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Autore: MoreUmmagumma    14/06/2018    3 recensioni
Una scatola può contenere molti ricordi: dei semplici bottoni, un biglietto del cinema o del teatro, delle fotografie... ma può contenere anche una storia d'amore.
E Laura lo sa bene, nel momento in cui per caso, all'interno di una soffitta polverosa, trova il tesoro più inestimabile nella vita di ogni essere umano.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
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Capitolo III

 

Era passato davvero tanto tempo dall’ultima volta in cui Gabriella era entrata di sua spontanea volontà dentro una chiesa.
Il forte odore d’incenso le dava la nausea e tutto lì le riportava alla mente l’orribile ricordo di Suor Teresa e della sua voce stridula.
Quella donna non aveva mai avuto una particolare simpatia per lei, già dal primo giorno in cui mise piede nell’istituto. 
Ricordò benissimo la prima volta che ricevette una punizione: erano ormai due settimane che si trovava lì, aveva dodici anni, e il grande ciliegio nel giardino era già pieno zeppo di grandi e succose ciliegie, destinate ad essere vendute per ricavarne soldi da donare alla chiesa. Nessuno era autorizzato a raccoglierle.
Ma Gabriella non prestò attenzione agli avvertimenti delle compagne. Era abituata sin da bambina ad arrampicarsi sugli alberi, così un pomeriggio rubò un cestino di vimini dalla cucina, e approfittando dell’assenza di Suor Teresa cominciò a cogliere prima quelle più basse, e poi, non contenta, pensando di prenderne un po’ anche per le sue amiche, si arrampicò.
Ma non fece in tempo ad arrivare a quelle più in cima che il ramo sotto al suo piede di spezzò, causandole una brutta caduta con una gamba fratturata.
Il medico che la curò costò caro all’istituto. Suor Teresa, oltre che per la sua severità, era conosciuta anche per la sua taccagneria. Per questo Gabriella, dopo aver ricevuto una quantità indefinita di bacchettate sui palmi delle mani, fu reclusa nella stanza nel sottotetto per “convalescenza”.
Ma ciò non bastò a placare il suo animo ribelle e diventò presto la beniamina delle sue compagne.
Quando Aurora arrivò all’istituto, Gabriella ne fu gelosa. Diventò subito la sua nuova compagna di stanza e non perse tempo a nasconderle le rane sotto le lenzuola o a tagliarle ciocche di capelli durante la notte.
Ma Aurora non rispose mai alle sue provocazioni. Anzi, era sempre pronta a perdonarla o a ignorarla. E fu l’unica che riuscì veramente a “domare” Gabriella con la sua dolcezza ed ingenuità.

 

♦♦♦

 

