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Autore: ___MoonLight    23/05/2018    4 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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36


Show and tell




"I get mine and make no excuses, waste of precious breath
The sun shines on everyone, everyone love yourself to death
So you gotta fire up, you gotta let go
You'll never be loved till you've made your own
You gotta face up, you gotta get yours
You'll never know the top till you get too low"


[I'm So Sorry – Imagine Dragons]




7 Giugno, 22:40, Villa Stark

Quando Coulson fermò l'auto nel patio di Villa Stark, fu fortemente tentato dal riavviare all'istante il motore e fare dietrofront finché era in tempo. Oppure rimanere chiuso nell'abitacolo fino allo scadere dell' "ultimatum", in poco più di un'ora, così da evitare quel compito ingrato e tornarsene tra le braccia di Audrey.
Poggiò le mani sul volante e il mento sulle dita intrecciate, scrutando l'oscurità interrotta dai lampioni oltre il parabrezza. La villa era insolitamente buia; solo un lieve chiarore si diffondeva dal seminterrato, dov'era il laboratorio del miliardario. Un paio di luci isolate erano accese al pianterreno, come sospese nel nulla. Il tutto aveva un'aria più sobria del solito, come se l'edificio avesse deciso di rispecchiare l'umore e le vicissitudini del proprietario in quegli ultimi mesi.
La titubanza di Coulson si risolse quando vide l'atrio illuminarsi a giorno e pochi secondi dopo la sagoma di Stark fare capolino dalla porta a vetri dell'ingresso, in sua chiara attesa. Doveva essersi accorto da tempo del suo arrivo. L'agente si decise ad aprire con studiata lentezza la portiera, rivolgendogli un impercettibile cenno di saluto col capo, che lui ricambiò appena con un gesto della mano prima di dileguarsi per attenderlo in salone.
Coulson varcò la soglia e si avviò senza fretta all'interno avvertendo un lieve nervosismo, considerate le ultime circostanze in cui si era trovato costretto a venire in "visita" alla villa. Il suo sguardo fu inevitabilmente catturato dalla parete mancante, di cui ancora si scorgevano i resti semidistrutti.
«Cominciavo a dubitare che avrebbe risposto al mio appello, Agente,» lo accolse Tony a mo' di benvenuto. «Mi coglie impreparato.»
Coulson avanzò di qualche passo nel salone, individuando il suo interlocutore seduto sul divano e intento a trafficare con la protesi del braccio al momento disgiunta dal suo corpo.
«In realtà ne dubitavo anch'io, ma ho ricevuto ordini ben precisi,» rispose, scrutando con perplessità l'ingegnere che poggiava il braccio meccanico accanto a sé, prendendo poi a rigirasi in mano un cacciavite con aria irritata.
Era una scena molto simile a quella a cui aveva assistito durante l'ultima, disastrosa riunione dei Vendicatori in quello stesso salotto, con un Tony decisamente più alterato e incline a farsi beffe del mondo intero.
«Sono stupito che Barbanera non si sia accodato a questa visita di piacere.»
«Ha ancor meno voglia di vederla di me, Stark.»
«Non gli do torto.» 
L'altro alzò le spalle con noncuranza e Coulson non colse alcun sarcasmo in quelle parole. Osservò meglio l'uomo, con occhi allenati da anni di spionaggio che registrarono all'istante i sottili cambiamenti rispetto all'ultima volta che l'aveva visto: sembrava più rilassato, anche se si scorgevano ancora delle pieghe rigide sul suo volto un po' smunto, probabilmente dovute all'insonnia. E forse a molti pensieri sgradevoli, viste le ombre annidate nel suo unico occhio che lo scrutava con cauta diffidenza. Il suo aspetto era più curato di quanto si aspettasse, sebbene al momento sembrasse appena reduce da una sessione in laboratorio, a giudicare da uno sbaffo di fuliggine sul volto e dai capelli scarmigliati e dalla piega viziata, come se avesse portato a lungo degli occhiali protettivi. Indossava una semplice polo verde da cui faceva capolino il reattore, scoordinata rispetto ai pantaloni da basket che lasciavano scoperta la protesi inferiore fino al ginocchio, probabilmente per comodità. Sembrava perfettamente a suo agio, anche senza un braccio e con la gamba meccanica in bella vista, ma non sapeva dire quanto quell'atteggiamento fosse ostentazione forzata e quanto reale disinvoltura.
Coulson accennò col mento al braccio prostetico poggiato accanto a lui:
«Pensavo avesse smesso di "smontarsi".»
«In realtà si è smontato da solo,» ribatté Tony, decisamente poco divertito dal commento, e Coulson notò come sfiorò inconsapevolmente la zona in cui era incastonato il reattore, quasi a controllare non si fosse "smontato" anch'esso. «Ci dev'essere qualche problema con le giunture, ma non sono ancora diventato un contorsionista, quindi dovrà sopportarmi così almeno finché il Doc non verrà a riaggiustarmi,» spiegò rapido, cercando con fare esplicativo di raggiungere una vite sul retro della sua scapola, chiaramente fuori dalla sua portata.
Rinunciò con un sospiro snervato, lanciando poi con un gesto preciso il cacciavite nello svuotatasche di cristallo sul tavolo, già stracolmo di componenti elettronici non meglio identificati.
«Al momento però ho problemi più urgenti.» 
Stark fece per incrociare le braccia sovrappensiero e non riuscì a nascondere la smorfia di fastidio e perplessità quando si rese conto di non esserne in grado al momento; corresse il gesto portando bruscamente il braccio sano a sorreggersi la nuca.
«Sentiamo,» replicò serafico Coulson, decidendosi ad avvicinarsi.
Si piantò di fronte a lui con le mani giunte davanti a sé e continuò a scrutarlo in un misto di scetticismo e tenue curiosità.
«Ha saputo del processo?» esordì il suo ospite.
«Ero in ferie.» 
Gli scoccò un'occhiata accusatoria. In realtà aveva ricevuto il verbale da Fury, ma non aveva intenzione di scoprirsi troppo finché non avesse capito cosa passava nella testa dell'uomo.
Tony fece una smorfia colpevole e si pizzicò il naso, come indeciso su come uscire indenne da quella prima gaffe.
«Beh, se può consolarla, non sapevo a chi altri chiedere aiuto,» si decise a dire infine, con franchezza.
Coulson si concesse una lieve espressione sorpresa, trasmessa da un movimento impercettibile delle sopracciglia verso l'alto. Tony Stark che chiedeva aiuto? Si aspettava che da un momento all'altro un meteorite si abbattesse sulla villa per ristabilire l'ordine cosmico.
«Per farla breve: c'è qualche problema con la "questione Iron Man",» spiegò, non nascondendo il suo cruccio nel pronunciare quelle parole.
«Dice?» 
Coulson stavolta non trattenne una decisa vena di rimprovero. L'altro si accigliò ulteriormente, forse presagendo dove sarebbe andato a parare il discorso, e Coulson fu ben felice di confermare i suoi sospetti:
«I suoi "problemi con Iron Man" sono iniziati nel momento in cui lei ha deciso di ignorare deliberatamente ogni nostra direttiva, scambiando il processo per il suo spettacolino personale e rivelando al mondo la sua identità,» gli illustrò in tono compassato, ma il suo volto tradiva la seria irritazione che provava al solo pensiero di quanto si fosse imbestialito Fury quella volta... e ovviamente era stato lui a dover fare da punching ball metaforico per far sbollire la sua ira.
«Agente, è venuto per ascoltare ciò che ho da dirle o per farmi l'ennesima paternale?» 
Stark non si mostrò affatto toccato da ciò che gli aveva appena detto; sembrava solo impaziente di lasciar da parte quella discussione sterile per arrivare al dunque. 
«La avverto che ho già una ventina d'anni d'esperienza con mio padre alle spalle, anche se adesso sono un po' arrugginito,» continuò con più asprezza.
«Sono venuto per ricordarle in che posizione si trova in questo momento, di ponderare con criterio qualunque richiesta o proposta voglia sottoporre alla mia attenzione e di aspettarsi che venga cordialmente rifiutata o respinta,» sciorinò tranquillamente Coulson, senza perdere un colpo.
A quel punto Tony si limitò a scuotere con lentezza la testa, improvvisamente più scuro in volto e con una luce quasi adirata nello sguardo.
«È incredibile vedere come proviate gusto a vanificare ogni mio sforzo per risolvere la situazione. Fa parte della vostra agenda?» osservò piattamente, prima di riprendere con più veemenza: «Ho sbagliato. So di aver sbagliato in ogni modo possibile. Adesso possiamo andare avanti?»
Coulson non replicò, ma in cuor suo era decisamente sorpreso dal tono tutto sommato pacato e ragionevole in cui si stava svolgendo la discussione. Si era già preparato a dover subire l'ennesimo accesso di collera del "genio", che stava invece dimostrando un autocontrollo che riteneva impensabile, per un tipo che aveva avuto la sconsideratezza di accapigliarsi con Rogers e Banner. E aveva davvero appena ammesso di aver sbagliato? Quel meteorite era decisamente in ritardo.
«Spero solo che si renda ben conto di ciò che le sue azioni hanno causato,» commentò solo, imperturbabile e restio a lasciare l'ultima parola a un individuo che, fu costretto a rammentarsi, aveva piombato lo SHIELD nel caos a più riprese senza pensarci due volte, oltre a ferire tutti coloro che aveva intorno e a distanziarsene per puro e ottuso orgoglio.
«Mi sono scritto un promemoria, nel caso me lo dimenticassi,» ribatté lui sferzante. «Ora, prima che possa ripartire per la tangente ricordandomi una per una tutte le stronzate che ho fatto, gradirei arrivare al punto.»
Solo allora Coulson si decise a sedersi sulla poltrona di fronte a lui, a braccia conserte e in attesa di scoprire finalmente il motivo di quella convocazione inattesa, concludendo che per il momento aveva messo sufficientemente alla prova l'autocontrollo di Stark. Si ritenne soddisfatto e anche un po' meravigliato dai risultati ottenuti.
«La ascolto.»
«Il governo mi accusa del possesso di armi illegali, ovvero le armature,» esordì Tony dopo un breve momento di silenzio e con insolita sinteticità. «In realtà ho appena smantellato la Mark II. Mi aspetto una visita con perquisizione in omaggio a giorni, ma non troveranno niente di compromettente. Il problema è che se dovessero porre sotto sequestro i progetti non potrei costruirne altre.»
