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Show and tell
"I
get mine and make no excuses, waste of precious breath
The
sun shines on everyone, everyone love yourself to death
So you gotta fire up, you gotta let go
You'll never be loved till you've made your own
You gotta face up, you gotta get yours
You'll never know the top till you get too low"
[I'm
So Sorry – Imagine Dragons]
7 Giugno, 22:40, Villa Stark
Quando
Coulson fermò l'auto nel patio di Villa Stark, fu fortemente
tentato
dal riavviare all'istante il motore e fare dietrofront
finché era in
tempo. Oppure rimanere chiuso nell'abitacolo fino allo scadere dell'
"ultimatum", in poco più di un'ora, così da
evitare quel
compito ingrato e tornarsene tra le braccia di Audrey.
Poggiò le mani sul
volante e il mento sulle dita intrecciate, scrutando
l'oscurità
interrotta dai
lampioni oltre il parabrezza. La villa era insolitamente buia; solo
un lieve chiarore si diffondeva dal seminterrato, dov'era il
laboratorio del miliardario. Un paio di luci isolate erano accese al
pianterreno, come sospese nel nulla. Il tutto aveva un'aria
più sobria del solito, come se l'edificio avesse deciso di
rispecchiare l'umore e le vicissitudini del proprietario in quegli
ultimi mesi.
La titubanza di Coulson
si risolse quando vide l'atrio illuminarsi a giorno e pochi secondi
dopo la sagoma di Stark fare capolino dalla porta a vetri
dell'ingresso, in sua chiara attesa. Doveva essersi accorto da tempo
del suo arrivo. L'agente si decise ad
aprire con studiata lentezza la portiera, rivolgendogli un
impercettibile cenno di saluto col capo, che lui ricambiò
appena con
un gesto della mano prima di dileguarsi per attenderlo in salone.
Coulson varcò la soglia
e si avviò senza fretta all'interno avvertendo un lieve
nervosismo,
considerate le ultime circostanze in cui si era trovato costretto a
venire in "visita" alla villa. Il suo sguardo fu
inevitabilmente catturato dalla parete mancante, di cui ancora si
scorgevano i resti semidistrutti.
«Cominciavo a dubitare
che avrebbe risposto al mio appello, Agente,» lo accolse Tony
a mo'
di benvenuto. «Mi coglie impreparato.»
Coulson avanzò di
qualche passo nel salone, individuando il suo interlocutore seduto
sul divano e intento a trafficare con la protesi del braccio al
momento disgiunta dal suo corpo.
«In realtà ne dubitavo
anch'io, ma ho ricevuto ordini ben precisi,» rispose,
scrutando con
perplessità l'ingegnere che poggiava il braccio meccanico
accanto a
sé, prendendo poi a rigirasi in mano un cacciavite con aria
irritata.
Era una scena molto
simile a quella a cui aveva assistito durante l'ultima, disastrosa
riunione dei Vendicatori in quello stesso salotto, con un Tony
decisamente più alterato e incline a farsi beffe del mondo
intero.
«Sono stupito che
Barbanera non si sia accodato a questa visita di piacere.»
«Ha ancor meno voglia
di vederla di me, Stark.»
«Non gli do torto.»
L'altro alzò le spalle con noncuranza e Coulson non colse
alcun
sarcasmo in quelle parole. Osservò meglio l'uomo,
con occhi allenati da anni di spionaggio che registrarono all'istante
i sottili cambiamenti rispetto all'ultima volta che l'aveva visto:
sembrava più rilassato, anche se si scorgevano ancora delle
pieghe
rigide sul suo volto un po' smunto, probabilmente dovute
all'insonnia. E forse a molti pensieri sgradevoli, viste le
ombre annidate nel suo unico occhio che lo scrutava con cauta
diffidenza. Il suo aspetto era più curato di quanto si
aspettasse,
sebbene al momento sembrasse appena reduce da una sessione in
laboratorio, a giudicare da uno sbaffo di fuliggine sul volto e dai
capelli scarmigliati e dalla piega viziata, come se avesse portato a
lungo degli occhiali protettivi. Indossava una semplice polo
verde da
cui faceva capolino il reattore, scoordinata rispetto ai pantaloni da
basket che lasciavano scoperta la protesi inferiore fino al
ginocchio, probabilmente per comodità. Sembrava
perfettamente a suo
agio, anche senza un braccio e con la gamba meccanica in bella vista,
ma non sapeva dire quanto quell'atteggiamento fosse ostentazione
forzata e quanto reale disinvoltura.
Coulson accennò col
mento al braccio prostetico poggiato accanto a lui:
«Pensavo avesse smesso
di "smontarsi".»
«In
realtà si è smontato da
solo,» ribatté Tony,
decisamente poco divertito dal commento, e Coulson notò come
sfiorò
inconsapevolmente la zona in cui era incastonato il reattore, quasi a
controllare non si fosse "smontato" anch'esso. «Ci
dev'essere qualche problema con le giunture, ma non sono ancora
diventato un contorsionista, quindi dovrà sopportarmi
così almeno
finché il Doc non verrà a
riaggiustarmi,» spiegò rapido, cercando
con fare esplicativo di raggiungere una vite sul retro della sua
scapola, chiaramente fuori dalla sua portata.
Rinunciò con un sospiro
snervato, lanciando poi con un gesto preciso il cacciavite nello
svuotatasche di cristallo sul tavolo, già stracolmo di
componenti
elettronici non
meglio identificati.
«Al momento però ho
problemi più urgenti.»
Stark fece per incrociare le
braccia
sovrappensiero e non riuscì a nascondere la smorfia di
fastidio e
perplessità quando si rese conto di non esserne in grado al
momento;
corresse il gesto portando bruscamente il braccio sano a
sorreggersi la nuca.
«Sentiamo,» replicò
serafico Coulson, decidendosi ad avvicinarsi.
Si piantò di fronte a
lui con le mani giunte davanti a sé e continuò a
scrutarlo in un
misto di scetticismo e tenue curiosità.
«Ha saputo del
processo?» esordì il suo ospite.
«Ero in ferie.»
Gli
scoccò un'occhiata accusatoria. In realtà aveva
ricevuto il verbale da Fury, ma non aveva
intenzione di scoprirsi troppo finché non
avesse capito cosa passava nella testa dell'uomo.
Tony fece una smorfia
colpevole e si pizzicò il naso, come indeciso su come uscire
indenne
da quella prima gaffe.
«Beh, se può
consolarla, non sapevo a chi altri chiedere aiuto,» si decise
a dire
infine, con franchezza.
Coulson si concesse una
lieve espressione sorpresa, trasmessa da un movimento impercettibile
delle sopracciglia verso l'alto. Tony
Stark che chiedeva aiuto?
Si aspettava che da un momento all'altro un meteorite si abbattesse
sulla villa per ristabilire l'ordine cosmico.
«Per farla breve: c'è
qualche problema con la "questione Iron Man",»
spiegò,
non nascondendo il suo cruccio nel pronunciare quelle parole.
«Dice?»
Coulson
stavolta non trattenne una decisa vena di rimprovero. L'altro si
accigliò
ulteriormente, forse presagendo dove sarebbe andato a parare il
discorso, e Coulson fu ben felice di confermare i suoi sospetti:
«I
suoi "problemi con Iron Man" sono iniziati nel momento in
cui lei ha deciso di ignorare deliberatamente ogni
nostra direttiva,
scambiando il processo per il suo spettacolino personale e rivelando
al mondo la sua identità,» gli illustrò
in tono compassato, ma il
suo volto tradiva la seria irritazione che provava al solo pensiero
di quanto si fosse imbestialito Fury quella volta... e ovviamente era
stato lui
a dover fare da
punching ball metaforico
per far sbollire la sua ira.
«Agente, è venuto per
ascoltare ciò che ho da dirle o per farmi l'ennesima
paternale?»
Stark non si mostrò affatto toccato da ciò che
gli aveva appena
detto; sembrava solo impaziente di lasciar da parte quella
discussione sterile per arrivare al dunque.
«La avverto che ho
già
una ventina d'anni d'esperienza con mio padre alle spalle, anche se
adesso sono un
po' arrugginito,» continuò con più
asprezza.
«Sono venuto per
ricordarle in che posizione si trova in questo momento, di ponderare
con criterio qualunque richiesta o proposta voglia sottoporre alla
mia attenzione e di aspettarsi che venga cordialmente rifiutata o
respinta,» sciorinò tranquillamente Coulson, senza
perdere un colpo.
A quel punto Tony si
limitò a scuotere con lentezza la testa, improvvisamente
più scuro
in volto e con una luce quasi adirata nello sguardo.
«È
incredibile vedere come proviate gusto a vanificare ogni
mio sforzo per risolvere la situazione. Fa parte della vostra
agenda?» osservò piattamente, prima di riprendere
con più
veemenza: «Ho
sbagliato. So
di aver sbagliato in ogni modo possibile. Adesso possiamo andare
avanti?»
Coulson non replicò, ma
in cuor suo era decisamente sorpreso dal tono tutto sommato pacato e
ragionevole in cui si stava svolgendo la discussione. Si era
già
preparato a dover subire l'ennesimo accesso di collera del "genio",
che stava invece dimostrando un autocontrollo che riteneva
impensabile, per un tipo che aveva avuto la sconsideratezza di
accapigliarsi con Rogers e Banner. E aveva davvero appena
ammesso di aver sbagliato? Quel meteorite era
decisamente in
ritardo.
«Spero solo che si
renda ben conto di ciò che le sue azioni hanno
causato,» commentò
solo, imperturbabile e restio a lasciare l'ultima parola a un
individuo che, fu costretto a rammentarsi, aveva piombato lo SHIELD
nel caos a più riprese senza pensarci due volte, oltre a
ferire
tutti coloro che aveva intorno e a distanziarsene per puro e ottuso
orgoglio.
«Mi
sono scritto un promemoria, nel caso me lo dimenticassi,»
ribatté
lui sferzante. «Ora, prima che possa ripartire per la
tangente
ricordandomi una per una tutte le stronzate che ho fatto, gradirei
arrivare al punto.»
