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Autore: Enid    12/06/2018    1 recensioni
Storia scritta per la Challenge di Natale 2017 del gruppo Aspettando Sherlock 5 - Spoiler ed Eventi
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Promt di Aurora Bernardi: Sherlock e John sono sposati, vivono una vita felice e hanno finalmente trovato la serenità. Durante un caso Sherlock ha un incidente e si risveglia in ospedale, scoprendo di aver perso la memoria. A quel punto John dovrà aiutarlo a ricordare e soprattutto, dovrà riconquistare il suo amore.
Dedica:
Questo è uno dei miei trope preferiti di sempre: l’amnesia! Ho saltellato quando ho visto questo prompt e l’ho scelto subito!
Nota: ci ho messo 6 mesi MA LA FIC E' COMPLETA! Metterò un capitolo a settimana ^^
Curiosità: Il titolo della storia è il titolo di una famosa canzone folkloristica inglese che si canta a natale, e i capitoli... sono il testo della canzone, ovviamente adattati!!
Genere: Azione, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Day one: On the first day of Christmas ironic fate sent to me, a retrograde amnesia!

Bip bip bip bip bip…
Negli ospedali, era sempre l’udito che gli rivelava dov’era, il necessario quanto fastidioso bip degli strumenti che tenevano d’occhio le sue condizioni fisiche era inconfondibile. Dolore… mal di testa, una sensazione sgradevole alla mano, la flebo sicuramente. Braccia e gambe sembrano integre, quindi niente fratture. Niente intontimento da morfina, quindi niente operazioni. Commozione cerebrale? Sembra la conclusione più logica… che strano, qualcuno mi sta tenendo la mano… Sherlock decise di aprire lentamente gli occhi solo dopo aver esaurito le informazioni che gli altri sensi potevano dargli. La luce sembrava attenuata, quindi chi era nella stanza sapeva che la luce forte sarebbe solo stata un fastidio. Non vide nessuno davanti a sé, ma sentì movimento alla sua sinistra, dal lato dove qualcuno stava tenendogli la mano e accarezzando il dorso della stessa.

“Sherlock…”

Un uomo di mezz’età, circa un metro e settanta scarso, preoccupato, non dorme da almeno ventiquattro ore, forse trentasei, mi ha chiamato per nome, quindi mi conosce, e continua a tenermi la mano. È un medico, dal modo in cui mi sta tenendo il polso e contando i battiti, nonostante il monitor, ma non è un medico dell’ospedale, non ha il camice. Le sue mani hanno calli da pistola e fucile da assalto, medico dell’esercito?

“Afghanistan o Iraq?”

Il tonfo dell’uomo sulla sedia dell’ospedale lo prese di sorpresa in effetti. Era impallidito e si era seduto di botto, come se le gambe non lo sorreggessero più.

“Co… Sherlock, cosa?”

Eppure non mi pareva sordo.

“Afghanistan o Iraq? È un medico, lo so da come mi prendeva le pulsazioni cardiache poco fa, ma sulle mani ha calli da armi da fuoco. I capelli però sono fuori ordinanza, quindi non è più in servizio attivo. Non è un medico dell’ospedale: non ha il camice e un medico non si sarebbe soffermato ad accarezzarmi la mano. Anzi, questo gesto dice che noi ci conosciamo, o almeno che lei mi conosce, forse da molto tempo, ma io non ho idea di chi lei sia. So però che è un ex soldato e un medico, le uniche due guerre abbastanza recenti da giustificare un addestramento alle armi come il suo sono quelle in Afghanistan ed in Iraq, dunque: quale delle due?”
La bocca dell’uomo si aprì e si chiuse un paio di volte. Poi si serrò di nuovo in un’espressione che diede a Sherlock uno strano senso di disagio.

“Afghanistan. Ma tu questo lo sapevi già. Sherlock, mi stai dicendo che non mi riconosci?”

Ma cos’è, io perdo la memoria e la gente perde quoziente intellettivo?

“Oserei dire che è esattamente quello che voglio dire, dottor…?”

“John… John Watson. John Watson-Holmes ad essere precisi.” Rispose lui.