«Mi sembrava che avesse deciso di rinunciare al suo ruolo.»
«È stato solo un modo per... ehi! Allora non è vero che non ne sa nulla, del processo.»
Lo squadrò storto, ma Coulson si limitò a sfoggiare un sorrisino eloquente che suscitò un sospiro da parte sua.
«Dovevo immaginarlo... in ogni caso, non ho alcuna intenzione di ritirarmi definitivamente, ma ho dovuto fare buon viso a cattivo gioco e dare un contentino ai pagliacci del governo. Non sono comunque ancora nelle condizioni di indossare l'armatura,» accennò alla protesi disarticolata, «quindi per ora non ho intenzione di costruirne altre... almeno non per me,» aggiunse cautamente, suscitando la curiosità di Coulson.
«Che intende?»
«Quanta fretta, Agente, ci sto arrivando. Pensavo non le interessasse ciò che avevo da dire,» lo redarguì, con un chiaro compiacimento che Coulson decise di ignorare. «Non si tratta solo del futuro di Iron Man, ma anche del suo passato, per metterla in modo poetico. Le missioni che ho svolto con voi durante lo scorso anno non sono passate inosservate e la corte mi sembra abbastanza propensa a farne il fulcro del prossimo processo, visto che ho agito in veste non ufficiale.»
Fece una pausa, scrutando la reazione di Coulson, che dal canto suo continuava ad ascoltarlo in silenzio, assorto e cercando di capire dove volesse andare a parare. E a non pensare a tutte le volte che Stark si era infiltrato nelle missioni dei Vendicatori nonostante fosse un semplice consulente, spesso causando problemi, più spesso risolvendoli, ma provocando sempre qualche accesso isterico al direttore.
«Si sono impuntati sulla "legalità" di Iron Man, che ovviamente non posso dimostrare,» Tony a quel punto sfoggiò un sorrisetto, «a meno che io non riesca casualmente a rientrare nelle grazie di una certa organizzazione in grado di legittimare i miei interventi passati e futuri in quanto membro ufficiale di un certo progetto,» concluse, scoccandogli un'occhiata penetrante.
Coulson in tutta risposta si limitò ad accavallare le gambe e a spostare pigramente lo sguardo al soffitto, prendendosi del tempo per elaborare ciò che aveva appena sentito. Ed evitare di farsi saltare le coronarie.
«Lei ha mandato a monte le mie ferie, mi ha costretto a volare fin qui dall'Oregon in tutta fretta e ha spacciato tutto ciò per qualcosa di urgente solo per chiedermi di rientrare nei Vendicatori?» scandì infine, in tono pacato ma decisamente sul punto di inalberarsi. «Perché continuiamo a darle retta?» sbottò poi, più con incredulità che con astio.
Lo sguardo di Tony non vacillò, anzi, diventò ancora più ostinato:
«Probabilmente perché sapete di aver bisogno di me.» 
Coulson si concesse una smorfia dubbiosa di fronte a quella supponenza. 
«E anche se non ne avete bisogno ora, non potete negare che vi farebbe comodo riavermi tra i vostri. Altrimenti mi avreste lasciato affondare tempo fa,» dedusse concluse senza scomporsi.
«Lei mi sembra sempre più pieno di sé e sempre meno in grado di giudicare la situazione in cui si trova.»
«Che ci crediate o no, so quello che sto facendo.»
«La sua recente valutazione psicologica fa pensare diversamente.»
«Quale valutaz–... un'altra?» proruppe Tony, adesso esasperato.
«Ne abbiamo una cartella piena, con molte variazioni sul tema "psicologicamente e fisicamente...»
«... inadatto al progetto Vendicatori", lo so; me lo tatuerò sul braccio buono,» quasi ringhiò l'altro.
«C'è da dire che l'agente Romanov ha messo una buona parola per lei, ma non è abbastanza per scuotere l'opinione generale della squadra e del direttore,» aggiunse Coulson per amor di sincerità.
Tony ebbe un lieve moto di sorpresa e portò la mano alla protesi inferiore, prendendo a tamburellare nervosamente sul rivestimento metallico. Si staccò poi dallo schienale del divano sporgendosi verso di lui e sembrò concentrare tutto se stesso in quel gesto, come sperando di riuscire a influenzarlo se si fosse dimostrato abbastanza motivato. Coulson si pose sul chi vive: Stark era sempre stato molto abile con le parole e aveva una capacità di persuasione non indifferente a cui si ripromise di non cedere con tanta facilità.
«So quello che faccio,» ripeté l'ingegnere, in tono più controllato. «E so anche che voi non potete permettere che Iron Man venga sequestrato dal governo. Sarebbe un disastro, si immagina l'esercito con uno squadrone di Mark male assemblate che svolazzano qua e là?» Tony esibì un'espressione atterrita. «E sarebbero probabilmente pitturate a stelle e strisce, come se non bastasse quell'attempato in calzamaglia patriottica a...»
«Se anche il processo dovesse volgere a suo sfavore, non c'è pericolo che l'armatura finisca nelle mani sbagliate.» Coulson si affrettò a interrompere quelle visioni apocalittiche. «Iron Man è... tutelato,» continuò, scegliendo con accortezza le proprie parole.
Tony ammutolì, preso in contropiede, per poi rilassarsi appena e concedersi un sorriso sollevato e incredulo:
«Allora non devo preoccuparmi! Potevate dirlo prima, mi avete fatto passare mesi d'inferno con questa storia del...»
«Ho detto che Iron Man è tutelato,» ribadì Coulson, senza abbandonare la sua espressione neutrale.
L'altro rimase di nuovo interdetto per qualche secondo e il sorriso si eclissò dal suo volto quando comprese il reale significato di quelle parole.
«Giusto,» scandì, e stavolta il suo tono trasudava risentimento, nonostante cercasse evidentemente di tenerlo a freno. «"Iron Man: sì. Tony Stark: non consigliato",» citò con amara delusione, prima di abbandonarsi nuovamente allo schienale in modo scomposto. «Dovevo aspettarmelo,» disse dopo un po' con un filo di voce, più a se stesso che a Coulson.
«Al momento lei rappresenta una responsabilità che non siamo in grado di sostenere,» lo riscosse l'agente, vedendo che sembrava perso nei suoi pensieri, come se quell'ultima notizia avesse stroncato tutti i suoi buoni propositi, lasciandolo inerte.
«Oh, sono così importante? Non mi sembrava,» rispose lui, distratto ma con un fondo di serietà.
«Pesante, piuttosto,» lo corresse Coulson, ma il suo tono divenne meno tagliente.
Percepì una punta di disagio nel demolire una richiesta che, in realtà, non aveva ancora ascoltato fino in fondo. Si chiese remotamente se non stesse davvero vanificando ogni tentativo di Stark di riparare i torti commessi per partito preso, come l'aveva accusato di fare lui stesso poco prima. Guardò l'uomo davanti a sé, sprofondato nel divano con la mano a coprirsi la benda sul volto mentre era immerso nei suoi pensieri. Per una volta non captò alcuna traccia di arroganza o sdegno nel suo sguardo: intravide solo quella che assomigliava molto a disperazione, unita a una fermezza che Stark aveva dimostrato in poche altre occasioni in vita sua. E in quelle occasioni le sue scelte si erano rivelate positive e dettate da intenzioni sincere: smettere di produrre armi, diventare Iron Man, unirsi ai Vendicatori nonostante fosse stato respinto. Gli venne da pensare che, probabilmente, c'era qualcuno che avrebbe saputo elencargli altri momenti in cui Stark aveva preso la decisione giusta.
Coulson batté ritmicamente la punta della scarpe per terra con improvviso nervosismo. L'impulso era quello di alzarsi e andarsene, soprattutto dopo il pensiero involontario a Virginia che aveva rievocato il suo ultimo incontro con Stark. Si costrinse a sopprimere quella tentazione, sentendosi meschino per quell'atteggiamento assolutamente non professionale. Non poteva abbandonarlo con tanta leggerezza nel pozzo buio che si era scavato da solo: per la prima volta era stato lui a tendere la mano in cerca d'aiuto, dopo aver rifiutato tutte quelle che si erano tese verso di lui. Il minimo che poteva fare era stringerla; poteva sempre decidere in seguito se era davvero troppo pesante o troppo rischioso tirarlo fuori.
Si schiarì la gola, richiamando la sua attenzione:
«Stark, che cosa mi stava chiedendo, esattamente?»
Lui rialzò lo sguardo, sorpreso dal suo repentino cambio di tono, ma si riprese in fretta con un brillio vivace nell'iride nocciola:
«Le chiedo di ascoltarmi. E di convincere Fury e gli altri a fare lo stesso.»
«Vorrebbe incontrare la squadra?»
Tony si limitò ad annuire con un unico, fermo cenno del capo; la tensione del suo corpo tradì l'ansia che stava provando nell'attendere una risposta.
«E quest'improvvisa voglia di un incontro va interpretata come una proposta seria o come l'ennesima esternazione delle sue manie di protagonismo?»
«Racchiude entrambe. Ultimamente mi sto impegnando ad equilibrare piaceri e doveri,» sbuffò piano, e poggiò la caviglia sinistra sul ginocchio metallico scivolando in una posa decisamente più sicura di sé, quasi fosse perfettamente cosciente di aver ormai fatto breccia nella sua cortina scettica e disinteressata.
Coulson emise un profondo sospiro, chiedendosi perché si stava ostinando a impelagarsi in quella questione senza uscita.
«Ciò che mi chiede è difficile. E non sono sicuro che il direttore sia così bendisposto nei suoi confronti, visto lo stato delle cose.»
«Non ho intenzione di presentarmi a mani vuote.» 
Tony lo fissò con la sicurezza di chi sa di essere sempre un passo avanti a tutti e si limitò ad attivare un olografico azzurrino a mezz'aria con uno schiocco di dita. Navigò con gesti precisi attraverso alcune cartelle, fino a trascinare in mezzo a loro quello che sembrava il progetto virtuale di un'armatura non molto diversa da quella che aveva sempre usato. Gliela mostrò con un ampio e teatrale gesto della mano.
«Agente, le presento la Mark IV.»
Coulson spostò lo sguardo da lui all'ologramma senza nascondere la sua perplessità: aveva decisamente perso il filo.
«Cosa dovrebbe essere?»
Le labbra di Tony si schiusero in un sogghigno trionfante:
«Il mio salvacondotto.»