Solo
allora Coulson si decise a sedersi sulla poltrona di fronte a lui, a
braccia conserte e in attesa di scoprire finalmente il motivo di
quella convocazione inattesa, concludendo che per il momento aveva
messo sufficientemente alla prova l'autocontrollo di Stark. Si
ritenne soddisfatto e anche un po' meravigliato dai risultati
ottenuti.
«La
ascolto.»
«Il
governo mi accusa del possesso di armi illegali, ovvero le
armature,»
esordì Tony dopo un breve momento di silenzio e con insolita
sinteticità. «In realtà ho appena
smantellato la Mark II. Mi
aspetto una visita con perquisizione in omaggio a giorni, ma non
troveranno niente di compromettente. Il problema è che se
dovessero
porre sotto sequestro i progetti non potrei costruirne altre.»
«Mi
sembrava che avesse deciso di rinunciare al suo ruolo.»
«È
stato solo un modo per... ehi! Allora non
è vero che non ne
sa nulla, del processo.»
Lo squadrò storto, ma Coulson si limitò a
sfoggiare un sorrisino eloquente che suscitò un sospiro da
parte
sua.
«Dovevo
immaginarlo... in ogni caso, non ho alcuna intenzione di ritirarmi
definitivamente, ma ho dovuto fare buon viso a cattivo gioco e dare
un contentino ai pagliacci del governo. Non sono comunque ancora
nelle condizioni di indossare l'armatura,» accennò
alla protesi
disarticolata, «quindi per ora non ho intenzione di
costruirne
altre... almeno non per
me,» aggiunse cautamente,
suscitando la curiosità di Coulson.
«Che
intende?»
«Quanta
fretta, Agente, ci sto arrivando. Pensavo non le interessasse
ciò
che avevo da dire,» lo redarguì, con un chiaro
compiacimento che
Coulson decise di ignorare. «Non si tratta solo del futuro di
Iron
Man, ma anche del suo passato, per metterla in modo poetico. Le
missioni che ho svolto con voi
durante lo scorso anno non sono passate inosservate e la corte mi
sembra abbastanza propensa a farne il fulcro del prossimo processo,
visto che ho agito in veste non ufficiale.»
Fece
una pausa, scrutando la reazione di Coulson, che dal canto suo
continuava ad
ascoltarlo in silenzio, assorto e cercando di capire dove volesse
andare a parare. E a non pensare a tutte le volte che Stark si era
infiltrato nelle missioni dei Vendicatori nonostante fosse un
semplice consulente, spesso causando problemi, più spesso
risolvendoli, ma provocando sempre qualche accesso
isterico al
direttore.
«Si
sono impuntati sulla "legalità" di Iron Man, che
ovviamente non posso dimostrare,» Tony a quel punto
sfoggiò un
sorrisetto, «a meno che io non riesca casualmente
a rientrare nelle grazie di una certa organizzazione in grado di
legittimare i miei interventi passati e futuri in quanto membro
ufficiale di un certo
progetto,» concluse, scoccandogli
un'occhiata
penetrante.
Coulson
in tutta risposta si limitò ad accavallare le gambe e a
spostare
pigramente lo sguardo al soffitto, prendendosi del tempo per
elaborare ciò che aveva appena sentito. Ed evitare di farsi
saltare
le coronarie.
«Lei
ha mandato a monte le mie ferie, mi ha costretto a volare fin qui
dall'Oregon in tutta fretta e ha spacciato tutto ciò per
qualcosa di
urgente solo per chiedermi di rientrare
nei
Vendicatori?» scandì infine, in tono pacato ma
decisamente sul
punto di inalberarsi. «Perché continuiamo a darle
retta?» sbottò
poi, più con incredulità che con astio.
Lo
sguardo di Tony non vacillò, anzi, diventò ancora
più ostinato:
«Probabilmente
perché sapete di aver bisogno di me.»
Coulson si
concesse una
smorfia dubbiosa di fronte a quella supponenza.
«E anche se
non ne
avete bisogno ora,
non potete negare che vi farebbe comodo riavermi
tra i vostri. Altrimenti mi avreste lasciato affondare tempo
fa,»
dedusse concluse senza scomporsi.
«Lei
mi sembra sempre più pieno di sé e sempre meno in
grado di
giudicare la situazione in cui si trova.»
«Che
ci crediate o no, so quello che sto
facendo.»
«La
sua recente valutazione psicologica fa pensare diversamente.»
«Quale
valutaz–... un'altra?» proruppe
Tony, adesso esasperato.
«Ne
abbiamo una cartella piena, con molte variazioni sul tema
"psicologicamente e fisicamente...»
«...
inadatto al progetto Vendicatori", lo so;
me lo
tatuerò
sul braccio buono,» quasi ringhiò l'altro.
«C'è
da dire che l'agente Romanov ha messo una buona parola per lei, ma
non è abbastanza per scuotere l'opinione generale della
squadra e
del direttore,» aggiunse Coulson per amor di
sincerità.
Tony
ebbe un lieve moto di sorpresa e portò la mano alla protesi
inferiore, prendendo a tamburellare nervosamente sul rivestimento
metallico. Si staccò poi dallo schienale del divano
sporgendosi
verso di lui e sembrò concentrare tutto se stesso in quel
gesto,
come sperando di riuscire a influenzarlo se si fosse dimostrato
abbastanza motivato. Coulson
si pose sul chi vive: Stark era sempre stato molto abile con le
parole e aveva una capacità di persuasione non indifferente
a cui si
ripromise di non cedere con tanta facilità.
«So
quello che faccio,» ripeté l'ingegnere, in tono
più controllato. «E
so anche che voi non potete permettere che Iron Man venga sequestrato
dal governo. Sarebbe un disastro, si immagina l'esercito con uno
squadrone di Mark male assemblate che svolazzano qua e
là?» Tony
esibì un'espressione atterrita. «E
sarebbero probabilmente pitturate a stelle e strisce, come se non
bastasse quell'attempato in calzamaglia patriottica a...»
«Se
anche il processo dovesse volgere a suo sfavore, non c'è
pericolo
che l'armatura finisca nelle mani sbagliate.»
Coulson si affrettò a interrompere quelle visioni
apocalittiche.
«Iron Man è... tutelato,»
continuò, scegliendo con accortezza le proprie parole.
Tony
ammutolì, preso in contropiede, per poi rilassarsi appena e
concedersi un sorriso sollevato e incredulo:
«Allora
non devo preoccuparmi! Potevate dirlo prima, mi avete fatto passare
mesi d'inferno con questa storia del...»
«Ho
detto che Iron Man è
tutelato,» ribadì Coulson, senza
abbandonare la sua espressione neutrale.
L'altro
rimase di nuovo interdetto per qualche secondo e il sorriso si
eclissò dal suo volto quando comprese il reale significato
di quelle
parole.
«Giusto,»
scandì, e stavolta il suo tono trasudava risentimento,
nonostante
cercasse evidentemente di tenerlo a freno. «"Iron Man:
sì. Tony
Stark: non consigliato",» citò con amara
delusione, prima di
abbandonarsi nuovamente allo schienale in modo scomposto.
«Dovevo
aspettarmelo,» disse dopo un po' con un filo di voce,
più a se
stesso che a Coulson.
«Al
momento lei rappresenta una responsabilità che non siamo in
grado di
sostenere,» lo riscosse l'agente, vedendo che sembrava perso
nei
suoi pensieri, come se quell'ultima notizia avesse stroncato tutti i
suoi buoni propositi, lasciandolo inerte.
«Oh,
sono così importante? Non mi sembrava,» rispose
lui, distratto ma
con un fondo di serietà.
«Pesante,
piuttosto,» lo corresse Coulson, ma il suo tono divenne meno
tagliente.
Percepì
una punta di disagio nel demolire una richiesta che, in
realtà, non
aveva ancora ascoltato fino in fondo. Si chiese remotamente se non
stesse davvero vanificando ogni tentativo di Stark di riparare i
torti commessi per partito preso, come l'aveva accusato di fare lui
stesso poco prima. Guardò
l'uomo davanti a sé, sprofondato nel divano con la mano a
coprirsi
la benda sul volto mentre era immerso nei suoi pensieri. Per una
volta non captò alcuna traccia di arroganza o sdegno nel suo
sguardo: intravide solo quella che assomigliava molto a disperazione,
unita a una fermezza che Stark aveva dimostrato in poche altre
occasioni in vita sua. E in quelle occasioni le sue scelte si erano
rivelate positive e dettate da intenzioni sincere: smettere di
produrre armi, diventare Iron Man, unirsi ai Vendicatori nonostante
fosse stato respinto. Gli venne da pensare che, probabilmente, c'era
qualcuno che avrebbe saputo elencargli altri momenti in cui Stark
aveva preso la decisione giusta.
Coulson
batté ritmicamente la punta della scarpe per terra con
improvviso
nervosismo. L'impulso era quello di alzarsi e andarsene, soprattutto
dopo il pensiero involontario a Virginia che aveva rievocato il suo
ultimo incontro con Stark. Si costrinse a sopprimere quella
tentazione, sentendosi meschino per quell'atteggiamento assolutamente
non professionale. Non
poteva abbandonarlo con tanta leggerezza nel pozzo buio che si era
scavato da solo: per la prima volta era stato lui a tendere la mano
in cerca d'aiuto, dopo aver rifiutato tutte quelle che si erano tese
verso di lui. Il minimo che poteva fare era stringerla; poteva sempre
decidere in seguito se era davvero troppo pesante o troppo rischioso
tirarlo fuori.
Si
schiarì la gola, richiamando la sua attenzione:
«Stark,
che cosa mi stava chiedendo, esattamente?»
Lui
rialzò lo sguardo, sorpreso dal suo repentino cambio di
tono, ma si
riprese in fretta con un brillio vivace nell'iride nocciola:
«Le
chiedo di ascoltarmi. E di convincere Fury e gli altri a fare lo
stesso.»
«Vorrebbe
incontrare la squadra?»
Tony
si limitò ad annuire con un unico, fermo cenno del capo; la
tensione
del suo corpo tradì l'ansia che stava provando
nell'attendere una
risposta.
«E
quest'improvvisa voglia di un incontro va interpretata come una
proposta seria o come l'ennesima esternazione delle sue manie di
protagonismo?»
