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Autore: willsolace_leovaldez    12/06/2018    0 recensioni
*AVVERTENZA: QUESTA STORIA NON TIENE MINIMAMENTE CONTO DEI FATTI NARRATI ALL’INTERNO DELLA TRILOGIA “LE SFIDE DI APOLLO”, PERTANTO NON CONTIENE SPOILER! BUONA LETTURA!*
Sono infinite le storie che narrano le gesta dei semidei. Esseri umani dotati di poteri straordinari, nati dall’unione tra un mortale e una divinità, che da millenni combattono contro i mostri che vogliono distruggere il nostro mondo. Ma poche, quasi nulle in verità, sono le storie riguardanti alcuni particolari semidei. Più potenti e più forti di un normale mezzosangue, nati non da una, ma da due divinità. Mandati sulla Terra dai loro genitori, talvolta per errore, talvolta con uno scopo ben preciso. Sono rari, pressoché sconosciuti, ma esistono. Vengono chiamati “Figli del Cielo”. E sono tra di noi.
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1
Sette semidei ed un invasato mi sfondano la finestra

 
Questa storia non ha particolari colpi di scena o cose così. È semplicemente la storia di una ragazza a cui è cambiata totalmente la vita. Ovvero io. Salve, mi chiamo Giulia Bianchi, ho quindici anni, e vivo una vita tranquilla a Roma, cioè, vivevo. Già, perché la mia intera esistenza è stata sconvolta da un manipolo di adolescenti piombati, letteralmente, in casa mia. Ma lasciatemi spiegare. Ho sempre amato leggere, sin da quando ero piccolina. Leggevo di tutto, ma in particolare amavo la mitologia greca. Adoravo leggere le avventure di eroi come Achille, Ercole o Odisseo, mi faceva sentire bene, meno sola. In un certo senso, mi ci rispecchiavo. Ad ogni modo, io vivevo nel mio mondo fatto di eroi, dei e mostri e nessuno mi rompeva troppo le scatole. Finché quel mondo non è diventato realtà. Okay, ora se volete potete scoppiare a ridere e smettere di leggere, ma vi assicuro che potrei insegnarvi qualcosa di fondamentale per i semidei, tipo non uscire mai da soli durante una guerra, moderare il sarcasmo quando si è in presenza di dei,  oppure, cosa più importante, non incasinarsi mai e poi mai con un figlio di Efesto leggermente piromane. Comunque, non ho ben chiaro quello che accadde prima dell’arrivo dei suddetti adolescenti. Ricordo vagamente che ero seduta sul divano a vedere un film con la mia famiglia, quando sette ragazzini ed un nanerottolo di mezza età (che tra le altre cose continuava a gridare “A MORTE!!”) fecero irruzione a casa mia, in un pomeriggio afoso di metà giugno, sfondando la finestra. No, dico, esiste la porta! Una ragazza bionda, che doveva essere il capo, zittì il nano e mi si avvicinò squadrandomi. Ipotizzai che doveva avere un paio, forse tre, anni più di me. Era lo stereotipo della ragazza californiana, alta, bionda e abbronzata. Gli occhi però erano di un grigio da cielo in tempesta, magnetici, bellissimi. La odiai all’istante. Era perfetta. L’esatto opposto di quello che ero io. Non che fossi un troll, ma non ero decisamente a quel livello. In verità, credo che nessun essere vivente potesse essere bello quanto lo era lei. Pazienza. Perlomeno avevamo entrambe i capelli ricci. La bionda mi lanciò un’ultima occhiata prima di rivolgersi ai suoi amici
–È lei. Deve essere lei. Non possiamo sbagliare di nuovo!- esclamò. Parlavano inglese. Di nuovo? Quante altre finestre hanno rotto? pensai. Un ragazzo biondo con gli occhi azzurri spostò furente lo sguardo sull’ometto di mezza età in tuta e berretto
