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Autore: P h o e    13/06/2018    1 recensioni
Sul limitare del bosco, si nasconde un villaggio antico dagli oscuri segreti e dalle credenze popolari di un'era severa e rigida. La famiglia di Fine vive serena in questo villaggio, finché un malore non colpisce la madre Elsa.
Spezzata la quotidianità di quelle giornate con cui Fine era cresciuta e che amava, la fanciulla decide di intraprendere un viaggio che la porterà a scoprire i segreti più profondi di un bosco che si dice sia maledetto, per trovare una cura al malore della madre.
Ma non sarà sola.
| redmoon!centric/ con accenni di bluejewel | long fic | alternative universe |
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fine, Shade, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La maledizione del bosco
Capitolo I: caccia alle streghe







 
Sul limitare di un bosco, dove le credenze popolari erano ormai un culto e la neve attecchiva per quasi tutto il periodo dell'anno, vi era un piccolo villaggio la cui modesta popolazione superava a malapena i duecento abitanti. Non confinavano con castelli o lussuose città, il terriccio che lo ricopriva non aveva nulla a che fare con i ciottoli che tappezzavano il terreno di una città.
Le case di pietra erano disposte circolarmente attorno ad un enorme pozzo al centro del villaggio e le fiaccole seguivano i sentieri per illuminare le notti più buie, era un'epoca dove la paura regnava e le credenze erano all'ordine del giorno.
Caccia alle streghe, ecco di cosa si occupavano gli abitanti. Vi era un credo comune su cui erano d'accordo tutti: il bosco con cui confinava il loro villaggio era il nascondiglio delle streghe e l'avvento di stranieri non era ben visto, soprattutto se coloro che mettevano piede al villaggio erano donne.
Vorrei potervi rassicurare che quest'argomento non mi riguarda, ma non è così.
Nonostante questo fenomeno che si verificava sempre più frequentemente, la vita trascorreva calma e le giornate abitudinarie volavano. Vivevo in una discreta abitazione di pietra che si ergeva dinanzi alla piazza principale, gli abitanti erano cordiali, alcuni si affacciavano addirittura ai davanzali delle finestre per augurare buona giornata. Nessuno sembrava avere segreti e i volti erano sempre gli stessi da che ne ho memoria. 
Sembrerebbe una bella favola, in fin dei conti avevo tutto quello che potessi desiderare: una casa, una famiglia e presto sarei anche diventata zia, mia sorella aspettava un bambino e il pancione cresceva a dismisura. Ma si sa che non può essere sempre tutto rose e fiori.
Quella mattina d'inverno in cui il villaggio si ricopriva di un candido manto bianco, tornai con il solito secchio d'acqua tra le mani. Era stata una notte burrascosa, ma quel giorno il cielo era limpido. Il gelo accompagnò la porta e dal mantello si poteva udire il tintinnio delle gocce che cadevano al suolo.
«Sono a casa» proclamai, senza ricevere risposta alcuna. 
Era insolito entrare e non sentire nessun rumore. Durante la giornata papà si occupava di costruire, riparare ed eventualmente inventare nuovi apparecchi che ci consentivano di condurre una vita più agiata, aveva appreso il mestiere di fabbro dal nonno, ma era un vero e proprio genio, un inventore. Mamma invece era sempre indaffarata con le faccende domestiche e grazie alle sue abili mani dalla cucina proveniva sempre un profumo delizioso di pane dolce e crostate ai vari gusti fruttati. 
Ma quella mattina la casa sembrava deserta. Posai il secchio di acqua all'entrata e mi mossi indisturbata, avvicinandomi al tavolo per arraffare una mela rossa alquanto invitante. 
Non avevo la più pallida idea di cosa fosse successo e se al tempo lo avessi saputo, probabilmente non sarei mai uscita per andare a prendere l'acqua.
Le risposte alle mie domande giunsero quando qualcuno varcò la soglia della cucina con passo felpato, sussultai per lo spavento e mi girai, appiattendomi contro il tavolo.
«Fine, ti ho spaventata?» domandò tuttavia cordiale. Era Bright, il marito di mia sorella, nonché il padre del futuro nascituro. 
Bright era sempre stato un ragazzo gentile dall'animo nobile, trattava mia sorella come una vera principessa e da come si comportava sembrava che avesse ricevuto un'educazione da vero signore. Ma quella mattina aveva il volto pallido e le guance scavate, come se avesse appena visto un fantasma.
«Bright, mi hai spaventata, che succede?» domandai, posando la mela mangiucchiata e avvicinandomi piano.
Lo vidi esitare, le labbra erano ridotte ad una linea sottile e nel suo sguardo si leggeva angoscia. Iniziai sul serio a preoccuparmi e lo fissai apprensiva per incoraggiarlo a parlare. Mille domande vorticavano nella mia testa, frullandola, ma le risposte non tardarono ad arrivare. 
«Si tratta di Elsa, è stata male...» parlò con un filo di voce, mentre il mio sguardo fisso non lasciava trasparire nulla di buono, «Non si sveglia da qualche ora, Tolouse e Rein l'hanno portata dal medico, ma le condizioni non sono buone»
Rimasi pietrificata dalle sue parole, il gelo da fuori sembrava essersi insinuato tra i muri e sotto le mie vesti, poiché rabbrividì agghiacciata. Come poteva essere successo? Mai che nostra madre avesse mostrato segni di debolezza o rallentamento, era sempre stata una roccia, la donna che tutti meriterebbero al proprio fianco e non poteva realmente essere sul ciglio tra la vita e la morte.
Bright mosse qualche passo avanti nel tentativo di confortarmi, ma prima che potesse avvicinarsi scattai all'indietro, seguita dai suoi richiami. Spalancai la porta e mi precipitai fuori per raggiungere la capanna del medico. 
Correvo col fiato corto e le lacrime che colavano come pioggia dagli occhi vermigli. Qualcosa si era improvvisamente spezzato nella bellezza di quella quotidianità che tanto amavo, cosa sarebbe accaduto da lì in avanti? Vorrei aver avuto più risposte in quel momento, ma tutto avviene per una ragione.
E anche sbattere contro qualcuno, nella confusione del momento, avvenne per una precisa ragione. I miei pensieri si arrestarono e barcollando appena indietro, ripresi l'equilibrio. 
«Fine» riconobbi subito quella voce, erano anni che conoscevo quel tono serio e pacato. 
Avevo dimenticato di menzionare la persona che forse più di tutte desideravo al mio fianco in quel momento di inquietudine. Il suo nome era Shade, lo conoscevo da così tanti anni da aver smesso di contarli e per anticipare i pensieri di tutti, non vi era alcun sentimento nel mezzo, da parte sua almeno. Era capitato nel corso degli anni e senza che potessi impedirlo, il suo magnetismo, la sua calma come se tutto andasse sempre bene e la sua capacità di risultare misterioso perfino agli occhi di chi lo conosceva da anni era quasi innaturale, ma lo apprezzavo. Non era di molte parole, eppure con lui ero sempre riuscita a confidare i miei più profondi segreti e lui mi ascoltava sempre.
Avrei tanto desiderato averlo al mio fianco per essere incoraggiata, ma in quel momento di sconforto ogni azione dettata dal mio cervello era completamente sconnessa dal corpo, per questo serrai le labbra fissandolo disperatamente per qualche secondo, in cui lui parve assumere un'espressione diversa dal solito, più preoccupata, ma lo superai senza aggiungere altro. 