«Racchiude
entrambe. Ultimamente mi sto impegnando ad equilibrare piaceri e
doveri,» sbuffò piano, e poggiò la
caviglia sinistra sul ginocchio
metallico scivolando in una posa decisamente più sicura di
sé,
quasi fosse perfettamente cosciente di aver ormai fatto breccia nella
sua cortina scettica e disinteressata.
Coulson
emise un profondo sospiro, chiedendosi perché si stava
ostinando a
impelagarsi in quella questione senza uscita.
«Ciò
che mi chiede è difficile. E non sono sicuro che il
direttore sia
così bendisposto nei suoi confronti, visto lo stato delle
cose.»
«Non
ho intenzione di presentarmi a mani vuote.»
Tony lo
fissò con la
sicurezza di chi sa di essere sempre un passo avanti a tutti e si
limitò ad attivare un olografico azzurrino a mezz'aria con
uno
schiocco di dita. Navigò
con gesti precisi attraverso alcune cartelle, fino a trascinare in
mezzo a loro quello che sembrava il progetto virtuale di un'armatura
non molto diversa da quella che aveva sempre usato. Gliela
mostrò
con un ampio e teatrale gesto della mano.
«Agente,
le presento la Mark IV.»
Coulson
spostò lo sguardo da lui all'ologramma senza nascondere la
sua
perplessità: aveva decisamente perso il filo.
«Cosa
dovrebbe essere?»
Le
labbra di Tony si schiusero in un sogghigno trionfante:
«Il
mio salvacondotto.»
***
25 Giugno, Helicarrier
Tony
scrutò criticamente le navette attraccate nell'hangar
interno
dell'Helicarrier.
«Certo
che senza di me il progresso tecnologico langue,»
commentò con sufficienza, battendo le nocche metalliche
sulla
fusoliera di un mini-jet supersonico. «Questo è il
rottame in
cui avete ripescato Rogers?» sbuffò
ironico.
«Non
si faccia cacciar via prima del tempo, Stark,» lo riprese
Coulson,
probabilmente tentato dall'acchiapparlo per la collottola e
trascinarlo via di peso.
«Se
me lo chiedete con garbo posso riprogettarvi questa bagnarola da cima
a fondo,» ribatté lui, lanciandosi un'occhiata
insoddisfatta
attorno, ma si decise a seguire l'agente nel notare il suo sguardo
pericolosamente accigliato.
La
ristrutturazione dell'Helicarrier poteva attendere.
La
base della SHIELD era semideserta e Tony se ne rallegrò,
visto il
suo aspetto insolito. Si era abituato abbastanza rapidamente a
camminare col bastone; si era persino concesso il vezzo di
farsene fabbricare uno d'ebano con un'elegante impugnatura d'argento,
ma
non poteva fare a meno di sentirsi fuori luogo a zoppicare qua e
là.
Come se non bastasse, la benda adesiva che aveva deciso di indossare
per quel
giorno non gli dava pace e continuava a irritargli lo sfregio. Per
lo meno le nuove articolazioni in unobtanium funzionavano a
meraviglia, ma il controllo della protesi inferiore era ancora
spigoloso e doveva concentrarsi al massimo per non inciampare sui
suoi stessi piedi; si costrinse a pensare in positivo e godersi la
sensazione quasi dimenticata di poter camminare sulle proprie gambe,
sebbene decisamente doloranti e poco collaborative.
Lo
preoccupava maggiormente il nodo formicolante d'ansia in cui si era
attorcigliato il suo stomaco. Si rassicurò per la centesima
volta da
quando si era svegliato quella mattina – a un'ora
improponibile per
via dell'insonnia. Andava
tutto bene, aveva tutte le carte in mano per non sfigurare e poteva
compensare gli eventuali scivoloni con la sua abilità
oratoria.
Aveva tenuto dozzine di discorsi di fronte a migliaia di persone in
circostanze decisamente più sfavorevoli che spesso
comprendevano un
massiccio tasso alcolico nel suo sangue. In
caso d'emergenza avrebbe sempre potuto avviare una gara d'insulti con
Rogers.
"Va
tutto bene. È una riunione di famiglia. Sei solo la pecora
nera..."
In effetti non
era un pensiero molto rassicurante.
Coulson
sembrava aver fretta di arrivare alla sala riunioni e procedeva a
passo spedito attraverso i labirintici corridoi della base,
costringendolo a forzare la sua andatura già stentata per
tenere il
passo. Come se non bastasse, la gamba meccanica gli stava dando
problemi: il moncherino era
ancora sensibile nonostante la dose doppia di antidolorifici che
aveva preso prima di partire e prevedeva già un'altra
settimana a
letto. Stavolta Ian l'avrebbe veramente ammazzato. Non
chiese di rallentare, ma alla fine fu costretto a fermarsi affannato
e si poggiò di peso sul bastone per riprendere fiato,
tirando una smorfia sofferente.
«Agente,
abbia pietà di un povero infermo,» lo
richiamò, più seccato di
quanto volesse ammettere per i limiti del proprio stupido corpo.
"Iron
Man un corno... Palla di Neve ha novant'anni ed è messo
decisamente
meglio di me."
Coulson
si fermò di colpo, lanciando occhiate nervose in giro;
sembrava
stranamente in allerta per essere nel luogo più sicuro del
mondo. Tony
si guardò intorno a sua volta, riconoscendo l'ala dei
laboratori.
Magari dopo avrebbe potuto fare una capatina nel suo... se fosse
andato tutto come previsto e non si fosse trovato scaraventato fuori
dall'Helicarrier da un cazzotto verde o con uno scudo in vibranio
spiaccicato in faccia o con Mjolnir a invalidargli i gioielli di
famiglia. Rabbrividì a quelle possibilità
tutt'altro che allettanti
e si concentrò sul loro obiettivo attuale: l'ascensore una
ventina
di metri più avanti, che se ricordava bene li avrebbe
condotti sulla
plancia di comando e da lì alla sala riunioni.
«Che
fretta c'è?» cercò di placare
l'inusuale irrequietezza di Coulson.
«Gli ospiti speciali si fanno sempre attendere,»
scherzò,
sentendosi già un po' più saldo sulle gambe
nonostante le
stilettate che gli risalivano l'arto inferiore come mille punture di
uno
spillo arroventato, scoraggiandolo dal ricominciare subito a camminare.
«Non
è davvero il caso di arrivare in ritardo
proprio oggi, non le
pare?» lo rimbrottò l'altro, sollecitandolo con lo
sguardo.
Tony
stava per controbattere con un'osservazione sagace relativa alle sue
innate doti ansiogene, quando lo vide sgranare leggermente gli occhi
e, per la prima volta da quando lo conosceva, gli udì
pronunciare a
mezza voce una singola parolaccia:
«Merda.»
Tony
si voltò allarmato, già presagendo di trovarsi
alle spalle una
qualche entità aliena pronta a sbranarlo.
Incrociò invece lo
sguardo sorpreso del dottor Banner, appena sbucato da dietro l'angolo
con una cartelletta sottobraccio che per poco non gli cadde di mano
nel riconoscerlo. Si raddrizzò gli occhiali sul naso come a
fugare
ogni dubbio su ciò che stava vedendo.
«Tony?»
riuscì ad articolare dopo qualche istante, in un misto di
sconcerto
e circospezione.
«Ehi,
Banner,» replicò lui in modo involontariamente
piatto, ondeggiando
appena sul posto.
Non
era sicuro di cosa prevedesse il galateo nel trovarsi di fronte un
caro amico che l'aveva quasi ridotto in poltiglia e che con tutta
probabilità era ancora letteralmente verde di rabbia nei
suoi
confronti, così optò per un silenzio neutrale.
Bruce
si avvicinò cautamente a loro, sempre senza abbandonare la
sua
espressione basita. Tony si chiese se fosse dovuta al vederlo
lì, al
vederlo vivo o al vederlo in piedi. Probabilmente una combinazione
delle tre cose. Si
schiarì la gola a disagio, ma il fatto che il dottore non si
fosse
ancora trasformato in un concentrato di rabbia verdognola e
devastante era un buon segno... no?
«Che
ci fai qui?» disse Bruce in tono tutt'altro che
conciliante, incrociando le braccia e facendo vacillare le sue
previsioni ottimistiche.
Poté
notare che gli occhi scuri del dottore rimasero cupi nel fissarlo,
come adombrati da pensieri scuri e pesanti, o più
probabilmente da
ricordi di chiacchierate filosofiche con lui impegnato a reggergli la
testa su un cesso. Si
costrinse a rispondere con naturalezza, scacciando quell'immagine
tragicomica dalla mente:
«Sono
venuto per la riunione, no?»
«Partecipi
anche tu?» lo stupore nei suoi occhi vinse per un momento
l'astio.
Stavolta
toccò a Tony rimanere perplesso.
«Certo.
Perché, non vi hanno...» la realizzazione lo
folgorò in
quell'istante e si voltò di scatto verso Coulson, impegnato
a
mimetizzarsi con la parete, «Non li ha avvertiti?»
esalò,
sentendo l'ansia che s'impennava alle stelle e il nodo allo stomaco
che diventava un cappio strozzato.
Probabilmente
fu per lo shock momentaneo che riuscì a suonare quasi calmo
e non
isterico come invece sentiva che sarebbe diventato di lì a
pochi
istanti.
«Direttive
dall'alto,» rispose Coulson senza guardarlo
«Quest'incontro era
fuori programma,» aggiunse accennando a Bruce, che fissava
ora l'uno
ora l'altro nel tentativo di raccapezzarsi.
Con
grande sorpresa di entrambi, Tony sbottò in una mezza risata
amara:
«Proprio
quando pensavo di potermi fidare di voi. Perché continuo a
darvi
retta, Agente?» commentò, riprendendo sdegnato le
sue stesse
parole.
A
quel punto Coulson riattaccò a parlare concitato:
«Stark,
il direttore ha apprezzato l'idea del suo "salvacondotto" e
voleva parlare con lei faccia a faccia per decidere personalmente la
sua reintegrazione nella squadra, ma...»
Tony
lo fulminò con ira, stringendo l'impugnatura del bastone
fino a
sbiancarsi le nocche.
«E
allora perché illudermi che avrei
partecipato alla riunione?!
Quante altre cazzate avete intenzione di...»