–Non ci saremmo persi se qualcuno non ci avesse condotti fuori rotta!- esclamò. L’ometto sbuffò
–Già! Valdez la prossima volta più attenzione!- disse mentre un ragazzo coi capelli scuri alzava le mani sulla difensiva. Il biondo si rivolse all’ometto
 –Non mi riferivo a Leo, ma a lei Coach!- disse mentre il tizio borbottava qualcosa. La bionda fulminò tutti con lo sguardo facendo cadere il silenzio
–Come ti chiami?- mi chiese, con uno sguardo più gentile
–Giulia Bianchi. Voi chi siete?- risposi nella loro lingua. Io e la mia famiglia viaggiamo molto, perciò tutti parlavamo inglese molto bene. Una scintilla di soddisfazione sfavillò nei suoi occhi grigi
–È lei- disse voltandosi verso il gruppo. Spostò la sua attenzione nei miei confronti –Io sono Annabeth Chase, loro sono Percy Jackson, Jason Grace, Piper McLean, Leo Valdez, Hazel Levesque, Frank Zhang e il Coach Hedge- disse indicando i diretti interessati uno ad uno. Il ragazzo riccio di prima catturò particolarmente la mia attenzione. Sembrava un elfo di Babbo Natale versione sudamericana. C’era qualcosa nel modo in cui mi guardava… mi infastidiva. Annabeth lanciò uno sguardo dietro di me, verso la mia famiglia
–Loro chi sono?- chiese. Ero un po’ riluttante a presentarli, non potevo fidarmi di completi estranei, potevano pure essere degli assassini per quanto ne sapevo io, ma non volevo essere scortese. In fondo mi hanno sempre insegnato che non si tratta male chi fa irruzione a casa tua rompendoti la finestra.
–Mio cugino Francesco- dopo la morte dei miei zii era venuto a stare da noi, praticamente un fratello per me -ed i miei genitori, Angela ed Alfredo.- spiegai. Annabeth mi guardò come se fossi un’aliena. Mi poggiò una mano sulla spalla, con aria imbarazzata
–Scusa se te lo chiedo, ma sono entrambi i tuoi genitori biologici? È possibile che uno dei due si sia risposato quando tu eri molto piccola, o qualcosa del genere?- chiese. Io la guardai sconvolta
-Certo che sono i miei genitori! Come ti permetti di insinuare una cosa del genere?!- chiesi sulla difensiva. Annabeth esitò, continuando a tenermi la spalla con la mano
-Giulia, è complicato. Se tu mi lasciassi spiegare io potrei dirti…- la interruppi prima che potesse dire altro
-No. Adesso ve la dico io una bella cosa! Questa storia è andata avanti fin troppo! Avrei dovuto chiamare la polizia appena avete messo piede in questa casa! Ora andatevene via e non vi fate più vedere oppure farò in modo che passiate il resto della vita in carcere, ve lo posso assicurare.- praticamente urlavo. Annabeth trasalì e ritrasse la mano indietreggiando, come se il contatto con la mia pelle l’avesse scottata. Si esaminò la mano con sospetto, poi mi guardò come se io l’avessi davvero bruciata. Mia madre mi poggiò una mano sulla spalla
-Giulia, basta.- disse. Io mi voltai verso di lei con gli occhi ancora velati dalla rabbia
-Mamma!-
-Ora basta!- ribadì con un tono che non ammetteva repliche –Chiedi scusa e sta a sentire ciò che hanno da dirti.- dichiarò, con il classico tono che usava solo quando ne combinavo una davvero grossa. Mi voltai nuovamente verso quegli otto strani personaggi, ma invece di chiedere scusa dissi soltanto: -Avanti. Ti ascolto, Annabeth.- lei parve tranquillizzata. Lanciò un’occhiata al ragazzo moro, Percy, e lui in risposta le sorrise con fare incoraggiante. Li osservai. Doveva essere il suo ragazzo, dato gli sguardi che si rivolgevano. Beh, lui era indubbiamente un bel ragazzo, ma non era il mio tipo. Annabeth rivolse di nuovo la sua attenzione su di me.
