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Autore: Susannah_Dean    14/06/2018    2 recensioni
Shadow, Amy, Sonic, Blaze, Silver, Rouge, Knuckles, Sally. Otto persone, otto vite, otto città ai quattro angoli del pianeta.
Quale legame esiste fra di loro? Di quale mondo fanno parte, in realtà?
Stanno per scoprirlo.
Ma potrebbe essere già troppo tardi.
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[ Human!AU, liberamente ispirato alla serie tv Sense8]
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il pavimento era freddo sotto la sua schiena.
Non aveva importanza, naturalmente, non quando il suo corpo era scosso a intervalli sempre più ravvicinati da ondate di contrazioni. Era difficile pensare a qualunque altra cosa, ora che era quasi giunto il momento.
Le sue mani afferrarono convulsamente le pieghe del vestito, strattonandolo così forte da rischiare di strapparlo. Avrebbe tanto voluto che ci fosse qualcuno con lei, per tenerle la mano e dirle che tutto sarebbe finito bene, che sarebbe stata abbastanza felice da dimenticare le pietre gelide su cui era sdraiata…
Qualcuno c’era. Anche nel silenzio delle rovine poteva sentire la voce che le sussurrava nell’orecchio, e le dita che le sfioravano le spalle nude.
- È quasi finita – bisbigliò la voce, suadente, quasi gentile. Le dita descrivevano pigri cerchi sulla sua pelle, mandandole brividi lungo la schiena. – Manca poco.
Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra serrate. No, avrebbe voluto urlare, alla voce e alle dita e a ciò che stava per mettere in moto, ma era troppo tardi. Era ora di spingere.
- Ancora pochi minuti e sarà finita, Tikal – continuò la voce, imperturbabile. Sembrava impossibile chiuderla fuori, come sembrava impossibile non associarla a ricordi sgradevoli, a pieni nudi su piastrelle sporche di sangue e a un rosso segnale di allarme, acceso e pulsante. – Sai che li troverò presto, tesoro. Lo sai.
Durò poco, per fortuna. Un’ultima spinta, e tutto fu passato. Davanti agli occhi le esplosero immagini nuove, strade, palazzi e persone che non aveva mai visto prima. Nonostante tutto, le apparve un sorriso sulle labbra. Era felice, anche se esausta.
Ma non c’era tempo per riposare. Lentamente, anche se senza esitazioni, si infilò una mano sotto le gambe, cercando.
- Ottimo lavoro – la lodò la voce. Nonostante il suo tono non fosse cambiato dall’inizio della faccenda, ora che tutto era finito si poteva avvertire un accenno di trepidazione. – E ora…
Finalmente aveva trovato ciò che stava cercando. La pistola brillò brevemente alla luce della luna mentre lei la estraeva dalle pieghe di stoffa e se la portava alla bocca, alzandosi a sedere per trovare una posizione più comoda.
- Che cosa stai facendo? – La voce era diventata più urgente, non più in grado di nascondere la sorpresa e la preoccupazione. – Fermati immediatamente! Questo non cambierà niente!
Una forza estranea cercò di costringerla a muoversi, ad abbassare le braccia e a sdraiarsi nuovamente a terra, ma non sarebbe stata abbastanza per fermarla, non adesso che riusciva a sentire il metallo freddo fra le labbra.
Dovette chiudere gli occhi, però. Se non lo avesse fatto, non sarebbe riuscita a concentrarsi sulle immagini più piacevoli di cui aveva bisogno, un volto, una casa in mezzo ai boschi.
Mi dispiace, pensò, rivolta a tutti e a nessuno.
- NO! – Urlò la voce.
Tikal premette il grilletto.
 
 
 
Albion, Maine.
 