***


25 Giugno, Helicarrier

Tony scrutò criticamente le navette attraccate nell'hangar interno dell'Helicarrier.
«Certo che senza di me il progresso tecnologico langue,» commentò con sufficienza, battendo le nocche metalliche sulla fusoliera di un mini-jet supersonico. «Questo è il rottame in cui avete ripescato Rogers?» sbuffò ironico.
«Non si faccia cacciar via prima del tempo, Stark,» lo riprese Coulson, probabilmente tentato dall'acchiapparlo per la collottola e trascinarlo via di peso.
«Se me lo chiedete con garbo posso riprogettarvi questa bagnarola da cima a fondo,» ribatté lui, lanciandosi un'occhiata insoddisfatta attorno, ma si decise a seguire l'agente nel notare il suo sguardo pericolosamente accigliato.
La ristrutturazione dell'Helicarrier poteva attendere.
La base della SHIELD era semideserta e Tony se ne rallegrò, visto il suo aspetto insolito. Si era abituato abbastanza rapidamente a camminare col bastone; si era persino concesso il vezzo di farsene fabbricare uno d'ebano con un'elegante impugnatura d'argento, ma non poteva fare a meno di sentirsi fuori luogo a zoppicare qua e là. Come se non bastasse, la benda adesiva che aveva deciso di indossare per quel giorno non gli dava pace e continuava a irritargli lo sfregio. Per lo meno le nuove articolazioni in unobtanium funzionavano a meraviglia, ma il controllo della protesi inferiore era ancora spigoloso e doveva concentrarsi al massimo per non inciampare sui suoi stessi piedi; si costrinse a pensare in positivo e godersi la sensazione quasi dimenticata di poter camminare sulle proprie gambe, sebbene decisamente doloranti e poco collaborative.
Lo preoccupava maggiormente il nodo formicolante d'ansia in cui si era attorcigliato il suo stomaco. Si rassicurò per la centesima volta da quando si era svegliato quella mattina – a un'ora improponibile per via dell'insonnia. Andava tutto bene, aveva tutte le carte in mano per non sfigurare e poteva compensare gli eventuali scivoloni con la sua abilità oratoria. Aveva tenuto dozzine di discorsi di fronte a migliaia di persone in circostanze decisamente più sfavorevoli che spesso comprendevano un massiccio tasso alcolico nel suo sangue. In caso d'emergenza avrebbe sempre potuto avviare una gara d'insulti con Rogers.
"Va tutto bene. È una riunione di famiglia. Sei solo la pecora nera..."
In effetti non era un pensiero molto rassicurante.
Coulson sembrava aver fretta di arrivare alla sala riunioni e procedeva a passo spedito attraverso i labirintici corridoi della base, costringendolo a forzare la sua andatura già stentata per tenere il passo. Come se non bastasse, la gamba meccanica gli stava dando problemi: il moncherino era ancora sensibile nonostante la dose doppia di antidolorifici che aveva preso prima di partire e prevedeva già un'altra settimana a letto. Stavolta Ian l'avrebbe veramente ammazzato. Non chiese di rallentare, ma alla fine fu costretto a fermarsi affannato e si poggiò di peso sul bastone per riprendere fiato, tirando una smorfia sofferente.
«Agente, abbia pietà di un povero infermo,» lo richiamò, più seccato di quanto volesse ammettere per i limiti del proprio stupido corpo.
"Iron Man un corno... Palla di Neve ha novant'anni ed è messo decisamente meglio di me."
Coulson si fermò di colpo, lanciando occhiate nervose in giro; sembrava stranamente in allerta per essere nel luogo più sicuro del mondo. Tony si guardò intorno a sua volta, riconoscendo l'ala dei laboratori. Magari dopo avrebbe potuto fare una capatina nel suo... se fosse andato tutto come previsto e non si fosse trovato scaraventato fuori dall'Helicarrier da un cazzotto verde o con uno scudo in vibranio spiaccicato in faccia o con Mjolnir a invalidargli i gioielli di famiglia. Rabbrividì a quelle possibilità tutt'altro che allettanti e si concentrò sul loro obiettivo attuale: l'ascensore una ventina di metri più avanti, che se ricordava bene li avrebbe condotti sulla plancia di comando e da lì alla sala riunioni.
«Che fretta c'è?» cercò di placare l'inusuale irrequietezza di Coulson. «Gli ospiti speciali si fanno sempre attendere,» scherzò, sentendosi già un po' più saldo sulle gambe nonostante le stilettate che gli risalivano l'arto inferiore come mille punture di uno spillo arroventato, scoraggiandolo dal ricominciare subito a camminare.
«Non è davvero il caso di arrivare in ritardo proprio oggi, non le pare?» lo rimbrottò l'altro, sollecitandolo con lo sguardo.
Tony stava per controbattere con un'osservazione sagace relativa alle sue innate doti ansiogene, quando lo vide sgranare leggermente gli occhi e, per la prima volta da quando lo conosceva, gli udì pronunciare a mezza voce una singola parolaccia:
«Merda.»
Tony si voltò allarmato, già presagendo di trovarsi alle spalle una qualche entità aliena pronta a sbranarlo. Incrociò invece lo sguardo sorpreso del dottor Banner, appena sbucato da dietro l'angolo con una cartelletta sottobraccio che per poco non gli cadde di mano nel riconoscerlo. Si raddrizzò gli occhiali sul naso come a fugare ogni dubbio su ciò che stava vedendo.
«Tony?» riuscì ad articolare dopo qualche istante, in un misto di sconcerto e circospezione.
«Ehi, Banner,» replicò lui in modo involontariamente piatto, ondeggiando appena sul posto.
Non era sicuro di cosa prevedesse il galateo nel trovarsi di fronte un caro amico che l'aveva quasi ridotto in poltiglia e che con tutta probabilità era ancora letteralmente verde di rabbia nei suoi confronti, così optò per un silenzio neutrale.
Bruce si avvicinò cautamente a loro, sempre senza abbandonare la sua espressione basita. Tony si chiese se fosse dovuta al vederlo lì, al vederlo vivo o al vederlo in piedi. Probabilmente una combinazione delle tre cose. Si schiarì la gola a disagio, ma il fatto che il dottore non si fosse ancora trasformato in un concentrato di rabbia verdognola e devastante era un buon segno... no?
«Che ci fai qui?» disse Bruce in tono tutt'altro che conciliante, incrociando le braccia e facendo vacillare le sue previsioni ottimistiche.
Poté notare che gli occhi scuri del dottore rimasero cupi nel fissarlo, come adombrati da pensieri scuri e pesanti, o più probabilmente da ricordi di chiacchierate filosofiche con lui impegnato a reggergli la testa su un cesso. Si costrinse a rispondere con naturalezza, scacciando quell'immagine tragicomica dalla mente:
«Sono venuto per la riunione, no?»
«Partecipi anche tu?» lo stupore nei suoi occhi vinse per un momento l'astio.
Stavolta toccò a Tony rimanere perplesso.
«Certo. Perché, non vi hanno...» la realizzazione lo folgorò in quell'istante e si voltò di scatto verso Coulson, impegnato a mimetizzarsi con la parete, «Non li ha avvertiti?» esalò, sentendo l'ansia che s'impennava alle stelle e il nodo allo stomaco che diventava un cappio strozzato.
Probabilmente fu per lo shock momentaneo che riuscì a suonare quasi calmo e non isterico come invece sentiva che sarebbe diventato di lì a pochi istanti.
«Direttive dall'alto,» rispose Coulson senza guardarlo «Quest'incontro era fuori programma,» aggiunse accennando a Bruce, che fissava ora l'uno ora l'altro nel tentativo di raccapezzarsi.
Con grande sorpresa di entrambi, Tony sbottò in una mezza risata amara:
«Proprio quando pensavo di potermi fidare di voi. Perché continuo a darvi retta, Agente?» commentò, riprendendo sdegnato le sue stesse parole.
A quel punto Coulson riattaccò a parlare concitato:
«Stark, il direttore ha apprezzato l'idea del suo "salvacondotto" e voleva parlare con lei faccia a faccia per decidere personalmente la sua reintegrazione nella squadra, ma...»
Tony lo fulminò con ira, stringendo l'impugnatura del bastone fino a sbiancarsi le nocche.
«E allora perché illudermi che avrei partecipato alla riunione?! Quante altre cazzate avete intenzione di...»
«... ma io ho deciso di ignorare i suoi ordini!» lo bloccò Coulson, sovrastando le sue invettive e facendolo ammutolire con un sussulto. «La sto davvero portando alla riunione. Non vi ho informati per evitare ingerenze da parte del direttore,» aggiunse rivolto a Bruce.
Tony non poté far altro che rimanere impalato sul posto, stordito da quelle parole che gli suonavano quasi insensate.
«Fury voleva tenerci all'oscuro di tutto e decidere senza consultarci?» intervenne a quel punto Banner, con voce pacata che nascondeva appena il suo evidente fastidio.
«Infatti non condivido la sua scelta,» chiarificò Coulson con fermezza, per poi rivolgersi nuovamente a Tony:
«Penso che lei debba parlare prima con loro,» accennò a Banner, «e che Fury debba accettare la vostra decisione,» concluse con un sospiro soddisfatto, riacquistando all'istante la sua compostezza come se non avesse l'avesse mai persa.
Tony rimase ancora in silenzio, senza la minima idea di come reagire, né di come interpretare quel comportamento inspiegabile. Fissò l'agente, che sfoggiava il solito sguardo vitreo corredato da un accenno di sorriso enigmatico.
Perché si stava esponendo per lui? Gli era sempre stata evidente l'avversione che provava nei suoi confronti e non riusciva a spiegarsi perché proprio ora, nel momento in cui era più inutile, problematico e danneggiato che mai, si fosse improvvisamente offerto di prendere le sue difese.
«Ok, questo non è l'Agente Coulson, ma un suo Life Model Decoy, altrimenti non mi spiego...» cominciò con titubante ironia, ma lui lo interruppe con fermezza:
«Stark, sono ancora la persona più scettica e meno incline a fidarsi di lei che ricorda, ma devo svolgere il mio lavoro tenendo conto dei fatti e dei rapporti su di lei, non delle mie simpatie.»
«Vuol dire che ho fatto bingo con Bonnie e Clyde?»
«Vuol dire che le sto offrendo un'opportunità, basata anche sui rapporti degli agenti Barton e Romanov. Non la sprechi.»
Tony sorrise incerto, ma era frastornato da quel gesto che avrebbe potuto essere la sua salvezza ma che, dentro di sé, sentiva di non meritare. A quel punto sentì Bruce che gli poggiava una mano sulla schiena, sospingendolo appena per invitarlo a camminare verso l'ascensore.
«Sto facendo tardi alla riunione,» rispose con naturalezza al suo sguardo sorpreso. «Se arriviamo tardi in due, magari non se la prendono troppo.»