-Giulia. Noi, tutti noi, siamo semidei. Questo significa che siamo…- alzai gli occhi al cielo
-Metà umani e metà dei. Sì come no. Anche se fosse vero, e non lo è, questo che c’entrerebbe con me?- chiesi scontrosa. Annabeth mi guardò con un sopracciglio alzato, visibilmente irritata dalle continue interruzioni. Anche gli altri sembravano nervosi. Tranne l’elfo. Lui sembrava divertito. Quanto mi infastidiva la sua presenza.
-Sei informata vedo- alzai le spalle
-Mi piace la mitologia-
-Okay… senti, so che può essere ridicolo. Ma tu sei veramente una semidea. Probabilmente tuo padre è un dio e questo significa che devi andare in un posto sicuro, qui sei in costante pericolo. Ormai sei abbastanza grande. È solo questione di tempo prima che ti trovino.- disse. Io la guardai
-Cosa vuol dire?- non è che davvero non capissi. Sapevo che le sue parole avevano un senso, me lo sentivo. Ero io che rifiutavo di capire. Annabeth aprì bocca ma parlò un’altra voce
-Vuol dire che devi sloggiare.- a parlare era stato il tipo con la faccia da elfo. Ci girammo tutti a guardarlo. Annabeth gli lanciò un’occhiata di fuoco
-Leo!- sibilò. Io lo guardai meglio, capelli ricci e occhi furbi da casinaro. Doveva avere la mia età, non catturava particolarmente l’attenzione, anzi, messo vicino al tipo biondo o al moro, rimaneva perlopiù invisibile. Mi chiesi perché mai avesse catturato la mia.
-Che c’è?! L’hai detto tu no? È grande, non prende questa cosa seriamente.- disse, sotto gli sguardi stupiti degli altri, poi si rivolse a me –Moretta, ti consiglio di avere un po’ più di fiducia ed assumerti la responsabilità di essere una semidea.- dichiarò serio. Piper (si chiamava così quella con le piume in testa?) lo guardò a bocca aperta. Leo non doveva essere un tipo molto serio. Percy gli mise una mano sul petto
-Proprio tu parli di assumersi le proprie responsabilità?- chiese accusatorio. Leo distolse lo sguardo. Percy, come essendosi accorto solo in quel momento di cosa aveva detto, abbassò la mano, dispiaciuto
-Scusa, amico.- prima che Leo potesse replicare Annabeth li interruppe per poi girarsi verso di me
-So che ti sembra strano, ma devi credermi, Giulia. E se non vuoi credere a me, credi almeno ai tuoi genitori.- disse guardando la mia famiglia –Non so cosa nascondiate e non mi interessa saperlo, non sono affari miei. Ma Giulia è una di noi, e voi lo sapete- finì, guardando negli occhi mia madre. Io anche mi voltai a guardarla
-È tutto vero?- chiesi, imponendomi di avere un controllo e di non far tremare la voce.
-Sì.- quella semplice parola fu come un pugnalata al cuore –Giulia, tu sei speciale, non sei come le altre ragazze. Non lo sei mai stata. Noi… noi sappiamo come sia potuto accadere, so solo che poco prima della tua nascita… ho fatto un sogno. Era una donna che mi diceva che tu saresti stata diversa, speciale. Avresti fatto grandi cose, un giorno.- mentre parlava mi ricordai di quando, da piccolina, mia madre mi aveva detto le stesse esatte parole. Avevo la testa sulle sue gambe e lei mi accarezzava i capelli, piangevo. Le mie compagne di classe mi avevano nuovamente presa in giro e fatto scherzi pesanti, e quel giorno, in preda all’esasperazione, mi ero gettata tar le sue braccia in lacrime. Lei, con un tono dolce, mi aveva detto: “non piangere, bambina mia. Sono solo invidiose. Tu non sei come loro, sei diversa. Speciale. Sei destinata a fare grandi cose.”. All’epoca non capii cosa voleva dire, ma ora tutto cominciava ad avere un senso, dentro me. Lei sorrise e mi posò una mano sulla guancia
-Bambina mia, tu sei una semidea. E anche se so, nel profondo, che questo comporta un pericolo enorme, sono… siamo, immensamente fieri di te.- disse, apparentemente sincera. Se era fiera di me, perché non me lo aveva mai detto? Io mi scostai, fuggendo dal suo tocco. Il sorriso scemò e fece ricadere la mano lungo il fianco. Mi voltai e chiusi forte gli occhi, per trattenere le lacrime. Quindi l’uomo che credevo mio padre, non lo è. Mi hanno mentito, la mia vita è tutta una menzogna. Percy si avvicinò a me, mi mise la mano sulla spalla
-Giulia, guardami per favore- obbedii. Aveva proprio degli occhi bellissimi. Verdi come il mare -So che è uno shock e che sei confusa, lo siamo stati anche noi. È normale. Vedrai che al Campo Mezzosangue, l’unico luogo dove quelli come noi sono al sicuro, scopriranno chi è il tuo vero padre.- i suoi occhi verdi mi guardavano con un misto di dolcezza e comprensione. Decisi che era inutile negare. La verità era palese a tutti, e poi in qualche modo, dentro di me, sapevo che non mi stavano mentendo.
