerme su un letto d'ospedale, a pezzi, con il terrore che gli aveva avvolto le membra rimaste dissipato dalla semplice, lieve stretta di una mano fidata. C'era stato di nuovo quel sussulto vicino al reattore e poi più nulla. Solo un vuoto freddo che si era radicato nel suo petto. Si era rifugiato in quell'apatia, perché allora sentire qualunque cosa avrebbe voluto dire sprofondare nel pozzo buio che aveva intravisto davanti a lui, senza accorgersi che era già dentro di sé. Si era aggrappato a quella mano come se fosse l'unica cosa che potesse trattenerlo dal cadere, e l'aveva sostenuto davvero, anche quando lui era stato deciso a mollare la presa.
Era caduto. Si era rialzato a stento, ferito, ed era caduto di nuovo. Lei l'aveva afferrato ogni volta. Ancora, e ancora, e ancora, sempre più in basso, ogni volta più a pezzi e più confuso, più determinato a lasciarsi cadere.
Finché quegli occhi non si erano riempiti di delusione e rammarico e la mano si era tesa un'ultima volta. E lui l'aveva sfiorata volendola stringere con tutto se stesso, per poi ritrarsi, consapevole che anche tutto se stesso non sarebbe mai stato abbastanza; consapevole che era troppo rotto per essere abbastanza, per meritarsi qualcosa, per tener testa a quell'azzurro limpido col suo nocciola torbido e mutilato. Si era lasciato cadere in fondo al pozzo, nel fango, assieme ai pezzi del suo guscio ormai infranto e a quelli che già erano caduti laggiù da anni senza che se ne fosse neanche reso conto.
Rialzarsi non gli era mai sembrato così difficile come quando aveva visto l'uscita solo come una capocchia di spillo lontana sopra la sua testa. Ma in qualche modo era riuscito a raccattare i pezzi più importanti e a risalire verso essa, un passo alla volta, con un guscio più fragile, ma anche più leggero. Voleva credere di essere arrivato quasi in cima. In realtà sapeva di non essere neanche a metà strada e di poter cadere di nuovo da un momento all'altro, nonostante le altre mani alleate che si erano tese verso di lui e che aveva finalmente deciso di accettare.
Adesso il medesimo, inatteso sussulto di un anno e mezzo prima gli fece mancare un battito nell'incrociare di nuovo i suoi occhi, questa volta illuminati da una viva sorpresa, subito sostituita da una freddezza estranea e dolorosa.
Il suo primo istinto fu di ritrarsi. In alternativa, di poter scomparire o rimpicciolire a comando per sfuggire a quello sguardo un tempo salvifico e adesso insostenibile, lontano dai quegli occhi cerulei e da quelle labbra che non era riuscito ad accettare e che probabilmente non avrebbe mai davvero meritato. Avrebbe voluto fuggire di nuovo, ma qualcosa dentro di lui si ribellò con violenza a quell'idea, anche se adesso avrebbe potuto farlo, grazie alle sue gambe appena riconquistate.
Invece rimase piantato al suo posto, ravvivò nuovamente il sorriso di una risata trattenuta troppo a lungo prima che svanisse del tutto dal suo volto, e si rifiutò di cedere ancora una volta alla sua stessa vigliaccheria:
«Non ho mai creduto al caso, ma sto cominciando a cambiare idea,» commentò, con un'alzata di sopracciglia e il tono più disinvolto che gli riuscì, nonostante il peso che gli premeva nel petto fosse tangibile e cercasse di arrestare quelle parole spigliate. «Salve, signorina Potts,» aggiunse con garbo.
Pepper rimase comprensibilmente spiazzata, ma ebbe abbastanza prontezza da rispondere quasi all'istante con la medesima cordialità, cosa di cui d'altra parte non aveva affatto dubitato:
«Buongiorno, Signor Stark. Sono sorpresa di vederla qui.»
«Oh, non è l'unica,» replicò lui, bloccando col bastone le porte dell'ascensore che avevano iniziato a richiudersi e svicolando dentro con un passo un po' ondeggiante.
Notò con chiarezza la donna che si irrigidiva stringendo la sua cartella di documenti come uno scudo e fu tentato di schizzar via di lì all'istante, rendendosi conto del suo disagio, ma ormai il danno era fatto.
«Noi stavamo giusto andando in laboratorio,» aggiunse, trattenendo ancora le porte e scoccando un'occhiata eloquente a Bruce e Steve, che sembravano essersi tramutati in statue di sale.
Ignorarono palesemente il suo non tanto velato invito a salire a loro volta, per stemperare quella situazione decisamente disagevole. O imbarazzante.
"Catastrofica," concluse tra sé, nel realizzare che probabilmente stava per imbarcarsi da solo nei due minuti in ascensore più lunghi della sua vita.
«
Tu intanto vai...» lo incitò Bruce, riprendendosi e indietreggiando di un passo. «Quanto a noi, credo che sia meglio andare a controllare che stanno combinando là dentro, con Thor e tutto... Capitano?»
«Buona idea, Dottore,» concordò l'altro, stranamente docile e accodandosi all'istante, con tanti saluti al famigerato coraggio del Vendicatore a stelle e strisce che prendeva a pugni i nazisti.
"Figurarsi."
Tony stentò un sorrisetto gelido che prometteva ripercussioni molto dolorose su entrambi, non appena fosse stato in grado di rimettersi l'armatura.
«Stronzi,» commentò a mezza voce, ma abbastanza forte da arrivare alle loro orecchie, poco prima che le porte si sigillassero in modo definitivo.
Era dell'idea che probabilmente una cripta sarebbe stata molto meno tetra e inospitale di quei tre metri quadri d'ascensore. Scoccò un'occhiata al pannello dei pulsanti e notò che anche Pepper era diretta al piano dei laboratori, dieci livelli più su. "Grandioso. Oggi il caso mi ha preso in simpatia."
Non aveva ancora avuto la forza di guardarla volontariamente e lei teneva lo sguardo fisso sulle porte come se volesse indurle ad aprirsi con la forza del pensiero. Iniziò a pensare che quello non fosse esattamente il modo migliore per riallacciare i rapporti, ma evidentemente tre mesi di recupero psicofisico non erano stati sufficienti a ridimensionare la sua avventatezza. Iniziava a sentirsi soffocare, lì dentro. Giurò a se stesso che il prossimo progetto che avrebbe presentato per migliorare l'Helicarrier sarebbe stato per degli ascensori supersonici...
«La trovo meglio.»
Tony trasalì e dovette convincersi di aver davvero sentito quelle parole, perché era abbastanza convinto che il suo cervello gli stesse giocando brutti scherzi, ma una fugace occhiata laterale lo convinse di non esserselo immaginato, visto che adesso Pepper stava guardando senza ombra di dubbio nella sua direzione. Di sottecchi e con circospezione, ma stava almeno riconoscendo la sua presenza.
«Dice?» mormorò, a voce più bassa di quanto avesse voluto, quasi stesse parlando con un timido animale selvatico pronto a dileguarsi al primo gesto troppo brusco. «Anch'io. Nel senso, trovo meglio entrambi anche se non è difficile che lei mi trovi meglio rispetto a...» s'interruppe. «Mh, lasciamo perdere.» 
Portò una mano sul reattore, ticchettandovi un paio di volte le dita nel suo solito gesto automatico, ma smise all'istante nel notare la reazione tesa della donna, che sembrò scansarsi appena da lui. All'improvviso desiderò solo avere qualcosa per coprire la luce azzurrina che gli brillava in mezzo al petto, vistosa contro la stoffa scura.
Tirò su nervosamente col naso: con quella falsa partenza, era sicuro che potesse scordarsi qualsiasi possibilità di intavolare una discussione civile con lei. Senza contare che l'aveva irritata e forse turbata, visto che le stava imponendo la sua presenza e la stava forzando a parlare con lui, presumibilmente l'ultima persona sulla Terra con cui volesse avere a che fare. Si sentì riempire di una frustrazione tale da renderlo assolutamente insofferente alle quattro pareti metalliche in cui era rinchiuso. Adocchiò il display dell'ascensore, notando che mancavano solo tre piani: la sua finestra d'opportunità stava per chiudersi.