***


Era abituato a tenere discorsi dinanzi a migliaia di persone, su palcoscenici illuminati a giorno e col suo primo piano proiettato su megaschermi nei quali era possibile distinguere ogni singola contrazione e piega che attraversava il suo volto; era passato ripetutamente in diretta nazionale e internazionale, e ai suoi party non mancava mai di porsi al centro dell'attenzione per tramutarsi nell'intrattenitore di innumerevoli serate. Gli piaceva stare sotto i riflettori e li cercava anche nei momenti meno indicati – riunioni amministrative, conferenze stampa e tribunali inclusi. In quel momento, cinque paia d'occhi bastarono a farlo vacillare e a fargli riconsiderare tutto ciò che aveva pensato di dire o fare davanti a loro, rendendolo intensamente consapevole di ogni minimo movimento impacciato che compiva col suo corpo malandato.
Il suo arrivo alla riunione aveva ovviamente causato scompiglio, con Steve che era balzato in piedi esterrefatto, Thor che aveva stentato ad articolare parole di saluto coerenti e Hawkeye che aveva sgranato gli occhi rimanendo pietrificato sul posto; Fury era assente, probabilmente impegnato a testare la resistenza del collo di Coulson con le sue stesse mani. Banner, che non aveva comunque pronunciato una sola parola durante il tragitto con lui, si era limitato a sedersi al tavolo lasciandolo muto e impalato sulla soglia, alla mercé di sguardi perplessi, ostili e diffidenti.
A risolvere la tensione fu Nataša.  Gli si fece incontro quasi a passo di carica e, in modo del tutto sbalorditivo per qualcuno che Tony dubitava conoscesse il concetto di "esternazioni affettive", lo abbracciò brevemente per poi piantarglisi di fronte a braccia conserte.
«A quanto pare hai fatto il bravo.»
Tony cadde dalle nuvole e riuscì finalmente a riemergere dallo stato d'inerzia in cui era sprofondato.
«Chi? Io?» gli sfuggì con un'alzata di sopracciglia, per un attimo dimentico di essere il fulcro dell'attenzione di altre persone.
«Sei vivo e sei in piedi. Per te è un risultato notevole: direi che ho fatto proprio un buon lavoro di recupero.»
A quel punto Tony si riscosse del tutto:
«Veramente è tutto merito mio, della mia inventiva e della mia innegabile abilità tecnica,» elencò con semplicità disarmante; nel parlare s'inclinò di lato col busto e si piazzò in una posa ostentatamente vanitosa, col bastone a fargli da perno.
«Bello il nuovo look. Dove hai lasciato il cilindro?» 
Nataša sollevò appena un sopracciglio nell'osservarlo criticamente, strappandogli un sorrisetto.
«Spiritosa...» borbottò lui raddrizzandosi, per poi scostarla gentilmente da parte; nel farlo le strinse appena il braccio, in un ringraziamento discreto per aver stemperato una situazione che aveva minacciato di destabilizzarlo prima del tempo.
Adesso si sentiva di nuovo padrone di se stesso, del suo ghigno beffardo e della sua parlantina accattivante.
«Un uccellino mi ha detto che c'era un party a cui non ero invitato...» esordì con brio. «Così mi sono preso la libertà di auto-invitarmi per ravvivarlo.» 
Nel parlare si piazzò a capotavola, poggiandosi in piedi allo schienale della sedia con disinvoltura – e sollievo per la sua gamba – e prendendo a squadrare sornione i suoi interlocutori.
«Che pensiero gradito.» 
Il commento di Steve suonò forse meno caustico e più incredulo del solito, ma l'occhiata che gli riservò era altera come ricordava.
«Parli proprio tu! Da Bella Addormentata nei Ghiacci dovresti sapere che rischi si corrono a non invitare qualcuno alle feste,» si finse basito Tony.
Lui rimase in silenzio, con l'aria di un pugile sul ring che sta studiando un avversario per individuare una breccia nella sua guardia.
«Dài, mi sono pure sforzato di trovare una citazione abbastanza antiquata per farla cogliere anche a te...» Tony sospirò con ostentata delusione, «... per te invece non ho nulla, Katniss: credo che tu abbia già largamente superato la tua quota annua di parole.»
Hawkeye reagì alla battuta con un sorrisetto appena trattenuto, unito a un piccolo cenno di saluto.
«Tu piuttosto, Braveheart,» Tony si rivolse a Thor, «è bello rivederti sulla Terra e non disperso tra un mondo e l'altro; almeno ti sei risparmiato i momenti più eclatanti della mia carriera....»
L'asgardiano ricambiò il saluto con un mezzo inchino del capo. Sembrò voler dire qualcosa, ma Tony non gliene diede modo e si rivolse all'ultimo Vendicatore rimasto, senza tentare di celare la propria espressione fattasi un po' colpevole:
«... al contrario di Bruce. Ecco, tu hai il grande merito di avermi fatto scoprire i pregi dell'open-space totale.» 
La sua faccia tosta s'incrinò appena nel notare quella ancora torva dell'amico, forse anche accompagnata da una sfumatura verdognola. 
«Magari la prossima volta è meglio fare meno danni e dedicarci alla fisica nucleare, piuttosto che all'architettura.»
«O allo scoprire quanto alcol possa sopportare un corpo umano prima di collassare.»
Lui incassò il colpo con una smorfia ironica:
«Nah, ero ancora in condizioni decenti. Non sarà mai peggio di Baltimora nel 2001,» dichiarò con sicurezza.
Tony battè un paio di volte sul tavolo col bastone a mo' di martelletto, come a concludere la sua introduzione in modo ufficiale. Si trovò a sorridere sotto i baffi: cominciava a divertirsi, dopotutto.
«E ora, signori e signora,» scoccò un'occhiata suadente a Nataša alle sue spalle, che ricambiò con sguardo nuovamente omicida e uno leggero spintone nel tornare al proprio posto, «direi che dopo il giro di convenevoli possiamo anche passare al tema della giornata...» si raddrizzò, lasciando l'appoggio della sedia e allargando leggermente le braccia come se fosse realmente su un palcoscenico. «Me. O Iron Man, se preferite il nome d'arte.»
«Io preferirei capire perché sei qui, Stark.»
Steve lo guardava fisso con la sua solita espressione corrucciata che lasciava trapelare una discreta curiosità, in attesa di una risposta convincente. Era ancora in piedi con le braccia incrociate, rigidamente impettito e stretto nei suoi soliti vestiti demodé.
«Non l'ho appena detto? Per parlare di me. Anzi, di noi. Ah, così la faccio sembrare una consulenza di coppia...» si portò dubbiosamente la mano al pizzetto. «Comunque! Magari la cosa vi stupirà, ma mi mancano un po' le nostre uscite goliardiche per fare a botte coi cattivi.»
Vi fu un momento di silenzio che sembrò prolungarsi più del dovuto.
«Vorresti rientrare nei Vendicatori?» interpretò infine Steve, guardando gli altri come a conferma di aver sentito bene.
«Vorrei convincervi a farmi rientrare,» ribatté Tony, stavolta più serio.
Il Capitano non trattenne un verso di scherno.
«Sarà difficile,» intervenne Thor con la sua voce profonda. «Sei caduto più in basso di quanto avrei mai potuto immaginare, uomo di ferro,» lo rimproverò con asprezza.
«Troppo gentile,» mormorò Tony, sfuggendo il suo sguardo. «Ma adesso mi sembra di essere di nuovo in sella.» 
Fece un paio di passi a dimostrazione della sua ritrovata stabilità, attirandosi con soddisfazione gli sguardi dei suoi compagni.
«Un guerriero caduto non si rialza così facilmente,» lo contraddisse con durezza il semidio.
Tony fece una smorfia a quelle parole che sarebbero suonate molto più appropriate in qualche sala del trono asgardiana. Era chiaro che il suo sdegno per essersi quasi tolto la vita non sarebbe stato così semplice da dissipare.
«"Guerriero caduto" mi è nuova. L'espressione più calzante con cui mi hanno definito ultimamente è stata "idiota patentato", ma penso di potermi far andare bene anche la versione aulica,» concluse con un breve sorriso spento.
Lasciò vagare lo sguardo sui suoi compagni di squadra, chiedendosi quanti di loro lo ritenessero un fallito, quanti un egoista pericoloso, quanti un qualcosa di rotto da buttar via, ma non riuscì a leggere i loro volti, che gli sembravano tutti improvvisamente vacui. I loro occhi erano puntati su di lui, ma si sentiva come se non fosse neanche lì. Non era ancora davvero lì, si rese conto... ma voleva esserci con tutto se stesso.
«Non dovevi convincerci?» la voce di Hawkeye si levò quasi annoiata, ma fu abbastanza per riscuoterlo e gli lanciò un'occhiata grata, incrociando il suo sguardo acuto.
"Ci siamo."
Pescò il cellulare dalla tasca e lo poggiò sul tavolo; dopo un paio di tocchi precisi un ologramma 3D si sollevò dallo schermo, proiettando un modello virtuale della Mark IV.
«Questo gioiellino è il nuovo prototipo della mia armatura e la prima fase della mia "opera di convincimento".»
«Pensi di indurci ad riaccettarti con le tue diavolerie high-tech?» la voce di Bruce era scettica, quasi offesa dalla sua apparente superficialità.
«Penso che possa essere un buon incentivo,» lo corresse. «Sarà un'armatura teleguidata,» spiegò poi, e il volto del dottore si fece confuso. «Questo vuol dire che non avrete bisogno di me fisicamente. Prendetelo come un omaggio della casa, nel caso doveste decidere di escludermi dal vostro club. Un Iron Man vi farà comodo, anche se non ci sono io dentro. Certo, sarebbe un vero spreco,» concluse in fretta, rendendosi poi conto che la sua dichiarazione li aveva spiazzati.
«Saresti davvero disposto a farti da parte?» stavolta fu Nataša parlare, con una chiara nota d'incredulità.
«Mi sto ripetendo che anche contribuire al Progetto Vendicatori da dietro le quinte potrebbe essere gratificante. Ma il mio obiettivo è non dovermi fare da parte. Sono qui apposta, no?» concluse furbescamente.
Prese un breve respiro e si riposizionò capotavola, decidendo contro ogni buonsenso di rimanere in piedi. Scrutò i suoi compagni, la cosa più vicina che avesse a degli amici e, forse, a una famiglia. Steve si era finalmente deciso a sedersi, ma era ancora a braccia conserte e stringeva appena la stoffa della camicia a quadri; Thor sedeva al capotavola opposto, col capo leggermente inclinato e i lunghi capelli a fare da schermo ai suoi occhi; Bruce si era appoggiato al tavolo e lo scrutava da dietro gli occhiali in modo apparentemente neutrale, ma la sua bocca era tirata in una piega rigida; Hawkeye era rimasto compostamente in piedi; Nat si era accomodata seduta alla sua destra e lo fissava con tranquilla aspettativa.