-Meglio sbrigarsi, sento puzza di guai.- disse il nanerottolo scorbutico. I semidei si guardarono allarmati. Alla fine Annabeth riprese il controllo della situazione
-Okay. Era solo questione di tempo prima che i mostri percepissero la nostra presenza. Giulia, bisogna sbrigarsi, vieni.- rimasi perfettamente immobile
-No.- assunse un’aria di esasperazione
-Giulia!-
-Oh basta. Non sto dicendo che non verrò. Ma posso almeno prendere qualche vestito? O al Campo non ne usate?- chiesi ovvia. Percy alzò la mano
-In realtà, al mio arrivo io non…- lo interruppi con la mano
-Ti prego basta.- mi rivolsi ad Annabeth -Farò veloce, lo giuro.- mi incamminai verso la mia camera. Mio cugino provò a dirmi qualcosa, ma io lo scansai. Non ero in vena di chiacchiere.
Raggiunsi la mia camera e mi chiusi la porta alle spalle. Non riuscivo a metabolizzare tutto quello che stava succedendo. Era davvero incredibile. Il mondo di cui da anni leggevo e sognavo era vero. Ed io ne facevo parte! Cominciai a buttare dei vestiti a caso in una borsa, scegliendo invece con cura quali letture portare. Avevo la sensazione che altrimenti mi sarei annoiata. Presi anche il mio blocco da scrittura. Non me ne separavo mai, mi faceva sentire completa. Qualcuno entrò in camera. Mi voltai, aspettandomi di vedere Francesco, ma rimasi stupita nel vedere che si trattava di Leo. Roteai gli occhi e tornai alle mie occupazioni
-Che ci fai qui?- chiesi acida
-Mi hanno mandato a controllarti- ridacchiai
-Proprio te?- lui si sedette sulla mia sedia
-Ti sembra strano? Sono anche io un semidio, sai-
-Non metto in dubbio il tuo essere un semidio. È solo che…- lo guardai e mi ricordai perché mi dava sui nervi. Aveva proprio una bella faccia da schiaffi -Tu non mi piaci.- rise
-Non sei la prima a dirlo- feci una finta faccia sconvolta, portandomi teatralmente la mano al cuore
-Non l’avrei mai detto!- alzai gli occhi al cielo e misi le ultime cose nella borsa. Leo allungò le gambe sulla mia scrivania e posò le mani dietro la testa
-Te neanche mi vai a genio, se vuoi saperlo.-
-Oh come potrò mai sopravvivere-
-Sei troppo sarcastica, te lo hanno mai detto?- sorrisi ironicamente e gli feci togliere le gambe dalla mia scrivania. Lui sembrò non curarsene -Ad ogni modo, sei una tipa tosta. Pochi riescono tenere testa ad Annabeth come hai fatto tu. E pochi la interrompono e sopravvivono per raccontarlo- chiusi la zip della borsa e me la misi in spalla
-Che fortuna- uscii dalla stanza seguita da Leo. Non mi fermai a guardarla un’ultima volta. Volevo credere che l’avrei rivista presto. Arrivata in salotto ci mancò poco che la mascella mi cadesse a terra. Percy e Jason erano in piedi nell’angolo cottura, entrambi con due scintillanti spade in mano, una di bronzo l’altra d’oro. Ma dove le avevano prese? Annabeth mi guardò
-Pronta?- io annuii e, dopo un suo cenno, i due ragazzi menarono un fendente al lavandino, facendo fuoriuscire una cascata d’acqua.