«Time-out,» proruppe infine, costringendosi con ogni fibra del suo essere a voltarsi del tutto verso di lei. «Posso ricominciare?»
Pepper non lo degnò di uno sguardo, adesso di nuovo concentrata in un punto davanti a sé, apparentemente sorda alle sue parole.
«Ok, proviamo un altro approccio: le va un caffè?»
«Signor Stark, lei è assolutamente...»
«... impaziente di uscire di qui, esatto,» rettificò all'istante lui, e premette più volte il pulsante del piano, come se così potesse far accelerare quel mezzo infernale.
Lei non replicò e lasciò a metà il suo commento, ma Tony si accorse che lo stava di nuovo osservando con la coda dell'occhio e colse un lieve sospiro da parte sua, immaginò di esasperazione. Accolse l'apertura delle porte come fossero i cancelli del Paradiso. Varcò in un solo passo claudicante la soglia, ansioso di chiudere se stesso in laboratorio e il resto del mondo fuori anche solo per qualche ora. Doveva darsi da fare con la Mark IV; avrebbe potuto cominciare a buttar giù il prototipo lì per poi...
«Va bene.»
Tony si arrestò così bruscamente su una gamba sola che per poco non perse l'equilibrio. Si voltò di scatto verso di lei, bilanciandosi col bastone appena in tempo per non cadere.
«Cosa?»
Pepper uscì dall'ascensore quasi sovrappensiero, avvicinandosi appena a lui.
«Il caffè. Va bene.»
Tony boccheggiò per qualche istante, con la netta impressione che il suo cuore stesse per implodere, non sapeva dire se di gioia o paura.
«L'ha detto davvero o sto delirando?» chiese conferma, fissandola incredulo.
Lei ricambiò con gli stessi occhi inespressivi che gli aveva riservato poco prima, ma stavolta erano accesi da un'aguzza punta di rimprovero.
«Non mi faccia cambiare idea.»
«Caffè, ricevuto. Offro io.»


***


Macchiato, due cucchiaini di zucchero e bollente da far male. In vita sua aveva portato a Pepper forse tre caffè, contro il probabile migliaio che gli aveva portato lei, ma non dovette neanche chiederle come lo volesse, tanto quell'informazione gli era rimasta impressa.
La zona relax dell'Helicarrier era fortunatamente deserta e sperò rimanesse tale, contando anche sul buonsenso di qualunque incauto avesse avuto la malaugurata idea di concedersi una pausa in quel momento così delicato. Aveva praticamente costretto Pepper a sedersi a uno dei tavolini metallici, insistendo per lasciar fare a lui, con una battutina molto poco felice sul fatto che ora sapeva destreggiarsi in una cucina senza devastarla. In verità avrebbe solo voluto sedersi anche lui per far riposare il moncherino, ma si costrinse a resistere. Si puntellò con le mani sul bancone, serrando l'occhio nel tentativo di smorzare il dolore alla piaga. Aveva un tubetto di analgesici in tasca, ma preferiva svenire per il dolore piuttosto che prenderli davanti a lei. La benda nell'altra tasca rappresentava una tentazione ben più concreta alla quale s'impose a fatica di resistere. La ferita all'occhio si stava finalmente cicatrizzando, anche se la cosa non migliorava poi molto il suo aspetto generale, e ormai l'aveva visto a volto scoperto. Si tastò cautamente lo sfregio, come se così potesse renderlo meno visibile, ripetendosi che non era certo quello il suo problema più grave al momento.
Il bip della macchinetta del caffè lo riscosse prima che potesse indugiare ulteriormente su quelle considerazioni. Posò sul piano-cucina il caffè di Pepper, passando al suo; esitò sui tasti, per poi selezionare con rassegnazione il decaffeinato. Non aveva davvero bisogno di avere i nervi ancor più a fior di pelle. Stava temporeggiando per dare una parvenza di ordine ai suoi pensieri, ma la cosa non stava dando i suoi frutti, anzi, così si rassegnò a doversi sedere letteralmente a tavolino per intraprendere una discussione al confronto della quale sentiva che avrebbe rimpianto le amene chiacchierate coi suoi aguzzini dei Dieci Anelli, waterboarding incluso.
Fece per prendere le tazze, e solo allora si rese conto che in quel momento difettava di una mano, essendo una impegnata dal bastone. Avrebbe potuto metterselo sottobraccio e prendere così entrambe le tazze, ma dubitava che sarebbe riuscito a coprire quella breve distanza senza far traboccare le tazze o rovinare a terra.
E comunque, chiedere alla sua protesi di non sbriciolare qualcosa di fragile sarebbe stato decisamente azzardato.
"Cominciamo bene..."
Prima che potesse farsi venire in mente un qualche commento sagace per camuffare la sua evidente difficoltà, si trovò Pepper accanto: era tanto preso ad arrovellarsi su come risolvere quella questione così banale che neanche l'aveva sentita avvicinarsi. La donna prese senza una parola entrambe le tazze, tornando poi verso il tavolo e sedendosi come se non si fosse mai alzata, col suo caffè fumante stretto tra le mani a coppa. Tony rimase impalato sul posto per qualche secondo, sentendosi vagamente umiliato per il fatto che anche in quella situazione così sensibile avesse dovuto ricordargli di non essere autosufficiente. Scacciò quella sensazione e si risolse a interpretare il gesto come una semplice gentilezza, senza per questo confidare abbastanza nella sua voce per riuscire a pronunciare un "grazie" senza balbettare o suonare sarcastico.
Sedette a sua volta di fronte a lei, rivolgendole una breve occhiata prima di prendere a fissare il caffè di fronte a lui. Ne bevve un sorso, ustionandosi e chiedendosi cosa sarebbe successo ora; anche lei nascose brevemente il volto dietro la tazza, prolungando il silenzio e confermando l'impressione che nessuno dei due avesse la minima idea di cosa fare.
Forse non era l'unico ad essere stato avventato, concluse con una punta di sollievo.
«Ok, come ci si comporta in queste situazioni? Ho perso un po' la mano,» ammise infine con malcelata frustrazione, in un debole tentativo di rompere il ghiaccio.
A quelle ultime parole lo sguardo della donna si spostò di riflesso sulla sua protesi; Tony realizzò solo allora l'ironia della sua affermazione.
«Giuro che è stato involontario,» puntualizzò, alzando un indice della mano in questione. «Neanch'io faccio battute così scontate.»
«Un intero tribunale potrebbe smentirla,» replicò lei, inclinando appena il capo e scrutandolo pungente.
Un fugace sorriso brillò sul volto di Tony, per poi svanire in un'espressione più composta. C'era un accenno di tensione in meno da parte di entrambi.
«Com'è la vita sull'Olandese Volante?» le chiese con disinvoltura, concentrando però l'attenzione sul simbolo dello SHIELD stampato sulla tazza.
«Monotona e impegnata, ma non posso lamentarmi. È un lavoro come un altro.»
«Pensavo odiasse cercare altri lavori,» commentò lui, per poi serrare la bocca chiedendosi se avesse osato troppo.
Pepper prese un piccolo sorso di caffè, lasciandosi tempo per rispondere, e Tony ne approfittò per scandagliare rapidamente il suo volto alla ricerca di qualche traccia di fastidio. Lo trovò rilassato nella sua serietà. Molto più rilassato di quanto ricordasse, e bello come sempre, rilevò tra sé. Forse era la sua mente che si divertiva a trarlo in inganno, ma gli sembrava di contare più lentiggini sulle sue guance. O forse era lei ad avere un colorito più sano e roseo.