Si fece coraggio e iniziò a parlare:
«Avevo preparato un discorso molto elaborato per scusarmi e mostrarvi la mia serietà riguardo ad Iron Man e tutto ciò che implica riprenderne il ruolo, ma non sono la persona più adatta a seguire le direttive, anche se sono le mie...»
Tirò fuori un foglietto spiegazzato dalla tasca posteriore dei jeans, sotto gli occhi in parte incuriositi, in parte perplessi dei Vendicatori.
«"Prendo atto delle mie azioni ingiustificabili e posso solo sperare che i Vendicatori vorranno perdonare..." bla bla bla,» declamò falsamente pomposo, per poi appallottolare bruscamente il foglio e gettarlo nel cestino. «Un mucchio di frasi fatte. Magari avrebbero anche funzionato.» 
Fece una pausa, scrutando i suoi ascoltatori e poggiandosi di nuovo allo schienale della sedia per far riposare le gambe. Non trattenne una smorfia infastidita quando la pressione sul moncherino diminuì bruscamente.
«Ma non credo che sia questo il modo giusto per convincervi. Non sento nemmeno di dover chiedere scusa a voi per quello che ho deciso di fare con la mia vita, per quanto opinabile. Quella è una questione tra me e... e me stesso. Sono qui per parlare del resto.»
Quelle parole portarono ombre più severe sui loro volti, ma si rese conto che lo stavano davvero ascoltando, incluso Cap, che nonostante la sua solita non-espressione gli lanciava sguardi meno ostili, come interdetto dalla sua capacità di rimanere serio per più di qualche secondo. Tony si passò una mano sulla nuca a raccogliere i pensieri e si scostò nuovamente dallo schienale, sentendosi irrequieto e spostando il peso da un piede all'altro nell'avvertire un fastidio sempre più persistente al moncherino. Imprecò tra sé: non era davvero quello il momento giusto per bloccarsi, né per soffermarsi sui suoi problemi fisici.
Incrociò di sfuggita gli occhi di Nat, che gli parvero quasi incoraggianti e in un certo senso... soddisfatti? Forse vedere i risultati del suo impegno stare in piedi dinanzi a lei era un buon motivo per quell'espressione stranamente amichevole che faceva capolino sul suo viso. Si sentì in parte rincuorato nel riscontrare la stessa assenza di freddezza sui volti degli altri Vendicatori, adesso non più simili a maschere bianche e impassibili, ma piuttosto a dei semplici spettatori in attesa di un numero. E lui era sempre stato bravo a intrattenere il pubblico.
«Mio padre...» si arrestò e colse delle occhiate perplesse.
Non voleva cominciare da quello, ma le parole gli erano sfuggite con una spontaneità che non era riuscito a contenere. Deglutì, facendosi forza e riprendendo possesso del palcoscenico.
«Mio padre fu uno dei capi fondatori dello SHIELD. Tranquilli, non lo sto dicendo per arrogarmi chissà quali diritti, non sono un fan del nepotismo. Comunque, fino a meno di un paio d'anni fa ne ero assolutamente all'oscuro. Se me l'avessero detto mi sarei messo a ridere. Insomma, un'organizzazione per la difesa mondiale? Lui? Era un mercante di morte, cosa diavolo gli importava della pace nel mondo?» 
Scosse la testa, arricciando le labbra. 
«Cosa importava a me, della pace nel mondo?» aggiunse, più cupamente.
«Ci ho messo un po' ad elaborare la cosa. Quest'immagine di lui non coincideva con quella che conoscevo. Non riuscivo a spiegarmela, ma credo di averci capito qualcosa proprio in quest'ultimo periodo.»
Fece una breve pausa, chiedendosi dove mai sarebbe andato a parare, ma gli sembrava che quelle parole stessero risalendo naturalmente verso la sua bocca, e non si stava sforzando affatto per trovarle. Decise di fidarsi del suo istinto e seguire quel flusso che aveva tenuto a freno per tutti quegli anni e che si rimescolava nei suoi pensieri contorti ogni notte, intrecciandosi alle sue mille altre preoccupazioni e angosce.
«Per farvi capire, devo fare un passo indietro,
» cominciò cauto. «Mi ricordo mio padre soprattutto nella sua assenza. Quando penso a lui non lo vedo a casa, ma a un qualche meeting aziendale che probabilmente celava anche i suoi incontri con lo SHIELD. Quando tornava da noi si chiudeva in laboratorio. A volte riemergeva per i pasti, ogni tanto si ubriacava, era costantemente irritato, scontroso e aveva un tasso di sarcasmo insopportabile. Magari vi ricorda qualcuno.»
Fece un sorriso amaro, rendendosi conto di quanto volesse discostarsi da lui e di quanto, invece, finiva con l'essergli simile sotto molti aspetti.
«Uno dei suoi tormentoni era "non perdere tempo, Anthony",» mimò inconsapevolmente la sua voce burbera, che risuonava cristallina nelle sue orecchie come se fosse lì accanto a lui, «e da ragazzo lo detestavo e lo ignoravo. Ho continuato a ignorare quelle parole fino a poco tempo fa, e i risultati si sono visti. Ho davvero perso troppo tempo.» 
Non trattenne un sospiro, seccato con se stesso.
«L'altro tormentone è più divertente,» rivelò, guardando di sottecchi Rogers. «Non la piantava un istante di parlare di te, Cap, al punto che per un brevissimo periodo sono stato un tuo grande ammiratore. Con tanto di costume ridicolo, scudo giocattolo e spocchia cento per cento patriottica. Poi a tre anni ho scoperto la robotica e sono guarito, grazie al cielo.»
Si concesse un sorriso scherzoso: anche Steve pareva divertito all'idea e sapeva che gliel'avrebbe rinfacciata a vita sotto forma di battutine pungenti.
«Quel tuo scudo ce l'aveva appeso in laboratorio. Era una copia ovviamente, ma ci teneva come se fosse stato quello vero. Ogni tanto me lo indicava e mi diceva "questo è il motivo per cui sono ancora qui. Trova anche tu qualcosa che diventi la tua ragione di vita". Io non capivo. Volevo solo che mio padre uscisse da quel suo covo e mi degnasse di una parola.» 
Si perse in quei ricordi amari, stentando per un momento a riprendere il filo. 
«Ovviamente scoprii solo molto più tardi il suo vero ruolo durante la guerra. È sempre stato abbastanza riservato al riguardo, ma col tempo ha preso a parlarne più spesso e io ho iniziato a ficcare il naso nei suoi appunti e ricerche. Era... oserei dire ossessionato dal Progetto Rebirth. Ripeteva che era l'unica cosa buona che avesse fatto in vita sua e che non sarebbe mai riuscito a fare di meglio. Che lo scudo era il simbolo di ciò che era riuscito a fare.»
Tony scrollò appena le spalle con fare noncurante e si sistemò distrattamente la benda sull'occhio.
«Per me quello era solo un pezzo di latta appeso al muro. Un giorno, poco prima di laurearmi, portai di nascosto lo scudo a un party del MIT... non ricordo perché, credo fosse una qualche scommessa. Non vuoi sapere cosa ci abbiamo fatto,» aggiunse rivolto a Steve, che alzò gli occhi al cielo.
Tony a quel punto si rabbuiò.
«Mio padre era freddo, calcolatore. Si arrabbiava in continuazione, ma non alzava mai la voce. Non l'ho mai visto così infuriato come quando tornai a casa quella notte. Disse che ero un fallito e che non avevo mai capito nulla né di lui, né del suo lavoro, che ero irrecuperabile e non avrei mai concluso nulla in vita mia. A distanza di anni ho capito che l'avevo ferito, forse per la prima volta in modo inconsapevole: avevo arbitrariamente deciso che il lavoro di una vita intera valeva quanto un giocattolo per far divertire me e qualche compagno sbronzo. All'epoca me ne fregai: gli dissi di tenersi il suo stupido frisbee e me ne tornai al college. Non venne alla mia laurea. Poi mi spedì a studiare all'estero. Morì... morirono poco dopo,» concluse asciutto.
"E non l'hai salutato, non gli hai detto che ti dispiaceva," gli rimbombò in testa.
Colse uno sguardo addolorato da parte di Steve e si affrettò a continuare:
«Il punto della storia strappalacrime è che aveva ragione, almeno in parte. È odioso ammetterlo, per di più a distanza di quasi vent'anni, ma non avevo davvero capito nulla di lui. Non mi ero mai fatto troppe domande su quel che faceva. Ho semplicemente continuato a farlo. Fino a quando non mi sono visto esplodere in faccia una bomba col mio nome sopra e non ho iniziato a chiedermi "dove ho sbagliato?" Il resto lo sapete.» 
Alzò le spalle con ovvietà. 
«Credo che lui si sia chiesto per tutta la vita dove avesse sbagliato e forse, al contrario di me, non ha mai avuto il privilegio di capirlo.»
Rialzò lo sguardo sui suoi compagni, rendendosi conto di aver fissato fino ad allora il modello azzurrino dell'armatura che girava lentamente su se stesso, come ipnotizzato.
«Io ho buttato all'aria quel privilegio. Ho commesso molti errori. E alla fine ho... ceduto.» 
Lasciò che quell'affermazione sprofondasse nel silenzio, sentendosi improvvisamente vulnerabile nell'essersi esposto così tanto, nonostante non avesse rivelato neanche la decima parte di tutto ciò che gli era passato in testa nel momento in cui si era tolto il reattore. Dubitava di poterne essere del tutto consapevole lui stesso, e quel pensiero continuava a pungolarlo ad ogni respiro che era ancora in grado di compiere.
Si costrinse a riprendere:
«Sto cercando di rimediare. Lo devo a me stesso, a chi mi ha salvato e a tutto ciò che è venuto... prima
Incrociò gli occhi di Nat e seppe che stavano pensando entrambi al loro "registro macchiato" e a quelle note rosse da cancellare. 
«Forse un po' lo devo anche a mio padre,» ammise, e storse appena la bocca, pronunciando malvolentieri quelle ultime parole.