-Ma che fate?!- urlai
-Scusate, vi ripagheremo i danni- disse Percy, gettando una moneta nell’arcobaleno formatosi con il riflesso della sua spada –Oh, Iride, Dea dell’arcobaleno, accetta la mia offerta! Mostrami il Campo Mezzosangue- esclamò mentre l’immagine di quello che doveva essere il Campo compariva scintillando. Annabeth la indicò con un gesto della mano
–Non resterà aperto a lungo, devi attraversarlo ora- mi disse. Io la guardai stupita
–Voi non venite?- chiesi e gli altri sorrisero con nostalgia vedendo il Campo
–Non possiamo. Abbiamo una missione, siamo qui solo perché la nostra impresa fa una sosta a Roma. Adesso vai, noi aspetteremo per vedere se stai bene- mi spiegò. Io annuii leggermente e abbracciai forte la mia famiglia. Nonostante tutto, non riuscivo a lasciarli. Stavo per attraversare il “portale” quando la voce di Leo mi bloccò
-Ehi Giulia, tieni questa- disse mostrandomi una fascia nera per capelli. Io lo guardai stranita
-Perché avevi una fascia per capelli e cosa dovrei farmene io?- chiesi. Lui sorrise furbo
-Uno: non sono affari tuoi. Due: perché così ogni volta che la guarderai penserai a me, ovviamente.-
-E perché mai dovrei voler pensare a te?- ma misi comunque la fascia in una tasca dei calzoncini jeans
-Tutte vogliono pensare a me!-
-Sì, come no.- dissi.
-Ah comunque vedi di tornare viva dall’addestramento, vorrei  conoscerti meglio. Sento che potremmo diventare grandi amici- ammiccò, poi sorrise in modo strano
-Certo certo, come no- replicai e ricambiai lo stesso sorriso. Pensai che in fondo non fosse così male. Lo so, ho le idee confuse. Ad ogni modo, lanciai un bacio alla mia famiglia ed entrai nel portale. All’improvviso la mia allegria scomparve. Non mi trovavo più a casa mia, ma in un enorme prato verde, nel bel mezzo dell’America, probabilmente a Long Island. C’ero già stata, ma all’epoca avevo la mia famiglia accanto a me. Guardai attraverso l’immagine, mia madre, mio padre e Francesco ricambiavano il mio sguardo con un sorriso triste. Erano così vicini, ma così distanti. A circa 7000 km di distanza. Metro più metro meno. Mi bastava allungare una mano per poterli toccare, per tornare alla normalità. Prima che potessi fare qualsiasi cosa di impulsivo, l’immagine scomparve con uno scintillio. Rimasi lì, immobile, a fissare il luogo dove prima c’era la mia casa, la mia vita, finché non sentii un rumore di passi e di… zoccoli? Mi voltai e vidi arrivare di gran carriera verso di me una marea di persone. Adolescenti, tutti con la stessa maglietta arancione indosso con sopra scritto “Campo Mezzosangue”, di diverse stazze ed etnie. Erano davvero tanti, alcuni avevano persino in mano un’arma, dello stesso materiale della spada di Percy. C’erano anche delle ragazze che non sembravano umane. A vederle meglio, alcune avevano la pelle azzurrina mentre altre verdognola. Poi vidi arrivare anche un numero cospicuo di ragazzi che, beh, non erano esattamente ragazzi. Dalla vita in su tutto tranquillo, ma dalla vita in giù erano asini (qui c’è il mio amico Grover, un satiro, che fa notare di essere in parte capra. Non asino. Scusa Gro’). Mi ricordai di aver letto di creature simili in alcuni libri di mitologia, erano satiri. Comunque, quando credevo di aver visto di tutto, arrivò, dulcis in fundo, un uomo sulla quarantina, barba incolta, capelli brizzolati, occhi castani dall’aria gentile e un bel didietro da cavallo. Eh già. Quell’uomo aveva la parte inferiore del corpo di uno stallone bianco, quindi supposi che doveva essere un centauro. Ma dove ero capitata? Mi guardai intorno spaesata. Tutte quelle persone mi fissavano, alcune con curiosità, altre con indifferenza altre persino con astio. L’uomo-cavallo si avvicinò a me
-Sei tu la nuova semidea? Come ti chiami bambina?- chiese. Io lo guardai un po’ intimorita. Da ciò che avevo letto i centauri non godevano di una buona reputazione.