“Oh, Mycroft ha finalmente deciso di accettare la sua omosessualità latente? Non avrei mai pensato che…” Sherlock non riuscì a finire la frase. L’uomo – John – era diventato di un colore vagamente verdognolo, si era alzato di colpo ed era uscito dalla stanza, zoppicando, senza dire una parola. Il consulente investigativo guardò la porta lasciata aperta con fare interrogativo. Poi si guardò intorno e quando lo sguardo cadde sulla mano sinistra, si accorse che il fastidio della farfalla della flebo gli aveva impedito di sentire qualcos’altro. Un anello di platino all’anulare sinistro.
Con delicatezza per non disturbare la flebo – anche se era piuttosto sicuro che avrebbe potuto toglierla da solo senza alcun problema – sfilò l’anello. Sembrava ben tenuto, lucido ma con segni che erano evidentemente dovuti al fatto di indossarlo costantemente. L’interno era pulito, probabilmente lo toglieva prima di fare esperimenti che lo danneggiassero. A quanto pare, ci tengo molto. E dentro, un’incisione. “JWH, you’re amazing”.
C’è sempre qualcosa…
Si rinfilò la fede giusto in tempo per non farsi trovare da Mycroft a fissarla come un ebete. E sì, quello era sicuramente Mycroft ma… non se lo ricordava così magro né così vecchio. I capelli erano scuri l’ultima volta che ricordava di averlo visto, ma ora avevano segni di argento sulle tempie, e il vanesio fratello maggiore non sembrava disturbato da ciò.
La mia amnesia deve essere peggio di quello che pensavo.

“Sherlock, cosa hai detto di così tremendo per aver fatto uscire John dalla stanza?” Il maggiore degli Holmes, come ci teneva sempre a ribadirgli, attese la sua risposta con un sopracciglio alzato ed entrambe le mani congiunte sull’impugnatura dell’ombrello, la sinistra sopra la destra. Sherlock lo osservò attentamente. Lo scintillio sull’anulare sinistro non passò inosservato. Che diamine…

“Sei… diverso. Meno insicuro, e non dipende dal fatto che pare che la tua ultima dieta stia funzionando, ma hai un’aria quasi… soddisfatta. Cos’è, hai scatenato la 3° guerra mondiale? No, non è questo…” Mycroft sospirò. Sherlock odiava quando sospirava a quel modo: lo faceva sempre quando aveva capito qualcosa e si apprestava a spiegargliela.

“Sherlock. Come penso avrai capito, soffri di amnesia retrograda.”

“Grazie Mycroft,” lo interruppe tagliente, “non ci sarei mai arrivato. Adesso puoi darmi qualche informazione utile? Tipo che giorno è oggi?

“Oggi è il 25 dicembre 2017. John è tuo marito, grazie tante per il trauma mentale che gli hai inferto e che hai inferto a me, e siamo al Royal London Hospital, in una camera privata. Ho appena parlato col tuo medico: ha accettato di mandarti a casa domani a patto che tu stia con John, che, come penso avrai già capito, è un medico.”

“E tu mi manderesti a casa con uno sconosciuto?”

Per te è uno sconosciuto, fratellino. Per me, è mio cognato da oltre tre anni, e il tuo coinquilino, a fasi alterne, da sette. Quindi sì, mi fido a mandarti a casa con lui.” Mycroft gli rivolse un sorrisetto. “E adesso, fratellino, perdonami, ma mio marito mi aspetta a casa. Sei pronto a chiedere scusa a John per quello che gli hai detto prima? Posso rimandarlo dentro?”
Evidentemente Mycroft prese il silenzio (e la faccia sorpresa) di Sherlock come un assenso perché girò i tacchi ed uscì.
Sherlock si rese conto di essere abbastanza ridicolo quando John tornò dentro, meno verde ma ancora pallido, e con l’odore del pessimo caffè della caffetteria addosso. Sapeva di avere ancora la bocca semi aperta, ma il dottore (suo marito!) non ci fece caso. L’uomo entrò nella stanza zoppicando vistosamente: strano che nell’ospedale nessuno gli avesse dato un bastone.

“Mycroft ha detto che domani posso uscire dall’ospedale solo se torno a casa con te… ma se n’è andato prima che potessi chiedere… dov’è casa?”