«È vero,» rispose infine senza sbilanciarsi, e Tony si chiese se dovesse cogliere una vena accusatoria nelle sue parole.
"Nel dubbio, me lo merito."
«Lei come sta?» gli chiese poi, con una chiara titubanza che s'impegnò inutilmente a mascherare.
«Oh, mi sono dato da fare, come ha visto,» sollevò il bastone da passeggio e lo posò sul tavolo accanto per sbarazzarsi dell'ingombro. «Anche se mi immagino già le caricature in stile Zio Paperone,» alzò appena l'occhio al cielo, realizzando per la prima volta che in futuro la satira avrebbe avuto molto materiale da cui attingere per metterlo in ridicolo, «ma anch'io non posso lamentarmi,» concluse con un'alzata di spalle.
«Sono contenta di vedere che sta bene,» disse lei, in modo fin troppo distaccato e formale.
Tony compresse le labbra, chiedendosi se quello fosse un mero commento di circostanza, ma il modo in cui lo guardava tradiva un accenno di calore in fondo ai suoi specchi cerulei. Bastò quello a convincerlo della sua sincerità e si rimproverò per averne dubitato.
«Lo sono anch'io,» replicò semplicemente, riportando l'occhio alle proprie mani asimmetriche senza frenare il sorriso che gli increspò un angolo della bocca.
Il naturale silenzio che seguì quelle parole li avvolse come una bolla serena. Per un attimo, Tony poté fingere che tra loro non fosse accaduto nulla, e volle credere che anche lei si stesse aggrappando a quello stesso pensiero.
«Di cosa voleva parlare?» 
La domanda di Pepper parve piombare tra loro con una pesantezza impensata per delle parole tanto innocue, rompendo l'illusione di essere immersi in una chiacchierata come tante.
"Di un paio di miliardi di cose spiacevoli, nulla di che."
Tony impose al proprio cervello di filtrare il più possibile il suo istintivo sarcasmo, onde evitare disastri. Prese a rigirarsi la tazza tra le mani, non sapendo in verità da dove cominciare. Erano entrambi consapevoli di dove sarebbe andata a finire prima o poi quella discussione, ma si rendevano anche conto di non potervi arrivare direttamente.
«Delle nostre "esistenze complicate", suppongo,» si decise a rispondere infine, rialzando per pochi istanti lo sguardo.
Lei strinse le labbra, esitante.
«Direi che sarebbe meglio partire dalla sua, prima di parlare delle nostre,» replicò infine con lentezza, soppesando ogni parola.
«Andata,» concordò subito lui, pensando che dopotutto aveva ragione ed era decisamente lui l'addendo più problematico di quell'operazione.
Battè un paio di volte il fondo della tazza sul tavolino, come a spronarsi a parlare.
«Partiamo da qualcosa di semplice,» sospirò poi, mettendosi a braccia conserte sul tavolo. «Quando mi ha chiamato per farmi gli auguri non l'ho ignorata. Non ho davvero sentito il telefono: ero più o meno in letargo dopo una... uh, sessione extra di fisioterapia particolarmente intensa,» spiegò in modo vago, scrutando la reazione della donna, che rimase forse sorpresa dal modo frivolo in cui aveva deciso di iniziare la discussione.
«Cosa le fa pensare che l'avessi chiamata per farle gli auguri?» indagò senza scomporsi.
«Non si è mai dimenticata in quasi dieci anni. È un'ipotesi più che valida,» la fissò con impertinente sicurezza, mordendosi le labbra per evitare a un sorrisetto di sfuggirgli, ma lo vide affiorare quasi di rimando negli occhi brillanti di Pepper.
«Non mi ero dimenticata,» confermò, con voce più morbida.
«È meglio che non le abbia risposto. Non meritavo quegli auguri, non da lei,» disse lui di slancio, per poi ammutolire a sguardo basso.
Si era appena gettato a capofitto nella parte oscura di quella discussione in cui temevano entrambi di addentrarsi, come se stessero camminando sugli argini di un fiume in piena pronto a straripare.
«Forse no,» ammise lei, sfuggendo il suo sguardo con improvviso nervosismo, il volto nuovamente adombrato.
«Perché mi ha chiamato, allora?»
«Era riuscito a rialzarsi da solo. Ho pensato che forse voleva dire qualcosa.»
«E lo pensa ancora?»
Pepper passò un dito sul bordo della tazza con fare assente, provocando un lieve stridio sulla ceramica umida.
«So che qualche mese fa non saremmo stati qui a parlarne e forse neanche avremmo voluto.»
«A parlare di cosa, poi?» mormorò lui, con un lieve sbuffo spazientito. «Non ha risposto alla domanda,» le fece notare.
«Penso che sia cambiato qualcosa. O almeno lo spero,» si corresse.
«Non ho più istinti suicidi, se è questo a cui vuole arrivare,» replicò lui in tono piatto, ostentando una noncuranza che non sentiva.
Pepper si irrigidì, e sapeva che nella sua testa stava rivivendo il momento in cui l'aveva trovato in fin di vita. Si sentì crudele a rivangare quei ricordi in modo così brusco, ma era anche stanco di girare attorno alla questione come se fosse una mina pronta ad esplodere.
«Ha la più pallida idea di cosa...» esordì lei con calma forzata e il tono gelido in cui aveva imparato a riconoscere il preludio alla tempesta.
«No,» la interruppe subito, intuendo il seguito e correndo ai ripari. «Non posso neanche immaginare cosa abbia passato. E non era mia intenzione...»
«Non era "sua intenzione"?» Pepper a questo punto lo freddò con un'unica occhiata che parve trapassarlo come una freccia ghiacciata. «Cosa credeva che sarebbe successo?»
Tony incassò la testa tra le spalle a quelle parole improvvisamente sferzanti e comprese di non avere argomentazioni abbastanza solide per controbattere.
«Quello che fortunatamente non è successo,» rispose senza pensare, sentendosi incapace di far fronte a una rabbia che non si era ancora abituato a vedere in lei, e che probabilmente non avrebbe neanche mai visto, se solo avesse compiuto scelte diverse.
Nel frattempo iniziava ad avvertire un senso di vuoto schiudersi al centro del petto, sotto il reattore, ed era improvvisamente a corto di fiato come se qualcuno gli stesse stringendo la gola in una presa ferrea.
«È stato un gesto stupido, e avventato,» ammise a fatica, per non lasciar scivolare la discussione nel silenzio e per distrarsi dalle sensazioni spiacevoli che gli stava inviando il suo corpo.
«Oh, davvero?» la donna inarcò appena un sopracciglio. «Credevo fosse un altro dei suoi colpi di genio per "risolvere la situazione".»
Pepper non faceva spesso uso del sarcasmo gratuito – Tony compensava ampiamente per entrambi – ma nei rari momenti in cui vi ricorreva risultava sempre tagliente come un bisturi. Anche in quel caso, il colpo andò a segno con precisione chirurgica.
«Non ero esattamente lucido, in quel momento,» replicò a denti stretti, sentendosi ferito da quella stilettata sferrata apparentemente senza alcun rimorso.
«L'avevo intuito dalla sua performance assolutamente sobria davanti alla stampa, da qualche parete crollata e dallo stato pietoso in cui l'ho ritrovata.» Pepper non si fece intenerire, apparentemente decisa a non lasciargli l'ultima parola. «O dal fatto che non si sia minimamente preoccupato delle conseguenze del suo gesto per gli altri.» 
A quel punto la sua voce fu attraversata da un lieve tremito, che sembrò riverberare di rimando nelle ossa di Tony. Questi si limitò a chinare il capo senza rispondere. Aveva accettato di venire rimproverato nel momento in cui le aveva chiesto di parlare, ma era comunque doloroso sentirle pronunciare quelle parole traboccanti di delusione e risentimento verso di lui.
«Quando... quando l'ho trovata avevo appena deciso che valeva ancora la pena starle accanto, nonostante tutto,» la sua voce traballò e fu costretta a fare una pausa. «Ha idea di quanto mi sia spaventata?» lo incalzò poi, fremente.