«...
ma io ho
deciso di ignorare
i suoi ordini!» lo bloccò Coulson, sovrastando le
sue invettive e
facendolo ammutolire con un sussulto. «La sto davvero
portando
alla riunione. Non vi ho informati per evitare ingerenze da parte del
direttore,» aggiunse rivolto a Bruce.
Tony
non poté far altro che rimanere impalato sul posto, stordito
da
quelle parole che gli suonavano quasi insensate.
«Fury
voleva tenerci all'oscuro di tutto e decidere senza
consultarci?»
intervenne a quel punto Banner, con voce pacata che nascondeva appena
il suo evidente fastidio.
«Infatti
non condivido la sua scelta,» chiarificò Coulson
con fermezza, per
poi rivolgersi nuovamente a Tony:
«Penso
che lei debba parlare prima con loro,»
accennò a Banner, «e che Fury debba accettare la vostra
decisione,» concluse con un sospiro soddisfatto,
riacquistando
all'istante la sua compostezza come se non avesse l'avesse mai persa.
Tony
rimase ancora in silenzio, senza la minima idea di come reagire,
né
di come interpretare quel comportamento inspiegabile. Fissò
l'agente, che sfoggiava il solito sguardo vitreo corredato da un
accenno di sorriso enigmatico.
Perché
si stava esponendo per lui? Gli
era sempre stata evidente l'avversione che provava nei suoi confronti
e non riusciva a spiegarsi perché proprio ora, nel momento
in cui
era più inutile,
problematico e danneggiato che mai, si fosse improvvisamente offerto
di prendere le sue difese.
«Ok,
questo non è l'Agente Coulson, ma un suo Life Model Decoy,
altrimenti non mi spiego...» cominciò con
titubante ironia, ma lui
lo interruppe con fermezza:
«Stark, sono ancora la persona più scettica e meno
incline a
fidarsi
di lei che ricorda, ma devo svolgere il mio lavoro tenendo conto dei
fatti e dei rapporti su di lei, non delle mie simpatie.»
«Vuol
dire che ho fatto bingo con Bonnie e Clyde?»
«Vuol
dire che le sto offrendo un'opportunità, basata anche sui rapporti
degli agenti Barton e Romanov. Non la
sprechi.»
Tony
sorrise incerto, ma era frastornato da quel gesto che avrebbe potuto
essere la sua salvezza ma che, dentro di sé, sentiva di non
meritare. A
quel punto sentì Bruce che gli poggiava una mano sulla
schiena,
sospingendolo appena per invitarlo a camminare verso l'ascensore.
«Sto
facendo tardi alla riunione,» rispose con naturalezza al suo
sguardo sorpreso. «Se
arriviamo tardi in due, magari non se la prendono troppo.»
***
Era
abituato a tenere discorsi dinanzi a migliaia di persone, su
palcoscenici illuminati a giorno e col suo primo piano proiettato su
megaschermi nei quali era possibile distinguere ogni singola
contrazione e piega che attraversava il suo volto; era passato
ripetutamente in diretta nazionale e internazionale, e ai suoi party
non mancava mai di porsi al centro dell'attenzione per tramutarsi
nell'intrattenitore di innumerevoli serate. Gli piaceva stare sotto i
riflettori e li cercava anche nei momenti meno indicati –
riunioni
amministrative, conferenze stampa e tribunali inclusi. In
quel momento, cinque paia d'occhi bastarono a farlo vacillare e a
fargli riconsiderare tutto ciò che aveva pensato di dire o
fare
davanti a loro, rendendolo intensamente consapevole di ogni minimo
movimento impacciato che compiva col suo corpo malandato.
Il
suo arrivo alla riunione aveva ovviamente causato scompiglio, con
Steve che era balzato in piedi esterrefatto, Thor che aveva stentato
ad articolare parole di saluto coerenti e Hawkeye che aveva sgranato
gli occhi rimanendo pietrificato sul posto; Fury era assente,
probabilmente impegnato a testare la resistenza del collo di Coulson
con le sue stesse mani. Banner, che non aveva comunque pronunciato
una sola parola durante il tragitto con lui, si era limitato a
sedersi al tavolo lasciandolo muto e impalato sulla soglia, alla
mercé di sguardi perplessi, ostili e diffidenti.
A
risolvere la tensione fu Nataša. Gli si fece
incontro quasi a passo
di carica e, in modo del tutto sbalorditivo per qualcuno che Tony
dubitava conoscesse il concetto di "esternazioni affettive",
lo abbracciò brevemente per poi piantarglisi di fronte a
braccia
conserte.
«A
quanto pare hai fatto il bravo.»
Tony
cadde dalle nuvole e riuscì finalmente a riemergere dallo
stato
d'inerzia in cui era sprofondato.
«Chi?
Io?» gli sfuggì con un'alzata di sopracciglia, per
un attimo
dimentico di essere il fulcro dell'attenzione di altre persone.
«Sei
vivo e sei in piedi. Per te è un risultato notevole: direi
che ho
fatto proprio un buon lavoro di recupero.»
A
quel punto Tony si riscosse del tutto:
«Veramente
è tutto merito mio, della mia inventiva e della mia
innegabile
abilità tecnica,» elencò con
semplicità disarmante; nel parlare
s'inclinò di lato col busto e si piazzò in una
posa ostentatamente
vanitosa, col bastone a fargli da perno.
«Bello
il nuovo look. Dove hai lasciato il cilindro?»
Nataša sollevò
appena un sopracciglio nell'osservarlo criticamente, strappandogli un
sorrisetto.
«Spiritosa...»
borbottò lui raddrizzandosi, per poi scostarla gentilmente
da parte;
nel farlo le strinse appena il braccio, in un ringraziamento discreto
per aver stemperato una situazione che aveva minacciato di
destabilizzarlo prima del tempo.
Adesso
si sentiva di nuovo padrone di se stesso, del suo ghigno beffardo e
della sua parlantina accattivante.
«Un
uccellino mi ha detto che c'era un party a cui non ero
invitato...» esordì con brio.
«Così mi sono preso la libertà di auto-invitarmi
per
ravvivarlo.»
Nel parlare si piazzò a capotavola,
poggiandosi in piedi allo
schienale della sedia con disinvoltura – e sollievo per la
sua
gamba – e prendendo a squadrare sornione i suoi interlocutori.
«Che
pensiero gradito.»
Il commento di Steve suonò
forse meno caustico e
più incredulo del solito, ma l'occhiata che gli
riservò era altera
come ricordava.
«Parli
proprio tu! Da Bella Addormentata nei Ghiacci dovresti sapere che
rischi si corrono a non invitare qualcuno alle feste,» si
finse
basito Tony.
Lui
rimase in silenzio, con l'aria di un pugile sul ring che sta
studiando un avversario per individuare una breccia nella sua
guardia.
«Dài,
mi sono pure sforzato di trovare una citazione abbastanza antiquata
per farla cogliere anche a te...» Tony sospirò con
ostentata
delusione, «... per te invece non ho nulla, Katniss: credo
che
tu
abbia già largamente superato la tua quota annua di
parole.»
Hawkeye
reagì alla battuta con un sorrisetto appena trattenuto,
unito a un piccolo cenno di saluto.
«Tu
piuttosto, Braveheart,» Tony si rivolse a Thor,
«è bello rivederti sulla
Terra e non disperso tra un mondo e l'altro; almeno ti sei
risparmiato i momenti più eclatanti della mia
carriera....»
L'asgardiano
ricambiò il saluto con un mezzo inchino del capo.
Sembrò voler dire
qualcosa, ma Tony non gliene diede modo e si rivolse all'ultimo
Vendicatore rimasto, senza tentare di celare la propria espressione
fattasi un po' colpevole:
«...
al contrario di Bruce. Ecco, tu hai il grande merito di avermi fatto
scoprire i pregi dell'open-space totale.»
La sua faccia tosta
s'incrinò appena nel notare quella ancora torva dell'amico,
forse
anche accompagnata da una sfumatura verdognola.
«Magari la
prossima
volta è meglio fare meno danni e dedicarci alla fisica
nucleare,
piuttosto che all'architettura.»
«O
allo scoprire quanto alcol possa sopportare un corpo umano prima di
collassare.»
Lui
incassò il colpo con una smorfia ironica:
«Nah,
ero ancora in condizioni decenti. Non sarà mai
peggio di
Baltimora nel 2001,» dichiarò con sicurezza.
Tony
battè un paio di volte sul tavolo col bastone a mo' di
martelletto,
come a concludere la sua introduzione in modo ufficiale. Si
trovò a
sorridere sotto i baffi: cominciava a divertirsi, dopotutto.
«E
ora, signori e signora,» scoccò un'occhiata
suadente a Nataša alle
sue spalle, che ricambiò con sguardo nuovamente omicida e
uno
leggero spintone nel tornare al proprio posto, «direi che
dopo
il
giro di convenevoli possiamo anche passare al tema della
giornata...»
si raddrizzò, lasciando l'appoggio della sedia e allargando
leggermente le braccia come se fosse realmente su un palcoscenico.
«Me. O Iron Man, se preferite il nome d'arte.»
«Io
preferirei capire perché sei qui, Stark.»
Steve
lo guardava fisso con la sua solita espressione corrucciata che
lasciava trapelare una discreta curiosità, in attesa di una
risposta
convincente. Era ancora in piedi con le braccia incrociate,
rigidamente impettito e stretto nei suoi soliti vestiti demodé.
«Non
l'ho appena detto? Per parlare di me. Anzi, di noi.
Ah, così
la faccio sembrare una consulenza di coppia...» si
portò
dubbiosamente la mano al pizzetto. «Comunque! Magari la cosa
vi
stupirà, ma mi mancano un po' le nostre uscite goliardiche
per fare
a botte coi cattivi.»
Vi
fu un momento di silenzio che sembrò prolungarsi
più del dovuto.
«Vorresti
rientrare nei Vendicatori?» interpretò infine
Steve, guardando gli
altri come a conferma di aver sentito bene.
«Vorrei
convincervi a farmi rientrare,»
ribatté Tony, stavolta più
serio.
Il
Capitano non trattenne un verso di scherno.
«Sarà
difficile,» intervenne Thor con la sua voce profonda.
«Sei caduto
più in basso di quanto avrei mai potuto immaginare, uomo di
ferro,»
lo rimproverò con asprezza.