Il fuoco all'interno della stanza scricchiolava creando lievi filamenti aranciati all'interno del camino, gli unici rumori che si potevano udire erano quelli e la neve fuori che cadeva dal ramo più basso, mischiandosi al terreno sottostante. Le fiaccole illuminavano parzialmente il viso di mia madre, rendendolo ancora più pallido di quanto già non fosse, non sembrava nemmeno che respirasse, da quanto serena era la sua espressione. 
Il religioso silenzio che aleggiava nella stanza si aggiungeva all'atmosfera cupa. Tutta la famiglia era accerchiata attorno al capezzale di una donna che aveva taciuto il suo malessere interiore ed aveva avuto così tanta premura nei loro confronti. 
«Da quanto lo sapeva?» domandai forse più a me stessa che a chiunque altro. 
«Fine, lo sai che non è» incalzò mia sorella, alle mie spalle, appoggiando una mano sulla mia schiena. 
«Come abbiamo potuto non accorgercene?» continuai infuriata con chiunque avesse deciso di giocare uno scherzo del genere ad una delle famiglie più felici di quel villaggio. Non volevo e non potevo credere che stesse succedendo a noi.
«Vostra madre era una donna altruista e forte» disse mio padre, con tono affranto, «Ha sempre pensato prima al nostro bene che a sé stessa e forse è per questo motivo che non ha voluto parlarne con nessuno»
La fissai: Era così bella, eppure così malata, con il viso scarno e più pallido del solito. Pensai che quel malore l'avrebbe consumata fino alla morte.
Non poteva succedere, doveva esserci una soluzione. Mi alzai di scatto, infilando il mantello e imboccando la strada per l'uscita. Incrociai il medico che stava rientrando con delle erbe curative tra le mani, non aveva una bella cera e questo intese chiaramente quanto fosse grave la situazione.
«Dove vai?» chiese Rein, seguendomi sull'uscio della porta con uno scialle avvolto attorno alle spalle.
«A cercare qualcuno che possa aiutarmi» risposi.
«Ma chi altro può aiutarci?»
Ci pensai bene prima di rispondere e fissai un punto indefinito sul corrimano di legno che accompagnava i gradini, «Non ne ho idea, una strega credo».








 
 
Nota autrice: 
Ebbene finalmente sono tornata su questo fandom, devo ammettere che di recente ho letto un libro che mi ha aiutato a creare questa storia, anche se alcuni tratti possono essere somiglianti, sarà completamente diversa, sperando ovviamente di suscitare l'interesse di tutti. 
Ci tengo a specificare che questa storia, se non si fosse capito, è ambientata nel 1400. Ho voluto iniziare diversamente dal solito, ovvero che Fine e Shade si conoscono già e anche da molto tempo, quasi da quando sono bambini. Spero vivamente di non deludervi! 
  
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