Shadow sentiva odore di pizza.
Il che non era preoccupante, di per sé. Anche in un buco di cittadina come Albion c’era la possibilità di mangiarsi una pizza. Peccato che in quel momento non ci fosse un cartone di pizza in vista, e che la caffetteria di fronte a cui era parcheggiato fornisse solo ciambelle e caffè scadente.
Caffè scadente che apparentemente Topaz aveva ordinato a litri, vista la dimensione dei bicchieri con cui stava salendo in macchina. Shadow le lanciò un’occhiata perplessa, inarcando un sopracciglio e dimenticando temporaneamente qualunque odore strano. – Vuoi veramente bere tutta quella robaccia?
Topaz alzò le spalle. – Sono ancora convinta che il giorno in cui non avremo preso abbastanza caffè ci toccherà fare qualche inseguimento in auto o partecipare a una sparatoria. Meglio essere pronti.
- Certo. Una sparatoria – replicò Shadow con sarcasmo, prendendo dalle sue mani la propria ciambella e il bicchierone che sembrava contenere meno caffè. – Hai troppa fiducia in questa città. Non credo succederà mai niente di così eccitante, qui.
- Bevi il tuo caffè e taci – brontolò l’altra, scartando la propria colazione.
Shadow obbedì, con un minuscolo sorriso sulle labbra. In fondo, era grato alla sua partner (e al caffè, nonostante il sapore orrendo) per la distrazione che gli stava fornendo. Era stata una nottata difficile.
Maria, infatti, lo aveva buttato giù dal letto poco dopo mezzanotte, e anche dopo che la situazione si era risolta l’agitazione gli aveva impedito di riaddormentarsi per ore. Quando finalmente era riuscito ad appisolarsi (nello stesso letto di Maria, con la mano nella sua, senza sapere per chi dei due fosse più rassicurante questa sistemazione), una serie di incubi lo aveva accompagnato fino al mattino, lasciandolo sudato e poco riposato al risveglio.
Non era una novità, per lui. Come vicesceriffo di una piccola cittadina, assisteva a scene poco piacevoli più di rado rispetto a un poliziotto di città, ma questo non significava che fosse tutto rose e fiori. E poi, naturalmente, si aggiungeva tutto quello che era successo prima. Era del tutto normale che certe brutte immagini lo assalissero durante il sonno.
Anche se quella notte erano state particolarmente brutte, e anzi, quando si era svegliato di soprassalto, poco prima dell’alba, convinto di aver sentito un colpo di pistola, si era sentito…strano. Come se qualunque cosa avesse cercato di afferrarlo nel suo ultimo sogno fosse ancora lì al suo fianco, con le mani tese, pronto a lanciarsi su di lui. Non che Shadow riuscisse a ricordarsi dell’esatto contenuto del sogno. Sforzandosi, riusciva a pensare solo a una sagoma femminile e a un gran freddo, legittimo, visto che Maria aveva deciso di rubargli quante più coperte possibili. E poi, lo sparo, quasi troppo reale per essere una proiezione di qualche vecchio ricordo.
Magari stava uscendo di testa. Un sacco di funzionari di polizia perdevano la sanità mentale. Certo, che accadesse a ventotto anni era un po’ prematuro, ma d’altronde lui ne aveva viste tante da sentirsi stanco come un ottantenne, a volte.
Scuotendosi da certe riflessioni sull’invecchiamento precoce, Shadow si voltò verso Topaz con l’intenzione di raccontarle gli eventi di quella notte. Non degli incubi, ovviamente, ma era abbastanza certo che la sua collega volesse sapere della nuova crisi di Maria. Topaz era una delle poche persone con cui poteva parlare liberamente (anche se farlo in un’auto della polizia mentre facevano colazione invece di compiere il proprio giro di controllo della città non era molto poetico), ed era veramente affezionata alla sua sorellina. Riusciva quasi a immaginare le invettive che la donna avrebbe lanciato contro il loro medico, contro la nuova medicina teoricamente infallibile su cui avevano riposto tante speranze e contro le ingiustizie della vita in generale.
Quando stava giusto aprendo la bocca per dirglielo, però, Shadow vide una donna.
Non aveva un volto familiare, il che era bizzarro di suo: ad Albion, tutti conoscevano tutti, e i turisti erano rari. Era più vecchia di lui, ma non di molto, ed era a piedi scalzi sul marciapiede, con indosso un abito bianco leggero, senza maniche. Anche quello sembrava fuori posto, visto che lì era ancora stagione da giacche a vento, e tirava un’arietta troppo fredda per quei vestiti estivi.
Ma la sconosciuta sembrava non accorgersene nemmeno. La stoffa dell’abito non pareva neanche muoversi al vento, e lo stesso si poteva dire dei suoi capelli, lunghi, di un forte rosso-arancione.
Il suo viso era una maschera impassibile, ma il suo sguardo era fisso su Shadow.
All’istante, il giovane sentì qualcosa scattare dentro di sé, come una forza inspiegabile che lo legava a quella donna. La conosci, gli sussurrava qualche angolo del suo cervello. E’ lei, è lei.
Ma Shadow era sicuro di non averla mai vista prima. E il suo aspetto lo turbava, così sbagliato al lato della strada, fuori dal loro finestrino. Stava per aprire la portiera, per uscire e chiederle se andasse tutto bene…
E poi la donna svanì nel nulla.
 
 
 
Spagonia, Italia.
 