Tony scosse appena la testa storcendo la bocca in una piega amareggiata, continuando a tacere.
«E nonostante tutto mi ha salvato la vita,» mormorò infine, scrollando le spalle ancora incredulo. «Lo so che a questo punto non vale nulla, ma... grazie.» 
Nel dirlo riuscì a fissarla per la prima volta negli occhi senza esitare. Lei non rispose, ma dal suo sguardo Tony capì che stava soffrendo anche solo nel ricordare quei momenti. Lui di quegli attimi terrificanti ricordava solo la consapevolezza che ci fosse lei ad aspettarlo, al di là del muro d'acqua oltre il quale era scivolato. Era riemerso anche grazie a lei, al suono distante della sua voce, ma questo non poteva dirglielo senza che lo prendesse per pazzo, se già non lo pensava.
«Lo rifarei. Ma non avrei mai voluto trovarmi nella condizione di farlo e non posso perdonarla per avermi obbligata.» La voce di Pepper era tesa come una corda di violino e virò quasi sullo stridulo. «Non riesco ancora a capire come è potuto succedere,» aggiunse in fretta, come se temesse che quelle parole si ritraessero prima di poterle pronunciare.
Lui sbuffò piano, sempre più irrequieto e in cuor suo impaurito dalla piega che stava prendendo la discussione.
«Non è importante,» affermò sbrigativo, con un gesto secco della mano.
«Lo è per me,» lo contraddisse lei, stavolta in tono più gentile.
Tony si rifiutò di incontrare i suoi occhi, anche se poteva percepirli mentre lo scrutavano a fondo, quasi intimandogli di alzare il proprio.
«Ho fatto una stronzata. Non c'è nient'altro da dire,» ripeté, sentendo il suo respiro che accelerava senza motivo e l'urgenza quasi fisica di chiudere quell'argomento adesso.
«Sto cercando di capire, Tony. Non mi chiuda di nuovo fuori,» lo riprese lei, con una durezza quasi rassegnata.
Lui soppresse la risposta acida che gli era salita alle labbra, l'ennesimo tentativo di fuga a cui cercava di indurlo la sua mente, cogliendo solo con un po' di ritardo l'importanza di ciò che gli aveva appena detto. Quand'era stata l'ultima volta che qualcuno aveva cercato di capirlo, invece di limitarsi a rimproverarlo? Nessuno gli aveva mai neanche chiesto come si fosse sentito. Aveva solo ricevuto parole di biasimo, delusione e stizza che sentiva di meritare, ma che suonavano comunque vuote e impersonali alle sue orecchie.
Sospirò profondamente e trovò il coraggio di guardarla. Incrociò per appena un secondo i suoi occhi, ma di nuovo non riuscì a sostenerli. Tornò a fissarsi le mani, sentendosi più vulnerabile che mai nel realizzare che, oltre la cortina di severità e delusione che li offuscava, brillava ancora quella luce limpida che l'aveva sempre spinto a fidarsi di lei oltre i limiti di quanto avrebbe ritenuto ragionevole. Probabilmente c'era sempre stata, anche quando lui non aveva voluto vederla. E c'era adesso, in un momento in cui avrebbe avuto tutto il diritto di negargli qualsiasi aiuto e comprensione.
Serrò la mascella, improvvisamente frustrato. Come faceva a spiegarle tutto quando non riusciva a spiegarselo lui stesso?
Esitò ancora, scandagliando la massa intricata dei suoi pensieri alla ricerca di un punto di partenza.
«Mi sentivo in un vicolo cieco. E mi ero convinto che quella fosse la soluzione più semplice per tutti,» confessò infine, appena udibile, scuotendo la testa con rammarico.
"Soprattutto per me," si trovò a pensare con vergogna.
«Tony, ho passato–... abbiamo passato mesi a preoccuparci solo per lei e a cercare di aiutarla in ogni modo possibile,» gli fece notare incredula, ma anche avvilita da ciò che aveva appena detto.
Lui non rispose, ma contrasse le mani attorno alla tazza: era consapevole di quanto fossero illogiche le riflessioni che si erano affollate nella sua testa in quel momento così buio. Quando cercava di ricordare con esattezza cosa avesse pensato incontrava solo una spessa, impenetrabile lastra nera che gli spaccava in due la testa oscurando qualsiasi razionalità. Una crepa si delineò sullo smalto della tazza e rilassò di colpo la mano meccanica, attraversata da un lieve tremito che la fece tintinnare contro il manico.
«Non riuscivo più a pensare,» esalò con un filo di voce.
Il senso di asfissia si faceva sempre più intenso e dovette lottare per trarre i respiri successivi, mentre sentiva il cuore che iniziava a battere in doppio tempo. Ebbe l'improvvisa percezione di ogni singola scheggia infissa nel petto che sembrava lottare per farsi strada attraverso le sue carni.
«Non avrei mai voluto obbligarla a... credevo che ci sarebbe voluto meno per...» adesso gli sembrava che i suoi pensieri avessero preso a spezzarsi a metà e a ricongiungersi tra loro senza un ordine logico. «Quando ho tolto il...» tentò di nuovo, ma gli si bloccò il fiato in gola.
Non riuscva più a parlare e il suo intero corpo sembrava compresso in una morsa metallica, come quando stava annegando nel sogno, o nell'allucinazione, o in quel limbo a un passo dalla morte che–
Si coprì di scatto la bocca con la mano, obbligandosi a respirare dal naso e cercando di frenare la forte nausea e i brividi che lo squassavano da capo a piedi. Si voltò di lato, chinato in avanti, e fece un rapido cenno di diniego in risposta allo sguardo ora colmo di apprensione e inquietudine di Pepper, che era già scattata in piedi bloccandosi poi sul posto, un plmo puntato sul tavolo.
Non riuscì a evitare di stringere convulsamente il reattore, come se così potesse impedirgli di lasciare il suo posto. Trasse subito conforto dal ronzio sommesso che si propagava lungo il braccio meccanico e chiuse l'occhio, domando i capogiri.
«Tony...?»
«Sto bene.» 
La sua voce trapelò ovattata dal suo palmo, poco convincente e innaturalmente acuta. Allentò appena la presa sul reattore, ma il suo cuore continuava a sbatacchiare contro le costole come un uccellino impazzito che tenti di uscire da una gabbia troppo piccola.
«Non...» deglutì a fatica. «Non pensavo che parlarne mi trasformasse in un adolescente con gli ormoni in subbuglio,» riuscì ad articolare con ironia forzata dopo un altro paio di respiri profondi, non riuscendo a scacciare del tutto la persistente sensazione dell'acqua salata che gli riempiva a poco a poco i polmoni.
Lei lo osservò per qualche secondo, valutando le sue condizioni con aria guardinga, rimettendosi a sedere con lentezza.
«Credo che questa reazione sia un bene,» giudicò infine con fin troppa calma, ma le occhiate che continuava a scoccargli lasciavano trapelare chiaramente lo spavento che le aveva provocato.
Tony annuì scosso, capendo quello che intendeva: sarebbe stato molto peggio parlarne come se fosse stata una cosa da nulla.
Un'intensa fitta al moncherino del braccio lo colpì senza preavviso e represse un'imprecazione, che comunque non sfuggì a Pepper. Anche la gamba gli stava dolendo in modo sempre più intollerabile. Lo stress gli scatenava sempre quelle crisi: sapeva che tra poco la situazione sarebbe degenerata, e non era in grado di gestire contemporaneamente la sua psiche e il suo corpo imbizzarriti.
Emise un sospiro rassegnato nel tirar fuori dalla tasca il tubetto di antidolorifici, che aprì sotto al tavolo per celarlo alla vista di Pepper; lo schiocco del tappo che si apriva risuonò comunque in modo inequivocabile. Si affrettò a cacciarsi in bocca la pasticca e a mandarla giù con un sorso di caffè, incrociando fugacemente lo sguardo attento di Pepper nel processo.