«Adesso ho capito che il Progetto Rebirth e lo SHIELD furono per lui quello che Iron Man è diventato per me, anche se poi lui non è stato in grado di continuare sulla strada che aveva scelto. È sceso a compromessi e ha iniziato a commettere errori su errori. Per tutta la vita mi sono ripromesso di essere migliore di lui e non ho intenzione di rimangiarmi ciò che ho detto. So di essere un esibizionista. E adoro essere Iron Man,» confessò, con un fugace sorriso che apparve spontaneo sulle sue labbra. «Mi comporto come se non me ne importasse nulla, ma l'armatura non è solo una "diavoleria hi-tech" con qualche cromatura fiammante. È l'unica cosa giusta che sento di aver fatto in vita mia e l'unica in cui creda ancora, a questo punto. E sono venuto fin qui sulle mie gambe per farvi capire che non saranno queste a impedirmi di essere Iron Man,» sollevò il braccio meccanico, «e non è solo quella a permettermi di esserlo,» accennò all'armatura virtuale.
Il suo tono si era fatto energico, intessuto di una fermezza ferrea.
«Non credo che mio padre intendesse "trovare una ragione di vita" in senso così letterale.»
Picchiettò leggermente sul reattore al centro del suo petto, metallo contro metallo.
«Ma Iron Man è qui. E questo non possiamo cambiarlo né voi, né io.»
Tacque, con la gola secca.
Si sentì improvvisamente svuotato e incapace di focalizzarsi su un'emozione ben precisa, con la testa leggera e quasi estraniato da tutto ciò che aveva appena detto, come se fosse stato qualcun altro a pronunciarlo attraverso lui. All'improvviso il peso degli sguardi appuntati su di lui divenne eccessivo e tangibile. Si staccò dalla sedia con un movimento brusco e ricostruì la sua solita spavalderia di facciata, ansioso di rimarginare quella fessura che aveva incautamente esposto a tutti.
«Bene, immagino che a questo punto la riunione debba proseguire a porte chiuse,» disse a mo' di congedo, recuperando il telefono e facendo un passo frettoloso e sbilenco verso la porta.
Sembravano tutti troppo indecisi sul da farsi per tentare di fermarlo, ma Thor si alzò dalla sua sedia, irrequieto, e Steve scoccò un'occhiata sbieca a Bruce, come in una domanda silenziosa. Colse Nataša che stava per dire qualcosa e decise di non avere abbastanza energie per affrontare subito le ripercussioni del suo discorso improvvisato, così le impedì di parlare:
«Ah, ne approfitto per dire che quanto ho detto riguardo al frisbee a stelle e strisce non voleva assolutamente essere un elogio alla qui presente Regina delle Nevi,» indicò Steve con il bastone, « e faceva tutto parte del piano della manipolazione emotiva,» dichiarò, con un gesto condiscendente della mano artificiale.
«Fatemi sapere; io vado a sgranchirmi le gambe, visto che posso,» concluse con un mezzo sogghigno tirato mentre arretrava verso l'uscita, poggiandosi infine con la schiena contro la porta per uscire a ritroso dalla plancia di comando.
Quando fu in corridoio riprese finalmente a respirare e i suoi pensieri tornarono a circolare a un ritmo normale invece di ristagnare in modo quasi doloroso al centro del suo cervello. Colse un brusio vivace oltre la porta e zoppicò un po' più in là per impedirsi di origliare ciò che avveniva alle sue spalle.
Si guardò intorno alla ricerca di una sedia, o un qualunque altro piano orizzontale su cui abbandonarsi: rimanere in piedi era stata una mossa azzardata e la stava scontando con crescente rimorso. Individuò una vetrata di fianco all'ascensore, con una sorta di davanzale inclinato che poteva fare al caso suo. Si trascinò per quella decina di metri e si lasciò cadere di peso sulla superficie metallica, stringendosi il moncherino e ringraziando che il dolore gli impedisse di pensare troppo lucidamente al fatto che con tutta probabilità aveva sprecato la sua unica occasione per rientrare nei Vendicatori. Si scollò con sollievo la benda dall'occhio e la ripose in tasca, in un gesto un po' troppo brusco dettato dalla frustrazione.
Come gli era venuto in mente di parlare suo padre? Era seriamente tentato di mettere ancora in dubbio la propria sanità mentale, ma non riuscì a pentirsi del tutto di ciò che aveva detto su di lui, anche se ciò non attenuava il risentimento che provava nei suoi confronti. Il dolore fisico scemò quel tanto che bastava perché le sue riflessioni riprendessero un andamento più lineare.
Quando sua madre gli diceva che Howard era "tormentato", non aveva mai capito appieno quella parola, traducendola quasi inconsciamente con "distratto" o "indifferente". Quanto era ancora in diritto di rimproverarlo dopo tutto quello che lui stesso aveva fatto negli ultimi mesi? Si trovò a stringere con forza il reattore in mezzo al petto, con un velo di sudore freddo che si posò sulla sua fronte.
In quel momento avrebbe davvero voluto trovarsi suo padre davanti per chiedergli se quello che aveva appena detto su di lui fosse vero, o se era solo un'illusione azzardata che si era costruito per giustificare i comportamenti di entrambi, per accorciare quella distanza incolmabile che era sempre esistita tra loro. Si costrinse a lasciare la presa dal congegno, scacciando al contempo quei desideri insensati e comunque irrealizzabili.
"Forse sto davvero invecchiando," pensò scoraggiato.
Per distrarsi, gettò lo sguardo oltre il vetro, sulla vista vertiginosa delle nuvole rade e sfilacciate immerse in un azzurro terso. Migliaia di metri più in basso si scorgeva l'oceano, una compatta lastra blu cobalto. Poggiò la fronte sulla superficie lucida, fissando quello spazio con nostalgia e immaginando di poterlo attraversare in volo per distogliersi dalle fitte di nuovo lancinanti alla gamba e dai suoi pensieri tetri. Rimase così per quasi mezz'ora, tranquillizzandosi a poco a poco e recuperando almeno una parvenza di serenità, indotta anche dal quieto scorrere delle nuvole e dalle sue fantasticherie di volarvi attraverso.
"... e poi attiverei i deflettori, farei una cabrata proprio vicino a quella lì, poi un mezzo giro della morte attraverso quell'anello e scenderei in picchiata fino a..."
«
Stark.»
Tony fu ridestato dal suo sogno ad occhi aperti e non poté evitare un sussulto quando riconobbe la voce di Rogers; si staccò di colpo dal vetro, consapevole di non essere del tutto in grado di mascherare la sua espressione sofferente, col moncherino che aveva accusato quel movimento troppo brusco. Steve gli si stava avvicinando quasi a passo di marcia, stranamente pimpante, e non poté fare a meno di mettersi in allerta, maledicandosi al contempo per essersi tolto la benda.
Quando entrò nel suo raggio d'azione arrestò la sua avanzata puntandogli il bastone da passeggio contro il petto.
«Ah-ah! Distanza di sicurezza, vecchio, non ho nessuna voglia di mettermi nuovo a...»
Rogers non lo fece neanche finire di parlare che scostò con facilità il bastone e gli tese la destra, in un gesto inaspettatamente amichevole. Tony fu preso alla sprovvista e spostò lo sguardo dalla mano al suo viso per una volta privo della sua consueta ostilità; esitò a stringerla, studiandola con lo stesso sospetto che avrebbe riservato a una trappola per orsi. Vedendo la sua titubanza Steve sospirò platealmente e gli afferrò a sorpresa la mano meccanica in una stretta salda.
"Ma che diavolo...?"
Tony ricambiò d'istinto, per poi piombare nella confusione più totale, chiedendosi cosa diavolo fosse successo in sala riunioni in sua assenza e se c'entrasse l'influsso di qualche sostanza allucinogena.
«Hai il mio supporto,» dichiarò semplicemente Rogers, allentando subito la presa e recuperando mezzo passo di distanza, come rendendosi conto solo in quel momento di ciò che aveva appena fatto.
Tony lo fissò confuso, con la mano ancora ferma a mezz'aria.
«La manipolazione emotiva ha funzionato?»
«Mi hai sorpreso,» replicò Steve.
«Non ci vuole molto: anche quando hai visto uno smartphone ti sei sorpreso,» puntualizzò lui, mettendo il pilota automatico al suo sarcasmo mentre tentava di dare un senso a ciò che era appena accaduto.
Steve alzò gli occhi al cielo.
«Intendo dire che sei riuscito a parlare di tuo padre, del mio scudo e ad ammettere i tuoi errori nello stesso discorso senza battere ciglio e senza fare del tutto un elogio di te stesso. E sei stato convincente.» 
Fece una breve pausa. 
«Mi hai sorpreso,» ripeté, apparentemente a corto di parole.
"Il che non è strano per un supersoldato tutto muscoli e niente... ok, forse poco cervello."
Tony distolse lo sguardo, non sapendo in verità nenche lui come replicare e trovando l'intera situazione molto imbarazzante.
«Non era un discorso preparato,» buttò lì tanto per dire qualcosa.
«Magari se fossi sempre un po' meno "preparato" saresti quasi sopportabile.» 
Steve lo squadrò con severità. Lui si limitò a sbuffare gonfiando le guance, apprezzando in cuor suo il ritorno della tipica criticità nei suoi confronti, decisamente più gestibile di quella cortesia spiazzante. Si passò una mano tra i capelli, scostando qualche ciocca ribelle dalla fronte e cercanto di inclinarla a coprire almeno parte dello sfregio, mentre scoccava un'occhiata furtiva alla porta della sala riunioni.
«Tutta questa molesta espansività da parte tua significa che...?» insinuò guardingo, non riuscendo a celare del tutto la sua aspettativa ma sforzandosi di reprimere il sorriso che sentiva affiorargli sulle labbra.
«Siamo in fase decisionale,» lo tenne sulle spine Rogers, riprendendo il suo tono neutrale e compassato. «Thor non è convinto; credo che ad Asgard siano molto rigidi su... certe cose.»
«L'avevo intuito.» Tony storse la bocca, contrariato. «Pensavo lo fossi anche tu,» sbottò prima di potersi trattenere.
«Lo sono,» ribatté lui con fermezza. «L'unica volta che ho tentato consapevolmente di uccidermi è stato per buttarmi su una granata ed evitare la morte dei miei compagni.»
«Figurarsi.» 
Tony schioccò la lingua con fare derisorio.
«Mi chiedo se tu saresti in grado di fare lo stesso,» lo rimbrottò Steve, fissandolo con improvvisa intensità.
Tony tacque brevemente, grattandosi la tempia pensoso.
«Prima di buttarmi su una granata cercherei di disinnescarla, deviarla prima che venga lanciata o gettarla da un'altra parte,» concluse con un sorrisetto saputo.
«Sempre una via d'uscita, eh?» 
Steve scosse la testa e Tony si rallegrò per essere riuscito ad irritarlo come sempre.
«Se non c'è, me la creo,» aggiunse un po' mestamente. «Buttarsi sulla granata è una via d'uscita un po' troppo facile.»
