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Autore: Danail    15/06/2018    3 recensioni
[Prequel di "Unvorsum"| Raccolta di cinque storie | Lunghezza variabile | OriginAU].
Ci sono storie che non vengono raccontate alla luce del sole, ma sussurrate nelle sere tra amici, con un misto di terribile fascino e vivido stupore. E tra una Prova e l'altra, tra una cattura e un allenamento con i propri Pokemon, queste leggende circolano, crescono, si fanno più grandi.
La nascita dei Tapu, la prima venuta delle Ultracreature. i popoli prima delle Guerre di Kalos, eroi di tempi mitici. Il Peccato Originale, il voler andare oltre la superficie.
Racconti di scelte, racconti del coraggio di quattro individui che, seppur diversi e sconosciuti fra loro, hanno il coraggio di aggirare le regole, consci della punizione divina che potrebbe costar loro e alla loro gente la rovina eterna in caso di fallimento.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Arceus, Guzman, Ivan, Max (Team Magma)
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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4 Panpyr


Una volta si diceva che i Koxol avessero un cuore enorme.
Una volta si diceva che i Koxol avessero un animo forte e immenso.
In fondo, come poteva essere altrimenti? Grande spirito e cuore per grandi esseri. Esseri liberi e decisi, che un tempo si riunivano in un unico, grande e fiammeggiante branco per le migrazioni annuali: e, di isola in isola, di continente in continente, correndo gli instancabili custodi dei vulcani coprivano distanze colossali, attirando nella loro furia Pokémon della loro stessa indole.
Una volta si diceva che i Koxol fossero i guardiani della Vita. Ma quel tempo era ormai passato e non ne restavano solo che sogni e frammenti di ricordi che ogni tanto riemergevano. Accadeva spesso soltanto nei sonni inquieti dei più piccoli, che al levarsi del giorno già avevano dimenticato le immagini della notte.
Ed era accaduto a lui, anche dopo essersi lasciato alle spalle l'infanzia.
Il Koxol levò il muso spettrale al cielo plumbeo per cercare di attirare l'attenzione di qualcuno con urla e lamenti. Ma tutto ciò che uscì dalla sua gola riarsa fu solo un umiliante gracidio.
Il Koxol posò la testa ossea e le zampe anteriori sul parapetto della barchetta per tirarsi un po' su e fissare con le orbite vuote l'acqua, che rifletteva il grigiore metallico del cielo.
Nonostante non ci fossero occhi visibili lui, come tutti della sua specie, riusciva a vedere.
E ciò che l'acqua gli restituiva era il riflesso di un essere grosso e nero, dal pelo lungo e folto, dalle zampe forti dagli artigli lunghi e duri.
L'unica cosa che spiccava in quell'ammasso di muscoli e pelliccia era solo la testa: un cranio bianchiccio e affusolato, di forma caprina, con tanto di corna bianche, curve e rivolte all'esterno, decorate da incisioni appuntite e sporgenti.
Con un sordo brontolio lo Koxol strisciò dentro l'imbarcazione per raggomitolarsi sul fondo, accanto al Numel, in quel momento dormiente, che aveva deciso di seguirlo.
L'essere si chiedeva perché quel Pokémon avesse preso una decisione così drastica. Seguire il suo amico, nonostante questo era riuscito a privare il Protettore dell'isola della sua pietra, della sua fonte principale di potere. Come aveva potuto seguirlo?
Preso da quelle domande, il gigante si raggomitolò attorno al suo piccolo amichetto, cercando disperatamente di riscaldarlo ancora un po'. Anche se ormai aveva perso anche la capacità di produrre fiamme, forse il calore corporeo poteva bastare.
Ma tutto dipendeva dal fuoco, dal Sole. E in quel momento erano entrambi circondati dall'acqua, coperti giorno e notte da una coltre innaturale di nuvole -non avrebbe disdegnato neanche la luce lunare, arrivato a quel punto- per cui di fonti energetiche non se ne trovavano neanche a sforzarsi. Tra l'altro neanche quella bonaccia prolungata era poi così tanto naturale: oltre il reef il mare non era mai stato così tanto clemente.
Il Koxol si chiese se tutto quello fosse uno dei tanti giochi folli di Tapu Lele o significasse qualcosa di più sinistro. Era ben noto che il potere del Protettore non era gran che efficace oltre il reef, ma l'essere non era pronto a scommetterci neanche un pelo che ciò valesse in maniera assoluta. D'altro canto, quasi ci sperava che quello fosse tutta opera del Tapu e solo sua.
Il solo pensare che la fonte di tutto quello fossero le... le cose dei suoi incubi atterrì così tanto quel bestione, tanto da farlo rabbrividire e strappargli qualche singhiozzo.
Si chiese per quanto sarebbe rimasto senza Sole e calore prima di spegnersi del tutto. Credeva di aver raggiunto il limite sopportando i giochi via via più folli e crudeli di Tapu Lele: ma quelli riusciva a sopportarli, dato che voleva ingannarlo e indurlo a consegnargli la propria pietra -proprio la stessa che teneva incastonata sotto al duro palato per non rischiare di perderla- spontaneamente. Tanto era un gioco, no? Una caccia al tesoro quasi letale, che gli avrebbe comportato mutilazioni e la prigionia nelle segrete buie del tempio se il Protettore fosse rientrato in possesso della sua pietra.
Tanto il Tapu ne era sicuro: sarebbe riuscito a scovarlo con la stessa sicurezza di un Pyroar che caccia un Rattata. E la cosa, assieme alla punizione per il suo sfidante, lo eccitava ancor di più. Non aveva capito, forse, che il Koxol faceva sul serio.
Ma tanto che importava? Da quegli incubi, dagli abomini che uscivano da strane fenditure nello spazio, dall'isola con quel tempio particolare, da quel tutto che aveva visto in visioni oniriche aveva capito che quella pietra doveva uscire fuori dai domini di Ula Ula.
Il Koxol gracidò disperato un'ultima volta rivolto al cielo, pregando di avere ancora un po' di calore e luce. Ancora un altro po', ancora un... altro...
Riuscì solo a posare l'enorme cranio sulla testolina inerme di Numel. All'interno delle gigantesche fauci, striscioline lucenti e calde di color magenta chiaro nascevano lente da quella gemma. Senza alcuna fretta, strisciarono fra i denti serrati, fra le orbite vuote e prive di qualsiasi vitalità, avvilupparono quel corpo ormai rigido, accarezzandolo come una mano materna.
E, come mosse da chissà quale misericordia verso quell'essere, s'illuminarono e si strinsero attorno a lui, sempre più strette, sempre più strette, sempre più strette.
Dentro quella rete filamentosa -sempre più strette- una luce dapprima flebile gradualmente aumentò d'intensità -sempre più strette!- finché non inglobò anche il Pokémon ormai freddo trasformando quella barca, prima portatrice di sofferenza, in un piccolo nuovo sole.