- Queste dovrebbero essere le ultime – annunciò Gold con voce allegra, come se piazzargli in mano una pila di pizze da consegnare fosse una grande gioia.
Silver fece una smorfia. – Lo spero. Chi è che fa ancora pranzo alle due? Dovrebbe essere illegale.
Gold si allungò oltre il bancone a dargli un pizzicotto e lui si spostò per evitarla, mettendo a rischio il già precario equilibrio dei cartoni di pizza nelle sue mani. Riuscì a malapena a impedire che cadessero, ma ciò spinse Gold ad alzare gli occhi al cielo e ad allargare le braccia in un gesto teatrale. – Se ci riesci, caro fratello, prova a non far schiantare a terra gli ultimi guadagni della giornata.
Silver avrebbe tanto voluto farle un gestaccio, ma così facendo avrebbe fatto traballare di nuovo il carico, perciò si limitò a tirare fuori la lingua e a uscire con tutta la dignità di cui è capace una persona con le braccia cariche di pizze fumanti.
Non si trattenne, però, dal suonare il clacson mentre partiva per il giro di consegne. Così. Giusto per infastidire lei e tutti i vicini che a quell’ora stavano già facendo il pisolino dopo pranzo.
Avere clienti anche a quell’ora era una benedizione, lo sapeva. La pizzeria aveva bisogno di tutti i soldi possibili per restare aperta e nelle loro mani. E poi era tutta gente che abitava non troppo lontano, come si rese conto mentre, fermo al semaforo, controllava gli indirizzi sul telefono. Sarebbe tornato alla base in fretta, e poi forse avrebbe avuto un po’ di pace.
Era solo stanco, ecco. Lui e Gold lavoravano tutto il giorno, e anche se la sua sorellastra lo prendeva affettuosamente in giro e gli diceva di “seguire il suo sangue piemontese e fare pranzo a mezzogiorno”, spesso era semplicemente impossibile farlo. Anche mangiando solo un panino avrebbe faticato, visto che il traffico della pausa pranzo richiedeva due mani sul volante e tutta la sua concentrazione. Lo stereotipo degli italiani pirati della strada gli sembrava più vero ogni volta che si sedeva in macchina.
E poi si sentiva sulle spine. Gli era parso di sentire un colpo di pistola mentre aspettava che uno dei suoi carichi uscisse dal forno, e anche se Gold gli aveva giurato di non aver sentito nulla e che la loro non era una zona così malfamata, gli pareva di doversi guardare sempre alle spalle. Come se qualcuno lo stesse osservando, anche adesso, seduto sul sedile posteriore della sua auto disastrata.
Silver si arrischiò a lanciare un’occhiata nello specchietto retrovisore, mentre davanti a lui un uomo e una coppia di bambini attraversavano la strada. Era illogico, lo sapeva bene, e infatti alle sue spalle non c’era niente, solo la felpa che aveva lanciato su uno dei poggiatesta durante uno dei viaggi precedenti. Nonostante ciò, quella sensazione sgradevole non se ne andava.
Scosse la testa. Forse aveva guardato troppi episodi di Criminal Minds. Gold glielo diceva sempre di smetterla con quelle cavolate.
Quando tornò a posare lo sguardo sulla strada, però, si accorse che qualcuno lo stava guardando per davvero. Una donna, ferma a metà delle strisce pedonali.
Silver le fece cenno di attraversare, perché di sicuro non sarebbe partito investendola, ma gli si bloccò la mano a mezz’aria. C’era qualcosa, in quella tizia, che lo confondeva. Non muoveva un muscolo, e teneva gli occhi, di un azzurro penetrante, fissi su di lui, come a volergli scavare nel cervello. In più, indossava una specie di camicia da notte, ed era a piedi nudi sull’asfalto. Sembrava una pazza.
Devo chiamare i carabinieri, pensò. Poi, subito dopo: Non per lei. Mai per lei.
E infine, perché non gli era piaciuto il tono sicuro con cui si era espresso il suo cervello: Ma chi diavolo è, LEI?
Il suo battibecco interno fu interrotto dal suono di un clacson. Alcune auto si erano fermate dietro la sua. Strano: solo un momento fa non aveva avuto nessuno, dietro. Quanto tempo aveva perso, concentrato su quella donna che sembrava così fuori di testa.
Si voltò brevemente per abbassare il finestrino, così da poter fare un gesto di scusa a chi lo seguiva (o magari per indirizzare loro un bel dito medio, perché per chi lo avevano preso, per uno che investiva la gente sulle strisce?), ma quando guardò di nuovo davanti a sé la sconosciuta era sparita.
Solo che non aveva attraversato la strada. Un altro coro di clacson si era levato alle sue spalle, costringendolo a ripartire, ma mentre avanzava Silver girò lo sguardo di qua e di là, cercando di capire dove fosse andata, e non riuscì a vederla da nessuna parte. Era come se si fosse volatilizzata. O come se non fosse mai stata lì.
Ecco. Cosa aveva sempre detto, lui? Pranzare tardi era dannoso. Era probabile che gli fosse venuto un calo di zuccheri, mandandolo nella paranoia più completa.
Anche se Silver si ritrovò a pensare, mentre si affannava a ricordare dove dovesse andare: Ma i cali di zuccheri possono farti venire le allucinazioni?

 

Okaaaaaay gente! Non so cosa mi sia preso a buttare giù questa fanfiction MA sono sicura che sarà uno spasso. Vedremo insieme come andrà a finire.
Intanto che siamo qui: sì, tutti i personaggi sono umanizzati. Questa storia è ambientata nel mondo reale...o meglio, nel mondo di Sense8. Se avete visto la serie tv probabilmente capirete più in fretta dove vado a parare con il racconto. Se non l'avete vista, guardatela che è bellissima, farò del mio meglio per non rendere confusa la narrazione. Se dovessero esserci problemi, fatemelo sapere nelle recensioni (che spero saranno numerose!) e io vedrò cosa posso fare.
Cheers!
Suze
   
 
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