«Sono antidolorifici, non psicofarmaci,» ci tenne a chiarificare, riponendo il tubetto e sentendo il dolore che scemava all'istante e prematuramente per l'effetto placebo.
"Magari mi servirebbero," si trovò a pensare, poco divertito.
Lei scosse appena la testa, come a significare che non era una precisazione necessaria. Tony riprese una postura composta, ignorando il gelo innaturale che ancora sentiva sulla pelle, il lieve senso di vertigine e il fastidioso retrogusto di bile in bocca che neanche il caffè riusciva a dissipare.
Rimasero in silenzio per quella che a lui parve un'eternità, anche se probabilmente fu meno di un minuto.
«Devo riuscire a parlarne,» mormorò poi frustrato, fissando la superficie lucida del tavolino.
Intravide il proprio riflesso sfigurato e strinse il pugno metallico.
«Non deve forzarsi adesso, abbiamo...»
«Voglio riuscirci,» s'incaponì con voce ancora turbata.
Puntò l'indice sul tavolo contro la sua immagine distorta, come sfidandosi a fissare quel concetto:
«Sono sopravvissuto a una bomba, ai terroristi, a un reattore nel petto, all'incidente e a due operazioni; fare una chiacchierata sul mio... sul mio suicidio,» si obbligò a scandire quasi in un singulto, «non sarà peggio di aver vissuto tutto ciò, e non ho intenzione di tirarmi indietro solo perché mi ritrovo col subconscio di un tredicenne confuso,» concluse con intensità crescente.
Annaspò per un attimo, a corto di fiato.
«E voglio parlarne con lei,» asserì infine, rialzando lo sguardo.
Vide con chiarezza lo stupore che si disegnò sul volto della donna a quelle parole, come se non si aspettasse tutta quella veemenza da parte sua. In verità non se l'aspettava neanche lui, ma iniziava a provare una viva avversione per la sua incapacità di controllare le proprie debolezze. Rimettersi in piedi e "ripararsi" voleva dire affrontare anche quelle. Non si sarebbe fatto sviare di nuovo dalla sua rotta, non ora che l'aveva finalmente ritrovata e che si sentiva di nuovo al timone, invece che alla deriva e in balìa delle correnti.
Pepper rimase in silenzio e si poggiò allo schienale, scrutandolo.
«La sua testardaggine non è cambiata,» osservò infine in tono neutro, ma i suoi occhi gli sembrarono meno freddi, come se constatare quel fatto la rassicurasse.
«Non posso cambiare del tutto, altrimenti non potrei più chiamarmi Tony Stark. Poi sarebbe un casino dal punto di vista legale e ho già abbastanza problemi in quel settore.» 
Alzò le spalle con ovvietà e riprese un tono spigliato, sollevato nel vedere l'espressione più conciliante della donna.
«Quindi sta davvero cercando di cambiare.»
Tony rifletté brevemente su quella che, più che una domanda, sembrava una constatazione speranzosa. Incrociò le braccia sul petto coprendo il reattore, quasi a farsi da scudo contro tutto ciò che poteva ferirlo ancora.
«Prima... prima ero furioso. Avrei voluto distruggere tutto, anche me stesso. Ovviamente non era la soluzione giusta, ma non ci voleva un genio come me a capirlo,» aggiunse in un blando tentativo di alleggerire i toni.
«Direi di no,» commentò solamente Pepper con fare colmo di sottintesi, al che Tony sospirò appena, sentendosi di nuovo al banco dei testimoni mentre tentava di giustificarsi senza essere messo all'angolo.
Non c'erano vie di fuga, stavolta.
«Adesso sto cercando altri tipi di soluzione meno... irruenti.»
«E crede che stia funzionando?»
«L'ha detto anche lei che va meglio, no?» 
Gli sfuggì un sorrisetto, suo malgrado soddisfatto nel notare di aver colto nel segno: lei in apparenza rimase assolutamente impassibile, ma fu tradita dalla luce più morbida che le illuminò gli occhi.
«Il mondo non è disposto a cambiare per me,» dichiarò infine. «Il che è estremamente scortese, considerando tutto ciò che ho fatto per lui. Ma non ho molta scelta,» concluse poi, accigliandosi e rendendosi conto di aver appena mancato il nòcciolo della questione.
Gli vennero in mente i discorsi di Bruce a quel proposito, colmi di biasimo e conditi da metafore di ceneri e rinascite un po' troppo poetiche in bocca a un tizio in grado di diventare un gigante verde radioattivo. Allora affermare di voler morire era stata più un'esternazione di impotenza dettata dall'alcol che un vero e proprio desiderio. Guardare indietro e vedere quella versione di se stesso prostrata, furente e assolutamente sorda a qualsiasi offerta d'aiuto lo riempiva di vergogna.
Il suo stesso suicidio era stato qualcosa di talmente impulsivo da farlo rabbrividire. Per settimane aveva avuto il terrore di ripetere quel gesto in modo inconsapevole, ripiombando nel blackout mentale che aveva soppresso il suo raziocinio. Tutt'ora si svegliava spesso nel cuore della notte convinto di essersi strappato il reattore nel sonno, con le ultime parole di Yinsen che gli rimbombavano in testa, adirate e colme di delusione.
E fino a qualche tempo prima non sarebbe stato in grado di rispondere alle domande di Bruce. All'epoca non si sentiva in grado di tornare ad essere se stesso, figurarsi Iron Man o anche solo una versione migliore di ciò che era stato. Adesso era riuscito a riprendere una presa salda su ciò in cui credeva ed era di nuovo in piedi, con tutti i suoi difetti e le sue imperfezioni che gli ricordavano di non poter mollare neanche per un istante, se non voleva cadere di nuovo. A quel punto non era del tutto sicuro di poter cambiare del tutto se stesso, né di volerlo: sarebbe stato come sostituire il suo guscio con un altro, senza preoccuparsi di capire quali fossero le falle del precedente, né volersene davvero sbarazzare.
E lui detestava non capire qualcosa, che fosse il motore di un'auto bizzosa o la sua psiche in subbuglio.
Bevve un sorso di caffè, a mascherare il volto teso per lo sforzo di venire a capo dei suoi pensieri. Il calore della bevanda dissipò un poco il gelo concentrato in un unico blocco compatto al centro del suo corpo. Percepiva ancora un lieve tremito nelle mani, ma l'ondata di panico che l'aveva avvolto poco prima sembrava essersi ritirata, anche se ne avvertiva un imminente ritorno più burrascoso, come il momento di secca prima dello tsunami.
«In realtà non è questo il punto. Non si tratta di cambiare e basta, non... Me l'ha detto anche Banner, non avrebbe senso...» s'interruppe, confuso, e si lasciò cadere di peso col gomito puntato sul tavolo a sorreggergli il mento, scuotendo appena la testa.
Sospirò, frustrato e incapace di esprimere chiaramente tutto ciò che gli stava scorrendo in testa. Si passò una mano sul viso quasi ciò potesse ripristinare un'espressione neutra e resettare anche le sue sinapsi al momento scoordinate. Pepper non si intromise nel discorso e si limitò a rimanere in silenzio, scrutandolo attenta. Capì che gli stava lasciando tempo. Tempo per riordinare i pensieri, per parlare, per spiegarsi, per tirar fuori tutto quello che aveva compresso e tenuto a bada per mesi.
Da quanto aspettava quel momento? Da quanto lo aspettava lei?
Si sentì in dovere di sfruttarlo al meglio: il minimo che potesse fare era essere sincero, in tutto e per tutto. Gli balenò davanti l'immagine del reticolo di palladio che si dipanava sul suo petto e il suo volto s'incupì.
"Quasi tutto..."
Si rigirò nervosamente la tazza tra le mani, guardando con aria assente il liquido che sciabordava al suo interno in onde scure e concentriche.