Gabriella osservava Aurora, seduta in seconda fila, mentre cantava. Le piaceva il modo in cui la sua bocca si faceva rotonda per scandire bene le “O” e il suo sguardo sereno, pieno di fede, quella fede che ormai lei aveva perso da tempo, che sentiva che in qualche modo le impediva di essere se stessa.
Aurora si accorse di lei e le sorrise, senza smettere di intonare quel canto religioso, che sulle sue labbra sembrava la melodia più soave del mondo.
«In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.» la voce del parroco la destò dai suoi pensieri e subito li scacciò con un cenno della testa. «Ite, missa est.»
«Deo gratias.»
Ad Aurora invece piaceva andare in chiesa: era l’unico momento in cui poveri e ricchi si riunivano assieme. Non che fosse una fanatica religiosa, ma quel luogo le dava una specie di sicurezza. Inoltre, trovava un certo piacere nel vedere come vestivano le nobildonne e pensava che un giorno, anche a lei, sarebbe piaciuto disegnare abiti per signore altolocate, e vederli andare in giro, indossati con così tanta grazia ed eleganza.
«Aurora! Che grande piacere averti di nuovo qui!»
«Buongiorno, don Pietro!»
Il prete avvolse la ragazza in un caloroso abbraccio.
«Che cosa devo fare per averti di nuovo nel coro della mia umile chiesa?»
«Quando desiderate, don Pietro. Resterò in paese fino alla fine dell’estate.»
«Sono certa, don Pietro, che la nostra Aurora sarà più che ben lieta di unirsi ai vostri canti domenicali.» si intromise Emma, stringendo la mano dell’uomo.
«Me ne compiaccio.» rispose lui. «Ho notato un certo calo della frequenza da quando se ne è andata.»
Emma rise, portandosi una mano sul cuore.
Gabriella fu presentata, con un certo restìo da parte sua. Sicuramente avrebbe speso più che volentieri le domeniche mattina in altro modo, piuttosto che sentire sproloqui sul Vangelo volti alle orecchie di annuenti e devoti seguaci.
Salutarono don Pietro ed Emma invitò le ragazze ad unirsi con lei nella carrozza, che le avrebbe riportate a casa.
«Se non vi dispiace, mamma, preferiamo passare la giornata fuori oggi. C’è un così bel sole. E poi vorrei mostrare la campagna a Gabriella.»
Emma si raccomandò di ritornare a casa prima che facesse buio, dopodiché salì sulla carrozza e se ne andò.
Così, le due ragazze si incamminarono verso i campi.
Immense distese di prati si stagliarono di fronte a loro in tutta la loro maestosità. Il sole era caldo e i suoi raggi si poggiavano dolcemente sui loro volti, facendone diventare rosee le gote, nonostante i cappelli di pizzo a far loro ombra. 
Per i primi dieci minuti nessuna di loro aprì bocca: di comune e silenzioso accordo decisero entrambe di godersi i suoni che la natura serbava. Ma qualcosa turbava la mente di Gabriella. Aurora la conosceva abbastanza da potersene accorgere con un solo sguardo. 
«Cos’è che ti preoccupa?» le chiese.
Ma Gabriella non rispose.
«Stai forse pensando a quando torneremo a Roma?»
«Io non ci torno.» le disse infine, voltandosi verso di lei, con sguardo serio.
Aurora non capiva.
Cosa significava?
Non aveva ancora raggiunto la maggiore età per potersi mantenere da sola, cosa avrebbe fatto?
Si sedettero sul prato, sulla riva di un laghetto non molto distante dalla casa di Aurora.
«Ma cosa farai? Che ne sarà di te? Ti prego, Gabriella, parlami. Non posso sopportare l’idea di saperti da qualche parte da sola, lontana da me.»
Gabriella sospirò.
«I miei genitori stanno considerando l’idea di mandarmi in un convento in Svizzera. Non ho una buona reputazione nel collegio a Roma, dicono che nessuno mi accetterà mai come moglie se continuo così. Come se questa fosse la cosa alla quale tengo di più.»
«Non vuoi sposarti un giorno?»
«No.» rispose secca.
Aurora era ancora più confusa. Conosceva l’animo ribelle di Gabriella, ma aveva sempre dato per scontato che fosse una fase della crescita, che si sarebbe un giorno acquietata una volta diventata adulta e moglie.
«Io voglio viaggiare, voglio vedere il mondo, andare in America forse.  Le donne in Inghilterra si stanno battendo per il diritto al voto e qui noi ci preoccupiamo di quale centrino si abbini meglio con le tende del salotto. Pensaci, Aurora...» le disse, prendendole le mani. «Pensa a come sarebbe se fossimo veramente libere… a come sarebbe essere te stessa, senza che nessuno ti giudichi.»
Per un momento Aurora si sentì stupida.
Non aveva mai riflettuto su queste cose e Gabriella sapeva andare lontano con le parole; le piaceva l’influenza che aveva su di lei, come se sapesse tirar fuori quello che aveva dentro e che ancora non sapeva di avere.
Per un attimo pensò di unirsi a lei. L’idea di fare quelle cose fuori dal comune la attirò come una calamita. Ma la realtà la riportò indietro: quello era un mondo di uomini e due ragazzine di diciassette anni non sarebbero andate poi tanto lontano.
Ma Gabriella pareva entusiasta. 
«Vieni con me.» le disse, come se quasi le avesse letto nella mente.
Aurora accennò un lieve sorriso. 
Si ritrovò a fissare lo sguardo intenso della sua amica, dimenticandosi completamente della conversazione che stavano avendo. 
Quegli occhi blu come il mare ad agosto, la guardavano come nessuno aveva mai fatto prima. D’improvviso sentì il cuore martellarle nel petto e il fiato le morì in gola. 
Perché la osservava così?
Perché più la guardava e più si sentiva vulnerabile?
Ma soprattutto, perché non le dispiaceva?
Aurora non sapeva darsi una risposta.
Dall’altra parte Gabriella provava le stesse sensazioni, ma al contrario di Aurora sapeva benissimo cosa stava accadendo. 
Si soffermò ad osservare le sue labbra, così tenere e piene, resistendo all’irrefrenabile impulso di sfiorarle con le sue e si domandò se anche lei stesse provando lo stesso. 
«Gabriella?»
Il tempo sembrava essersi fermato. 
Perfino le cicale parevano essersi ammutolite in quel preciso istante.
«Sei la migliore amica che una ragazza possa avere.» continuò Aurora. «E io non voglio perderti.»
Le stampò un bacio sulla guancia. 
Il viso di Gabriella si fece rosso e i battiti del cuore si fecero più veloci. 
Tentò di scacciare quelle sensazioni incomode di calore; guardò l’acqua del lago e immediatamente le venne una voglia improvvisa di tuffarcisi dentro, tanto sembrava fresca.
Si alzò di scatto, si levò gli stivaletti e tese una mano ad Aurora.
«Dai, facciamoci un bagno!» le disse.
«Adesso?! E se passa qualcuno e ci vedesse?»
«Chi vuoi che passi? Dai, ci saranno almeno trenta gradi oggi.»
«Ma non abbiamo l’abbigliamento adatto!» rise Aurora, mentre Gabriella si disfaceva dell’abito, lasciandosi addosso solo la sottana.
«E allora? Abbiamo la sottoveste!»
Aurora la vide correre verso l’acqua e immergervisi dentro senza nessuna esitazione.
La campagna era deserta e il paese distante almeno due chilometri. L’unico rumore era il frinire delle cicale, la brezza estiva che muoveva dolcemente le fronde degli alberi e gli schizzi d’acqua del laghetto misti alla voce di Gabriella, che cercava ancora di persuaderla ad unirsi a lei.
Aurora sospirò e in un breve istante si fece convincere; rimanendo anche lei con la sottoveste si immerse nell’acqua, tra schizzi e risate e per la prima volta nella sua vita, capì cosa significava essere giovane e libera.