Sherlock vide l’uomo prendere un respiro e farsi forza.

“221b Baker Street. Dove è stata negli ultimi sette anni.” Il tono era forzatamente neutro.

“221b Baker Street… Mrs. Hudson?” una parte di sé trasalì alla faccia ferita dell’uomo, che riprese rapidamente il controllo delle sue espressioni.

“Sì. Ti ricordi di lei?”

Il “e non di me” era come urlato nella sua assenza.

“Sì… sì, ricordo che l’avevo contattata per prendere in affitto l’appartamento a metà dicembre. Non ricordo di essermici mai trasferito.”

“Questo se non altro ci aiuta a capire il lasso di tempo della tua amnesia. Siamo andati ad abitare al 221b a gennaio del 2010. Tu un paio di giorni prima di me.”

E in due settimane avrei trovato una persona che poi avrei sposato? L’ultima overdose deve essere stata brutta.
Il silenzio si protrasse per diversi minuti. L’uomo che diceva di essere suo marito era seduto immobile sulla sedia, un’immobilità quasi innaturale. Sherlock invece continuava a giochicchiare con il bordo del lenzuolo.
Ad un tratto, si ricordò che non aveva ancora provato ad accedere al proprio palazzo mentale. Si rilassò contro il cuscino e mise le mani congiunte sotto il mento, riportando alla mente la sontuosa struttura che era abituato a visualizzare.
Entrò e iniziò a girare per le sale, sembrava tutto perfettamente a posto.
Che strano, mi sarei aspettato di trovare almeno confusione. Può essere che debba solo accedere alle stanze giuste?
Visitò l’ala est, poi l’ala sud e l’ala ovest. Perfette. Poi si incamminò verso l’ala nord. E lì trovò un problema.
Ah. Ecco perché. È tutto bloccato.
Le scale erano bloccate al centro da una parete crollata. Provò a spostare i pezzi, ma sembravano semplicemente aumentare.

“Tutto bene nel tuo palazzo mentale? Mi sembri in difficoltà.” Fu la voce di John a distrarlo.

“Tu sai del mio palazzo mentale?” chiese, rinunciando controvoglia ai suoi tentativi, peraltro infruttuosi. John sorrise, la prima volta che gli vedeva un’espressione più distesa.

“Difficile non saperlo, visto che ci passi molto tempo. Qualcosa non va?”

“L’ala nord è bloccata.”

“Ah. Ora capisco perché non ti ricordi di me… né degli ultimi sette anni.” Sherlock fu sorpreso che John avesse perfino un’idea della mappatura del suo palazzo mentale. “Dici sempre che l’ala nord è la mia.”
Sherlock si chiese come un uomo sulla quarantina potesse ancora arrossire. Forse era la carnagione chiara a favorire quell’effetto. Le sue elucubrazioni furono fermate da una voce alla porta.

“Oh, ben svegliato Sherlock. John, ti faccio preparare la branda?” chiese la dottoressa affacciata. Evidentemente li conosceva. Il suo turno era appena iniziato e vide John non scomporsi quando lei si affacciò, segno che si conoscevano molto bene. Non riuscì, però, a non essere incuriosito.

“Ah… No, no, grazie Mary, torno a casa questa sera, a sistemare per il ritorno di Sherlock.”

“Bene. Sono contenta di vederti sveglio, Sherlock. Ora riposati e cerca di non far venire altri capelli bianchi a John.” Lo disse sorridendo. Non aspettò una sua risposta, riprendendo il giro delle stanze.
John si alzò, prese la giacca pesante drappeggiata sulla spalliera della sedia, e poi fece per chinarsi su Sherlock. Il consulente investigativo sgranò gli occhi, e John fece lo stesso, tirandosi frettolosamente indietro. Si schiarì la gola.

“Buonanotte, Sherlock. Ci vediamo domani a casa, viene a prenderti Mycroft, ha detto che voleva parlarti.”

“Ottimo. Di nuovo nelle mani di mio fratello…”

“E quando non lo siamo? A domani.”

“A domani, John.”

Sarà lunga fino a domani…
 
   
 
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