«Quando stavo per morire ho costruito Iron Man per salvarmi,» esordì, lasciando semplicemente fluire le parole che arrivavano alla sua bocca, come poco prima coi Vendicatori. «Ha funzionato.»
Alzò le spalle per chiudere l'argomento, percependo il vivo disagio da parte di Pepper nell'affrontarlo.
«Adesso però...» scosse la testa, sentendo nuovamente un vuoto al petto e presagendo l'ondata di panico che si avvicinava pericolosamente.
Si maledisse per la propria debolezza, ma non poté far altro che posare una mano sul reattore per ritrovare la calma, anche se notò come Pepper si accigliò a quel gesto. Si concentrò sulle lievi vibrazioni che si trasmettevano al suo palmo e contò fino a dieci – si contava sempre fino a dieci, no?
Sembrò funzionare, perché l'ondata si ritrasse prima di abbattersi su di lui, tornando verso l'orizzonte. Schiuse le labbra e si sforzò di lasciar trapelare le successive parole senza esitare.
«Sono stato io a voler morire,» esalò sfuggendo lo sguardo di Pepper. «Stupidamente,» aggiunse come se non fosse già abbastanza ovvio.
Non ebbe bisogno di guardarla per vedere la delusione e il dolore riaccendersi nei suoi occhi.
«Vorrei davvero spiegarle tutto, ma non lo capisco neanch'io. Si... si è rotto qualcosa. E non capisco come,» sbottò frustrato, come sempre quando qualcosa gli sfuggiva.
Riuscì a scostare la mano dal reattore, sebbene con sforzo, e si obbligò a poggiare entrambi i palmi sul tavolo.
«Adesso non posso costruire un altro Iron Man.» Fece un debole sorriso a schernire la sua stessa affermazione. «L'ho già detto alla squadra, prima: sono io Iron Man. Se non funziono, il resto va a rotoli.»
Fece una breve pausa, umettandosi le labbra.
«Devo ripartire dalle basi. Da... da qui.» Fece un gesto vago verso se stesso. «Ho perso molto tempo e molte cose. E ne ho rotte altrettante.»
Rialzò lo sguardo su Pepper con involontaria intensità, costringendosi a non distoglierlo, e lei lo sostenne.
«Devo prima capire. È come un progetto,» affermò d'impeto, aggrottando le sopracciglia con fare concentrato. «Puoi avere le idee più geniali di questo mondo, ma se non sai organizzarle e capire come renderle concrete rimarranno per sempre solo idee. Non devo cambiare, devo solo... ecco, devo riprogettarmi,» stabilì trionfante, e un guizzo vivace passò nell'iride nocciola illuminando il suo volto. «Adesso so per certo che almeno le basi sono giuste, e non ho più intenzione di dubitarne. E dopotutto sono un ingegnere, progettare cose è il mio lavoro,» concluse, dando voce a quell'intuizione improvvisa con un sorriso esitante ma spontaneo.
Pepper abbassò lo sguardo, come colpita da ciò che aveva detto, e sperò solo che fosse in modo positivo. Aveva semplicemente espresso ciò che pensava, per quanto ingarbugliato, nonostante nel corso delle sue notti insonni si fosse preparato discorsi molto più completi ed elaborati in previsione di quel momento. Non si pentiva di ciò che aveva detto.
«Non me l'aspettavo,» commentò infine Pepper, rialzando gli occhi chiari.
Tony si accigliò, circospetto.
«Lei è la seconda persona che mi dice questa cosa, oggi. Capitan Fierezza l'ha battuta sul tempo,» commentò con brio un po' forzato per tastare il terreno. «Cosa non si aspettava?» aggiunse, non ottenendo reazione da parte sua.
«Tutto... questo. Il fatto di riuscire finalmente a parlare come... come avremmo dovuto fare da tempo,» si bloccò, forse non del tutto padrona di ciò che stava dicendo.
Aveva preso involontariamente a gesticolare; Tony si trattenne dal sorridere nel riconoscere quel segno di nervosismo per cui l'aveva presa in giro innumerevoli volte in passato.
«E anche di vedere che non sta facendo finta che... che "vada tutto bene come al solito",» aggiunse, citandolo.
Tony annuì appena, mordendosi il labbro con lieve nervosismo nel ripensare a quanto si era sentito scoraggiato quando aveva pronunciato quelle parole.
«E cosa si era aspettata, allora?» le domandò poi, suo malgrado incuriosito e allo stesso tempo timoroso della risposta.
«Non lo so... una fiera del sarcasmo, o qualcosa del genere,» rispose, quasi distrattamente.
«Ammetto che trattenermi è difficile, ma se le è mancato così tanto rimedio subito.» 
Stavolta lasciò che il suo solito ghigno sfacciato gli emergesse sul volto e si sporse verso di lei inclinando la testa di lato con fare impertinente. Lei non rispose e chinò il capo a fissare la tazza vuota, celando gli occhi dietro la frangetta, ma Tony captò un accenno di sorriso sulle sue labbra e si sentì come se avesse conquistato per primo la vetta di una qualche montagna inaccessibile. Il suo entusiasmo scemò un poco nel notare che Pepper non sembrava avere intenzione di rialzare lo sguardo, e che aveva appena preso a tormentarsi le mani. Il che non era mai un buon segno.
«Questo è il punto in cui lei dovrebbe dirmi cosa ne pensa di me, o cosa ha intenzione di fare sapendo ciò che le ho appena detto,» cercò di spronarla con leggerezza, sentendosi in cuor suo di nuovo irrequieto per quel lungo silenzio e lasciando quindi il freno della sua parlantina: «Può dirmi qualuque cosa, ormai me ne hanno dette di tutti i colori... ma sono contento che abbia finito il suo caffè: non avrei sopportato che mi macchiasse anche questa maglietta, soprattutto perché mi sembrava che piacesse molto anche a lei,» continuò in tono forzatamente vivace, accennando alla sua storica T-shirt dei Black Sabbath.
A quel punto lei rialzò cautamente la testa e Tony realizzò con sconcerto che i suoi occhi erano lucidi e sul punto di traboccare. Si sentì un insensibile per aver scherzato a quel modo su un episodio che, a pensarci bene, non era stato bello né divertente, anche senza considerare le docce di caffè.
"Forse mi servono davvero quelle lezioni di savoir-faire da K..." gli balenò in testa.
«Pepper?» pronunciò allarmato il suo nome come se potesse racchiudere ogni possibile domanda, inclusa quella che non conosceva e che poteva fargli ottenere una spiegazione a quel repentino cambio di atteggiamento.
«Sono un'ipocrita,» proruppe lei, scuotendo appena la testa.
«Cos– perché mai?» 
Tony si agitò sulla sedia, spiazzato.
«Perché l'ho accusata per tutto questo tempo di non voler parlare, mentre io facevo esattamente la stessa cosa. E l'ho rimproverata per la sua sfiducia, quando invece...
» respirò a fondo, «... adesso lei sta parlando di tutto e io non riesco neanche a...» si interruppe, facendo un evidente sforzo per ricacciare indietro le lacrime.
Tony cercò in ogni modo di non dare troppo a vedere il suo spaesamento per quell'improvviso rovescio della situazione: avrebbe dovuto essere lui quello a scusarsi e autoaccusarsi per... per tutto, in effetti.
E adesso lei era sul punto di piangere?
Lei, Virginia Pepper Potts, era la sua donna di ferro, che non aveva bisogno di un'armatura per esserlo e che avrebbe sempre creduto assolutamente incrollabile e del tutto immune al pianto, se non l'avesse vista in lacrime coi suoi occhi al suo risveglio dall'incidente. Fu pervaso da un senso d'angoscia crescente al pensiero che qualunque cosa la stesse spingendo al suo limite, doveva avere una gravità almeno pari a quell'episodio.
"Oddio, che cavolo faccio, adesso?"