 

♦♦♦


 

Quel pomeriggio, al suo rientro a casa, Aurora trovò una sorpresa ad attenderla.
Seduto sulla poltrona del salotto, a bere una tazza di tè con i genitori, c’era suo fratello maggiore Tommaso, bersagliere da due anni fino ad allora, e rientrato a casa dalla licenza.
Aurora gli corse incontro, saltandogli letteralmente addosso.
Sin da bambina era molto legata a lui, ma da qualche anno erano rare le volte in cui poteva godersi la sua compagnia.
«Che bello che sei tornato! Quanto rimani?»
«Un paio di settimane, circa.» le rispose lui. «Ma non potevo assolutamente non prendermi qualche giorno per stare un poco con la mia sorellina.» aggiunse, facendo poi il solletico alla ragazza che scoppiò in una fragorosa risata, mentre cercava di divincolarsi.
Un istante bastò poi per Tommaso per notare Gabriella vicino alla porta, mentre guardava la scena, divertita.
Da figlia unica quale era, era difficile per lei immaginarsi quei momenti di tenerezza che si potevano provare avendo un fratello maggiore nella propria vita.
«Sono desolato, non sapevo avessimo ospiti.»
«Tommaso, questa è la mia amica Gabriella, è la mia compagna di stanza nel collegio.»
«Incantato.» 
Il ragazzo le prese dolcemente la mano sinistra e se la portò alle labbra, sfiorandone dolcemente la pelle.
Gabriella arrossì visibilmente. 
Non tanto per trepidazione, quanto per l’imbarazzo del non aver mai ricevuto un baciamano prima d’ora. 
Gli uomini sapevano essere galanti, questo lo sapeva, ma il sorriso compiaciuto di Tommaso le fece dubitare che sapessero bene quando un gesto lusinghiero venisse apprezzato o no. 
Ma decise comunque di non darlo a vedere.
«Il piacere è tutto mio.»