-S-sono Giulia, signore- dissi con un fil di voce. Lui sorrise
-Sai già di chi sei figlia?- chiese, sempre sorridendo. Mi guardai intorno, tutti quei ragazzi ora parevano molto interessati alla mia risposta.
-N-no- dissi con un fil di voce, ancora troppo shockata per poter spiccicare parola. Lui mi guardò comprensivo, aprì bocca per dire qualcosa ma la richiuse immediatamente. Aveva gli occhi fuori dalle orbite, anche gli altri mi stavano fissando nello stesso modo.
 –Cosa avete tutti da guardare?- chiesi incrociando le braccia al petto. Una ragazza con lunghi capelli neri e truccata peggio di una Barbie mi corse incontro e mi passò uno specchio. Io lo afferrai riluttante ed osservai il mio riflesso. E rimasi di stucco. Ero circondata da una specie di alone giallo-azzurro e sopra la mia testa volteggiava un simbolo del medesimo colore. Un sole color giallo oro affiancato da una pergamena argentea.
–Ma c-cosa succede?- chiesi confusa facendo cadere lo specchio a terra. All’improvviso l’aria vicino a me si piegò e due figure fecero il loro ingresso in scena. Una, alla mia destra, era una donna con lunghi capelli castani intrecciati fra di loro, con due ciuffi che le ricadevano davanti al viso. Aveva due grandi occhi castani che mi scrutavano con una dolcezza infinita. Era bellissima. Indossava una veste greca candida come la neve invernale e una piccola tiara fra i capelli. L’uomo alla mia sinistra invece era alto e atletico, con una zazzera di capelli biondi e un paio di occhi azzurri da mozzare il fiato. Aveva denti di un candore irreale, un naso perfetto e un viso da far sognare. Indossava una semplice maglia arancione, come quella di tutti gli altri, un paio di jeans e delle All Stars nere, ma risultava perfetto. Come lo avrebbe definito Alice, la mia migliore amica, era un vero schianto. Quando incrociai il suo sguardo avvertii una sorta di calore attraversarmi il corpo. Una ragazza bionda si fece avanti con i grandi occhi azzurri sgranati
-Papà?!- disse sorpresa e il biondo sorrise. Io lo osservai. Papà? Non dimostrava più di diciassette anni! Vidi che una dozzina di ragazzi e ragazze si erano riuniti attorno a quella che aveva parlato. Il ragazzo a quel punto lanciò uno sguardo nervoso alla donna, ma lei non sembrava turbata. Anzi, sembrava così… serena. Entrambi si voltarono verso il centauro, ignorandomi completamente. E il ragazzo parlò:
-Chirone- aspetta. Quel Chirone ? –Zeus non ci permette, soprattutto a me, di stare qui per molto. Sappi solo che questa ragazza- mi poggiò la mano sulla spalla –è mia figlia e che…- venne interrotto dalla donna
-Non solo, Apollo. È anche mia figlia.- replicò, senza perdere la sua espressione tranquilla. Entrambi avevano una voce calda e melodiosa, quasi familiare. Tutto il Campo li guardava con occhi sgranati, alla fine Chirone si fece avanti
-Divino Apollo, divina Calliope. Siamo onorati che siate venuti ad graziarci con la vostra presenza, soprattutto in un momento così delicato, ma non comprendo come possa essere possibile una cosa del genere. Questo farebbe di Giulia una dea.- disse. I due stavano per rispondere, ma io li interruppi. Ecco, piccolo avviso, interrompere un dio, soprattutto se potente come Apollo, non è mai una buona idea. Ma, ehi, io ero ancora sconvolta, mi hanno perdonata, ma potrebbero non essere altrettanto indulgenti in circostanze normali.