«Troppo
gentile,» mormorò Tony, sfuggendo il suo sguardo.
«Ma adesso mi
sembra di essere di nuovo in sella.»
Fece un paio di passi a
dimostrazione della sua ritrovata stabilità, attirandosi con
soddisfazione gli sguardi dei suoi compagni.
«Un
guerriero caduto non si rialza così facilmente,»
lo contraddisse con durezza il semidio.
Tony
fece una smorfia a quelle parole che sarebbero suonate molto
più
appropriate in qualche sala del trono asgardiana. Era chiaro che il
suo sdegno per essersi quasi tolto la vita non sarebbe stato
così
semplice da dissipare.
«"Guerriero
caduto" mi è nuova. L'espressione più calzante
con cui mi
hanno definito ultimamente è stata "idiota patentato", ma
penso di potermi far andare bene anche la versione aulica,»
concluse
con un breve sorriso spento.
Lasciò
vagare lo sguardo sui suoi compagni di squadra, chiedendosi quanti di
loro lo ritenessero un fallito, quanti un egoista pericoloso, quanti
un qualcosa di rotto da buttar via, ma non riuscì a leggere
i loro
volti, che gli sembravano tutti improvvisamente vacui. I
loro occhi erano puntati su di lui, ma si sentiva come se non fosse
neanche lì. Non era
ancora davvero lì, si rese conto... ma
voleva esserci con
tutto se stesso.
«Non
dovevi convincerci?» la voce di Hawkeye si levò
quasi annoiata, ma
fu abbastanza per riscuoterlo e gli lanciò un'occhiata
grata,
incrociando il suo sguardo acuto.
"Ci
siamo."
Pescò
il cellulare dalla tasca e lo poggiò sul tavolo; dopo un
paio di
tocchi precisi un ologramma 3D si sollevò dallo schermo,
proiettando
un modello virtuale della Mark IV.
«Questo
gioiellino è il nuovo prototipo della mia armatura e la
prima fase
della mia "opera di convincimento".»
«Pensi
di indurci ad riaccettarti con le tue diavolerie high-tech?»
la voce
di Bruce era scettica, quasi offesa dalla sua apparente
superficialità.
«Penso
che possa essere un buon incentivo,»
lo corresse.
«Sarà un'armatura
teleguidata,» spiegò poi, e il volto del dottore
si fece confuso.
«Questo vuol dire che non avrete bisogno di me fisicamente.
Prendetelo come un omaggio della casa, nel caso doveste decidere di
escludermi dal vostro club. Un Iron Man vi farà comodo,
anche se non
ci sono io dentro. Certo, sarebbe un vero spreco,» concluse
in
fretta, rendendosi poi conto che la sua dichiarazione li aveva
spiazzati.
«Saresti
davvero disposto a farti da parte?» stavolta fu
Nataša parlare, con
una chiara nota d'incredulità.
«Mi
sto ripetendo che anche contribuire al Progetto Vendicatori da dietro
le quinte potrebbe essere gratificante. Ma il mio obiettivo
è non
dovermi fare da parte. Sono qui apposta, no?»
concluse
furbescamente.
Prese
un breve respiro e si riposizionò capotavola, decidendo
contro ogni
buonsenso di rimanere in piedi. Scrutò i suoi compagni, la
cosa più
vicina che avesse a degli amici e, forse, a una famiglia. Steve
si era finalmente deciso a sedersi, ma era ancora a braccia conserte
e stringeva appena la stoffa della camicia a quadri; Thor sedeva al
capotavola opposto, col capo leggermente inclinato e i lunghi capelli
a fare da schermo ai suoi occhi; Bruce si era appoggiato al tavolo e
lo scrutava da dietro gli occhiali in modo apparentemente neutrale,
ma la sua bocca era tirata in una piega rigida; Hawkeye era rimasto
compostamente in piedi; Nat si era accomodata seduta alla sua destra e
lo
fissava con tranquilla aspettativa.
Si fece coraggio e iniziò a parlare:
«Avevo
preparato un discorso molto elaborato per scusarmi e mostrarvi la mia
serietà riguardo ad Iron Man e tutto ciò che
implica riprenderne il
ruolo, ma non sono la persona più adatta a seguire le
direttive,
anche se sono le mie...»
Tirò
fuori un foglietto spiegazzato dalla tasca posteriore dei jeans, sotto
gli occhi
in parte incuriositi, in parte perplessi dei Vendicatori.
«"Prendo
atto delle mie azioni ingiustificabili e posso solo sperare che i
Vendicatori vorranno perdonare..." bla bla bla,»
declamò
falsamente pomposo, per poi appallottolare bruscamente il foglio e
gettarlo nel cestino. «Un mucchio di frasi fatte. Magari
avrebbero
anche funzionato.»
Fece una pausa, scrutando i suoi
ascoltatori e
poggiandosi di nuovo allo schienale della sedia per far riposare le
gambe. Non trattenne una smorfia infastidita quando la pressione sul
moncherino
diminuì bruscamente.
«Ma
non credo che sia questo il modo giusto per convincervi. Non sento
nemmeno di dover chiedere scusa a voi per quello
che ho deciso
di fare con la mia vita, per quanto opinabile.
Quella è una
questione tra me e... e me stesso. Sono qui per parlare del
resto.»
Quelle
parole portarono ombre più severe sui loro volti, ma si rese
conto
che lo stavano davvero ascoltando, incluso Cap, che
nonostante
la sua solita non-espressione gli lanciava sguardi meno ostili, come
interdetto dalla sua capacità di rimanere serio per
più di qualche
secondo. Tony
si passò una mano sulla nuca a raccogliere i pensieri e
si
scostò nuovamente dallo schienale, sentendosi irrequieto e
spostando
il peso da un piede all'altro nell'avvertire un fastidio sempre
più
persistente al moncherino. Imprecò tra sé: non
era davvero quello
il momento giusto per bloccarsi, né per soffermarsi sui suoi
problemi fisici.
Incrociò
di sfuggita gli occhi di Nat, che gli parvero quasi incoraggianti e
in un certo senso... soddisfatti? Forse vedere i risultati del suo
impegno stare in piedi dinanzi a lei era un buon motivo per
quell'espressione stranamente amichevole che faceva capolino sul suo
viso. Si sentì in parte rincuorato nel riscontrare la stessa
assenza
di freddezza sui volti degli altri Vendicatori, adesso non
più
simili a maschere bianche e impassibili, ma piuttosto a dei semplici
spettatori in attesa di un numero. E lui era sempre stato bravo a
intrattenere il pubblico.
«Mio
padre...» si arrestò e colse
delle occhiate perplesse.
Non
voleva cominciare da quello,
ma le parole gli erano sfuggite con una
spontaneità che non era riuscito a contenere.
Deglutì, facendosi
forza e riprendendo possesso del palcoscenico.
«Mio
padre fu uno dei capi fondatori dello SHIELD. Tranquilli, non lo sto
dicendo per arrogarmi chissà quali diritti, non sono un fan
del
nepotismo. Comunque, fino a meno di un paio d'anni fa ne ero
assolutamente all'oscuro. Se me l'avessero detto mi sarei messo a
ridere. Insomma, un'organizzazione per la difesa mondiale? Lui? Era
un mercante di morte, cosa diavolo gli importava della pace nel
mondo?»
Scosse la testa, arricciando le labbra.
«Cosa importava a
me, della pace nel
mondo?» aggiunse, più cupamente.
«Ci ho messo un po' ad elaborare
la cosa. Quest'immagine di lui non coincideva con quella che
conoscevo. Non riuscivo a spiegarmela, ma credo di averci capito
qualcosa proprio in quest'ultimo periodo.»
Fece
una breve pausa, chiedendosi dove mai sarebbe andato a parare, ma gli
sembrava che quelle parole stessero risalendo naturalmente verso la
sua bocca, e non si stava sforzando affatto per trovarle. Decise di
fidarsi del suo istinto e seguire quel flusso che aveva tenuto a
freno per tutti quegli anni e che si rimescolava nei suoi pensieri
contorti ogni notte, intrecciandosi alle sue mille altre
preoccupazioni e angosce.
«Per
farvi capire, devo fare un passo indietro,»
cominciò cauto.
«Mi
ricordo mio padre soprattutto nella sua assenza. Quando penso a lui
non lo vedo a casa, ma a un qualche meeting aziendale che
probabilmente celava anche i suoi incontri con lo SHIELD. Quando
tornava da noi si chiudeva in laboratorio. A volte riemergeva per i
pasti, ogni tanto si ubriacava, era costantemente irritato, scontroso
e aveva un tasso di sarcasmo insopportabile. Magari vi ricorda
qualcuno.»
Fece
un sorriso amaro, rendendosi conto di quanto volesse discostarsi da
lui e di quanto, invece, finiva con l'essergli simile sotto
molti aspetti.
«Uno
dei suoi tormentoni era "non perdere tempo, Anthony",»
mimò inconsapevolmente la sua voce burbera, che risuonava
cristallina nelle sue orecchie come se fosse lì accanto a
lui, «e da
ragazzo lo detestavo e lo ignoravo. Ho continuato a ignorare quelle
parole fino a poco tempo fa, e i risultati si sono visti. Ho davvero
perso troppo
tempo.»
Non trattenne un sospiro, seccato con se stesso.
«L'altro
tormentone è più divertente,»
rivelò, guardando di sottecchi Rogers. «Non la
piantava un istante di parlare di te, Cap, al punto che per un
brevissimo periodo sono stato un tuo grande ammiratore. Con tanto di
costume ridicolo, scudo giocattolo e spocchia cento per cento
patriottica. Poi a tre anni ho scoperto la robotica e sono guarito,
grazie al cielo.»
Si
concesse un sorriso scherzoso: anche Steve pareva divertito all'idea
e sapeva che gliel'avrebbe rinfacciata a vita sotto forma di
battutine pungenti.
«Quel
tuo scudo ce l'aveva appeso in laboratorio. Era una copia ovviamente,
ma ci
teneva come se fosse stato quello vero. Ogni tanto me lo indicava e
mi diceva "questo è il motivo per cui sono ancora qui. Trova
anche tu qualcosa che diventi la tua ragione
di vita". Io non capivo. Volevo solo che mio padre uscisse da
quel suo covo e mi degnasse di una parola.»