 

Quella sera a cena l’attenzione era tutta concentrata sugli aneddoti accaduti dall’ultima volta che Tommaso era tornato a casa.
Aurora pendeva dalle sue labbra e divagò più volte quando il fratello le chiese cosa combinassero lei e le sue compagne nell’istituto, affermando che i suoi racconti fossero molto più interessanti dei propri.
Gabriella in tutto questo rimaneva in silenzio, sorridendo per non sembrare sgarbata, Apprezzava la fedeltà di Aurora e il modo in cui cercava di spostare l’attenzione al suo interlocutore.
Non che a Tommaso dispiacesse.
Lo aveva capito dal modo insistente con cui l’aveva guardata per tutta la serata.
Non era un cattivo ragazzo, questo lo aveva intuito.
E nemmeno un pallone gonfiato.
Ma in qualche modo lei gli aveva evidentemente dato dei messaggi sbagliati.
E il non saper come rimediare le mise un’ansia addosso.
Chissà se Aurora se ne era accorta.
I suoi pensieri vennero interrotti dalla cuoca, che entrò in sala da pranzo brandendo una lettera in mano.
«Signora Emma!»
«Cos’è tutto questo trambusto, Maddalena?» rispose la padrona di casa. «Che motivo c’è di agitarsi tanto?»
«Mi sono dimenticata di dirvi che è arrivata questa lettera stamattina. Oh cielo, che sbadata che sono! Eh, non ho più la memoria di una giovane, io.»
La madre di Aurora lesse la lettera in silenzio, lasciando il resto dei commensali col fiato sospeso.
«Di cosa si tratta, mamma? Vi prego, non ci tenete sulle spine.»
«È una lettera del Conte e della Contessa Lanza. Daranno una festa nel loro palazzo questo sabato in onore del venticinquesimo compleanno del figlio Rodolfo. Oh, finalmente! Era ora che la nostra piccola Aurora facesse il suo debutto nella società. Allora, Aurora, sei contenta?»
Aurora era più che contenta.
Non le pareva vero, aveva l’occasione di sentirsi un po’ come una principessa di una fiaba, avrebbe danzato tutta la sera, indossato un vestito per l’occasione, magari disegnato e cucito da lei stessa, e poi gioielli… oh, stava divagando. 
«Verrà anche Gabriella, vero mamma?»
Gabriella sorrideva, sperando di sembrare entusiasta almeno la metà di come lo era Aurora. Ma vederla così felice fece smuovere un senso di contentezza anche dentro di lei. 
«Ma certo!» rispose Emma. «Non possiamo mica lasciarla qui a casa tutta sola. E poi, finché sarai ospite di questa casa, verrai trattata come un membro della famiglia.»


Quella sera Aurora andò a letto con tanta eccitazione in corpo.
Finalmente aveva l’occasione di uscire dai panni di una ragazzina ed entrare nel mondo degli adulti. 
Quella vacanza stava procedendo nel migliore dei modi, addirittura meglio di come aveva immaginato.
Ma la cosa che più la faceva trepidare era il poter condividere tutto quello con Gabriella. E si rese conto quella notte che il suo affetto per lei cresceva a dismisura. 
Di colpo le ritornò in mente quello che era successo quel giorno al laghetto.
Quel sentimento sconosciuto provato allora la tormentò dentro, impedendole di prendere sonno.




Note dell'autrice:
Mi scuso per il ritardo con cui ho postato questo capitolo, ma un po' per impicci personali, un po' per mancanza di ispirazione, ci ho messo un po' per scriverlo.
Io spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, se avete consigli, critiche o avete trovato qualche errore fatemelo sapere :)
Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, ancora devo capire bene come mandare avanti la storia ^^'
A presto!!
  
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