-Aspettate, time out! Cosa?- li guardai –Voi siete i miei genitori? Allora perché mi avete lasciato sulla terra? Non mi volevate? Ma soprattutto, perché vi ripresentate solo ora? Dopo quindici anni di vita normale. Perché adesso?- chiesi, forse un po’ troppo dura e insolente. Apollo mi guardò negli occhi, sembrava seccato dal mio comportamento, ma neanche troppo
-No, Giulia, non lo pensare nemmeno. Ovvio che noi ti volevamo, ma è stato complicato. E troppo lungo da spiegare ora. Ma non pensare nemmeno per un istante che sei stata di troppo.- disse. Calliope si fece avanti
- Chirone, noi dobbiamo tornare sull’Olimpo, Giulia ti dirà tutto. Anche se non ne è consapevole, lei sa molte cose.- spiegò, poi si rivolse a me e mi prese il volto fra le mani
–Mi dispiace così tanto tesoro mio- disse dandomi un leggero bacio sulla fronte. Anche Apollo si avvicinò e mi strinse in un abbraccio. Mi sorpresi a ricambiare la stretta
–Qualunque cosa pensi ora e che deciderai di pensare quando saprai la verità, sarai sempre la mia bambina. Rimpiango molto della mia vita, ma non te- mi disse sottovoce. Cosa pensavo in quel momento? Non lo sapevo nemmeno io. Cosa avrei pensato? Non ero più tanto certa di voler sapere la verità. Stavo per piangere, ma mi imposi di rimanere forte ed annuii brevemente. Mia madre e mio padre scomparvero così come erano arrivati, tanto che stentai a credere che fosse accaduto veramente, ma la sensazione dei loro abbracci e dei loro sorrisi era verissima. Mi voltai verso la folla che mi guardava con occhi diversi. Se prima c’era qualcuno che rideva di me sotto i baffi, ora tutti mi guardavano con una sorta di riverenza, un po’ intimoriti forse. Capii che dovevo essere una sorta di scherzo della natura per loro. Perfetto pensai io sona la più diversa fra i diversi. Naturale. Chirone si inginocchiò e gli altri lo imitarono. Poi iniziò a parlare
–Ave, Giulia Bianchi, figlia di Apollo dio delle arti, del Sole e della medicina e di Calliope musa della poesia epica, ave Figlia del Cielo.-
 
*Angolo Autrice*
 Ciao a tutti! Sono willsolace_leovaldez, potete chiamarmi Willie, e sono tornata dopo tanto, forse troppo, tempo con una nuova storia su Percy Jackson! *lancia coriandoli in aria* okay, ad essere sinceri questa non è una nuova storia. Ce l’ho pronta da davvero parecchio tempo, qualche anno in verità, ed oggi ho deciso che valeva la pena farla leggere a qualcuno, invece che tenerla in un angolino a prendere polvere. Ma perché ho aspettato così tanto tempo prima di pubblicarla? Sinceramente, non lo so neanche io. Forse un po’ perché non era finita e un po’ perché tendo a modificare le storie più e più volte, fino a che non sono esattamente come voglio io. Questa potrebbe non essere perfetta, ma mi piace abbastanza, quindi eccola qui! Detto ciò, che ne pensate? Spero vi piaccia e che non vi sia sembrata noiosa, io ho cercato di renderla il più divertente possibile, e spero vivamente di esserci riuscita. Fatemi sapere se volete che la continui. Se così fosse, giuro che mi impegnerò a pubblicare un nuovo capitolo ogni settimana e a non essere una ritardataria cronica ahahahaha
Un bacio ed un abbraccio enorme,
Willie 
   
 
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