I suoi pensieri tornarono repentinamente a qualche mese prima, quando avevano avuto una discussione molto poco piacevole riguardo a psicologi e fiducia, terminata con una brocca schiantata contro il muro. Non uno dei suoi momenti più alti, in effetti, ma ringraziò i suoi neuroni disorientati per aver ripescato provvidenzialmente l'episodio.
«Ero sincero quando le dissi che poteva parlare con me,» si offrì impacciato, senza riuscire a nascondere un po' di rammarico per il fatto che all'epoca non avesse voluto confidarsi.
Pepper non rispose, ma il suo sguardo non lasciava spazio a fraintendimenti riguardo al fatto che qualcosa la turbasse da tempo, nel profondo. In realtà lui ne aveva sempre avuto una vaga percezione, fin dall'incidente, ma era stato talmente assorbito dai suoi problemi da estraniarsi da tutto il resto. Anche quando si era chiesto cosa pensasse o provasse Pepper, era sempre in relazione al suo comportamento con lui.
"Dopotutto, sono un egoista," si rammentò con amarezza.
«L'offerta vale ancora,» insisté in tono più morbido, e poteva leggere sul volto di Pepper quanto volesse accettarla.
La donna si asciugò rapidamente gli occhi, nonostante non una sola lacrima fosse sfuggita alle sue ciglia, e giunse le mani di fronte a sé come raccogliendo le forze.
«Non è questo il momento più adatto per parlarne,» stabilì con fermezza.
«Il momento più adatto sarebbe stato sei mesi fa, ma non sono la persona più adatta a farle la ramanzina per aver procrastinato,» la rimbeccò Tony, e lei ebbe un lieve sussulto, facendogli capire di aver colto nel segno.
La vide esitare e barricarsi di nuovo dietro la sua compostezza, ma notò il lieve tremito del suo volto e seppe che quella facciata non avrebbe resistito a lungo.
«Tony, ho premuto io quel pulsante,» disse infine, tutto d'un fiato.
«Quale?» 
Le sopracciglia dell'uomo si aggrottarono appena mentre tentava di raccapezzarsi.
«Quando era sul tetto, con Stane.»
«Sì, me l'ha detto,» replicò lui con lentezza, con un brutto presentimento.
«L'ho premuto troppo tardi. Probabilmente non se lo ricorda, ma me l'ha chiesto più volte e... e io ho esitato.» Si interruppe, trattenendo le lacrime che le erano nuovamente salite agli occhi. «E se non mi fossi trovata in pericolo... se solo fossi riuscita a scappare, lei non sarebbe dovuto intervenire e...» s'interruppe di nuovo, a corto di fiato.
Tony si sentì improvvisamente la bocca secca, capendo infine quello che gli stava dicendo.
«No,» riuscì a dire soltanto, alzando la mano come a frenare quelle affermazioni. «No, no, Pep, non provare neanche a...» 
Si prese la radice del naso tra le dita, senza credere a ciò che stava sentendo. Respirò a fondo, sentendosi improvvisamente furioso con se stesso.
«È stata colpa mia,» proruppe lei, e sentire la sua voce rotta fu peggio di qualunque sofferenza fisica che avesse affrontato in quei mesi.
«No, Pepper,» ripeté con veemenza. «Stavi agendo su mio ordine, ti ho messa io in quella situazione e non avevamo idea di chi fosse davvero Stane,» si adoperò per imporre tutta la fermezza possibile alle sue parole, vedendo che Pepper non ne sembrava assolutamente convinta. «E ti ho chiesto io di sovraccaricare il reattore: sapevo quello che sarebbe successo e...»
«Non potevi saperlo,» proruppe lei, facendolo ammutolire.
Non riuscì a trovare una risposta adeguata, nella consapevolezza che, no, non aveva minimamente immaginato le conseguenze della sua richiesta, ma si odiò ferocemente per averla costretta a compiere una decisione simile, obbligandola a vivere con quell'immeritato senso di colpa.
«Se non l'avessi premuto...»
Lui si riscosse, contenendo a stento la rabbia ribollente verso se stesso.
«Sarei morto,» completò con forza.
Si arrischiò a sfiorarle il polso con la punta delle dita, celando a stento il suo stupore quando lei si aggrappò alla sua mano quasi con foga. Rimase per qualche istante senza parole, sentendo la sua mano sottile stringerlo con forza inaspettata.
«Finora mi hai salvato la vita per ben tre volte. E non sto neanche a contare tutte quelle in cui mi hai impedito di fare qualcosa di stupido prima di tutto questo casino. Non hai nulla da rimproverarti.»
Pepper tacque un poco, nel tentativo di ricomporsi.
«Per tutto questo tempo ho avuto paura che tu mi chiedessi qualcosa al riguardo,» riprese poi, con voce umida di lacrime trattenute. «E allo stesso tempo avrei voluto dirti tutto, ma non era... non era mai il momento giusto,» concluse con una traccia di rammarico.
«Anche prima ti avrei risposto nello stesso modo. Io non ti ho mai ritenuta responsabile di nulla. Il colpevole è solo Stane,» la rassicurò lui, senza riuscire a nascondere il rancore verso il suo ex-socio, sempre pronto a riemergere. «Semmai sono io ad averti messa in pericolo. Più volte,» aggiunse, abbassando lo sguardo sul braccio che le aveva ferito tempo prima senza volerlo, colpito come allora da un bruciante rimorso.
Pepper continuò a tenere lo sguardo puntato sulle loro mani, in silenzio, ma tirò le labbra in un'espressione poco convinta.
«Non voglio che pensi queste cose.» 
Tony parlò piano, quasi cullandola con quelle parole mentre le accarezzava appena le dita col pollice.
«Non riesco a non pensarci,» confessò lei.
«Lo so.» Tony si limitò a sorridere mestamente. «Ormai me ne intendo di pensieri insensati.» 
Le strinse appena la mano e fu contento di essere riuscito a incurvare appena le sue labbra verso l'alto.
«E ha anche qualche consiglio per ignorarli?» gli chiese con voce flebile, riprendendo le distanze almeno con le parole.
«Ascoltare gli altri è un inizio,» mormorò lui, abbassando di nuovo lo sguardo con colpevolezza. «Quindi mi ascolti quando le dico che non è colpa sua.»
«Non può dirlo con certezza, ha un'amnesia e...»
«Io so che non è colpa sua,» ribadì lui, irremovibile. «Senza di lei... non sarei qui,» aggiunse senza avere il coraggio di spiegare davvero tutto ciò che racchiudeva quell'affermazione.
Era stata la sua voce a richiamarlo dalle viscere di una grotta buia, era grazie a lei che aveva avuto un cuore di riserva a salvargli la vita, era seguendo la sua eco che era riemerso dall'abisso delle proprie paure. Continuò semplicemente a stringerle la mano in una presa gentile, incapace di comunicarle tutto ciò in altro modo. Lei non si ritrasse al contatto, che sembrava colmare il silenzio tra loro.
A quel punto allungò appena l'altra mano, esitante, per poi posarla su quella meccanica di Tony rimasta inerte lì accanto. Lui trasalì appena, e nonostante non potesse percepirlo poté giurare di sentire le sue dita esili poggiarsi delicatamente sulle nocche fredde e metalliche. Abbassò lo sguardo, tirando le labbra nel tentativo di mantenere il suo volto impassibile mentre veniva attraversato da una valanga di emozioni contrastanti che rischiavano di straripare da un momento all'altro.
Quella era la mano che l'aveva ferita, che aveva distrutto così tante cose e legami da averne perso il conto. Aveva voluto vederla come un simbolo di vittoria, ma era anche un memento di quanto fosse imperfetto. E lei adesso stava accettando quell'imperfezione.
Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, ma ancora una volta non riuscì a trovare parole che esprimessero l'immenso calore che gli stava trasmettendo con quel contatto, anche se dovette domare l'istinto di ritrarsi. Si trovò a fissarla con sguardo liquido e appannato, sperando solo che capisse quanto significasse per lui quel semplice gesto, quel contatto nuovo che non sapeva come gestire e che stava rischiando di sopraffarlo.
«So che non è colpa sua, perché mi fido di lei,» mormorò all'improvviso, stupendosi della fermezza della sua voce, totalmente in contrasto col caleidoscopio di pensieri che si agitava alla rinfusa nella sua mente. «Mi sono sempre fidato,» aggiunse, e stavolta il suo tono era di scuse.
«Anch'io mi fidavo. Vorrei poter fare lo stesso ora,» rispose lei distogliendo lo sguardo, ma non si ritrasse e anzi, strinse con più forza le sue mani, entrambe.
Tony si aspettava un commento simile, ma fu comunque un duro colpo. D'altronde, le aveva mentito troppo a lungo per aspettarsi un perdono immediato. E in realtà le stava ancora mentendo, si rammentò con un fugace, doloroso pensiero alla sua intossicazione.
«Tornerà a fidarsi come prima. Glielo prometto,» si sforzò di sfoggiare il suo solito sogghigno spavaldo, ma era incrinato e si spense ben preso lasciando posto a un'espressione mesta e incerta.
Pepper sorrise per lui, un sorriso sottile ma sicuro di sé che lo scaldò nel profondo. Si era dimenticato delle fossette che si formavano sulle sue guance e di come socchiudesse appena gli occhi in quel gesto così naturale che gli era mancato più di quanto si fosse reso conto.
«Non deve sempre fare tutto da solo.»
«Da solo potrei anche farcela,» ribatté lui con un pizzico di studiata arroganza. «Ma in due è più semplice,» ammise poi con la sua solita aria furbetta.
Rimase brevemente in silenzio con lo sguardo fisso sul tavolino, frastornato da ciò che stava succedendo e sconcertato dal fatto che, per una volta, a confonderlo fossero tutte emozioni positive. Tornò a guardarla e si trovò ad affondare in quell'azzurro ravvivato da una traccia del calore che ricordava; lei ricambiò riflettendo il suo stesso sguardo, quello di qualcuno che ha finalmente ritrovato qualcosa di caro dopo tanto tempo. Nessuno dei due sembrava intenzionato a rompere quell'esile vincolo tra le loro mani.
«Qualche tempo fa mi ha detto che avevo chiesto "scusa" troppo tardi per essere preso sul serio,» esordì lui dopo un po', catturando di nuovo la sua attenzione.
Era sicuro che ricordasse in che occasione gliel'aveva detto, e una parte di sé sperava che ricordasse anche tutto ciò che le aveva detto lui, temendolo allo stesso tempo. Realizzò che poteva comunque intuirlo facilmente dal modo in cui la stava guardando: per lei non era mai stato difficile intuire i suoi pensieri.
«Adesso sono fuori tempo massimo. Perciò lascerò semplicemente parlare i fatti. Vorrei che fosse lei a decidere quando e se le avrò davvero chiesto scusa.»
Pepper schiuse appena le labbra, presa in contropiede e in cerca di una replica adeguata, per poi optare per un silenzio interrotto da un lieve cenno del capo, a significare che accettava quell'idea.
«E quando vorrà, la mia porta è sempre aperta,» aggiunse lui con lieve titubanza, e lei parve improvvisamente in difficoltà. «Dovrà pur controllare i miei, uh... progressi ogni tanto, no? Lo sa che sono un lavativo,» si difese ironico, voltando appena la testa con fare nervoso, echiedendosi se si fosse spinto troppo oltre.
«Ogni tanto,» replicò lei, con riserbo.
Tony si rabbuiò appena, ma almeno non era un "no".
«Dica la verità, almeno la villa le è mancata,» insinuò poi per trarsi s'impaccio, e seppe di aver fatto centro dal modo in cui lei abbassò imbarazzata gli occhi.
«Un po',» ammise cautamente. «Vorrei solo lasciarle i suoi spazi,» aggiunse a mo' di spiegazione.
Tony rifletté brevemente sulla cosa, poi le strinse appena la mano con quella sana, come a rafforzare ciò che stava per dire:
«I miei spazi sono vuoti, e persino io non riesco a riempirli da solo. E non ho nessuno se non lei.» 
Fece la stessa, buffa faccia che aveva fatto molto tempo prima, quando le aveva detto per la prima volta quelle esatte parole, con un brillio vivace negli occhi e un sorriso sghembo. Come allora, Pepper sentì accendersi quella che pareva una flebile fiammella nel suo petto, tiepida e rassicurante.
Si rendeva conto che in realtà non avevano ancora risolto nulla: tutto ciò che li opprimeva si era semplicemente allontanato un po' dalle loro teste e continuava a incombere minaccioso come una nube temporalesca, tenuta a bada solo dalla volontà di entrambi di rimanere nell'occhio del ciclone, in quella tregua che erano riusciti a conquistarsi dopo un'attesa così lunga.
Adesso però avevano finalmente il tempo per lavorare insieme e arrivare a firmare una pace definitiva e duratura.
Ricambiò la stretta delle sue mani con delicata fermezza.
Quello poteva essere il primo passo.




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Note Dell'Autrice:

Oh-oh-oh, guardate chi è arrivato in anticipo? Esatto, il fluff! (e pure l'aggiornamento, perché grazie ai graditissimi scioperi dei docenti ho avuto una pausa anticipata limortacciloro vepossino <3)
Ok, questo capitolo è un mattone dialogato, la fine sprizza melenso ovunque, l'ho riscritto trentasette volte e se non l'avessi pubblicato adesso avrei continuato a rimaneggiarlo peggiorandolo esponenzialmente.

Le uniche novità sono che 1) SI' sono arrivati i mirabolanti attacchi di panico di Tony, anche se in forma ancora piuttosto "blanda". Dopotutto non è passato per un portale alieno, ma ha comunque visto la morte in faccia e ho immaginato che questo avesse delle ripercussioni; 2) Finalmente scopriamo cosa ha tormentato Pepper per la bellezza di 37 capitoli. Vorrei solo precisare che si sente in colpa per tutta la situazione che si è venuta a creare al settore 16: l'aver premuto il pulsante è solo la punta dell'iceberg e ciò che la turba di più a livello conscio. 3) La solidarietà maschile va allegramente a cortigiane :D

Ringrazio immensamente _Atlas_, 50shadesofLOTS e Emyclarinet che hanno recensito lo scorso capitolo e Sherlock_Watson, lettrice storica di Phoenix che è tornata del tutto inaspettatamente e sta recuperando gli aggiornamenti *-* grazie del commento, è stata una sorpresa bellissima <3

Per il capitolo successivo me la prenderò con un po' più di calma, perché sto finendo quelli pronti e tutto sommato i prossimi 3 sono delle bombe a idrogeno per quantità di contenuti, quindi ve li lascerò digerire più a lungo.
Arrivata a questo punto mi sento di annunciare che, salvo modifiche drastiche, mancano esattamente 10 capitoli alla conclusione *stappa già lo spumante*, quindi posso pronosticare con relativa certezza che entro settembre, al più presto, o dicembre, al più tardi, a Phoenix verrà apposta la meritata parola "fine".
Detto ciò, mi eclisso sperando che il capitolo vi sia piaciuto e ringraziando chiunque passerà da queste parti, leggerà e deciderà di lasciare un commento, una recensione o uno sberleffo :P
Nasvidenje,

-Light-


P.S. @Atlas, ora sai cosa non volevo spoilerarti nell'ultima risposta riguardo ai giudizi e alla comprensione nei confronti di Tony, e sai anche che ti ho mentito sul fluff :P
P.P.S. Godetevi 'sta Under Pressure in sottofondo, come non me la sono goduta io ascoltandola quasi a loop durante la stesura. E la stesura è durata 4 mesi.




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