Si perse in quei ricordi amari, stentando per un momento a
riprendere il filo.
«Ovviamente
scoprii solo molto più tardi il suo vero ruolo durante la
guerra. È
sempre stato abbastanza riservato al riguardo, ma col tempo ha preso
a parlarne più spesso e io ho iniziato a ficcare il naso nei
suoi
appunti e ricerche. Era... oserei dire ossessionato dal Progetto
Rebirth. Ripeteva che era l'unica cosa buona che avesse fatto in vita
sua e che non sarebbe mai riuscito a fare di meglio. Che lo scudo era
il simbolo di ciò che era riuscito a fare.»
Tony
scrollò appena le spalle con fare noncurante e si
sistemò
distrattamente la benda sull'occhio.
«Per
me quello era solo un pezzo di latta appeso al muro. Un giorno, poco
prima di laurearmi, portai di nascosto lo scudo a un party del MIT...
non ricordo perché, credo fosse una qualche scommessa. Non
vuoi
sapere cosa ci abbiamo fatto,»
aggiunse rivolto a Steve, che alzò gli occhi al cielo.
Tony
a quel punto si rabbuiò.
«Mio
padre era freddo, calcolatore. Si arrabbiava in continuazione, ma non
alzava mai la voce. Non l'ho mai visto così infuriato come
quando
tornai a casa quella notte. Disse che ero un fallito e che non avevo
mai capito nulla né di lui, né del suo lavoro,
che ero
irrecuperabile
e non avrei mai concluso nulla in vita mia. A
distanza di anni ho capito che l'avevo ferito, forse per la prima
volta in modo inconsapevole: avevo arbitrariamente deciso che il
lavoro di una vita intera valeva quanto un giocattolo per far
divertire me e qualche compagno sbronzo. All'epoca
me ne fregai: gli dissi di tenersi il suo stupido frisbee e me ne
tornai al college. Non venne alla mia laurea. Poi mi spedì a
studiare all'estero. Morì... morirono poco dopo,»
concluse asciutto.
"E
non l'hai salutato, non gli hai detto che ti dispiaceva," gli
rimbombò in testa.
Colse
uno sguardo addolorato da parte di Steve e si affrettò a
continuare:
«Il
punto della storia strappalacrime è che aveva ragione,
almeno in
parte. È odioso ammetterlo, per di più a distanza
di quasi
vent'anni, ma non avevo davvero capito nulla di
lui. Non mi
ero mai fatto troppe domande su quel che faceva. Ho semplicemente
continuato a farlo. Fino a quando non mi sono visto esplodere in
faccia una bomba col mio nome sopra e non ho iniziato a chiedermi "dove
ho sbagliato?" Il resto lo sapete.»
Alzò le spalle con ovvietà.
«Credo che lui si sia chiesto per
tutta la vita dove
avesse sbagliato e forse, al contrario di me, non ha mai avuto il
privilegio di capirlo.»
Rialzò
lo sguardo sui suoi compagni, rendendosi conto di aver fissato fino
ad allora il modello azzurrino dell'armatura che girava lentamente su
se stesso, come ipnotizzato.
«Io
ho buttato all'aria quel privilegio. Ho commesso molti errori. E alla
fine ho... ceduto.»
Lasciò che quell'affermazione
sprofondasse nel
silenzio, sentendosi improvvisamente vulnerabile nell'essersi esposto
così tanto, nonostante non avesse rivelato neanche la decima
parte di
tutto ciò che gli era passato in testa nel momento in cui si
era
tolto il reattore. Dubitava di poterne essere del tutto consapevole
lui stesso, e quel pensiero continuava a pungolarlo ad ogni respiro
che era ancora in grado di compiere.
Si
costrinse a riprendere:
«Sto
cercando di rimediare. Lo devo a me stesso, a chi mi ha salvato e a
tutto ciò che è venuto... prima.»
Incrociò gli occhi di Nat e
seppe che stavano pensando entrambi al loro "registro macchiato"
e a quelle note rosse da cancellare.
«Forse un po' lo devo
anche a
mio padre,» ammise, e storse appena la bocca, pronunciando
malvolentieri
quelle ultime parole.
«Adesso
ho capito che il Progetto Rebirth e lo SHIELD furono per lui
quello che Iron Man è diventato per me, anche se poi lui non
è
stato in grado di continuare sulla strada che aveva scelto.
È sceso
a compromessi e ha iniziato a commettere errori su errori. Per tutta
la vita mi sono ripromesso di essere migliore di lui e non ho
intenzione di rimangiarmi ciò che ho detto. So
di essere un esibizionista. E adoro essere Iron
Man,»
confessò, con un fugace sorriso che apparve spontaneo sulle
sue
labbra. «Mi comporto
come se non me ne importasse nulla, ma l'armatura non è solo
una
"diavoleria hi-tech" con qualche cromatura fiammante. È
l'unica cosa giusta che sento di aver fatto in vita
mia e
l'unica in cui creda ancora, a questo punto. E sono venuto fin qui
sulle mie gambe per farvi capire che non saranno queste
a
impedirmi di essere Iron Man,» sollevò il braccio
meccanico, «e
non è solo quella a permettermi di
esserlo,» accennò all'armatura virtuale.
Il
suo tono si era fatto energico, intessuto di una fermezza ferrea.
«Non
credo che mio padre intendesse "trovare una ragione di vita"
in senso così
letterale.»
Picchiettò leggermente sul reattore al centro del suo petto,
metallo contro metallo.
«Ma
Iron Man è qui. E questo non possiamo
cambiarlo né voi, né
io.»
Tacque,
con la gola secca.
Si
sentì improvvisamente svuotato e incapace di focalizzarsi su
un'emozione ben precisa, con la testa leggera e quasi estraniato da
tutto ciò che aveva appena detto, come se fosse stato
qualcun altro
a pronunciarlo attraverso lui. All'improvviso il peso degli sguardi
appuntati su di
lui divenne eccessivo e tangibile. Si staccò dalla sedia con
un
movimento brusco e ricostruì la sua solita spavalderia di
facciata,
ansioso di rimarginare quella fessura che aveva incautamente esposto
a tutti.
«Bene,
immagino che a questo punto la riunione debba proseguire a porte
chiuse,» disse a mo' di congedo,
recuperando il telefono e facendo un passo frettoloso e sbilenco
verso la porta.
Sembravano
tutti troppo indecisi sul da farsi per tentare di fermarlo, ma Thor
si alzò dalla sua sedia, irrequieto, e Steve
scoccò un'occhiata
sbieca a Bruce, come in una domanda silenziosa. Colse Nataša
che
stava per dire qualcosa e decise di non avere abbastanza energie per
affrontare subito le ripercussioni del suo discorso improvvisato,
così le impedì di parlare:
«Ah,
ne approfitto per dire che quanto ho detto riguardo al frisbee
a stelle e strisce non voleva assolutamente essere
un elogio
alla qui presente Regina delle
Nevi,» indicò Steve
con il bastone, « e faceva
tutto parte del piano della manipolazione emotiva,»
dichiarò, con un gesto condiscendente della mano
artificiale.
«Fatemi
sapere; io vado a sgranchirmi le gambe, visto che posso,»
concluse
con un mezzo sogghigno tirato mentre arretrava verso l'uscita,
poggiandosi infine con la schiena contro la porta per uscire a
ritroso dalla plancia di comando.
Quando
fu in corridoio riprese finalmente a respirare e i suoi pensieri
tornarono a circolare a un ritmo normale invece di ristagnare in modo
quasi doloroso al centro del suo cervello. Colse un brusio vivace
oltre la porta e zoppicò un po' più in
là per impedirsi di
origliare ciò che avveniva alle sue spalle.
Si
guardò intorno alla ricerca di una sedia, o un qualunque
altro piano
orizzontale su cui abbandonarsi: rimanere in piedi era stata una
mossa azzardata e la stava scontando con crescente rimorso.
Individuò
una vetrata di fianco all'ascensore, con una sorta di davanzale
inclinato che poteva fare al caso suo. Si trascinò per
quella decina
di metri e si lasciò cadere di peso sulla superficie
metallica,
stringendosi il moncherino e ringraziando che il dolore gli impedisse
di pensare troppo lucidamente al fatto che con tutta
probabilità
aveva sprecato la sua unica occasione per rientrare nei Vendicatori.
Si scollò con sollievo la benda dall'occhio e la ripose in
tasca, in
un gesto un po' troppo brusco dettato dalla frustrazione.
Come
gli era venuto in mente di parlare suo padre? Era
seriamente
tentato di mettere ancora in dubbio la propria sanità
mentale, ma
non riuscì a pentirsi del tutto di ciò che aveva
detto su di lui,
anche se ciò non attenuava il risentimento che provava nei
suoi
confronti. Il dolore fisico scemò quel tanto che bastava
perché le
sue riflessioni riprendessero un andamento più lineare.
Quando
sua madre gli diceva che Howard era "tormentato", non aveva
mai capito appieno quella parola, traducendola quasi inconsciamente
con "distratto" o "indifferente". Quanto era
ancora in diritto di rimproverarlo dopo tutto quello che lui stesso
aveva fatto negli ultimi mesi? Si trovò a stringere con
forza il
reattore in mezzo al petto, con un velo di sudore freddo che si
posò
sulla sua fronte.
In
quel momento avrebbe davvero voluto trovarsi suo padre davanti per
chiedergli se quello che aveva appena detto su di lui fosse vero, o se
era solo un'illusione azzardata che si era costruito per giustificare
i comportamenti di entrambi, per accorciare quella distanza
incolmabile che era sempre esistita tra loro. Si costrinse a lasciare
la presa dal congegno, scacciando al contempo quei desideri insensati
e comunque irrealizzabili.
"Forse
sto davvero invecchiando," pensò scoraggiato.
Per
distrarsi, gettò lo sguardo oltre il vetro, sulla vista
vertiginosa
delle nuvole rade e sfilacciate immerse in un azzurro terso. Migliaia
di metri più in basso si scorgeva l'oceano, una compatta
lastra blu
cobalto. Poggiò la fronte sulla superficie lucida, fissando
quello
spazio con nostalgia e immaginando di poterlo attraversare in volo
per distogliersi dalle fitte di nuovo lancinanti alla gamba e dai
suoi pensieri tetri. Rimase così per quasi mezz'ora,
tranquillizzandosi a poco a poco e recuperando almeno una parvenza di
serenità, indotta anche dal quieto scorrere delle nuvole e
dalle sue
fantasticherie di volarvi attraverso.