Steve lo studiò per qualche secondo, infine sospirò appena.
«Invece, magari lo faresti davvero,» commentò quasi tra sé. «Sono qui appunto perché voglio darti il beneficio del dubbio,» concluse in modo evasivo.
Tony lo scrutò con intensità, sondando quelle parole, poi inclinò appena la testa tirando le labbra in un smorfia dubbiosa.
«Non me la bevo,» sbottò, rivolgendogli uno sguardo inquisitore. «Ci sono migliaia di universi paralleli al nostro e in nessuno di questi mi daresti mai ragione su qualcosa solo perché "ti ho sorpreso" o perché vuoi "darmi il beneficio del dubbio".» 
Incrociò le braccia, continuando a fissarlo di sbieco. Il soldato spostò il peso da un piede all'altro e voltò appena il capo, improvvisamente meno impettito del solito. Quando parlò lo fece senza guardarlo, con gli occhi puntati sulla distesa di nuvole oltre la vetrata:
«Un tempo ero io quello considerato "fisicamente non idoneo".» La sua mascella si irrigidì visibilmente al ricordo. «Mi è stata data una seconda possibilità e tuo padre vi ha contribuito. Fare lo stesso con te mi sembra un buon modo per... "chiudere il cerchio".» 
Pronunciò con esitazione quelle ultime parole, come riluttante a credervi, e il suo sguardo si fece quasi interrogativo.
«Niente male. Ci hai messo solo qualche decennio per capire di dovere qualcosa a qualcuno,» commentò Tony, fingendo di essere colpito. «Anche se quel qualcosa è la padella che ti porti appresso,» puntualizzò, trattenendo un sorrisetto compiaciuto nel vedere i vari gradi di crescente stizza passare sul volto del Capitano. «Per quanto riguarda me, preferisco dire che mi sto costruendo una seconda possibilità,» precisò poi, più serio.
A quel punto Steve liberò un verso esasperato, fissandolo con improvvisa e familiare antipatia; il suo tono si alzò, diventando aggressivo:
«Come al solito sei incapace di capire quando qualcuno sta veramente cercando di venirti incontro per colpa del tuo maledetto ego che...»
Tony lo interruppe, alzando a sua volta la voce per sovrastarlo:
«Senti, ti ricordo che non troppo tempo fa mi hai dato del "mezzo uomo", il che è assolutamente...»
«... meschino, e mi dispiace, ma ciò non ti autorizza a...»
«... inesatto,» lo contraddisse lui con voce squillante e Steve si accigliò confuso. «Insomma, non sono ancora diventato Robocop, ho solo due arti di metallo e un reattore cardiaco! Pretendo di essere considerato uomo almeno per tre quarti,» concluse facendo un ironico gesto di OK con la mano meccanica.
Steve esitò e un'ombra di sorriso involontario passò di rimando sul suo volto a quell'atteggiamento leggero e privo di rancore, ma si affrettò a ricomporsi per ribattere a tono. A quel punto Tony scorse Banner diretto verso di loro con la sua solita andatura circospetta e un po' impacciata e gli fece un ampio cenno di saluto, grato che il suo arrivo interrompesse sul nascere una discussione che si sarebbe altrimenti protratta per ore.
«Sei tornato in modalità "angelo custode"?» lo accolse, con un sorriso un po' incerto.
«In verità ho ancora un po' voglia di picchiarti,» replicò lui, accigliato e con un mezzo sospiro.
Tony si ritrasse d'istinto, sentendo il suo sguardo pesare su di lui come un pugno del suo amico verde, ma si rasserenò un poco nel vedere che non sembrava essere così ostile come pensava. E, soprattutto, di un colorito roseo e innocuo.
«Oh, anch'io, credimi,» borbottò quasi tra sé, per rompere il silenzio.
«Sembra che tu abbia smosso qualcosa, là dentro,» commentò poi il dottore, facendolo illuminare all'istante in volto. «Questo non toglie che non sei ancora scusato,» puntualizzò nel notarlo.
«Lo so.» Tony poggiò la testa al vetro, guardando entrambi i suoi interlocutori con aria quasi annoiata. «Vi manderò un mazzo di... di... quali erano i fiori per chiedere scusa? Le violette? Insomma, un mazzo a testa e la chiudiamo là.»
«Dovrai impegnarti un po' più di così, quasi-Consulente,» lo rimbrottò Steve.
Tony lo ignorò, facendosi assorto. Fissava Bruce quasi senza vederlo, ripercorrendo tra sé le circostanze del loro ultimo incontro con un misto di vergogna e colpevolezza. Si ritrovò a ticchettare sul reattore, come sempre quando si perdeva nelle sue riflessioni, ma smise subito nel notare l'occhiata allarmata di entrambi.
«Avevi ragione e avevi torto allo stesso tempo,» dichiarò in fretta. «Questo fa di te un paradosso. E verde, per di più,» e puntò Bruce con l'indice meccanico come a riconoscergli ufficialmente la cosa.
Lui fece un mezzo passo indietro guardandolo interrogativo, e Tony si accinse a spiegarsi meglio:
«Qualche tempo fa mi hai detto che per me non ci sarebbe stato nessuno a sputare il proiettile,» disse d'un fiato, sentendo che se si fosse fermato a riflettere sul reale significato di quelle parole si sarebbe addentrato in un sentiero tortuoso, dal quale non era sicuro che sarebbe riuscito a trovare la via del ritorno.
Percepiva già un senso di oppressione al petto solo a menzionare la questione. Bruce quasi sobbalzò e Steve spostò nervosamente lo sguardo dall'uno all'altro, come chiedendosi se fosse il caso di troncare lì la discussione, in un modo o nell'altro.
«Ti sbagliavi. Magari io non volevo salvarmi, ma qualcun altro ha deciso di farlo per me e ha deviato quel proiettile.» Fece una breve pausa, domando il lieve tremito nella sua voce. «E invece avevi ragione quando hai detto che non ero solo. L'ho solo capito troppo tardi.» 
Sorrise appena, con rammarico.
«Bastava un "grazie", Stark,» commentò Steve a sguardo basso, spostando il peso da un piede all'altro.
«Tu devi impegnarti un po' di più per meritarti un grazie da parte mia, Rogers,» lo rimbeccò, serio. «Non basta una stretta di mano.»
«E non bastano delle belle parole,» gli fece notare lui a sua volta.
Tony lo fissò per qualche istante, tentato di ribattere ancora, poi concluse che avevano raggiunto un punto di stallo abbastanza onesto per chiudere lì la discussione. Gli rivolse solo un secco cenno del capo, a intendere che non si sarebbe affatto fermato alle parole, e lui gli restituì lo stesso sguardo di sfida. Ruppero il contatto visivo solo dopo qualche secondo, riacquistando entrambi una postura più rilassata e tornando a includere Bruce.
«Finito?» commentò quest'ultimo, guardandoli come avrebbe fatto con due bambini intenti a mettersi il muso a vicenda.
«Per ora,» risposero involontariamente in coro loro due, scoccandosi poi un'altra occhiata risentita; Tony alzò l'occhio al cielo e si rivolse di nuovo a Bruce in tono più leggero:
«Per oggi ho fatto il pieno di discorsi impegnati. Ho bisogno di far prendere aria al cervello,» stabilì. «Ed è un bel po' che non faccio una capatina nel mio laboratorio su questa bagnarola,» buttò lì.
Vide con compiacimento un lampo d'interesse accendersi negli occhi del dottore, così lo incalzò:
«Ricordo chiaramente che noi due avevamo un esperimento in sospeso riguardo a metamateriali e campi elettromagnetici... Trilly, tu potresti fare da pubblico,» si rivolse a Steve con un mezzo ghigno, facendogli storcere il naso al suo ennesimo soprannome. «Andiamo, ci serve un po' di terapia di gruppo!» li incalzò con più vivacità.
«E va bene...» gli concesse Bruce, con più entusiasmo di quanto intendesse. «Tanto là dentro ne avranno ancora a lungo: Thor si sta agitando ed è arrivato Phil a gestire la situazione prima che Nat e Clint perdano la calma e si scateni una guerra tra Asgard e Midgard.»
«Oh, Agente è ancora vivo? Dovrò ringraziarlo in qualche modo...» borbottò poi tra sé, decidendosi a fare leva sul bastone per rialzarsi.
Ignorò la protesta della gamba e la mano tesa di Bruce, ma quando fu in piedi vacillò sul punto di cadere e venne prontamente agguantato per la collottola da Steve.
«Meno male che c'è "Trilly" a salvarti,» lo schernì col suo solito tono saccente stemperato da un mezzo sorriso.
Lui si liberò con uno strattone, lieto però di non essere collassato a terra.
«Giù le zampe, distruttore di protesi.»
«Guarda che te l'eri cercata.»
Tony scosse la testa e non rispose, cedendogli il punto e piantandosi in attesa davanti all'ascensore col bastone a fargli da perno in una posa che ormai era diventata abituale.
«Mi ricordi qualcuno,» commentò Bruce, accarezzandosi pensoso il mento.
«Probabilmente un dottore cinico, zoppo ed emotivamente instabile,» replicò lui prontamente.
Steve ridacchiò, al che si girarono entrambi a fissarlo perplessi. Lui tornò di colpo serio.
«Giuro che ho colto la citazione,» disse sulla difensiva.
«In effetti si presta a varie interpretazioni. Bel colpo, Rogers.» 
Tony gli assestò una decisa pacca sul braccio con la protesi e sogghignò quando lo vide trasalire per l'inaspettata potenza, sforzandosi allo stesso tempo di non darlo a vedere.
«Evitate di azzuffarvi nei miei dintorni, per favore?» sospirò Bruce, frapponendosi tra i due a fare da cuscinetto.
Tony si limitò a fissarlo con aria ribelle, mentre già pregustava il suo ritorno al laboratorio dell'Helicarrier, dove avrebbe potuto lanciarsi in qualche brillante disquisizione scientifica con lui irritando a morte Steve che non avrebbe capito un'acca.
In quel preciso istante, proprio quando si soffermò su quei pensieri così futili, realizzò che dopo tutto quel tempo le cose stavano andando per il verso giusto. Era in piedi e stava scherzando coi suoi compagni di squadra: alcuni dei pezzi scoordinati del suo puzzle erano finalmente andati al posto giusto e si sentì levitare a un palmo da terra, quasi avesse di nuovo addosso l'armatura. Adesso avrebbe di nuovo potuto prendere parte alle riunioni, sarebbe uscito indenne dal processo... avrebbe potuto dedicarsi ad Iron Man. Poteva ricominciare da capo.
La realizzazione lo colpì, potente e incontenibile, e liberò la risata leggera che gli era salita alle labbra.
In quel momento l'ascensore si aprì con un sibilo. Tony si voltò, ancora sorridente, e si trovò a incontrare gli occhi azzurri di Pepper.