Il ragazzino continuava a fissare in avanti. Vedere per intero il suo interlocutore non gl'interessava. Voleva solo guardare il mare. Forse, se guardava per bene in lontananza, avrebbe scorto qualcosa. Magari qualche traccia del suo passato.
Come se la risacca potesse restituirgli i ricordi come fa con le conchiglie.
-Ti abbiamo trovato svenuto nella barca con più buchi che io abbia mai visto. Galleggiavi nell'acqua rimasta ancora lì dentro, non rispondevi, pensavamo che... insomma... -
Lui non disse nulla. Continuava a fissare il mare piatto con sguardo assente. Si mosse un poco soltanto quando sentì la testa calda di Numel contro il suo fianco, giusto quel tanto per abbracciare il piccolo Pokémon.
-Come hai fatto a sopravvivere? Da dove vieni?-
-Non... lo so- borbottò lui, scostandosi una ciocca di capelli rossi da davanti gli occhi.
-Dai, ricorderai pur qualcosa! Almeno sai come ti sei fatto quelle bruciature sul corpo? Forse è quella pietra che ha il tuo Pokémon sempre...-
-Non so nulla, hai capito? Nulla! Niente di niente!- sbottò lui, stringendo istintivamente la pietra rosata che Numel si portava sempre con sé, appesa all'esile collo con una cordicella fatta da chissà chi.
Per la sorpresa, il Pokémon Tepore s'agitò, non capendo la causa di quello sfogo. Il ragazzo sconosciuto sobbalzò leggermente, ma cercò di non scomporsi troppo.
-Ok, ok, amico, non preoccuparti! È che... sei il terzo che arriva in questo stato. Non ricordi nulla, hai con te qualcosa di prezioso, bruciature e ferite sul corpo, accento strano. Stiamo cercando di capire cosa succede, tutto qua!-
A quelle parole il rosso si girò verso il suo interlocutore, senza smettere di accarezzare il proprio Pokémon.
Lo sconosciuto doveva avere più o meno i suoi stessi anni. Ma di costituzione era più robusto, la pelle era di una sfumatura olivastra e dalle zone non coperte dai vestiti bianchi s'intravedevano strani disegni neri, che dovevano sicuramente continuare sotto quei tessuti.
Quello lo osservava con aria dubbiosa, gli occhi scuri esprimevano solo esitazione.
-Gli altri però ricordavano il proprio nome. Solo quello. Tu... te lo ricordi?- gli chiese infine, passando distrattamente le dita fra i capelli neri, raccolti in un codino.
-Sì...- mormorò il rosso, tornando a fissare il mare.
-Una volta, forse, qualcuno mi chiamava Max. Ma non ricordo...-


   
 
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