"...
e poi attiverei i deflettori, farei una cabrata proprio vicino a
quella lì, poi un mezzo giro della morte attraverso
quell'anello e
scenderei in picchiata fino a..."
«Stark.»
Tony
fu ridestato dal suo sogno ad occhi aperti e non poté
evitare un
sussulto quando riconobbe la voce di Rogers; si staccò di
colpo dal
vetro, consapevole di non essere del tutto in grado di mascherare la
sua espressione sofferente, col moncherino che aveva accusato quel
movimento troppo brusco. Steve gli si stava avvicinando quasi a passo
di marcia, stranamente pimpante, e non poté fare a meno di
mettersi
in allerta, maledicandosi al contempo per essersi tolto la benda.
Quando
entrò nel suo raggio d'azione arrestò la sua
avanzata puntandogli
il bastone da passeggio contro il petto.
«Ah-ah!
Distanza di sicurezza, vecchio, non ho nessuna voglia di mettermi
nuovo a...»
Rogers non lo
fece neanche finire di parlare che scostò con
facilità il bastone e
gli tese la destra, in un gesto inaspettatamente amichevole. Tony
fu preso alla sprovvista e spostò lo sguardo dalla mano al
suo viso
per una volta privo della sua consueta ostilità;
esitò a
stringerla, studiandola con lo stesso sospetto che avrebbe riservato
a una trappola per orsi. Vedendo la sua titubanza Steve
sospirò
platealmente e gli afferrò a sorpresa la mano meccanica in
una
stretta salda.
"Ma
che diavolo...?"
Tony
ricambiò d'istinto, per poi piombare nella confusione
più totale,
chiedendosi cosa diavolo fosse successo in sala riunioni in sua
assenza e se c'entrasse l'influsso di qualche sostanza allucinogena.
«Hai
il mio supporto,» dichiarò
semplicemente Rogers, allentando subito la presa e recuperando mezzo
passo di distanza, come rendendosi conto solo in quel momento di
ciò
che aveva appena fatto.
Tony
lo fissò confuso, con la mano ancora ferma a mezz'aria.
«La
manipolazione emotiva ha funzionato?»
«Mi
hai sorpreso,» replicò Steve.
«Non
ci vuole molto: anche quando hai visto uno smartphone ti sei
sorpreso,» puntualizzò lui, mettendo il pilota
automatico al suo
sarcasmo mentre tentava di dare un senso a ciò che era
appena
accaduto.
Steve
alzò gli occhi al cielo.
«Intendo
dire che sei riuscito a parlare di tuo padre, del mio scudo e ad
ammettere i tuoi errori nello stesso discorso senza battere ciglio e
senza fare del tutto un elogio di te stesso. E sei stato
convincente.»
Fece una breve pausa.
«Mi hai
sorpreso,» ripeté,
apparentemente a corto di parole.
"Il
che non è strano per un supersoldato tutto muscoli e
niente... ok,
forse poco cervello."
Tony
distolse lo sguardo, non sapendo in verità nenche lui come
replicare
e trovando l'intera situazione molto imbarazzante.
«Non
era un discorso preparato,» buttò lì
tanto per dire qualcosa.
«Magari
se fossi sempre un po' meno "preparato" saresti
quasi sopportabile.»
Steve lo squadrò con
severità. Lui
si limitò a sbuffare gonfiando le guance, apprezzando in
cuor suo il
ritorno della tipica criticità nei suoi confronti,
decisamente più
gestibile di quella cortesia spiazzante. Si passò una mano
tra i
capelli, scostando qualche ciocca ribelle dalla fronte e cercanto di
inclinarla a coprire almeno parte dello sfregio, mentre
scoccava un'occhiata furtiva alla porta della sala riunioni.
«Tutta
questa molesta espansività da parte tua significa
che...?» insinuò
guardingo, non riuscendo a celare del tutto la sua aspettativa ma
sforzandosi di reprimere il sorriso che sentiva affiorargli sulle
labbra.
«Siamo
in fase decisionale,» lo tenne sulle spine Rogers,
riprendendo il
suo tono neutrale e compassato. «Thor non è
convinto; credo che ad
Asgard siano molto rigidi su... certe cose.»
«L'avevo
intuito.» Tony storse la bocca, contrariato.
«Pensavo lo fossi anche
tu,» sbottò prima di potersi trattenere.
«Lo
sono,» ribatté lui con fermezza.
«L'unica
volta che ho tentato
consapevolmente di uccidermi è stato per buttarmi su una
granata ed
evitare la morte dei miei compagni.»
«Figurarsi.»
Tony schioccò la lingua con fare derisorio.
«Mi
chiedo se tu saresti in grado di fare lo stesso,» lo
rimbrottò
Steve, fissandolo con improvvisa intensità.
Tony
tacque brevemente, grattandosi la tempia pensoso.
«Prima
di buttarmi su una granata cercherei di disinnescarla, deviarla prima
che venga lanciata o gettarla da un'altra parte,» concluse
con un
sorrisetto saputo.
«Sempre
una via d'uscita, eh?»
Steve scosse la testa e Tony si
rallegrò per
essere riuscito ad irritarlo come sempre.
«Se
non c'è, me la creo,» aggiunse un po' mestamente.
«Buttarsi sulla
granata è una via d'uscita un po' troppo facile.»
Steve
lo studiò per qualche secondo, infine sospirò
appena.
«Invece, magari
lo faresti davvero,» commentò quasi tra
sé. «Sono qui appunto
perché voglio darti il beneficio del dubbio,»
concluse in modo
evasivo.
Tony
lo scrutò con intensità, sondando quelle parole,
poi inclinò
appena la testa tirando le labbra in un smorfia dubbiosa.
«Non
me la bevo,» sbottò, rivolgendogli uno sguardo
inquisitore. «Ci
sono migliaia di universi paralleli al nostro e in nessuno di questi
mi daresti mai ragione su qualcosa solo perché "ti ho
sorpreso"
o perché vuoi "darmi il beneficio del
dubbio".»
Incrociò
le braccia, continuando a fissarlo di sbieco. Il
soldato spostò il peso da un piede all'altro e
voltò appena il
capo, improvvisamente meno impettito del solito. Quando
parlò lo
fece senza guardarlo, con gli occhi puntati sulla distesa di nuvole
oltre la vetrata:
«Un
tempo ero io quello considerato "fisicamente non idoneo".» La
sua mascella si irrigidì visibilmente al ricordo.
«Mi è stata
data una seconda possibilità e tuo padre vi ha contribuito.
Fare lo
stesso con te mi sembra un buon modo per... "chiudere il
cerchio".»
Pronunciò con esitazione quelle ultime
parole, come
riluttante a credervi, e il suo sguardo si fece quasi interrogativo.
«Niente
male. Ci hai messo solo qualche decennio per capire di dovere
qualcosa a qualcuno,» commentò Tony, fingendo di
essere colpito.
«Anche se quel qualcosa è la padella che ti porti
appresso,»
puntualizzò, trattenendo un sorrisetto compiaciuto nel
vedere i vari
gradi di crescente stizza passare sul volto del Capitano.
«Per
quanto
riguarda me, preferisco dire che mi sto costruendo
una seconda
possibilità,» precisò poi,
più serio.
A
quel punto Steve liberò un verso esasperato, fissandolo con
improvvisa e familiare antipatia; il suo tono si alzò,
diventando
aggressivo:
«Come
al solito sei incapace di capire quando qualcuno sta veramente
cercando di venirti incontro per colpa del tuo maledetto ego
che...»
Tony
lo interruppe, alzando a sua volta la voce per sovrastarlo:
«Senti,
ti ricordo che non troppo tempo fa mi hai dato del "mezzo uomo",
il che è assolutamente...»
«...
meschino, e mi dispiace, ma ciò non ti autorizza
a...»
«...
inesatto,» lo contraddisse lui con voce
squillante
e Steve si
accigliò confuso. «Insomma, non sono ancora
diventato Robocop, ho
solo due arti di metallo e un reattore cardiaco! Pretendo di essere
considerato uomo almeno per tre quarti,»
concluse facendo un
ironico gesto di OK con la mano meccanica.
Steve
esitò e un'ombra di sorriso involontario passò di
rimando sul suo
volto a quell'atteggiamento leggero e privo di rancore, ma si
affrettò a ricomporsi per ribattere a tono. A
quel punto Tony scorse Banner diretto verso di loro con la sua solita
andatura circospetta e un po' impacciata e gli fece un ampio cenno di
saluto, grato che il suo arrivo interrompesse sul nascere una
discussione che si sarebbe altrimenti protratta per ore.
«Sei
tornato in modalità "angelo custode"?» lo accolse,
con un
sorriso un po' incerto.
«In
verità ho ancora un po' voglia di picchiarti,»
replicò lui,
accigliato e con un mezzo sospiro.
Tony
si ritrasse d'istinto, sentendo il suo sguardo pesare su di lui come
un pugno del suo amico verde, ma si rasserenò un poco nel
vedere che
non sembrava essere così ostile come pensava. E,
soprattutto, di un
colorito roseo e innocuo.
«Oh,
anch'io, credimi,» borbottò quasi tra
sé, per rompere il silenzio.
«Sembra
che tu abbia smosso qualcosa, là dentro,»
commentò poi il dottore,
facendolo illuminare all'istante in volto. «Questo non toglie
che non
sei ancora scusato,» puntualizzò nel notarlo.
«Lo
so.» Tony poggiò la testa al vetro, guardando
entrambi i suoi
interlocutori con aria quasi annoiata. «Vi manderò
un mazzo di...
di... quali erano i fiori per chiedere scusa? Le violette? Insomma,
un mazzo a testa e la chiudiamo là.»
«Dovrai
impegnarti un po' più di così,
quasi-Consulente,» lo rimbrottò
Steve.