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Note Dell'Autrice:

Massalve!
Se siete arrivati fin qui meritate a prescindere un premio, data la lunghezza abnorme del capitolo... eeee ci sarebbe veramente tanto da dire in proposito ma non so quanto posso permettermi di dilungarmi ulteriormente senza ricevere insulti, quindi mi concentrerò sui punti salienti.

Ciò che mi preme dire è che questo è il primo capitolo il cui il "nuovo Tony" inizia ad emergere in modo significativo. Volevo che fosse un punto di svolta netto, quindi ho preferito scrivere di più dicendo però tutto ciò che ritenevo necessario a questo punto della storia. Per questo il discorso di Tony occupa gran parte del capitolo e per questo ho introdotto in modo così "prepotente" il rapporto problematico con suo padre: ammetto che sembra saltar fuori dal nulla; in realtà ho cercato di lasciare intendere più di una volta quanto effettivamente ci rimuginasse sopra e quanto le questioni che tira fuori in questo frangente lo stessero turbando o spronando già da tempo. Come avevo preannunciato, le protesi scivolano in secondo piano per lasciare un po' di posto alla psiche di Tony, alle sue varie problematiche emotive & co.

I riferimenti a dialoghi, situazioni ed eventi successivi e precedenti ad Iron Man Iron Man 2 sono innumerevoli ma credo anche ben identificabili, a partire dal dialogo con Cap, che è allo stesso tempo un riadattamento del loro diverbio in Avengers e una "riparazione" allo scontro avvenuto nel lontano Capitolo 11 (Sinking).
Ci tengo a precisare che Tony a questo punto è in una situazione molto diversa da quella del MCU e di conseguenza le sue reazioni e pensieri differiscono per forza di cose da quelli che ci si aspetterebbero, rimanendo però coerenti con gli eventi che l'hanno segnato in Phoenix. È un IC nell'OOC, in un certo senso.

Sì, alla fine ce l'ho fatta a far tornare Pepper. Con un cliffhanger vergognoso (e credo perseguibile per legge in tutta la galassia), ma finalmente è tornata sui nostri schermi :D (e forse ci rimane pure. Chissà *fischietta*)

Chiudo qui prima di svalvolare più del necessario. Meno male che dovevo essere breve...
Un grazie a chi leggerà e/o recensirà :) E ringrazio come sempre tanto tanto tanto _Atlas_ (santa che mi sopporti più o meno ovunque <3) e Emyclarinet (grazie per continuare a seguire <3)che hanno recensito lo scorso capitolo rendendomi come sempre felicissima :D

Il prossimo aggiornamento sarà probabilmente tra un mese, se non più, perché la mia sessione estiva comincia brutalmente la settimana prossima e non avrò tempo per vivere, figurariamoci scrivere :'(
Sayonara,

-Light-

P.S. Ho revisionato credo per la 54esima volta il primo capitolo della storia, giusto per informazione; sto continuando a sistemare il layout degli altri capitoli e, visto che ci sono, a correggere gli errori di battitura (Atlas, avevi ragione, sono una quantità imbarazzante :'D)
P.P.S. La canzone dell'intro si chiamerà pure I'm So Sorry, ma ne consiglio vivamente l'ascolto per non farsi trarre in inganno dal titolo #TonyBAMF
P.P.P.S.(L'ultimo, giuro): quando Tony scherza sul dottore zoppo e cinico, si riferisce a Dr. House; Steve fraintende e pensa a Dr. Jekyll :P
 




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