Tony
lo ignorò, facendosi assorto. Fissava Bruce quasi senza
vederlo,
ripercorrendo tra sé le circostanze del loro ultimo incontro
con un
misto di vergogna e colpevolezza. Si ritrovò a ticchettare
sul
reattore, come sempre quando si perdeva nelle sue riflessioni, ma
smise subito nel notare l'occhiata allarmata di entrambi.
«Avevi
ragione e avevi torto allo stesso tempo,» dichiarò
in fretta.
«Questo fa di te un paradosso. E verde, per di
più,» e puntò
Bruce con l'indice meccanico come a riconoscergli ufficialmente la
cosa.
Lui
fece un mezzo passo indietro guardandolo interrogativo, e Tony si
accinse a spiegarsi meglio:
«Qualche
tempo fa mi hai detto che per me non ci sarebbe stato nessuno
a sputare il proiettile,» disse d'un
fiato, sentendo che se si fosse fermato a riflettere sul reale
significato di quelle parole si sarebbe addentrato in un sentiero
tortuoso, dal quale non era sicuro che sarebbe riuscito a trovare la
via del ritorno.
Percepiva
già un senso di oppressione al petto solo a menzionare la
questione. Bruce
quasi sobbalzò e Steve spostò nervosamente lo
sguardo dall'uno
all'altro, come chiedendosi se fosse il caso di troncare lì
la
discussione, in un modo o nell'altro.
«Ti
sbagliavi. Magari io non volevo salvarmi, ma qualcun altro ha deciso
di farlo per me e ha deviato quel
proiettile.» Fece una breve pausa, domando il lieve tremito
nella sua voce.
«E
invece avevi ragione quando hai detto che non ero solo. L'ho solo
capito troppo tardi.»
Sorrise appena, con rammarico.
«Bastava
un "grazie", Stark,» commentò Steve a sguardo
basso,
spostando il peso da un piede all'altro.
«Tu
devi impegnarti un po' di più per meritarti un grazie da
parte mia,
Rogers,» lo rimbeccò, serio. «Non basta
una stretta di mano.»
«E
non bastano delle belle parole,» gli fece notare lui a sua
volta.
Tony
lo fissò per qualche istante, tentato di ribattere ancora,
poi
concluse che avevano raggiunto un punto di stallo abbastanza onesto
per chiudere lì la discussione. Gli rivolse solo un secco
cenno del
capo, a intendere che non si sarebbe affatto fermato alle parole, e
lui gli restituì lo stesso sguardo di sfida. Ruppero
il contatto visivo solo dopo qualche secondo, riacquistando entrambi
una postura più rilassata e tornando a includere Bruce.
«Finito?»
commentò quest'ultimo, guardandoli come avrebbe fatto con
due
bambini intenti a mettersi il muso a vicenda.
«Per
ora,» risposero involontariamente in coro loro due,
scoccandosi poi
un'altra occhiata risentita; Tony alzò l'occhio al cielo e
si
rivolse di nuovo a Bruce in tono più leggero:
«Per
oggi ho fatto il pieno di discorsi impegnati. Ho bisogno di far
prendere aria al cervello,» stabilì. «Ed
è un bel po' che non
faccio una capatina nel mio laboratorio su questa bagnarola,»
buttò
lì.
Vide
con compiacimento un lampo d'interesse accendersi negli occhi del
dottore, così lo incalzò:
«Ricordo
chiaramente che noi due avevamo un esperimento in sospeso riguardo a
metamateriali e campi elettromagnetici... Trilly, tu potresti fare da
pubblico,» si rivolse a Steve con un mezzo ghigno, facendogli
storcere il naso al suo ennesimo soprannome. «Andiamo, ci
serve un
po' di terapia di gruppo!» li incalzò con
più vivacità.
«E
va bene...» gli concesse Bruce, con più entusiasmo
di quanto
intendesse. «Tanto là dentro ne avranno ancora a
lungo: Thor si sta
agitando ed è arrivato Phil a gestire la situazione prima
che Nat e
Clint perdano la calma e si scateni una guerra tra Asgard e
Midgard.»
«Oh,
Agente è ancora vivo? Dovrò ringraziarlo in
qualche modo...»
borbottò poi tra sé, decidendosi a fare leva sul
bastone per
rialzarsi.
Ignorò
la protesta della gamba e la mano tesa di Bruce, ma quando fu in
piedi vacillò sul punto di cadere e venne prontamente
agguantato per
la collottola da Steve.
«Meno
male che c'è "Trilly" a salvarti,» lo
schernì col suo
solito tono saccente stemperato da un mezzo sorriso.
Lui
si liberò con uno strattone, lieto però di non
essere collassato a
terra.
«Giù
le zampe, distruttore di protesi.»
«Guarda
che te l'eri cercata.»
Tony
scosse la testa e non rispose, cedendogli il punto e piantandosi in
attesa davanti
all'ascensore col bastone a fargli da perno in una posa che ormai era
diventata abituale.
«Mi
ricordi qualcuno,» commentò Bruce,
accarezzandosi pensoso il mento.
«Probabilmente
un dottore cinico, zoppo ed emotivamente instabile,»
replicò lui prontamente.
Steve
ridacchiò, al che si girarono entrambi a fissarlo perplessi.
Lui
tornò di colpo serio.
«Giuro
che ho colto la citazione,» disse
sulla difensiva.
«In
effetti si presta a varie interpretazioni. Bel colpo,
Rogers.»
Tony gli assestò una decisa pacca sul braccio con la protesi
e
sogghignò quando lo vide trasalire per l'inaspettata
potenza,
sforzandosi allo stesso tempo di non darlo a vedere.
«Evitate
di azzuffarvi nei miei dintorni, per favore?»
sospirò Bruce,
frapponendosi tra i due a fare da cuscinetto.
Tony
si limitò a fissarlo con aria ribelle, mentre già
pregustava il suo
ritorno al laboratorio dell'Helicarrier, dove avrebbe potuto
lanciarsi in qualche brillante disquisizione scientifica con lui
irritando a morte Steve che non avrebbe capito un'acca.
In
quel preciso istante, proprio quando si soffermò su quei
pensieri
così futili, realizzò che dopo tutto quel tempo
le cose stavano
andando per il verso giusto. Era in piedi e stava scherzando coi suoi
compagni di squadra: alcuni
dei pezzi scoordinati del suo puzzle erano finalmente andati al posto
giusto e si sentì levitare a un palmo da terra, quasi avesse
di
nuovo addosso l'armatura. Adesso avrebbe di nuovo potuto prendere
parte alle riunioni, sarebbe uscito indenne dal processo... avrebbe
potuto dedicarsi ad Iron Man. Poteva ricominciare da capo.
La
realizzazione lo colpì, potente e incontenibile, e
liberò la risata
leggera che gli era salita alle labbra.
In
quel momento l'ascensore si aprì con un
sibilo. Tony si voltò,
ancora sorridente, e si trovò a incontrare gli occhi azzurri
di
Pepper.
Note Dell'Autrice:
Massalve!
Se siete arrivati fin qui meritate a prescindere un premio, data la lunghezza abnorme del capitolo... eeee ci sarebbe veramente tanto da dire in proposito ma non so quanto posso permettermi di dilungarmi ulteriormente senza ricevere insulti, quindi mi concentrerò sui punti salienti.
Ciò che mi preme dire è che questo è il primo capitolo il cui il "nuovo Tony" inizia ad emergere in modo significativo. Volevo che fosse un punto di svolta netto, quindi ho preferito scrivere di più dicendo però tutto ciò che ritenevo necessario a questo punto della storia. Per questo il discorso di Tony occupa gran parte del capitolo e per questo ho introdotto in modo così "prepotente" il rapporto problematico con suo padre: ammetto che sembra saltar fuori dal nulla; in realtà ho cercato di lasciare intendere più di una volta quanto effettivamente ci rimuginasse sopra e quanto le questioni che tira fuori in questo frangente lo stessero turbando o spronando già da tempo. Come avevo preannunciato, le protesi scivolano in secondo piano per lasciare un po' di posto alla psiche di Tony, alle sue varie problematiche emotive & co.
I riferimenti a dialoghi, situazioni ed eventi successivi e precedenti ad Iron Man e Iron Man 2 sono innumerevoli ma credo anche ben identificabili, a partire dal dialogo con Cap, che è allo stesso tempo un riadattamento del loro diverbio in Avengers e una "riparazione" allo scontro avvenuto nel lontano Capitolo 11 (Sinking).
Ci tengo a precisare che Tony a questo punto è in una situazione molto diversa da quella del MCU e di conseguenza le sue reazioni e pensieri differiscono per forza di cose da quelli che ci si aspetterebbero, rimanendo però coerenti con gli eventi che l'hanno segnato in Phoenix. È un IC nell'OOC, in un certo senso.
Sì, alla fine ce l'ho fatta a far tornare Pepper. Con un cliffhanger vergognoso (e credo perseguibile per legge in tutta la galassia), ma finalmente è tornata sui nostri schermi :D (e forse ci rimane pure. Chissà *fischietta*)
Chiudo qui prima di svalvolare più del necessario. Meno male che dovevo essere breve...
Un grazie a chi leggerà e/o recensirà :) E ringrazio come sempre tanto tanto tanto _Atlas_ (santa che mi sopporti più o meno ovunque <3) e Emyclarinet (grazie per continuare a seguire <3)che hanno recensito lo scorso capitolo rendendomi come sempre felicissima :D
Il prossimo aggiornamento sarà probabilmente tra un mese, se non più, perché la mia sessione estiva comincia brutalmente la settimana prossima e non avrò tempo per vivere, figurariamoci scrivere :'(
Sayonara,
-Light-
P.S. Ho revisionato credo per la 54esima volta il primo capitolo della storia, giusto per informazione; sto continuando a sistemare il layout degli altri capitoli e, visto che ci sono, a correggere gli errori di battitura (Atlas, avevi ragione, sono una quantità imbarazzante :'D)
P.P.S. La canzone dell'intro si chiamerà pure I'm So Sorry, ma ne consiglio vivamente l'ascolto per non farsi trarre in inganno dal titolo #TonyBAMF
P.P.P.S.(L'ultimo, giuro): quando Tony scherza sul dottore zoppo e cinico, si riferisce a Dr. House; Steve fraintende e pensa a Dr. Jekyll :P
© Marvel